URSS

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

URSS (XXXIV, p. 816; App. I, p. 1098; II, 11, p. 1065; III, 11, p. 1043)

Domenico Ruocco
Rita Di Leo
Domenico Caccamo
Cesare G. De Michelis
Sergio Rinaldi Tufi
Xenia Muratova

La trasformazione di quello che era uno dei paesi più arretrati in una delle più grandi e moderne potenze militari e industriali del mondo ha assunto un ritmo accelerato negli ultimi decenni, durante i quali alle conquiste scientifiche e tecnologiche, ai progressi compiuti nel miglioramento delle condizioni di vita all'interno si sono accompagnate una maggiore, graduale distensione nei rapporti politici esterni, una certa tolleranza verso le tendenze autonomistiche degli altri regimi socialisti, pur dopo i duri interventi in Ungheria e in Cecoslovacchia, e un'espansione del commercio internazionale con tutti i paesi del mondo.

La politica di sviluppo è stata portata avanti attraverso la serie dei piani quinquennali, che hanno perseguito un rigoroso ordine di priorità, sia prima che dopo la seconda guerra mondiale. Dapprima gli sforzi mirarono allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo e al potenziamento dell'industria meccanica, per la produzione dei beni strumentali, e nello stesso tempo a formare tecnici e scienziati; poi si tenne presente l'esigenza di offrire una più varia gamma di prodotti per l'abbigliamento, di dare una casa a tutti, seppure modesta, e di assicurare a tutti istruzione e assistenza medica. Ai duri anni della ricostruzione delle rovine prodotte dalla guerra, e allo sviluppo dell'apparato produttivo, ne sono seguiti altri in cui si è verificata una svolta nella politica economica dello stato e nelle condizioni di vita della popolazione. Gli scopi principali degli ultimi piani quinquennali non sono stati solo quelli di incrementare la produzione di carbone, ferro, acciaio e beni strumentali, turbine, macchine industriali e aeroplani, ma anche di rispondere ai crescenti bisogni della popolazione di automobili, frigoriferi, elettrodomestici, stoffe migliori, alimenti più vari, case più comode.

L'Unione Sovietica è formata da quindici repubbliche federali, ciascuna con propri organi legislativi ed esecutivi, i cui presidenti sono vicepresidenti del Presidium.

Nell'ambito delle repubbliche federali si distinguono 48 province (oblasti), 21 repubbliche autonome, 8 province autonome, 10 circondari nazionali e 6 territori.

Popolazione. - All'inizio del 1977 l'Unione Sovietica contava 258 milioni di abitanti (209 nel 1959 e 242 nel 1970), con un aumento del 23% nel giro di diciotto anni. Essa è uno stato abitato da oltre 100 nazionalità e popoli, i quali, pur essendo diversi per razza, lingua, cultura e livello di vita e pur conservando tradizioni e lingua propria nella scuola e nella letteratura, stanno raggiungendo un'unità multinazionale sul piano politico, economico e spirituale.

La natalità è sensibilmente diminuita e così l'indice di accrescimento della popolazione (17,8‰ nel 1960; 9 nel 1977), con valori minori nella regione baltica e in tutta la parte europea e con punte massime nell'Asia centrale, dove l'aumento naturale annuo continua a essere vicino al 2%. La prevalenza delle femmine sui maschi, più marcata immediatamente dopo la guerra, che fece oltre 20 milioni di vittime, in prevalenza uomini, si è attenuata e sta raggiungendo valori normali.

Le variazioni della popolazione nel periodo intercensuale 1959-70 hanno interessato in misura differente le varie parti del territorio dell'Unione e le diverse repubbliche. Rispetto a quella totale è continuato l'aumento della parte asiatica, repubbliche caucasiche comprese e regione uralica esclusa (dal 24% nel 1959 al 30% nel 1970). Tutte le repubbliche federali hanno subìto aumenti sensibili, specie quelle che hanno registrato nell'ambito del loro territorio grandi trasformazioni economiche, per la diffusione dell'irrigazione, la scoperta e la valorizzazione delle risorse del sottosuolo e l'industrializzazione. Di fronte a un aumento del 10% registrato nella Repubblica Russa, c'è il 12% dell'Ucraina e della Bielorussia, il 13% dell'Estonia e della Lettonia, il 15% della Lituania, il 24% della Moldavia, il 16% della Georgia, il 40% dell'Armenia, il 38% dell'Azerbaigian, il 40% del Kazakistan, il 42% dell'Uzbekistan, il 43% del Kirghizistan, il 48% del Tagikistan e il 30% del Turkmenistan. Il baricentro demografico dello stato tende a spostarsi verso Sud-Est, col crescente peso delle repubbliche del Caucaso e dell'Asia centrale.

Ulteriori notevoli cambiamenti si sono verificati nella ripartizione della popolazione urbana e rurale. Secondo i dati del 1959 circa 100 milioni di persone vivevano nelle città, cioè poco meno della metà della popolazione totale, ma al censimento del 1970 gli abitanti delle città erano passati a circa 136 milioni con un incremento del 36%, per i due quinti dovuto all'aumento naturale e per i tre quinti all'emigrazione dalle campagne alle città o alla trasformazione di villaggi in città. La popolazione urbana rappresenta il 56% della totale, ma con valori molto superiori nelle regioni industriali centrali della parte europea, nel bacino del Donec' e negli Urali, e inoltre nella Siberia e nell'Estremo Oriente (70-80%), e con valori minori (20-30%) nelle regioni agricole europee, del Caucaso e dell'Asia centrale.

L'Unione Sovietica continua a essere un paese a bassa densità media di ab. (11,5 per km2), un ventesimo di quella dell'Europa occidentale, un settimo della Cina e la metà degli Stati Uniti. Tuttavia se si considera la distribuzione della popolazione, si vede che essa si addensa nelle regioni centrali e meridionali dell'Europa, alla base del Caucaso, negli Urali centrali, nella Siberia meridionale, almeno fino al lago Bajkal, e sulle terre più ricche di acqua dell'Asia centrale. In tali aree, che corrispondono a poco più di un quinto del territorio statale, vivono i quattro quinti della popolazione e si raggiungono densità di 50-100 ab. per km2 o più, specie nelle aree industrializzate. A N e a S della zona più abitata vi sono vaste aree completamente disabitate, con meno di 1 ab. per km2 (zona europea della tundra, Siberia centro-settentrionale ed Estremo Oriente, deserti dell'Asia centrale).

L'Unione Sovietica è un mosaico di nazionalità, ma accanto a gruppi assai numerosi, come i Russi e gli Ucraini, ve ne sono altri di poche migliaia di individui: sulle vaste aree di forte immigrazione vi è una grande mescolanza e i Russi tendono spesso a prevalere sul piano organizzativo, anche perché la loro lingua è quella ufficiale dello Stato. Dalla tab. 2 si deducono agevolmente la consistenza e le variazioni dei principali gruppi nell'ultimo periodo intercensuale. Come già nel ventennio precedente i maggiori aumenti si sono avuti per i popoli dell'Asia centrale (Uzbeki, + 50%; Tagiki, + 50%; Kazaki, +49%) e del Caucaso (Armeni, + 28%; Georgiani, + 23%; Azerbaigiani, + 50%), mentre per la maggior parte dei popoli europei più evoluti e per i Russi stessi si sono registrati aumenti molto contenuti, e per gli Ebrei addirittura una diminuzione.

Secondo i dati del 1973 si contano nell'Unione Sovietica 1878 città e 3666 insediamenti di tipo urbano, per lo più fioriti presso impianti industriali. Parecchie città di questo tipo si sono formate e hanno assunto consistenza nell'Ucraina, negli Urali, nella Siberia, nell'Estremo Oriente, nel Kazakistan e altrove. Kirovsk, Uhta, Vorkuta, Norilsk, Magadan e altre hanno il ruolo di centri industriali nel Nord; Novokuznetsk, Komsomolsk, Bratsk sono basate sullo sfruttamento di risorse minerarie in Siberia; Karaganda, Balhaš, Ševcenko, Nebit Dag, Zeravšan si sono sviluppate nelle aree desertiche centrali.

Centinaia di nuove città sono fiorite anche nelle regioni europee di vecchio insediamento. Parecchie hanno raddoppiato più volte la popolazione in breve volgere d'anni: tra tutte si ricordino Čeljabinsk, Alma-Ata, Erevan', Novosibirsk, Krasnojarsk, Kemerovo, Murmansk. Anche la popolazione di varie grandi città storiche ha subìto aumenti assai considerevoli: così Mosca in poco più di un decennio è passata da 5 a 8 milioni di ab., Leningrado da 2,9 a 3,5, Kiev da 1,1 a 2,1, Minsk da 0,5 a 1,2, Taškent da o,9 a 1,7. Nel 1959 solo tre città superavano un milione di abitanti, mentre nel 1970 erano 9, e cinque anni dopo 14. E un'altra dozzina si avvicina al milione di abitanti.

Il rapido sviluppo urbano ha comportato vari problemi, che sono stati affrontati con piani a lungo termine. Questi hanno contemplato un limite all'espansione delle grandi città e una crescita delle piccole, e ciò per una migliore utilizzazione delle forze lavoro e per una più conveniente localizzazione delle industrie. Dalla tabella si può fare un confronto tra la popolazione delle città con oltre 200.000 ab. al 1959 e al 1970.

Parecchie città hanno cambiato nome, specie per effetto del processo di destalinizzazione: cosi Stalingrado è diventata Volgograd, Stalino Kuzneck, Stalinsk Novokuzneck, Stalinabad Dušanbe, Lugansk Vorošilovgrad.

Le attività economiche. - Nel campo dell'industria estrattiva e manifatturiera il ritmo di sviluppo è stato assai rapido, tanto che in pochi decenni l'Unione Sovietica è diventata la prima potenza industriale in Europa e segue da vicino gli Stati Uniti nel mondo. Ricostruita l'economia nei primi anni del dopoguerra e potenziate le industrie di base, si è verificata una svolta graduale, anche se lenta, nella politica economica statale, tanto che in occasione del XXIV Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica (1971) è stato possibile affermare che l'industria pesante deve fornire in sempre maggiore misura gli strumenti necessari per lo sviluppo dell'agricoltura, dell'industria leggera e di quella alimentare e deve anche soddisfare sistematicamente il fabbisogno di beni domestici e culturali.

L'Unione Sovietica occupa ora posizioni-guida nel mondo per quanto riguarda la produzione di materie prime e le industrie di trasformazione. Essa è il primo produttore di petrolio, di carbone, minerali di ferro, legname e vari minerali minori. La rapida crescita dell'industria manifatturiera ha portato il paese ai primissimi posti per la produzione di trattori, di macchine utensili, locomotive e vari altri beni, nonché per la lavorazione della lana, del cotone e di altre fibre. Nell'ambito del territorio statale hanno assunto importanza crescente le regioni asiatiche, tanto che queste hanno superato quelle europee nella produzione dei combustibili, di energia e di varie materie prime: gas naturale, petrolio, carbone, energia elettrica vengono all'Ovest dall'Est, mediante capaci condotte, ferrovie ed elettrodotti. Tale flusso di materie prime dall'Asia all'Europa si è accresciuto nel corso dell'attuazione del piano quinquennale 1971-75, le cui direttive generali erano di favorire questa tendenza nel quadro evolutivo della distribuzione territoriale delle attività produttive.

La specializzazione e la concentrazione industriale comportano scambi di grandi quantità di merci da una parte all'altra del vasto paese. La regione centrale europea, che è la più industrializzata dello stato, usa cotone dell'Asia centrale, minerali metalliferi degli Urali, carbone dell'Ucraina, petrolio e gas naturale dal Sud e dall'Est. Gli Urali hanno a lungo importato carbone dal Kuzbass, che viene integrato con quello proveniente da altri giacimenti lontani, e la loro industria siderurgica e meccanica è stata potenziata dall'afflusso dei minerali del Kazakistan, essendo insufficiente e in via di esaurimento il giacimento di Magnitogorsk. Un continuo flusso di legname va dal Nord forestale al Sud steppico, e in particolare dalla Siberia verso l'Asia centrale, priva di alberi; in opposte direzioni sono trasportate grandi quantità di frumento e di frutta e vino dalle regioni temperate verso quelle calde e viceversa.

La strategia economica globale dell'Unione Sovietica si fonda sulla divisione e sulla connessione tra attività estrattiva e manifatturiera, in quanto il loro specifico potenziamento e la loro integrazione sono essenziali per lo sviluppo pianificato del paese.

L'Unione Sovietica ha programmato agl'inizi degli anni Settanta la crescita della produzione del carbone fino a 700 milioni di t, e ha raggiunto tale obiettivo, conquistando il primo posto nel mondo per l'estrazione di tale minerale. Il Donbass continua a rimanere il principale bacino carbonifero dell'Unione Sovietica, ma ormai altri giacimenti del Kazakistan, della Siberia centrale e delle regioni orientali registrano un più rapido ritmo di espansione della produzione, potenziano grandi centri industriali sul posto e riforniscono gli Urali.

Anche il primato mondiale nella produzione del petrolio è stato conseguito negli ultimi anni. I combustibili liquidi e gassosi stanno integrando o sostituendo carbone, torba e legno nell'industria e negli usi domestici, e alimentano un'industria chimica in sviluppo e i trasporti. Un tempo la principale area di produzione era nel Caucaso, che ha fornito oltre la metà del petrolio sovietico fino al 1950, poi il primato passò al bacino del Volga, che riuscì a dare annualmente fino a 10 volte la produzione del Caucaso negli anni Sessanta.

