Vegetarianismo

Universo del Corpo (2000)

Vegetarianismo

Alessandro Menotti

Il vegetarianismo (dall'inglese vegetarianism, termine coniato intorno al 1847 dai membri della Vegetarian society, derivandolo dal latino vegetus, "vivace, arzillo, fresco") indica ogni concezione dietetica o regime alimentare che prescrive oppure raccomanda l'astensione dagli alimenti di origine animale (in primo luogo prodotti carnei e ittici), in base a presupposti o dettami di diversa natura: anzitutto etica (illiceità dell'uccisione di animali), oppure religiosa (in aderenza a dottrine che presuppongono la metempsicosi, soprattutto in India), igienica (presunto effetto dannoso degli alimenti 'cadaverici') o, infine, economica (mancanza di risorse alimentari).

Si stima che nel mondo i vegetariani siano circa un miliardo, con una frequenza relativamente bassa nei paesi occidentali. Per molti, tuttavia, la scelta non è né ideologica, né religiosa, né estetica, né salutistica, ma semplicemente dettata dalla disponibilità di soli alimenti di origine vegetale.

Nell'ambito del vegetarianismo è possibile distinguere modelli alimentari alquanto diversi, anche se nello statuto della Vegetarian society (Londra, 1847) si parla indistintamente di vegetariani. Fra questi, in seguito, si sono costituiti vari gruppi di aderenti che interpretano diversamente il vegetarianismo: i latto-ovo-vegetariani, che includono nella loro alimentazione i prodotti lattiero-caseari e le uova; i latto-vegetariani, che a differenza dei precedenti si astengono anche dalle uova; i vegetalisti puri (o vegans o vegani o veganiani), che escludono ogni prodotto di derivazione animale, incluso il miele. A questi ultimi appartengono i cosiddetti fruttisti, fautori di un'alimentazione esclusivamente frugivora. A causa dell'indeterminatezza del termine in questione, non è agevole formulare un giudizio meditato sull'adeguatezza nutrizionale dei vari modelli di alimentazione vegetariana, soprattutto quando si considerano certe fasce di età (bambini, adolescenti, vecchi) o alcune condizioni fisiologiche (gravidanza, allattamento, menopausa) e morbose che richiedono un mirato soddisfacimento dei fabbisogni nutritivi. Molte osservazioni scientifiche si sono basate sullo studio di molte migliaia di soggetti, appartenenti agli Avventisti del Settimo Giorno, una setta religiosa di stampo evangelico che, oltre a praticare l'astinenza dai cibi di origine animale, non consuma caffè, alcol, spezie, bandisce il fumo e ha abitudini di vita molto spartane. Rappresentano un campione di circa 2,5 milioni di soggetti di ambo i sessi e di tutte le età. Non tutti gli Avventisti seguono le regole indicate e quindi, al loro interno, è stato possibile identificare sottogruppi che, a parità di altre abitudini generali, mangiano o non mangiano la carne o lo fanno molto raramente, oppure sono vegetariani puri, rispetto ad altri che sono latto-vegetariani, oppure latto-ovo-vegetariani.