Tuttavia la regione del Volga è stata soppiantata nel giro di una decina di anni dalla Siberia occidentale, che si è rivelata ricca di petrolio a destra e a sinistra dell'Ob' ed è ora la prima area estrattiva dell'Unione Sovietica. Ad essa altri minori giacimenti si sono aggiunti nell'Asia centrale, a N del Caucaso, in Bielorussia e Ucraina. Qualcosa di simile è avvenuto per il gas naturale, dapprima estratto in Europa (Ucraina, Volga, Caucaso) e portato con metanodotti a Mosca, Leningrado e in altre città. Ora l'Asia dà già una cospicua produzione e si prevede che la Siberia settentrionale divenga presto il principale distretto metanifero dello stato, nonostante che occorrano lunghe e capaci condotte per trasportare il gas da quelle desolate aree di produzione ai centri di consumo o ai porti artici. In sintesi si può stimare che oltre i due terzi delle fonti energetiche prodotte sono consumate nella parte europea, nonostante una buona quota della produzione e le maggiori riserve siano nell'Asia, in particolare nelle fredde regioni artiche e subartiche.

Non toccata dalla crisi mondiale dell'energia e dalle difficoltà di rifornimento delle materie prime, l'Unione Sovietica ha potuto sviluppare ancor più il suo potenziale economico, come risulta dal confronto dei dati relativi ad alcune materie prime e prodotti industriali: essa ha avvertito qualche inconveniente dalla diversa distribuzione della produzione e dei consumi, onde l'intensivo sfruttamento di giacimenti a più basso tenore di metallo dove c'è la domanda, mentre altri di maggior valore, in aree lontane dai distretti industriali, sono trascurati, per gli alti costi dei trasporti. Lo sfruttamento del potenziale energetico della Siberia presenta notevoli difficoltà, perché richiede l'installazione sul posto di grandi complessi industriali, con larga immigrazione, oppure il trasporto a distanza delle risorse minerarie. Nonostante i fortunati tentativi di espandere le attività economiche in ambienti fisici sempre più difficili, si profilano limiti all'immigrazione verso vaste regioni marginali della Siberia, in quanto si preferiscono aree climatiche più meridionali, dal clima meno rude. Ormai il problema principale della Siberia consiste nel mantenere una permanente forza di lavoro, adeguata alle esigenze, in aree dal clima eccessivamente freddo: le condizioni climatiche impongono dei limiti al popolamento permanente e allo sviluppo economico di una vasta parte dell'Asia sovietica.

L'industria manifatturiera ha continuato il suo ritmo di sviluppo non solo nell'industria pesante, di base e dei beni strumentali, ma anche in quella dei prodotti finiti e dei beni di consumo e di elettrodomestici. L'Unione Sovietica è balzata al primo posto nella graduatoria mondiale per la produzione di ghisa, di acciaio e di vari altri metalli, ha un'industria dell'automobile, che ha segnato la fortuna della città di Togliatti (FIAT), come pure di Minsk e di altre città. Un particolare settore dell'industria meccanica è quello dei trattori e delle macchine agricole e industriali, di cui grandiosi stabilimenti sorgono a Minsk, Mosca, Kiev, Charkov, Leningrado, ecc.

L'aumento della produzione e i mutamenti negli orientamenti di politica e politica economica hanno portato l'Unione Sovietica a intervenire sui mercati mondiali, come mostra anche il forte aumento del valore del commercio estero, che si è più che raddoppiato nel corso dell'ultimo quadriennio e si estende ormai anche a un gran numero di paesi capitalisti.

Rapportato allo sviluppo in campo industriale quello dell'agricoltura appare piuttosto contenuto, nonostante una massa notevole di forze di lavoro, il 19% (nel 1977) della popol. attiva, sia impiegato nel settore. Il tasso di trasferimento di tali forze al settore industriale, più produttivo, è stato limitato, ma ciò ha contribuito a mantenere bassa la produttività del lavoro in agricoltura, sebbene si siano verificati l'ampliamento delle aree irrigue, l'intensificazione delle colture e la meccanizzazione. La crisi dell'agricoltura è testimoniata dal disagio delle aziende collettive, tendenti a trasformarsi in aziende di stato per godere di maggiori vantaggi.

L'Unione Sovietica è il primo produttore mondiale di frumento, di segale, orzo, avena e patate, così come di lino, canapa e cotone; tuttavia per la considerevole popolazione, che ha un regime alimentare basato essenzialmente su cereali e patate, può disporre soltanto, e non sempre, di trascurabili quantità di prodotti alimentari per l'esportazione. Anche per le colture agrarie i limiti allo sviluppo sono di ordine climatico, più decisi verso le zone fredde, più elastici verso i deserti e la steppa, dove le opere irrigue hanno guadagnato ampio spazio per colture pregiate (alberi da frutta, tè, ortaggi).

Solo per il cotone si ha una riduzione della produzione, ma essa, pur notevole, risulta più contenuta di quanto non sia avvenuto negli SUA o altrove, per la concorrenza delle fibre artificiali.

Essendo pressoché invariata la superficie agraria e avendo subito lievi variazioni quelle destinate alle singole utilizzazioni, se si escludono il cotone, che ha registrato una sensibile contrazione, la barbabietola e gli alberi da frutta, che si sono fortemente espansi, gli aumenti di produzione sono legati soprattutto ai miglioramenti colturali, vuoi con più profonde arature e con la diffusione dell'irrigazione, vuoi con largo impiego di fertilizzanti e di antiparassitari o con più razionali rotazioni agrarie.

L'aumento della domanda, legata all'incremento della popolazione e al suo migliorato tenore di vita, ha spinto a diffondere le colture industriali (barbabietola, tabacco) e alimentari (cereali, patate), che danno prodotti di più largo consumo, a curare le colture foraggere e i prati e a potenziare il settore zootecnico per soddisfare il crescente fabbisogno di carne, latte, lana e altri prodotti dell'allevamento. Questa svolta nella politica agraria, che ha portato a riversare sul mercato in quantità crescenti prodotti alimentari più pregiati (carne, frutta), è avvenuta in parallelo con quella verificatasi nella politica industriale, che ha mirato a soddisfare l'accresciuto bisogno di beni di consumo e di elettrodomestici.

Col fortissimo aumento degli autoveicoli (i ogni 23 ab.) l'Unione Sovietica si è portata abbastanza avanti nella graduatoria mondiale per paesi, basata sul rapporto abitanti autoveicoli, ma in Europa occupa ancora il terzultimo posto, prima di Albania e Romania. Si deve in ogni caso ricordare che molto meno della terza parte degli autoveicoli sovietici è costituita da autovetture e che quindi una modestissima aliquota di famiglie può disporne per usi personali. Al contrario molto sviluppati e organizzati sono i trasporti collettivi e i trasporti merci, terrestri e aerei: le ferrovie si sviluppano per 137.000 km, la marina mercantile (20 milioni di t di stazza) è di prestigio, la flotta aerea (Aeroflot) è una delle maggiori del mondo.

La distensione internazionale, alla quale si è ispirata la politica sovietica negli ultimi anni, ha favorito l'afflusso nell'Unione Sovietica di un numero crescente di turisti (oltre 3 milioni all'anno), che possono apprezzare le opere realizzate nel paese, visitare luoghi di grande interesse storico e artistico e contribuire a favorire la comprensione reciproca tra gruppi umani dalle più diverse ideologie, fede religiosa e orientamenti politici.

Bibl.: J. P. Cole-F. C. German, A geography of the URSS. The background to a planned economy, Londra 1961; J.S. Gregory, Russian land, Soviet people, ivi 1968; V.V. Pokšiševskiy, A geography of the Soviet Union, The geography of the USSR. An introductory survey, a cura di J. S. Gregor, Mosca 1975; J C. Dewdney, The USSR, Folkestone 1976.

Economia e Finanza. - L'economia ha visto nel 1960-75 significative trasformazioni, attinenti anche alla gestione delle unità produttive.

Politica economica. - Il processo critico post-staliniano si è inizialmente appuntato sulle inefficienze indotte (lo spreco di risorse, le rigidità burocratiche) per poi impostare la questione fondamentale: il rapporto tra il settore (o gruppo) A dei mezzi di produzione e il settore (o gruppo) B dei beni di consumo (tabb. 6,7). I punti critici erano l'omogeneità tra i due settori e un sistema di prezzi che permettesse il calcolo economico in valori e non più in grandezze fisiche. Si trattava di misurare il costo di produzione dell'intero apparato economico senza distinguere tra missili e scarpe. Sino alla metà degli anni Sessanta, i successori di Stalin hanno tentato invano di rimuovere le priorità del gruppo A sul terreno dell'economia e della politica. Solo quando gli errori della gestione chrusščëviana hanno reso l'URSS dipendente dall'Occidente capitalistico, per l'approvvigionamento alimentare (grano soprattutto), la questione del settore B è uscita dallo stato di minorità. Al XXV Congresso (febbraio 1976) lo sviluppo dell'agricoltura è stato riconosciuto prioritario, e massicci investimenti sono stati programmati. Ciò comporterà per il futuro un ridimensionamento del gruppo A sulle esigenze del gruppo B (tab. 9).

Gestione dell'economiaa. - Le critiche al centralismo economico tra il 1953 e il 1965, riguardavano: 1) il metodo di pianificazione; 2) l'amministrazione; 3) la regolamentazione giuridica; 4) il controllo sull'esecuzione delle direttive.

1) Dato il carattere imperativo della pianificazione, le direttive del piano erano trasmesse dall'alto all'unità produttiva attraverso un'organizzazione rigidamente gerarchizzata. L'azienda svolgeva un'attività esecutiva, senza alcuna attenzione al rapporto costi-ricavi. Di qui l'alta percentuale (il 20% circa) d'imprese passive.

2) L'amministrazione piramidale imponeva con il piano all'unità produttiva un gran numero di indicatori rigidi. Non v'era possibilità di rimediare dal basso a errori, sfasature, dispersione di risorse.

3) Una regolamentazione giuridica fissava la subordinazione verso il ministero competente dell'unità economica inferiore, cui non si riconosceva alcun diritto di rivalsa.

4) Il controllo sulla realizzazione del piano avveniva tramite misure amministrative.

Le riforme di Chruščëv (1957-64) mirarono a risolvere le disfunzioni con l'adozione del principio territoriale di direzione dell'economia nazionale. La riorganizzazione del sistema amministrativo comportò l'abolizione di 141 ministeri e la formazione di 104 sovnarkozy (Consigli dell'economia nazionale corrispondenti a regioni economico-amministrative). La creazione del sovnarkozy in un dato territorio dipendeva: 1) dall'unità economica dell'amministrazione territoriale esistente; 2) dal livello di sviluppo già realizzato. Lo scopo era di organizzare e dirigere un complesso economico basandosi sulla cooperazione tra le aziende, conciliando il principio territoriale con la divisione per settori. Organo centrale della nuova direzione, il sovnarkoz risolveva i problemi dell'industria regionale in conformità agl'interessi dell'economia nazionale. Il sovnarkoz era responsabile dell'esecuzione del piano sia rispetto alla regione amministrata sia rispetto a ciascuna azienda, difatti sovraintendeva alla preparazione dei piani aziendali e successivamente dei piani di sviluppo della sua regione economico-amministrativa; stabiliva relazioni di scambio con le altre regioni economiche; organizzava il rifornimento materiale delle imprese e lo smercio dei prodotti. Infine e soprattutto il sovnarkoz aveva la direzione effettiva delle aziende che gli erano subordinate così come lo erano prima ai ministeri.

Queste in teoria le intenzioni innovatrici della riforma, ma la pratica rivelò in pochi anni (1958-62) che il decentramento territoriale non risolveva le disfunzioni precedenti. L'ostacolo all'efficienza non stava nella distanza tra il ministero moscovita e la fabbrica di provincia, ma nello stato di dipendenza assoluta in cui quest'ultima operava. Che dunque fosse un sovnarkoz lontano pochi km a dettar legge, non cambiava la sostanza di un'economia amministrata a forza di circolari burocratiche. Per di più le accuse di localismo spinsero ben presto a un parziale ripristino del centralismo ministeriale. Nel 1962 venne creato un superministero, il Consiglio superiore dell'economia nazionale, posto a dirigere il Gosplan (l'organo pianificatore centrale), il Consiglio dell'economia nazionale (a cui competeva la direzione operativa dei sovnarkozy e la ripartizione delle finanze e delle attrezzature tecniche), il Comitato statale delle costruzioni, il Comitato statale della ricerca scientifica, alcuni comitati statali per singoli rami industriali d'importanza nazionale (siderurgia, chimica, metallurgia, ecc.). In pratica rivissero i vecchi ministeri. Ai nuovi sovnarkozy rimase quasi solo la competenza per l'industria leggera locale, e spesso in concorrenza con i soviet. Le unità produttive di base ricavarono dalla riforma chruščëviana un appesantimento del controllo gerarchico-burocratico. I sovnarkozy furono inoltre sottoposti a un controllo politico attraverso l'organizzazione del partito comunista, suddiviso appositamente in due branchie, industriale e agricola. Il risultato fu fallimentare. La reazione di rigetto degli operatori economici a ogni livello (dall'operaio al direttore del Kombinat) provocò il primo calo della produzione industriale nella storia economica del paese.

L'agricoltura. - Tra il 1959 e il 1963 gl'interventi sui kolkozy di Chruščëv, improvvisati e l'un l'altro contraddittori, portarono a uno stato di semicarestia cui si dové far fronte con massicce importazioni dall'estero di grano e di derrate alimentari. L'operazione terre vergini (la messa a coltura di zone selvagge), la vendita forzata alle cooperative del parco macchine delle disciolte stazioni di servizio, l'aumento delle imposte, le restrizioni sull'attività privata dei contadini, furono i fattori principali di una crisi agricola gravissima. Il saggio d'incremento della produzione agricola non raggiunse nel 1960-65 che il 14%, rispetto al 49% del 1955-59. Le condizioni del settore erano tali da obbligare a immediati provvedimenti i nuovi dirigenti, appena succeduti a Chruščëv. Nella primavera del 1965 fu varata una più accorta politica agricola. Innanzitutto furono abolite le sperimentazioni pseudo-scientifiche sulle colture (caso Lysenko). Si fece strada una visione diversa della pianificazione agricola. Stabilito il volume globale della produzione agricola programmata per ciascun prodotto, il carico imposto al kolkoz comprendeva solo il piano delle vendite allo stato. L'indice base per il piano di produzione divenne l'indice della produzione venduta. I prezzi d'acquisto furono aumentati in misura progressiva (dal 50% al 100%) per le vendite supplementari oltre il piano. Le imposte furono di molto alleggerite. Con la tassa sul reddito netto dell'anno in corso, si trovarono soggetti a imposte solo i kolkozy ricchi, quelli con una redditività minima del 15%. Vennero annullati i debiti dei kolkozy precedenti al 1965 e si concessero facilitazioni creditizie per migliorie e acquisto di attrezzature. L'obiettivo era l'ammodernamento delle condizioni di lavoro e di vita nelle campagne. In tal senso si concesse nel 1966 per legge il salario garantito al kolchosiano, sino allora retribuito con anticipi sul raccolto in quanto membro della cooperativa; nel 1967 venne esteso ai contadini lo statuto generale degli operai e degl'impiegati, in materia di assistenza sociale. Infine il nuovo ordinamento kolchosiano del 1969 ha garantito un ampio ventaglio di diritti civili alla famiglia contadina, soprattutto l'ha autorizzata formalmente a svolgere un'attività economica sul pezzo di terra concessole (circa mezzo ettaro). Allo stesso tempo è stato avviato il processo d'industrializzazione globale del settore con un aumento massiccio degl'investimenti. Sono ormai valutati importanti non solo la meccanizzazione del lavoro agricolo e la chimizzazione ma anche la rete stradale rurale e i mezzi di trasporto, i magazzini di conservazione e così via. Per industrializzare finalmente le campagne, il XXV Congresso del Partito (1976) ha stanziato 170 miliardi di rubli (una somma pari a più della metà degl'investimenti nel settore dal 1918 a oggi). La percentuale di popolazione attiva interessata è ancora intorno al 19% ma un risultato positivo dello sforzo intrapreso riguarda l'intera società.

L'industria. - L'esperienza delle riforme chruščëviane ha rivelato che la causa principale delle disfunzioni stava nel conflitto d'interessi tra amministrazione centrale e unità produttive di base. La sostituzione della direzione ministeriale moscovita con i sovnarkozy territorialmente decentrati non solo non aveva eliminato, ma anzi aggravato il costume gerarchico-burocratico della continua interferenza nella gestione aziendale. Con la caduta di Chruščëv sparirono i sovnarkozy e furono ripristinati i ministeri. Il nuovo regolamento (ottobre 1965) dell'azienda statale socialista di produzione mirava a combinare la convenienza all'efficienza. Economisti e politici discussero pubblicamente il principio per cui occorreva assicurare "la libertà al processo vivo e ininterrotto dell'attività economica" (V. S. Nemčinov). Le imprese, attratte da incentivi materiali consistenti, avrebbero scelto, pur nel rispetto del piano, le combinazioni produttive più vantaggiose. Grande era l'esigenza di un rendimento qualitativo delle risorse, di una migliore produttività degl'investimenti e delle forze di lavoro, dello smaltimento degli stock di merci invendute. Con la riforma, un meccanismo adeguato d'incentivi materiali e sociali doveva operare la trasformazione del vecchio tipo di dirigente passacarte in un audace imprenditore.

La riforma prese il via nel gennaio 1966 in circa 1000 aziende pilota; dopo i primi successi le aziende interessate salirono ai tre quarti del totale con l'83% della manodopera occupata. Ecco in dettaglio quali erano le caratteristiche della riforma. Innanzitutto il criterio del rendimento (o profittabilità) divenne il principale indicatore di successo per l'impresa, mentre il numero degl'indicatori ministeriali fu drasticamente ridotto. Nel passato il rendimento era calcolato in termini di produzione bruta, dal 1965 assunse importanza prioritaria il tasso di redditività (rapporto tra il profitto e fondi di produzione). Per contenere la forte dispersione delle risorse produttive, si sperimentò una collocazione diversa del profitto. S'introdussero sulla base del profitto lordo realizzato due nuove forme di versamento al bilancio statale. Dopo una prassi trentennale di semigratuità dell'uso dei mezzi di produzione, si stabilì di far pagare un canone (6%) o imposta sul capitale, sui fondi fissi e circolanti concessi; il secondo versamento era per le strutture fisse (locali della fabbrica e altro) e le risorse naturali. Infine dal profitto lordo si detraeva l'interesse bancario.

Il profitto netto realizzato andava suddiviso tra i tre fondi d'incentivazione. Il primo fondo alimentava il nuovo sistema d'incentivi per l'organico occupato. Il secondo era destinato alla costruzione di alloggi e alle attività sociali e culturali. Il terzo fondo assicurava un autofinanziamento (anche se limitato) per innovazioni tecnologiche e in generale per l'espansione della produzione. In teoria, dunque, la relazione creata dalla riforma tra riduzione dei costi, ammontare del prodotto, e fondo d'incentivazione, doveva garantire la partecipazione dell'unità produttiva di base al rinnovamento qualitativo dell'economia sovietica. Nella pratica un comportamento imprenditoriale dell'azienda si è dimostrato molto difficoltoso. Queste le principali ragioni:

1) La difficoltà di formazione di un profitto aziendale. Il profitto è dato dal prodotto supplementare espresso in termini monetari, sempre che i prezzi riflettano i costi. Ora la riforma dei prezzi all'ingrosso del 1967 non ha risolto le vecchie difficoltà di calcolo del costo reale, ma ha semplicemente aggiunto amministrativamente al costo ipotizzato del lavoro, un costo ipotizzato del capitale. I prezzi, dunque, continuano a essere determinati a livello centrale, e poi imposti all'azienda senza possibilità di contrattazione tra essa e l'organo pianificatore. L'impresa con prezzi obbligati per l'energia e le materie prime e l'attrezzatura produttiva, si è trovata a fondare i suoi profitti sul risparmio delle ore-lavoro per unità di prodotto.

2) Le difficoltà di adeguamento della produzione alla domanda. La produzione per l'uso invece che il piano, teorizzata dalla riforma, era lo sconvolgimento più profondo della prassi economica sovietica. Secondo questa prassi i pianificatori non conoscono la domanda, i consumatori non possono influire sulla produzione e l'unità produttiva di base è tesa all'esecuzione subalterna del piano. Con la riforma l'indice della produzione venduta, al posto della produzione lorda, doveva in astratto spingere l'azienda a produrre in funzione della domanda. I beni non conformi alla domanda sarebbero risultati invenduti, e quindi il piano non eseguito, con le penalità conseguenti. Nella realtà gli sbocchi di vendita sono sempre rimasti garantiti, mentre la fornitura di materie prime e la determinazione dei prezzi dall'alto, rimaste immutate, hanno vanificato l'autonomia d'intrapresa.

3) Le difficoltà connesse al meccanismo d'incentivazione. Il risparmio di ore-lavoro, in teoria profittevole, in realtà era scoraggiato dalla relazione imposta tra fondo-salari e fondo d'incentivazione. I tre fondi suaccennati, costituiti in base al profitto netto, erano determinati in proporzione al fondo-salari. Quanto più alto era questo tanto maggiori le possibilità di assicurare premi e incentivi all'organico. Quindi forze di lavoro, anche sottoccupate, poiché assicuravano un consistente fondo-salari, non erano valutate un aggravio dei costi da parte dell'impresa. Epperò il rinnovamento qualitativo, l'efficienza economica generale ne risultò compromessa. In conclusione l'autonomia di gestione e l'incentivo del profitto non avevano raggiunto lo scopo.

Con gli anni Settanta, dopo qualche incertezza, i meccanismi della riforma sono stati modificati. Con il decreto del giugno 1971 si è legata l'esecuzione del piano alla crescita della produttività del lavoro; a tale fine si è introdotto un altro indice obbligatorio, appunto quello dell'incremento della produttività del lavoro, che va calcolato ogni anno. Per evitare storture circa il fondo-salari e l'uso dei fondi d'incentivazione, nel 1972 un decreto ha migliorato le modalità di assegnazione e d'impiego di salari e incentivi. Sempre nel 1972, un altro decreto, ben più importante, ha quasi capovolto il senso della riforma del 1965. L'indice della produzione venduta (per la determinazione dei fondi d'incentivazione) è stato sostituito dal vecchio tradizionale indice della produzione lorda. La causa va ricercata nella convenienza riscoperta di svincolare il piano dalla vendita, cioè dal mercato legato ai prezzi vigenti dell'anno in corso. Il piano quinquennale, cui è proporzionato il fondo d'incentivazione, continua infatti a essere calcolato secondo prezzi convenzionali. Si sconta, insomma, la mancata riforma dei prezzi. Sempre dal 1972 l'indice di redditività, prima legato al profitto netto, è tornato a dipendere dal profitto lordo, dal quale non siano stati detratti il canone sul capitale, la pigione sugl'impianti fissi, l'interesse bancario. La causa del rovesciamento va ricercata nella difficoltà di programmare con 5 anni di anticipo l'entità di questi versamenti e quindi di usare la formazione del profitto netto come stimolo all'efficienza dell'unità produttiva di base. Infine il fondo per l'espansione della produzione è stato sostituito da un sistema di prelievi sul profitto. Queste innovazioni sono state introdotte da troppo poco tempo perché si possa azzardare una valutazione del loro esito. Inoltre, nel 1973, il decreto sulla formazione dei consorzi industriali ha cambiato nuovamente l'orizzonte economico dell'impresa. Difatti quest'ultimo intervento incide anche sul sistema di amministrazione economica generale.

Il regolamento delle unioni o consorzi industriali prevede l'istituzione tra il potente ministero moscovita e la singola azienda, di un ente economico intermedio con ampie prerogative. I consorzi dispongono di un fondo centrale d'incentivazione, composto dai 3 fondi come le imprese e in più di un fondo speciale per la sperimentazione di nuove tecniche, l'espansione delle esportazioni, l'ammortamento, l'assistenza finanziaria alle aziende componenti il gruppo. Rispetto a queste ultime i consorzi hanno la facoltà di realizzare una politica d'investimenti (negoziando direttamente con la banca), di esigere dalle imprese edili o fornitrici il rispetto dei preventivi, e di centralizzare le commesse per il proprio settore. Rispetto ai ministeri l'ambito delle competenze concesse prefigura un'autonomia di gestione ben più praticabile di quella ipotizzata, con la riforma del 1965, da parte dell'unità produttiva di base. La costituzione dei consorzi è il più importante esperimento, sinora compiuto nell'URSS, di concentrazione razionale della produzione e dell'amministrazione economica. All'inizio del 1976 i consorzi erano 2300 ma fornivano ancora solo il 24% della produzione industriale. Il traguardo di medio termine è la trasformazione di un'economia fornitrice di materie prime in un apparato industriale tecnicamente all'avanguardia. Gli altri indici raggiunti e in continua ascesa nella produzione di acciaio, petrolio, cemento, concimi, ecc., non corrispondono a un parallelo sviluppo qualitativo e quantitativo dei prodotti finiti. A un potenziale economico sempre crescente e raddoppiato negli ultimi 10 anni non fa riscontro un adeguato aumento del tenore di vita della popolazione. Da qui l'obiettivo del X piano quinquennale (1976-80) "di uno sviluppo proporzionale della produzione sociale, dell'aumento della sua efficienza, dell'accelerazione del processo tecnico-scientifico, dell'incremento della produttività del lavoro, del massimo miglioramento della qualità del lavoro in tutti i settori dell'economia".

Il salto di maturità del sistema economico sovietico risulta ancora più impellente dal punto di vista del commercio estero. Sono in aumento i debiti con l'Occidente capitalistico per l'acquisto di attrezzature industriali complesse e di manufatti d'alta tecnologia. La composizione degli scambi è tuttora quella tipica dei paesi in via di sviluppo, da una parte materie prime e combustibili, dall'altra impianti industriali (tab. 12). I massicci acquisti di grano degli ultimi anni hanno elevato notevolmente il deficit commerciale (nel 1975 la cifra è di 5 miliardi di dollari). Una valvola di sfogo è per l'URSS il commercio con i paesi membri del Comecon, con cui è possibile programmare una cooperazione tecnico-produttiva. È con il Comecon, infatti, che l'URSS ha il maggiore volume di scambi (tab. 13).