Altri studi sono stati condotti su vegetariani - più o meno completi - che non appartengono a particolari gruppi religiosi. Le osservazioni che ne sono derivate dimostrano che queste popolazioni sono caratterizzate da un ridotto tasso di mortalità per tutte le cause, e da un minor rischio di malattie cardiovascolari, di una serie di tumori, di diabete e di obesità. Inoltre presentano una speranza di vita superiore a quella delle popolazioni onnivore. In generale la mortalità, per periodi di osservazione da 5 fino a oltre 20 anni, a partire da età medie, è più bassa, nei vegetariani, di quote comprese tra il 20% e il 50% a seconda della malattia considerata e della lunghezza del periodo di osservazione. In molte analisi sugli Avventisti del Settimo Giorno sono risultati particolarmente a rischio coloro che consumano carne, mentre l'abbondante impiego di vegetali a foglia verde e di legumi rappresenta quasi sistematicamente un sostanziale beneficio. Malgrado siano da considerare quali determinanti di questi benefici anche altri fattori comportamentali (astensione da fumo e alcol, maggiore attività fisica ecc.), è indubbio che la ridotta assunzione di grassi saturi, derivati soprattutto dai prodotti animali, e l'aumentato consumo di fibre e di proteine vegetali possono contribuire a spiegare queste differenze. Le analisi eseguite sulle popolazioni in questione, infatti, hanno documentato il ruolo della dieta anche a parità di tutte le altre abitudini salutistiche. I vantaggi della dieta vegetariana sono oggi orientativamente ritenuti legati, in parti quasi uguali (anche se proporzionalmente mal definibili), al limitato introito di proteine e grassi di origine animale, da un lato, e all'introito sostanziale di componenti nutrizionalmente protettive, anche se praticamente trascurabili dal punto di vista energetico, dall'altro. Si tratta di sostanze la cui assunzione giornaliera può essere espressa in grammi, come la fibra alimentare (che ha origine solo vegetale), o in milligrammi, come la vitamina A, alcune delle vitamine B, le vitamine C ed E, l'acido folico, alcuni polifenoli, lo zinco, il potassio, una serie di antiossidanti naturali, i flavonoidi, le catechine e altre sostanze tipicamente presenti in alimenti di origine vegetale. In conclusione, si può affermare che nella maggior parte dei soggetti sani il regime latto-ovo-vegetariano consente di mantenere un buono stato di nutrizione, con la sola riserva nei confronti di un moderato rischio di anemia. Infatti, il ferro di provenienza vegetale (ferro 'non eminico') ha scarsa biodisponibilità, a differenza del ferro eminico, presente nelle carni e nei prodotti ittici. Tanto più, il rischio sussiste in caso di alimentazione latto-vegetariana, oppure rigorosamente vegetalista, nel qual caso sussistono altri rischi nutrizionali (carenza di calcio, di aminoacidi essenziali, di vitamina Bl₂), prevenibili solo con meditati accorgimenti dietetici. Per mantenere un bilancio metabolico qualitativamente accettabile sono necessarie scelte molto oculate che possono richiedere nozioni sostanziali di scienza della nutrizione. In particolare vi deve essere un largo impiego di legumi (fagioli, lenticchie, ceci, piselli, soia) al fine di introdurre quote sufficienti di proteine. La miscela dei legumi con cereali (pasta e riso in particolare) può infatti consentire di raggiungere quantità e qualità di proteine (e dei vari tipi di aminoacidi) tali da soddisfare il fabbisogno medio giornaliero. Di fatto molte delle conoscenze oggi disponibili in tema di alimenti di origine vegetale e animale e dei loro effetti sulla salute derivano anche da osservazioni o esperimenti che suggeriscono l'utilità e i benefici di abitudini alimentari 'orientativamente vegetariane', e dunque non necessariamente del tutto vegetariane. L'esempio più classico è costituito dalla cosiddetta dieta mediterranea, tipicamente seguita alcuni decenni orsono lungo tutte le coste del Mediterraneo: essa si basava su larghi consumi di derivati dei cereali in varia forma, verdura, frutta, condimenti di origine vegetale (come l'olio di oliva), un discreto consumo di pesce e quantità molto ridotte di carne e derivati del latte. I vantaggi della dieta mediterranea sono stati evidenziati da un'analisi comparativa (iniziata negli anni Sessanta del 20° secolo) delle abitudini alimentari di un campione di popolazione degli Stati Uniti e di uno di Creta. I consumi (in grammi al giorno) risultavano essere: cereali, 123 USA e 410 Creta; frutta e verdura, 404 USA e 685 Creta; carne, 273 USA e 35 Creta; derivati del latte (parte solida), 78 USA e 43 Creta; burro, 26 USA e 0 Creta; olio di oliva, 3 USA e 95 Creta. Durante 25 anni di osservazione si è mostrato che queste differenze nelle abitudini alimentari si accompagnavano a quozienti di mortalità molto più elevati negli USA che a Creta nei riguardi di qualsiasi patologia potenzialmente correlata con la dieta. In tempi recenti esperimenti condotti in Francia e negli Stati Uniti, consistenti nell'applicare diete di stile 'cretese' o sostanzialmente vegetariane in soggetti già colpiti da infarto miocardico o da altre forme di patologia coronarica, hanno portato a una riduzione significativa delle recidive, delle complicazioni e della mortalità nei pochi anni successivi. In definitiva se il vegetarianismo integrale è di difficile applicazione e può creare situazioni di carenza per certi nutrienti, abitudini orientativamente vegetariane possono rappresentare uno stile di vita protettivo nei riguardi delle maggiori patologie tipiche dell'attuale società occidentale.

bibliografia

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world health organization, Diet, nutrition and the prevention of chronic diseases, Technical report series 797, Genève, WHO, 1990.

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