Bibl.: H. Denis, Le problème des prix en Union Soviétique, Parigi 1965; G. Garvy, Money, banking and credit in eastern Europe, New York 1966; H. Chambre, Union Soviétique et développement économique, Parigi 1967; P. George, L'économie de l'Urss, ivi 1968; M. Ellman, Economic reform in the Soviet Union, Londra 1969; A. Nove, Storia economica dell'Urss, Torino 1970; M. Kaser, Soviet economics, Londra 1970; N. Spulber, Socialist management and planning - Topics in comparatives socialist economics, ivi 1971; G. Treml-J. P. Hardt, Soviet economic statistic, Durham 1972; C. J. Kirsch, Soviet wage: changes in estructure and administration since 1956, Cambridge (Mass.) 1972; M. Lavigne, Le economie socialiste europee, Roma 1974.

Storia. - Dopo i successi dei primi anni, suggellati dal XX congresso, l'autorità di Chruščëv subì una flessione preoccupante. Già in seguito alla crisi ungherese, nel giugno 1957 il primo segretario fu posto in minoranza da vecchi e nuovi oppositori: insieme con i tre anziani membri del Presidium V. Molotov, G. Malenkov e L. Kaganovič, avevano aderito al tentativo anche altre personalità, interessate al mantenimento del modello sperimentato di pianificazione. Riunito il Comitato centrale con l'ausilio del ministro della Difesa Ju. Žukov, Chruščëv mutò la situazione a proprio vantaggio, senza tuttavia poter denunciare e colpire immediatamente l'intero "gruppo antipartito", i cui esponenti furono estromessi nel corso degli anni successivi e debellati solo sul finire del 1961 (N. Bulganin, capo del governo, nel 1958, e K. Vorošilov, capo dello stato, al XXII congresso). Ma, parallelamente a queste operazioni di recupero ai vertici della direzione politica, una serie d'interventi affrettati nel sistema economico e nelle strutture del partito minava alla base il potere del primo segretario, mentre la scissione del movimento comunista internazionale e le alterne vicende dei rapporti con i paesi occidentali gli recavano una continua perdita di prestigio.

L'agricoltura era stata il campo preferito degl'interventi di Chruščëv; ma già sullo scorcio degli anni Cinquanta essa registrò una serie d'insuccessi. Nel 1958 fu varata una serie di provvedimenti orientati a migliorare le condizioni economico-sociali della campagna: vennero introdotti nuovi prezzi "economicamente giustificati" e differenziati per regioni, fu alleggerito il sistema fiscale e garantito un salario in moneta indipendente dal computo delle giornate lavorative. Ma furono prese anche decisioni meno felici, come quelle di moltiplicare in breve tempo il consumo della carne, di accordare la preferenza alla coltivazione del granturco anche in condizioni climatiche sfavorevoli, di sopprimere le Stazioni macchine e trattori. Quest'ultimo provvedimento, in particolare, provocò la perdita di mano d'opera specializzata (il personale tecnico delle Stazioni preferì abbandonare la campagna, anziché passare alle dipendenze delle fattorie collettive, assimilato al livello dei kolchosiani), l'indebitamento dei kolchozy, costretti ad acquistare a prezzo considerevole i macchinari che prima erano posti a disposizione dallo stato, e infine la crisi della produzione di macchine agricole. Contemporaneamente il piano di colonizzazione nella Siberia meridionale e nel Kazakistan settentrionale portò le prime delusioni: l'alternarsi di annate positive e negative dimostrò, in definitiva, che la resa rimaneva inferiore alle previsioni, mentre i costi erano considerevolmente più alti rispetto a quelli delle regioni agricole tradizionali. Le oscillazioni della produzione erano dovute tanto alle condizioni climatiche delle zone orientali, quanto al rapido deperimento della capacità produttiva delle terre vergini e alle difficoltà che incontrava l'insediamento stabile della mano d'opera. Così la siccità del 1963, sebbene non particolarmente grave né diffusa, in mancanza di riserve di grano provocò una contrazione dei rifornimenti alimentari (eccetto che nei centri urbani di Mosca e Leningrado): per la prima volta fu necessario ricorrere all'importazione dal Canada, dall'Australia, dall'Argentina.

Agl'insuccessi agricoli si aggiunse la perdita di popolarità presso diversi settori sociali, come l'intelligencija e la burocrazia politica. Il nuovo statuto del partito, approvato dal XXII congresso (ottobre 1961), colpiva gl'interessi dei quadri intermedi rappresentati in Comitato centrale: le norme per il rinnovo periodico toglievano alle cariche i connotati della stabilità e professionalità, minacciando la posizione di molti funzionari. Per di più il Comitato centrale, nel novembre 1962, dovette approvare una radicale ristrutturazione del partito, che veniva orientato ai fini dell'economia: ciascuna organizzazione regionale fu divisa in un settore agricolo e in un settore industriale, con la conseguenza di esigere dai segretari regionali specifiche competenze tecniche e di creare a tutti i livelli un pericoloso dualismo. Infine, la politica culturale di Chruščëv fu soggetta a oscillazioni che riflettevano senz'altro una sua incertezza di fondo, ma anche l'alterno prevalere di correnti diverse ai vertici del partito. Dopo il disgelo degli anni 1953-56, l'indirizzo di Chruščëv fu nettamente conservatore (critiche a V. Dudincev, campagna contro B. Pasternak); solo in seguito al XXII congresso egli compì una notevole apertura, utilizzando scrittori come E. Evtušenko, A. Tvardovskij e A. Solženicyn contro le tendenze neostaliniste. Orientamenti ždanoviani riaffiorarono, però, nel corso del 1963: nel marzo, in occasione di un incontro al Cremlino con esponenti della cultura, il primo segretario si scagliò con particolare violenza contro l'arte astratta e aprì la via a una parziale riabilitazione di Stalin; nel giugno, un plenum del Comitato centrale tradì ogni attesa degl'intellettuali riformatori e pose fine alla parentesi liberale.

Contemporaneamente alle riforme agricole, l'iniziativa di Chruščëv si manifestò nel settore industriale con l'istituzione, alla testa di 104 regioni economico-amministrative, di altrettanti Consigli dell'economia nazionale (sovnarchozy), accompagnata dallo scioglimento di numerosi ministeri federali e repubblicani. La legge emanata a tal fine dal Soviet supremo nel maggio 1957 si riallacciava a una serie di tentativi per il decentramento e la regionalizzazione, che risalivano ai primi anni del potere sovietico. Qualche anno prima, il presidente del Consiglio Bulganin aveva criticato la tendenza della burocrazia ministeriale a creare nuove imprese in prossimità dei centri tradizionali; e aveva fatto rilevare il costo eccessivo del trasporto verso Est di prodotti e attrezzature che avrebbero potuto, invece, essere fabbricati in loco. All'istituzione dei sovnarchozy e alla valorizzazione delle terre vergini si richiamava il piano settennale approvato dal XXI congresso straordinario del PCUS (gennaio-febbraio 1959): la decisione di abbandonare il VI piano quinquennale per sostituirlo con uno di più lunga durata fu giustificata, fra l'altro, con la necessità di coordinare il piano nazionale con quelli regionali, di cui erano incaricati appunto i Consigli economici. Questi, tuttavia, risultarono mal definiti nelle funzioni specifiche e scarsamente coordinati agli organi federali: per eliminare le tendenze particolaristiche che incoraggiavano, sembrò indispensabile ridurli nel numero e nelle competenze (mentre tutto il decentramento territoriale venne abbandonato dopo la caduta del primo segretario, quando furono ripristinati i ministeri e fu lanciata la riforma aziendale). L'intenzione antiburocratica del riformismo di Chruščëv è confermata anche dalle vicende della riforma scolastica, decisa nel 1958, applicata solo nel 1962 e bloccata dalle resistenze incontrate negl'interessi della classe dirigente, che forniva buona parte della popolazione studentesca, e nella coscienza elitaria degli stessi studenti. Interpretava, invece, un'esigenza largamente condivisa il programma di organizzazione dello spazio e distribuzione dei compiti produttivi, lanciato simultaneamente nell'ambito sovietico e su scala internazionale (istituzione delle "grandi regioni economiche", nell'aprile 1961; adozione dei "principi fondamentali della divisione internazionale socialista del lavoro" in seno al Comecon, nel luglio 1962).

All'inizio degli anni Sessanta entrò in crisi l'unità del movimento comunista internazionale. La dottrina del XX congresso aveva incontrato molteplici resistenze e portato alla luce diversi modi di concepire la transizione al socialismo: dall'ipotesi policentrica di Togliatti, al "comunismo nazionale" polacco e ungherese, all'intransigenza rivoluzionaria degli Albanesi e dei Cinesi. Le due conferenze di Mosca (1957 e 1960) avevano limitato la portata della dottrina delle vie nazionali, mentre il richiamo all'unità e alla coesione, in nome dell'internazionalismo, trovava un complemento nel programma d'integrazione economica in seno al Comecon; contemporaneamente la politica di coesistenza e l'apertura verso i paesi non allineati imponevano considerevoli mutamenti al sistema sovietico di alleanze. Nel 1959 l'URSS denunciò gli accordi atomici in vigore con la Cina e si chiuse in un atteggiamento neutrale in occasione degli scontri cino-indiani per il Tibet; nell'aprile 1960 la rivista teorica del Comitato centrale cinese attaccò nel suo insieme la dottrina del XX congresso, citando passi di Lenin sulla lotta e la violenza rivoluzionaria. La rottura si produsse durante il III congresso del Partito operaio romeno, quando la delegazione del PCUS sollecitò dai convenuti la condanna dei Cinesi; poi il governo sovietico ritirò i quadri tecnici impegnati in Cina e rifiutò assistenza economica e militare all'Albania. La polemica pubblica fu aperta durante il XXII congresso del PCUS, quando Chruščëv chiese la condanna del Partito del lavoro albanese, contrastata da Chou En-lai. Si andavano precisando due strategie rivoluzionarie profondamente diverse: la direzione sovietica indicava nella competizione economica dei due sistemi mondiali il terreno decisivo per la vittoria del socialismo e lanciava una "rivoluzione culturale" impegnata a elevare il livello materiale e la capacità produttiva dei popoli sovietici; mentre quella cinese svalutava le realizzazioni della tecnica industriale e militare di fronte al potenziale rivoluzionario delle masse, indicando nelle lotte di liberazione del Terzo Mondo l'evento centrale della storia contemporanea. La teoria, sviluppata da Chruščëv, della competizione dei due sistemi economici (nei saggi Za novye pobedy mirovogo kommunističeskogo dviženija, "Per nuove vittorie del movimento comunista mondiale", gennaio 1961; Nasuščnye voprosy razvitija mirovoj socialističeskoj) sistemy, "Questioni essenziali di sviluppo del sistema socialista mondiale", agosto 1962) trovò diretta confutazione nei cosiddetti "venticinque punti cinesi" (lettera del PC cinese al PCUS, 14 giugno 1963). Infine, nel luglio 1964, Mao Tse-tung denunciò la complicità SUA-URSS in termini assai duri ("stanno programmando di mettere sotto controllo il mondo intero"), contestò gli accordi di Jalta e pose la questione globale dei territori usurpati dall'URSS dopo la seconda guerra mondiale: dalla Mongolia esterna alla Bessarabia e ad alcune parti della Germania, della Polonia, della Finlandia.

Lo scisma romeno fu direttamente collegato ai problemi dell'integrazione socialista. Nel febbraio 1963 la delegazione romena si oppose ai tentativi del Comitato esecutivo del Comecon per il coordinamento dei bilanci energetici dei paesi membri; nell'aprile 1964 il Partito operaio romeno approvò una risoluzione sulle prospettive del movimento comunista internazionale (presto salutata dai commentatori stranieri come una nuova carta d'indipendenza) che rifiutava la visione leniniana di un singolo organismo economico mondiale, rivendicando allo stato nazionale la direzione pianificata dell'economia. Nel giugno un piano avanzato in sede accademica dall'economista sovietico E. Valev, per la creazione di un bacino interstatale del Basso Danubio, provocò la protesta dei Romeni; nell'autunno, in coincidenza con le dichiarazioni di Mao Tse-tung, anche i Romeni sollevarono, sul piano storiografico, la questione della Bessarabia. Nell'ultimo periodo di Chruščëv, dunque, non agiva semplicemente una pluralità di tendenze centrifughe, ma era in corso un vasto processo di nazionalizzazione del comunismo.

Dopo la crisi ungherese, la direzione sovietica perseguì il duplice obiettivo di acquisire nuove posizioni in Europa e perfino nell'emisfero occidentale, e di attuare il principio della coesistenza allacciando il dialogo con gli Stati Uniti. Ma anche la necessità di rinsaldare la propria autorità e riaffermare il proprio indirizzo all'interno del PCUS e del movimento comunista, che si presentò più volte al primo segretario, contribuì certamente a determinare le improvvise svolte della sua politica estera. La serie delle crisi internazionali che caratterizzò il periodo 1957-62 ebbe inizio in Asia (Siria e Turchia nel 1957, Libano e Giordania nel 1958; ma parve soprattutto preoccupante l'attacco della Cina popolare alle isole di Quemoy e Matsu, nell'agosto del 1958). Anche l'inserimento dell'India come elemento positivo nel quadro sovietico creava le prime difficoltà nei rapporti cino-sovietici, che la crescente tensione cino-indiana era destinata ad approfondire. Ma più grave di conseguenze fu la riapertura del problema tedesco, con le dichiarazioni di Chruščëv e la nota governativa dell'ottobre-novembre 1958. Ora la diplomazia sovietica reclamava il riconoscimento dei due stati tedeschi e la fine dell'occupazione quadripartita a Berlino: se le quattro potenze non avessero raggiunto un accordo entro il termine di sei mesi, l'URSS avrebbe concluso un trattato di pace con la RDT, che avrebbe potuto interdire agli occidentali l'accesso a Berlino Ovest. L'iniziativa sovietica, sebbene successivamente rielaborata e privata del suo carattere ultimativo, ebbe comunque l'effetto di evidenziare incertezze e incoerenze nella condotta dei governi membri dell'alleanza atlantica: subito, infatti, all'intransigenza di Adenauer e di de Gaulle fece riscontro un atteggiamento possibilista dei conservatori inglesi.

La linea della coesistenza ebbe, invece, il massimo rilievo con l'incontro Chruščëv-Eisenhower a Camp David (settembre 1959): l'opinione americana veniva spinta a valutare un'intesa con la parte sovietica e sottratta all'influenza dei funzionari del dipartimento di stato, ancora perplessi di fronte al dialogo. Ma a pochi mesi di distanza, col clamoroso incidente dell'U-2, l'azione di Chruščëv e il suo giudizio sulla persona di Eisenhower furono ribaltati: la cattura dell'aereo-spia pose in difficoltà il presidente americano, che volle assumere la responsabilità dei voli di ricognizione sul territorio sovietico. Anche le vicende seguite all'acquisto dell'indipendenza da parte del Congo provocarono decisi interventi contro l'Occidente, accusato in blocco di fomentare la guerra civile nei nuovi stati africani: Chruščëv screditò il segretario generale delle Nazioni Unite, reclamò nuove strutture per quell'organizzazione, inscenò un'eccentrica protesta durante la sessione dell'Assemblea generale tenuta nel settembre 1960. In quella stessa estate, stabiliti rapporti diplomatici col regime rivoluzionario di Cuba, il governo sovietico offrì sostanziali aiuti all'isola, diffidando gli Stati Uniti dal tentare qualsiasi ingerenza; l'operazione di alcuni esuli cubani sostenuti da Washington, che si concluse col fallimento della Baia dei Porci (aprile 1961), recò un danno notevole al prestigio del giovane presidente Kennedy, personalmente attaccato da Chrusǎčëv. Alla conferenza di Vienna del giugno 1961, questi manifestò nuove pretese nel settore tedesco: in mancanza di un trattato di pace con la RDT, Berlino Ovest avrebbe dovuto accogliere insieme con le truppe occidentali anche contingenti sovietici. Il 13 agosto le autorità di Pankow innalzarono uno sbarramento attraverso l'ex capitale.

Alcune prospettive furono riaperte alla distensione dal XXII congresso, dove l'intervento di A. Gromyko riprese il linguaggio della coesistenza e invitò i "due giganti" a un'effettiva cooperazione. Il passo successivo, tuttavia, non corrispose all'indirizzo congressuale: mentre la sorte di Berlino continuava a occupare la stampa mondiale, l'URSS stabilì d'installare a Cuba missili a testata atomica. Una tale decisione va chiarita nel quadro della politica estera sovietica e degl'interessi valutati come prioritari dai suoi responsabili: risulta plausibile l'ipotesi che la direzione sovietica mirasse ad acquisire un vantaggio da sfruttare nelle trattative sulla questione tedesca e che, mediante un successo clamoroso, puntasse a travolgere l'opposizione cinese per riassumere il controllo del campo socialista. Il blocco della flotta americana intorno a Cuba e il ritiro dei missili rafforzarono, invece, le posizioni dei Cinesi, che lanciarono una duplice accusa al comportamento di Chruščëv: di "avventurismo", perché l'installazione dei missili era stata inopportuna e incauta, e di "capitolazionismo", perché il loro ritiro aveva effettivamente l'aspetto di una resa. Meno gravi furono le ripercussioni in Germania: il trattato di pace fu rimandato (il discorso tenuto da Chruščëv al Soviet supremo, il 12 dicembre 1962, stemperava anche il contrasto su Berlino, acceso quattro anni prima), ma l'eventualità di una partecipazione tedesca al controllo degli armamenti atomici fu ugualmente esclusa grazie all'accordo del 25 luglio 1963 con gli Stati Uniti e con la Gran Bretagna per la sospensione degli esperimenti nucleari. Tale accordo rappresentava un frutto notevole della politica di distensione, maturata anche in seno all'amministrazione Kennedy; tuttavia non riuscì a compensare la perdita di prestigio recata al primo segretario, l'anno precedente, dall'insuccesso cubano. Quando Chruščëv sembrò preparare una svolta nella politica tedesca col viaggio a Bonn del genero A. Adžubej (luglio-agosto 1964), il gruppo ormai consolidato dei suoi avversari ne trasse ancora un motivo di critica.

Il 13 ottobre 1964 il Presidium del partito, ascoltata una requisitoria di Suslov, decise la destituzione del primo segretario. Questi, come già aveva fatto nel giugno 1957, portò la discussione di fronte al Comitato centrale; ma il plenum, aperto il 14 ottobre da un nuovo rapporto di Suslov, accettò all'unanimità le sue dimissioni. Subito furono esonerati dalle loro funzioni il direttore delle Izvestija Adžubej e il segretario del Comitato centrale per i problemi agricoli V. Poljakov, mentre fu decisa la separazione delle cariche di primo segretario e presidente del Consiglio. L'elezione di L. Brežnev al vertice del partito fu seguita da quella di A. Kosygin a capo del governo. Nel novembre entrarono nel Presidium due elementi nuovi come A. Šelepin, che sommava una serie di funzioni di partito e di governo, e P. Šelest, primo segretario del PC ucraino; nel giugno 1965 A. Mikojan abbandonò la carica di capo dello stato, che fu occupata da N. Podgornyj. Il XXIII congresso (marzo-aprile 1966) non provocò avvicendamenti di grande rilievo: due elementi chruščëviani furono estromessi dall'Ufficio politico, mentre alcuni membri del vecchio gruppo antipartito furono recuperati nella Segreteria e nel Gosplan. Importante, invece, fu l'abrogazione delle riforme operate nel biennio 1961-62 sulle strutture politiche. Un plenum del novembre 1964 emise un decreto "sull'unificazione dei settori industriale e agricolo delle organizzazioni regionali e territoriali del partito", che eliminò il precedente dualismo e ristabilì nella sua pienezza l'autorità dei segretari regionali. Al XXIII congresso fu ripristinata la denominazione di Politbjuro, anteriore al 1952, a indicare la continuità di sviluppo delle istituzioni sovietiche; in quell'occasione Brežnev assunse il titolo di segretario generale, rinunciando a comparire semplicemente quale un primus inter pares. Molto significativa era l'abrogazione dell'art. 25 dello statuto del 1961, che aveva posto limiti alla durata delle cariche: veniva accolta, in tal modo, un'esigenza fondamentale dei quadri intermedi.

La nuova direzione si presentava in effetti col carattere della collegialità: Brežnev e Podgornyj, già dipendenti nelle vicende della loro carriera dalla tutela di Chruščëv, rappresentavano gli equilibri politici espressi dal partito; Kosygin e Suslov, personalità autonome e già qualificate ben prima dell'avvento di Chruščëv, fornivano invece una garanzia di continuità nei rispettivi settori del governo e dell'ideologia. Dopo il XXIII congresso la nuova direzione attraversò un lungo periodo di stabilità. E vero che Šelepin fu allontanato nel 1967 dalla Segreteria e incaricato della direzione dei sindacati; ma per ulteriori avvicendamenti al vertice bisognò attendere il dicembre 1972, quando V. Mžavanadze, membro supplente del Politbjuro e segretario del partito georgiano, perse entrambe le cariche, accusato di collusione col nazionalismo della sua repubblica. Poi le sostituzioni presero un ritmo più serrato: dal 1973 al 1976 furono esclusi dal Politbjuro Šelest, G. Voronov, Šelepin, D. Poljanskij. La caduta di Podgornyj si riallaccia direttamente all'ascesa personale di Brežnev. Infatti il plenum del maggio 1977, che espulse Podgornyj dall'Ufficio politico, convalidò un progetto di nuova Costituzione federale che stabiliva la possibilità di cumulare le funzioni di segretario generale e capo dello stato, mentre istituiva (articolo 118) la carica di primo vicepresidente del Presidium del Soviet supremo (destinato a sollevare il capo dello stato dagl'impegni protocollari). Il 16 giugno 1977 il Soviet supremo accettò le dimissioni di Podgornyj, dal quale Brežnev rilevò la carica suprema. La nuova Costituzione, entrata in vigore il 7 ottobre 1977, insiste sul carattere omogeneo della società sovietica, ma opera al suo interno una chiara distinzione di ruoli; l'articolo 6, sostituendo il 126 della precedente legge fondamentale, non lascia dubbi sulla complessità e sull'estensione dei compiti del PCUS.

Nel momento successivo alla caduta di Chruščëv agivano nel settore culturale spinte diverse. Il direttore della Pravda A. Rumjancev fece uscire nel febbraio 1965 un importante articolo sui criteri dell'attività letteraria e artistica, sostituendo il concetto di partijnost' ("spirito di partito"), con quello di narodnost' ("spirito popolare e nazionale"); ma a breve distanza di tempo gli scrittori della repubblica russa, riuniti a congresso, riconfermarono la partijnost' come criterio unico di giudizio nella valutazione delle opere letterarie. In alcune occasioni la Pravda espresse allora giudizi contrastanti con quelli delle Izvestija e della rivista Oktjabr', eretta dal suo direttore V. Kočetov a baluardo della corrente conservatrice; ebbe anche successo la generale rivolta contro la dottrina biologica di T. Lysenko, condotta insieme da personalità del mondo scientifico e letterario. Ma i segni di un cambiamento apparvero già nel settembre 1965, quando Rumjancev moderò la portata delle sue precedenti affermazioni e l'opinione pubblica fu colpita dall'arresto degli scrittori A. Sinjavskij e Ju. Daniel' (processati nel gennaio). Di fronte all'eventualità che l'indirizzo dominante soprattutto nei quadri intermedi del partito potesse imporre una riabilitazione di Stalin, alla vigilia del XXIII congresso un gruppo di accademici firmò una lettera che manteneva con fermezza la condanna del culto della personalità. Coincidendo con la vita del periodico clandestino Chronika tekuščich sobytij ("Cronaca degli avvenimenti correnti"), nel periodo 1968-76 fiorì un samizdat politico che rivelò l'esistenza di attive correnti di opposizione, in genere limitate a settori dell'intelligencija umanistica e scientifica. Una presenza operaia e popolare risulta, invece, dai processi ai gruppi operanti nelle nazionalità ucraina, lituana, estone, tartara, armena e nelle comunità ebraiche: il disagio delle nazionalità, infatti, ha motivazioni generali, come l'orientamento ufficiale che favorisce in tutte le repubbliche la diffusione della lingua russa e l'immigrazione di tecnici di nazionalità russa, e cause specifiche, come l'allontanamento dei Tartari dalla Crimea e la discriminazione dei Tedeschi. Dopo i primi passi, il dissenso russo si è diviso in correnti ideologicamente contrapposte, che si richiamano alla tradizione prerivoluzionaria e, al tempo stesso, a indirizzi recenti della pubblicistica politica occidentale: una corrente marxista vicina alle posizioni eurocomuniste (Ž. e R. Medvedev), una corrente occidentalista rappresentata dal fisico A. Sacharov e, infine, il tradizionalismo populista di A. Solženicyn (in esilio dal 1974).

Tra i primi passi della nuova direzione fu il lancio di un piano organico di riforma, che investiva tutti i settori della vita produttiva. Le nuove misure, se per un verso ripristinavano la situazione precedente al decentramento territoriale del 1957, dall'altro accoglievano i risultati delle discussioni e delle esperienze maturate nelle democrazie popolari dell'Europa orientale e nella stessa Unione Sovietica. Nel marzo 1965 il Comitato centrale stabilì una maggiore libertà di gestione per i kolchozy, mantenendo un piano macroeconomico per la produzione agricola globale e imponendo alle aziende cooperative obiettivi di vendita, fissati per un quinquennio nella forma di indici medi annui. In seguito fu deciso di alleggerire il carico fiscale e d'incoraggiare i kolchozy a sviluppare attività non agricole (costruzione di reti d'irrigazione, attività edilizia, trasformazione di prodotti agricoli, artigianato). Infine, nel novembre 1969 il III congresso dei kolchozy approvò un nuovo statuto che sostituiva quello del 1935 esso confermò il diritto del contadino all'usufrutto di un appezzamento adiacente alla sua abitazione, fissato nella misura massima di mezzo ettaro (un quinto di ettaro per i terreni irrigui). Contemporaneamente l'evoluzione della società contadina è stata influenzata dall'azione del partito, secondo il nuovo programma del 1961. La rivoluzione culturale lanciata dal XXII congresso prevedeva il superamento delle differenze città-campagna, operai-contadini: i villaggi kolchosiani dovevano essere sostituiti da agglomerati di tipo urbano, forniti di servizi comuni, di centri culturali e medici. Dopo il 1965, è stato seguito l'indirizzo di concentrare l'habitat troppo disperso in un numero ridotto di agglomerazioni compatte; è affiorato nuovamente il progetto delle agropoli, suggerito sia da considerazioni di ordine economico (risparmio sulle spese d'infrastruttura e di amministrazione), sia di ordine politico (diffusione più rapida del modello culturale dominante fra una popolazione riunita in agglomerati razionali e moderni). I problemi della produzione agricola restano comunque fondamentali, se nel 1972 e nel 1975 l'URSS ha fatto ancora ricorso ad acquisti di grano sui mercati esteri.

Il dibattito teorico e i provvedimenti di riforma approvati, sempre nel 1965, per il settore industriale furono strettamente connessi all'andamento reale dell'economia sovietica in quegli anni. Se nel periodo 1950-58 il tasso d'incremento medio annuo del prodotto nazionale lordo si era mantenuto a livelli molto alti (superiori a quelli dell'Europa occidentale), negli anni Sessanta, invece, esso subì una diminuzione notevole: dal 10,9 nel 1951-58, al 7,2 nel 1959-67, al 6,6 nel 1968-73, secondo le statistiche sovietiche; dal 6,4 al 5,3 al 3,7 per gli stessi anni, secondo stime occidentali. Il mutamento di base fu avvertito dagli economisti, fra i quali si affermò un vasto movimento riformatore. Le insufficienze del sistema dei prezzi pianificati erano state già denunciate durante i lavori di una commissione speciale istituita dall'Accademia delle scienze al principio del 1959. Erano emersi allora punti di vista differenti: dai fautori di una prudente conservazione (S. Strumilin) ai sostenitori di nuovi metodi matematici (L. Kantorovič) a quanti, invece, indicavano la necessità di tener conto, anche nelle condizioni del socialismo, di una complessa concorrenza di fattori. Più tardi, nel settembre 1962, E. Liberman, dell'università di Char'kov, aveva proposto un triplice ordine d'interventi nel complesso della pianificazione: premiare la produzione venduta in luogo di quella globale; istituire un sistema d'incentivazione collettiva per intere équipes aziendali; rovesciare i rapporti fra le imprese e gli organi di direzione economica, assicurando l'autonomia e la responsabilità delle prime. V. Novožilov, dell'Istituto di matematica economica di Mosca, insisteva sul concetto di calcolo economico (chozrasčët, equivalente anche ad autonomia finanziaria) e sottolineava la necessità del passaggio da uno sviluppo estensivo, fondato sull'aumento degl'investimenti, a uno sviluppo intensivo, fondato sulla produttività e sulla qualità.

Il primo ministro Kosygin, accolte le concezioni riformatrici care all'intelligencija tecnica e scientifica, le portò davanti al Comitato centrale nel settembre 1965. Fu deciso l'abbandono del principio territoriale, con l'abolizione dei sovnarchozy e la restaurazione dei ministeri economici: questa volta, tuttavia, il principio settoriale fu temperato accordando una certa importanza ai ministeri repubblicani. La riforma aziendale approvata ai primi d'ottobre attenuò la tutela amministrativa, riducendo il numero degl'indici imposti all'azienda dagli organi superiori; sostituì l'indice della produzione globale con quello della produzione venduta; stabilì che l'amministrazione non potesse modificare il piano in corso di realizzazione. Il lancio della riforma suscitò grandi aspettative. Tuttavia essa ha incontrato resistenze considerevoli: i ministeri hanno continuato a imporre indici che erano stati soppressi; le imprese, in mancanza di una giurisdizione competente, non hanno potuto far valere le proprie ragioni di fronte a quelle degli organi amministrativi. Anche l'incentivazione si è rivelata poco efficace: non solo per gli operai (i cui premi straordinari possono appena superare il 3% del salario base), ma anche per i quadri (che invece possono accrescere i loro stipendi fino al 20%): gli stimoli economici sono stati, infatti, neutralizzati dalla modesta offerta di consumi. Oltre che nella varia fortuna della riforma, una pluralità di indirizzi entro la direzione politica si può ravvisare nell'oscillazione del rapporto beni di consumo-beni strumentali. Le direttive dell'VIII piano quinquennale, approvato nel 1966 dal XXIII congresso, prevedevano l'avvicinamento dei tassi d'incremento del gruppo A e del gruppo B. Una svolta di vasta portata si delineò al XXIV congresso (marzo-aprile 1971), che per la prima volta nella storia della pianificazione sovietica rovesciò il rapporto, dando la preferenza alla crescita del gruppo B. Ma l'indirizzo favorevole alla riforma e ai consumi ha subìto un arresto al XXV congresso (febbraio-marzo 1976), quando le istanze conservatrici sono state rafforzate dalla crisi in atto delle economie occidentali, che certo non portava argomenti a vantaggio del sistema di mercato. L'aumento della potenza economica dello stato è l'obiettivo manifesto del X piano quinquennale (1976-80): lo stesso Kosygin, nel suo rapporto del 1° marzo 1976, ha espresso la direttiva dell'incremento preferenziale dell'industria pesante, che permane tuttora il nucleo valido e sperimentato del sistema produttivo sovietico, per l'economia nazionale e per tutto l'ambito del Comecon.

A partire dal 1969 le relazioni internazionali dell'URSS sono passate attraverso fasi successive. In un primo momento di attesa la politica estera sovietica si limitò a fronteggiare gli SUA nel Vietnam; ma, concluso il trattato di non-proliferazione nucleare e superata la crisi del 1968-69 nell'area socialista (Cecoslovacchia e Cina), essa entrò in una fase dinamica, segnata dalla sistemazione del problema tedesco e da una sensibile apertura del dialogo con gli Stati Uniti (limitazione delle armi strategiche, rapporti economici). Una pausa nel progresso della cooperazione si è aperta, invece, in seguito alla guerra arabo-israeliana del Kippur, con l'approvazione dell'emendamento Jackson da parte del Congresso americano e con la denuncia, nel gennaio 1975, dell'accordo commerciale da parte del governo sovietico. Anche in quest'ultimo periodo l'intesa atomica bilaterale ha costituito l'asse della politica estera sovietica: ma contemporaneamente l'URSS ha accentuato la sua penetrazione nel continente africano e incoraggiato il Vietnam nella controversia con la Cambogia, rinnovando i motivi di attrito con gli Stati Uniti e il contrasto con la Cina.

Il mutamento sancito dal plenum di ottobre ai vertici del partito e del governo sovietico non recò attenuazioni ai contrasti che dividevano il movimento comunista internazionale. La Pravda chiarì che la linea ideologica consegnata nel programma del PCUS restava pienamente valida; poi, nell'imminenza del XXIII congresso, circolò negli ambienti del PCUS un documento che riassumeva nella versione sovietica la polemica con i Cinesi. D'altra parte, l'esplosione della prima atomica cinese nel deserto del Sinkiang, il 16 ottobre 1964, portava una sfida alla potenza sovietica; l'anno seguente la dottrina del comunismo asiatico, formulata da Lin Piao, si spinse fino alla contrapposizione delle "campagne del mondo" alle "città del mondo". Quanto ai rapporti con i Romeni, mentre Suslov e Breznev insistevano sull'internazionalismo e sull'unità d'azione contro ogni tentativo di "isolare artificialmente" singoli partiti comunisti dal contesto dei problemi e dei compiti mondiali (discorsi di Suslov a Sofia e di Brežnev a Bucarest, 2 giugno e 20 luglio 1965), Ceausescu ripeteva le tesi romene sulla validità della nazione come forma di vita comunitaria, destinata a durare "per tutto il periodo dell'edificazione del socialismo e del comunismo" (discorso per il XLV anniversario della fondazione del Partito operaio romeno, 7 maggio 1966). Anche A. Dubček, il nuovo segretario del PC cecoslovacco, si richiamava, come già W. Gomułka e I. Nagy nel 1956, alla peculiaritމ delle vie nazionali al socialismo. Dal canto loro, il PCUS e i partiti con esso solidali negavano di voler influenzare gli affari interni cecoslovacchi e violare la sovranitމ di quel paese; ma di fronte al pericolo di una separazione della Cecoslovacchia dalla comunitމ socialista, affermavano il proprio diritto a intervenire collettivamente per la difesa di un interesse generale di tutto il socialismo. Ciascun partito comunista - si diceva inoltre - non ę responsabile solo di fronte alla classe operaia del proprio paese, ma anche di fronte alla classe operaia e al movimento comunista internazionale (lettera dei cinque PC della Bulgaria, Ungheria, RDT, Polonia e Unione Sovietica al PC cecoslovacco, Varsavia, 15 luglio 1968). Tale dottrina della "sovranitމ limitata" fu ripresa a Bratislava il 3 agosto 1968 e poi ancora nel discorso di Brežnev al V congresso del Partito operaio unificato polacco, il 12 novembre 1968 ("quando forze interne ed esterne, nemiche al socialismo, tentano di cambiare lo sviluppo di un paese socialista, quando cioè si presenta un serio pericolo per l'interesse del socialismo in quel paese e un pericolo per la sicurezza di tutta la comunità socialista, allora questo diventa non solo un problema per il popolo di quel paese, ma anche un problema comune, oggetto d'interesse per tutti i paesi socialisti"). L'intervento del Patto di Varsavia (eccettuata la Romania), il 21 agosto 1968, provocò una serie di reazioni contrastanti fra i paesi socialisti. Mentre si delineava una temporanea convergenza romeno-iugoslava e si riaccendeva l'opposizione cinese, l'URSS recuperò la piena solidarietà di Cuba (che al momento della conferenza tricontinentale sembrava ancora lontana dalla linea strategica sovietica): in un discorso del 23 agosto, F. Castro rimproverò alla Cecoslovacchia di Dubček le sue aperture con l'Occidente, in particolare con la RFT, e l'orientamento favorevole alla restaurazione di un sistema pluripartitico e della libertà borghese di stampa.

Alla crisi cecoslovacca fece riscontro l'acuta tensione con la Cina, segnata dagl'incidenti lungo il fiume Ussuri e la frontiera del Sinkiang (marzo-giugno 1969). La conferenza internazionale di Mosca del giugno 1969 riaffermò la concezione del sistema mondiale socialista come massima forza rivoluzionaria, chiaramente recepita da Chruščëv, e della sovranità limitata, in riferimento ai partiti comunisti e operai; mancò, tuttavia, la condanna della Cina, mentre il PCI rifiutò larga parte del documento principale. Nel settore est-europeo, l'obiettivo di rinsaldare i ranghi della comunità socialista fu perseguito tramite il potenziamento del Comecon; riguardo ai partiti dell'Europa occidentale, invece, una perdita di autorità si manifestò chiaramente nel biennio 1975-76, evidenziata dalla conclusione deludente della conferenza di Berlino. Sull'altro versante, la politica sovietica puntava da tempo a consolidare rapporti preferenziali con l'India. Dopo gli accordi presi a Taškent nel 1966, il progetto sovietico di un sistema di sicurezza collettiva in Asia trovò una prima realizzazione nel trattato ventennale del 9 agosto 1971, che superava la tradizionale avversione indiana per i patti militari nel segno della pace e della cooperazione tecnico-economica; l'India ebbe pertanto il sostegno sovietico durante il conflitto col Pakistan (dicembre 1971), appoggiato invece dalla Cina e dagli SUA.

L'impegno nel Vietnam, fermamente dichiarato al XXIII congresso, non impedì lo sviluppo del dialogo con gli Stati Uniti, in primo luogo sulle questioni nucleari. Durante le trattative per il disarmo e la non-proliferazione atomica, subito riprese dopo il trattato del 1963, si era delineato un accostamento sovietico-americano, visto con favore da parte britannica, osteggiato invece dalla Francia, dalla Cina e da vasti settori tedesco-occidentali. Nel 1967 le due maggiori potenze raggiunsero l'accordo su un documento comune, che sottoposero alle altre parti interessate; il 1° luglio 1968 la firma del trattato chiuse alla RFT ogni prospettiva di partecipazione al controllo atomico. Poi il complesso degli atti internazionali pertinenti al problema tedesco, a partire dal trattato dell'agosto 1970, sancì il riconoscimento dell'esistenza dei due stati tedeschi nelle attuali frontiere. Alcune apprensioni, suscitate dall'apertura dei rapporti cino-americani e dal primo avvio della diplomazia tripolare, furono dissolte e il dialogo sovietico-americano proseguì sul piano dei negoziati SALT (Strategic Arms Limitation Talks) e della cooperazione economica, raggiungendo notevole intensità nel corso del 1972. Nel maggio di quell'anno, durante la visita di Nixon a Mosca, vennero firmati un trattato e un accordo provvisorio, relativi alla limitazione delle armi strategiche, e venne redatto un codice della distensione quale i "principi fondamentali delle relazioni fra gli SUA e l'URSS"; nel luglio furono stipulati un accordo commerciale per l'acquisto di cereali sul mercato statunitense e un accordo creditizio per il finanziamento di tali acquisti con le anticipazioni del dipartimento dell'Agricoltura; nell'ottobre un trattato commerciale preventivò un forte aumento dell'interscambio. Fra il novembre 1972 e il gennaio 1973 il governo sovietico stabilì contatti col Giappone, sia in vista di un trattato di pace, sia per consentire la partecipazione giapponese allo sfruttamento delle risorse petrolifere della Siberia; ma, nonostante l'intensa attrazione esercitata sul governo di Tōkyō dai grossi piani di rifornimento energetico, le controversie territoriali (restituzione delle Curili) posero difficoltà insuperabili.

Il successivo vertice Brežnev-Nixon a Washington (giugno 1973) portò alla firma di un accordo sulla prevenzione della guerra nucleare e aprì la strada alle trattative per la riduzione delle forze nell'Europa centrale, iniziate a Vienna nell'ottobre; tuttavia i risultati della convergenza in atto suscitavano opposizioni interne, complicate da nuove tensioni mondiali (colpo di stato in Chile, guerra arabo-israeliana, crisi energetica). Brežnev dovette fronteggiare una corrente di opposizione ostile alla sua politica estera (allontanamento di Selest e Voronov dal Politbjuro). Il 23 novembre Suslov pronunciò a Vilna un duro discorso sui limiti della coesistenza, precisando che questa non implica l'attenuazione della lotta di classe nell'arena internazionale e predicando la vigilanza contro la minaccia imperialistica; egli attaccò i dirigenti di Pechino, poiché contestavano i confini attualmente fissati in Europa e incitavano i paesi del Mercato comune a stringere un patto militare o a rafforzare il blocco aggressivo della NATO. Nell'ottobre-novembre 1974 i due vertici di Mosca e di Vladivostok confermarono ancora una volta la linea distensiva (questioni economiche e nucleari, negoziati SALT). Ma le dimissioni di Nixon e il conflitto di poteri a Washington, la questione di Cipro nel settore mediterraneo e infine la delusione delle speranze americane di ottenere una "pace con onore" i nel Vietnam influirono negativamente sullo sviluppo del dialogo. L'emendamento proposto dal senatore H. Jackson e inserito dal Congresso nel nuovo Trade Act del dicembre 1974, provocò la reazione del governo sovietico: nel gennaio 1975 questo denunciò l'accordo commerciale con gli Stati Uniti, respingendo come un'ingerenza nei propri affari interni la legge americana che subordinava la concessione della clausola di nazione più favorita all'espatrio di un contingente annuo di Ebrei. Così la conferenza di Helsinki per la sicurezza europea, se da una parte è venuta incontro alle esigenze dell'URSS sanzionando lo status quo territoriale in Europa, ha pure introdotto un motivo di polemica sollevando la questione dei diritti umani: da quel momento la distensione ha preso un corso meno lineare e coerente, anche se è stato rinnovato un accordo cerealicolo quinquennale con gli SUA (ottobre 1975) e se sono stati firmati un nuovo patto nucleare (trattato sulla limitazione degli esperimenti sotterranei a scopo di pace, maggio 1976) e un secondo accordo SALT (giugno 1979). Contemporaneamente nel settore medio-orientale, dove la politica di Mosca era stata a lungo caratterizzata dall'intesa con l'Egitto in funzione anti-israeliana, si sono manifestate svolte di rilievo. Dopo l'appoggio fornito a Nasser durante la "guerra dei sei giorni" e l'inaugurazione della grandiosa diga di Assuan alla presenza di Podgornyj, era stato firmato nel 1971 un trattato che prevedeva consultazioni regolari e collaborazione militare. Ma a un anno di distanza i consiglieri sovietici furono espulsi e l'URSS intensificò l'intesa con la Libia di Gheddafi, raffreddando il rapporto con l'Egitto; nonostante l'aiuto ancora una volta fornito dall'URSS durante la guerra del Kippur, Sadat ha posto fine nel marzo 1976 a un ventennio di cooperazione sovietico-egiziana, motivando la denuncia del trattato di amicizia con l'insufficienza degli armamenti e col peso finanziario degli aiuti forniti dall'Unione Sovietica.

L'appoggio al Vietnam nel conflitto con la Cambogia e la crescente influenza dell'URSS nel continente nero (trattati di alleanza con la Somalia, l'Angola e il Mozambico, viaggio di Podgornyj in Africa nel marzo-aprile 1977, appoggio all'Etiopia nella questione dell'Ogaden) hanno suscitato le reazioni coincidenti di Carter e di Hua Kuo-feng: quest'ultimo ha denunciato l'invio di soldati cubani in Angola come manifestazione di vasti piani imperialistici da parte sovietica. Le sessioni di Belgrado (ottobre 1977-marzo 1978) della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa non hanno portato risultati concreti, suscitando anzi i commenti negativi dell'opinione mondiale. La situazione politica si è aggravata dopo l'invasione sovietica dell'Afghānistān (27 dicembre 1979), cui ha fatto seguito il rovesciamento del governo di Hafizullah Amin, l'uccisione di questo, la costituzione di un governo rigidamente filosovietico capeggiato da Babrak Karmal. L'occupazione militare dell'Afghānistān ha determinato l'energica reazione dell'Occidente, in particolare degli SUA, e della Cina, creando una situazione assai preoccupante sia nei riguardi del Pakistan, sia in connessione della politica duramente antiamericana dell'Iran, anche se Khomeini e il governo iraniano hanno condannato l'invasione. Lo stato di tensione, complicato anche dalla morte di Tito, si è esteso all'Ostpolitik del governo di Schmidt, il quale ha rinviato a lungo il viaggio a Mosca (soltanto luglio 1980), mentre Carter ha deciso la non partecipazione della squadra americana alle Olimpiadi di Mosca: decisione che è stata seguita anche da molti stati occidentali e americani.

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Letteratura. - Il quindicennio 1961-76 ha segnato per le lettere sovietiche una stagione assai ricca, ma anche molto travagliata. Per coglierne le linee generali, sarà bene rapportare i fatti culturali all'evoluzione della società sovietica nel suo complesso, di cui spesso sono stati nodi emblematici. Gli anni Sessanta, inaugurati sul piano politico dal XXII Congresso del PCUS col quale Chruščëv rafforzò la sua linea antistaliniana, favorirono - pur tra qualche contraddizione - una ripresa rigogliosa delle ricerche letterarie. Il 1964, con i profondi mutamenti ai vertici politici del paese e l'ascesa al potere di L. Brežnev, esaurisce una prima fase del processo. Il periodo successivo fu forse il più interessante e controverso: l'evolversi della letteratura verso nuove forme, con nuovi temi, e recuperando dal passato recente le fila di discorsi bruscamente interrotti, rivelò un'audacia impensabile solo dieci anni avanti; ma si trovò contemporaneamente a fare i conti con episodi sempre più frequenti di marcato controllo da parte del potere politico, di cui i casi di scrittori emarginati o addirittura accusati di attività "antisovietiche" rappresentavano i segnali più inquietanti. Nel 1967 (500 anniversario dell'Ottobre) si tenne il IV Congresso dell'Unione degli scrittori, nel quale si diffuse come una mina vagante un documento vivacemente polemico di A. Solženicyn; nel 1968 (l'anno di Praga) si manifestarono sempre più forti le tendenze alla destabilizzazione: e neppure l'appuntamento del 1970 (centenario leniniano) giovò a ricomporre le contraddizioni emerse. Sicché si può indicare nel 1971 (anno del XXIV Congresso del Partito, e del V degli Scrittori) il limite di questa seconda fase. Il periodo più recente (nel 1976 si sono tenuti il XXV Congresso del Partito, e il VI degli Scrittori) ha segnato un inasprimento della lotta ideologica, e il distacco ormai irreversibile tra la cultura ligia alle direttive ufficiali e quella del "dissenso", spesso depauperata da nuove emigrazioni. Tuttavia, le istanze maturate nel lungo e articolato fermento degli anni trascorsi trovano espressione in una notevole crescita della produzione letteraria, sul terreno non solo quantitativo, ma anche etico ed estetico.

Russia. - La produzione dei primi anni Sessanta prosegue sull'onda del rinnovamento sollecitato dal XX Congresso del PCUS (1956), con l'apparizione di molti nomi nuovi, ma anche con le opere di autori già affermati: tutti insieme, tesi alla rimozione definitiva dei clichés dominanti in precedenza (ottimismo di maniera, assenza di conflittualità, realismo oleografico). Vi concorrono tutti i campi della creazione artistica, prosa, poesia, drammaturgia.

Tra i molti, vanno ricordati romanzi come Tišina (1961, trad. it., Il silenzio, Milano 1962) di Ju. Bondarev (1924); Bud' zdorov, školjar! (1961, trad. it., In prima linea, Roma 1962) di B. Okudžava, noto soprattutto come autore di canzoni e ballate, raccolte in Veselyj barabanščik (1964, "L'allegro tamburino"); Zvezdnyj bilet (trad. it., Il biglietto stellato, Torino 1962) di v. Aksenov (1932), figlio di quella E. Ginzburg (1907-1977) che di lì a qualche anno farà conoscere il suo calvario per i lager staliniani con Krutoj maršrut (1966, pubblicato solo all'estero; trad. it., Viaggio nella vertigine, Milano 1967); Črezvyčajnoe (1962, trad. it., Straordinario, Torino 1963) di vl. Tendrjakov; Kosoj dožd' (1961, "Pioggia obliqua") di V. Kaverin; e ancora, i racconti di Ju. Nagibin (1920), V. Rozov (1913), Vl. Vojnovič, A. Kuznecov (che nel 1969 emigrerà in Inghilterra, dove si è spento nel 1979). Ad essi si affiancano i versi di E. Evtušenko, non sempre misurati, ma spesso densi di pathos pubblicistico (Babij Jar, 1961; Nasledniki Stalina, "Gli eredi di Stalin", 1962); di B. Achmadulina, che esordisce nel 1962 con la raccolta Struna ("La corda"); di A. Voznesenskij, che rimane il poeta più maturo di questa generazione (Antimiry, trad. it., Antimondi, Roma 1962); animata dallo stesso spirito di rinnovamento formale e tematico è la poesia di R. Roždestvenskij (1932), di A. Kušner (1937), di V. Sosnora, N. Matveeva; e quella dei più anziani A. Tvardovskij, che nel 1963 pubblica Tërkin na tom svete ("Tërkin all'altro mondo"), prosecuzione ideale del suo fortunato poema Vasilij Tërkin; di A. Mežirov, di E. Vinokurov (1925). Pure il teatro si arricchisce di testi pronti a cogliere le speranze, ma anche le contraddizioni del presente, soprattutto per merito di V. Rozov e di A. Arbazov (1908). Ma il fatto letterario di maggior rilievo in questi anni è la pubblicazione del romanzo breve Odin den'Ivana Denisoviča (1962, trad. it., Una giornata di Ivan Denisovič, Milano 1963) di un esordiente, oscuro insegnante di provincia, l'ex recluso A. Solženicyn, che non solo inaugurava la tematica dei lager, ma era destinato ad aprire la vicenda più clamorosa di tutto il quindicennio. Negli anni successivi, ebbero particolare risonanza i romanzi di Ju. Dombrovskij (1909-1978: Chranitel'drevnostej, 1964, trad. it., Il conservatore del museo, Milano 1965), di V. Sěmin (Semero v odnom dome, 1964, trad. it., Sette in una casa, Torino 1965), di S. Zalygin, di V. Solouchin.

Nel 1965 si apre una nuova fase, segnata all'inizio da due avvenimenti diversi, che non mancarono però di avere conseguenze legate dialetticamente tra loro: il premio Nobel assegnato a M. Šolochov, e l'arresto di A. Sinjavskij e Ju. Daniel. Negli anni che corrono fino al 1971, la letteratura russo-sovietica non registra sostanziali mutamenti d'indirizzo complessivo, con opere sovente di buona fattura, ma non eccelse. La narrativa di ambientazione "campagnola" (che vanta antiche tradizioni nella letteratura russa) si arricchisce del romanzo breve Iz žizni Fedora Kuz'kina (1966, "Dalla vita di Fedor Kuz'kin") di B. Možaev (1923), che descrive la campagna russa negli anni Cinquanta; del romanzo Končina (1968, "Il decesso") di Vl. Tendrjakov, sulle vicende di un kolchoz retto da un presidente autoritario; di Dve zimy i tri leta (1968, "Due inverni e tre estati") di F. Abramov, un vasto affresco sulla ricostruzione postbellica nelle terre del Nord, che è uno dei migliori romanzi sovietici di questi anni. Anche la narrativa bellica, uno dei generi più praticati, continua a essere produttiva, anche se spesso risente di un'ottica eroico-celebrativa che può infastidire; ricordiamo qui Oni sražalis' za rodinu (1969, "Essi si batterono per la patria") di M. Šolochov; Soldatami ne roždajutsja (1964, "Soldati non si nasce") e Poslednee leto (1971, h L'ultima estate") di K. Simonov. Una rinata fortuna ebbe il romanzo storico, sulla linea già indicata negli anni Trenta da Ju. Tynjanov, con Bednyj Avrosimov (trad. it., Il povero Avrosimov, Bari 1969) e Mersi, ili pochoždenija Sipova (1971, trad. it., L'agente di Tula, Milano 1972) di B. Okudžava, nei quali dietro al dato documentario emerge una frizzante intenzione allusiva. Un caso a sé, ma assai indicativo, è il romanzo Čego-že ty chočeš' (1969; trad. it., Ma, insomma, che cosa vuoi, Roma 1970) di Vs. Kočetov, leader dell'ala più conservatrice dell'intelligencija sovietica, e direttore della rivista Oktjabr' che, nel panorama culturale complessivo, rappresentava l'antagonista del "liberale" Novyj mir, diretto fino al 1970 da Tvardovskij (un'altra rivista di spicco, in questi anni, è Junost', che pubblicò molti testi, in prosa e in versi, di giovani autori).

La poesia non offre grosse novità, sicché andranno registrati essenzialmente i nuovi titoli degli autori già ricordati: Idut belye snegi (1969, "Cadono bianche le nevi") di Evtušenko; Achillesovo serdce (1966, "Il cuore d'Achille") e Ten' zvuka (1970, "Ombra del suono") di Voznesenskij; Radius dejstvija (1965, "Raggio d'azione") di R. Roždestvenskij; Mart velikodušnyj (1967, "Magnanimo marzo") di B. Okudžava; Zrelišča (1968, "Spettacoli") di E. Vinokurov; Uroki muzyki (1969, "Lezioni di musica") di B. Achmadulina. Nel 1967 uscì una piccola raccolta, Doroga i sud'by ("La strada e i destini") di uno scrittore passato attraverso l'esperienza dei lager, V. Salamov (1907), di cui si conosce anche una serie di Kolymskie rasskazy (1970, trad. it., Kolyma, Roma 1976), pubblicati solo all'estero. Ma l'avvenimento poetico più significativo di questi anni è la comparsa dell'ultima raccolta di A. Achmatova, Beg vremeni (1965, "La corsa del tempo").

Tra il 1967 e il 1969 le acque si fanno vieppiù agitate; due tra le più impegnative opere di Solženicyn, Rakovyj korpus (trad. it., Divisione cancro, Milano 1968) e V kruge pervom (trad. it., Nel primo cerchio, Milano 1968), respinte in URSS da editori e riviste, compaiono all'estero, innescando una reazione a catena che portò dapprima alla radiazione dell'autore dall'Unione degli scrittori (1969), poi (in gran parte a seguito della circostanza che il testo dell'Arcipelago Gulag era pervenuto in Occidente) all'espulsione dall'URSS (1974): nel frattempo la sua posizione si era fatta ancora più esposta, per l'assegnazione del premio Nobel (1970), il terzo andato a un autore russo in poco più di dieci anni.

Negli anni successivi al V Congresso degli scrittori (1971), in cui venne riaffermata solennemente la centralità della dottrina del realismo socialista, la vocazione "partitica" di tutta la letteratura sovietica, e la necessità di un'attenta vigilanza ideologica, si possono segnalare ben poche novità nelle lettere russe. Mentre si allunga l'elenco dei nuovi emigrati, i due nomi di maggior spicco che si affermano in patria sono quelli di due scrittori che avevano esordito nel decennio precedente, V. Šukšin, i cui racconti rinverdiscono il sapore mitico della "vecchia Russia", e Ju. Trifonov (1925) che, dopo Otblesk kostra (1965, "Il riflesso del falò"), si è imposto di recente col romanzo Dom na naberežnoj (1975, trad. it., La casa sul lungofiume, Roma 1977), che con sagace scrittura riflette i traumi del recente passato e le difficoltà del presente.

Ma la letteratura russa di questi anni male s'intende se, accanto alle opere nuove, non si tiene conto di altri due fenomeni, accomunati dall'esigenza di rivisitare il passato. E in primo luogo la riesumazione di opere e autori che sembravano destinati all'oblio, un patrimonio creativo che si temeva disperso per sempre: dal 1961 muove la riscoperta di M. Cvetaeva; nel 1965 vengono riedite dopo lungo tempo opere di Babel', Platonov (1899-1951), Pasternak; nel 1967 viene finalmente fatto conoscere il capolavoro "segreto" di M. Bulgakov, Master i Margarita (trad. it., Il maestro e Margherita), che suscitò un dibattito estremamente vivace sulla stampa specializzata; ancora, nel 1967 riemerge il nome di O. Mandel'štam, con la pubblicazione del saggio del 1933 Razgovor o Dante (trad. it., Discorso su Dante, ne La quarta prosa, Bari 1967), le cui poesie, dopo molte edizioni occidentali, vengono finalmente messe a disposizione del lettore sovietico nel 1973 (Stichotvorenija, "Poesie"); nel 1976 esce una silloge della prosa di B. Pil'njak. Né vanno dimenticate le opere dei due massimi registi russi, S. Ejzenštejn (Sobranie sočinenij, "Raccolta delle opere", 6 voll., 1964-71) e Vs. Mejerchol'd (Stat'i, "Saggi", 1968; e Perepiska, "Corrispondenza", 1976). Accanto alla riesumazione di testi, va sottolineata la fortuna particolare della memorialistica: ne fu clamoroso capostipite, all'inizio degli anni Sessanta, I. Erenburg, con Ljudi gody žizn' (trad. it., Uomini anni vita, Roma 1961-65), il quale con notevole coraggio - pur inficiato talvolta da qualche reticenza - ripercorre con ottica autobiografica le vicende del suo travagliato cinquantennio; gli si affiancano il secondo volume delle memorie di K. Paustovskij, Povest' o žizni (1961, "Narrazione d'una vita"); le memorie di V. Šklovskij, Žyli-byli (1966, trad. it., C'era una volta, Milano 1967); quelle di V. Kaverin, di V. Kataev, e altri ancora. Spesso, presentano un interesse non inferiore a quello dei ricordi dei protagonisti, quelli dei loro sopravvissuti: ricordiamo, per tutti, A. Cvetaeva, sorella di Marina, e la vedova di Mandel'stam, Nadežda Chazina (Vospominanija, "Memorie", e Vtoraja kniga, "Secondo libro" apparsi però solo all'estero).

Il quadro complessivo della letteratura russa attuale non è completo senza considerare nel suo assieme il tema della letteratura cosiddetta "del dissenso" (invero questa, come altre definizioni, lascia insoddisfatti, perché inadeguata a coglierne lo spessore specifico). Ma il fenomeno ha assunto contorni così ampi e peculiari, che non può più essere ridotto alla somma di singoli casi, quand'anche numerosi. Una letteratura del dissenso si affacciò nei primi anni Sessanta, coi tentativi di organizzare periodici, miscellanee, e vere e proprie edizioni realizzate con mezzi artigianali, e un'organizzazione sotterranea di diffusione dei testi così realizzati (il cosiddetto samizdat, autoeditoria). Nell'insieme di scritture definibili "clandestine" per il solo fatto di essere costrette a una diffusione sottobanco, v'è stato, e c'è, molto di caduco, di superficiale, d'ingenuo, immediatamente legato alla protesta del momento; ma si sono manifestate anche voci originali e d'indubbio talento, che sarebbe ingiusto ridurre nell'ottica dello scandalo letterario (si pensi solo ai nomi di Brodskij e di Sinjavskij). Nel passaggio dagli anni della liberalizzazione a quelli del riflusso censorio, questa letteratura si è andata sempre più rinchiudendo in un ghetto, dal quale le è poi divenuto impossibile uscire. Ma non va dimenticato che fin dall'inizio vi hanno contribuito scrittori ben presenti nella cultura altrettanto impropriamente detta "ufficiale"; e che per i suoi canali sono passati molti testi che a buona ragione vanno annoverati tra i classici (Bulgakov, Pasternak, Babel', Mandel'štam, ecc.). Questi fatti ci portano a ritenere che i legami tra le due culture siano assai più stretti e organici di quanto vuole una polemica tutta strumentale; spesso, tratti peculiari della cultura del sottosuolo emergono in opere pubblicate normalmente; e talvolta capita che testi di autori ufficiali finiscano nel sottosuolo (è toccato persino all'ultimo poema di A. Tvardovskij). La contrapposizione di letteratura "russa" e letteratura "sovietica", che è l'estrema formula d'incompatibilità predicata da Solženicyn, è frutto di animi esacerbati, e di non poca miopia; si dirà piuttosto che la letteratura del dissenso è anch'essa legittimamente parte della civiltà letteraria russo-sovietica.

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Altre Nazionalità dell'URSS. - Per "letteratura sovietica" non s'intende solo quella russa, successiva all'Ottobre, ma quella di tutti i popoli e le nazionalità dell'Unione, i quali oggi si esprimono in 72 lingue diverse. Si tratta di culture assai eterogenee; alcune affondano le radici nel lontano passato, altre sono di formazione assai più recente. Ma tutte assieme, coinvolte nel medesimo processo sociale, culturale e politico, offrono l'immagine di una letteratura polifonica, le cui tendenze fondamentali presentano caratteri sostanzialmente comuni (a ciò concorre anche un'intensa attività di traduzione).

Le letterature più prossime a quella russa sono naturalmente quelle delle altre due nazionalità slave, l'Ucraìna (XXXIV, p. 599; App. II, 11, p. 1053) e la Bielorussia (o Russia bianca; XXX, p. 337; App. II, 11, p. 768). La letteratura ucraina dell'ultimo trentennio ha visto affiancarsi agli autori più noti, M. Ryl'skij (morto nel 1964), P. Tyčna (morto nel 1967), M. Bažan o A. Kornejčuk un nutrito gruppo di nomi nuovi. Nell'immediato dopoguerra si affermò O. Gončar (nato nel 1918), con la trilogia Praporonoscy ("I vessilliferi", 1946-48), che in seguito ha dato le prove più significative con Tronka (1963) e Ciklon ("Il tifone", 1970). Interessanti sono anche i romanzi di M. Stel'mach (nato nel 1912), di N. Rybak (1913), di A. Sizomenko (1923) e di P. Zagrebel'nyj (1924). Negli ultimi anni si è fatta valere una nuova generazione di poeti, tra cui spiccano I. Drač (nato d 1936), L. Kostenko (1930) e R. Tret'jakov (1936). Nella letteratura bielorussa, dopo la scomparsa del massimo scrittore, Ja. Kolas (morto nel 1956), le cose più interessanti appartengono a M. Lyn'kov (nato nel 1899: Za akijanam, "Oltre l'oceano", 1962); ad A. Kulakovskij (1913), a P. Pančenko (1917). Massimo scrittore bielorusso contemporaneo viene considerato P. Brovka (1905), poeta e romanziere di talento, come testimonia la sua opera più significativa, Kali zlivajucca reki ("Quando i fiumi confluiscono", 1957).

Abbastanza omogenee sono le letterature dei paesi prebaltici, l'Estonia (XIV, p. 424), la Lettonia (XX, p. 998; App. II, 11, p. 190), e la Lituania (XXI, p. 300; App. II, 11, p. 215).

In Estonia (paese di lingua ugro-finnica) la letteratura più recente ha ripreso e sviluppato le tradizioní di quella pre-sovietica. La tematica bellica ebbe grande rilievo in A. Jakobson (1904-1963), autore di racconti e di testi teatrali. All'inizio degli anni Sessanta si fece avvertire un profondo rinnovamento, con l'opera del drammaturgo E. Rannet (nato nel 1911, dello scrittore Ja. Kross (1920), che esordì con versi satirici antistaliniani; e più di recente col poeta P. E. Rummo (1942). La vita culturale estone ha un riferimento importante nell'università di Tartu, dove si e formata attorno a Ju. Lotman un'avanzatissima scuola di studi semiotici.

Anche in Lettonia (paese di lingua baltica, come la confinante Lituania) la letteratura sovietica ebbe una nuova impronta a muovere dal dopoguerra. Sulle orme del più anziano A. Upit (1877-1970), emersero il poeta V. Luks (nato nel 1905) e il romanziere V. Lácis (1904-1966). Dei poeti più significativi, tra cui J. Sudrabklans (1894), A. Čaks (1901-1950) e J. Plaudis (1903-1952), esiste un'antologia anche in italiano (Poeti lettoni contemporanei, Milano 1963). Tra gli scrittori più giovaní, andranno ricordati i poeti A. Vejāns (1927), B. Saulitis (1922), O. Vācietis (1933), e i prosatori A. Jansons (1915), E. Vilks (1923) e M. Birze (1921).

La letteratura contemporanea della Lituania ha l'esponente di maggior spicco in E. Mieželaitis (1919), poeta di ardito sperimentalismo, ma radicato nelle tradizioni della sua terra; accanto al suo, si ricorderanno i nomi di M. Sluckis (1928), e del poeta Ju. Marcinkévičius (1930). Buone prove poetiche hanno offerto anche V. Šimkus (1936) e Ju. Vajčjunajte (1937); nella prosa, i risultati migliori sono quelli di Ju. Baltuṣis (1909) e di J. Avyžius (1922).

La cultura sovietica della Moldavia, unica isola romanza in URSS, conta poeti come E. Bukov (1909), A. Lupan (1912), B. Istru (1914) e G. Menjuk (1918). Anche la prosa ha buoni rappresentanti, in L. Barskij (1909) e N. Kostenko (1913), tra l'altro traduttore della Vita nuova dantesca. Tra i più giovani, bisogna segnalare il poeta V. Teleuke (1933), e i narratori I. Druce (1928) e I. Čobanu (1927). L'area caucasica conta tre culture, della Georgia (XVI, p. 644), dell'Armenia (IV, p. 431) e dell'Azerbajgian.

Dopo la tragica scomparsa, nel 1937, di T. Tabidze e di P. Jašvili negli anni delle "purghe", i poeti georgiani di maggior rilievo rimasero G. Leonidze (1899-1965), S. Čikovani (1903-1966) e I. Grišašvili (nato nel 1889). I principali prosatori sono K. Gamsachurdia (1891), traduttore altresì della Commedia dantesca, e D. Šengelaja (1896). Tra gli scrittori della nuova generazione, vanno ricordati il poeta H. Kulividze (n. 1925; cfr. in trad. it. Dedicato a te, casa, Milano 1961); la poetessa A. Kalandadze (1924) e il romanziere T. Čiladze (1931).

Nella letteratura dell'Armenia sovietica, dopo la generazione formatasi all'inizio del secolo, del poeta A. Isaakian (1875-1957) e dello scrittore D. Demirčjan (1877-1956), s'imposero i nomi di St. Zor'jan (1890) e soprattutto del poeta d'avanguardia E. Čarenc (1897-1937), perito nelle repressioni staliniane (una silloge della sua opera è apparsa in italiano, Odi armene a coloro che verranno, Milano 1968). Oggi la letteratura sovietica armena è espressa dal poeta G. Sar'jan (1902), dal romanziere R. Kočar (1910-1965), autore tra l'altro di una dolente rievocazione della tragedia del popolo armeno (Spitak girk, "Libro bianco", 1965); e dal drammaturgo G. Ter-Grigor'jan (1916).

Erede di una cultura di antiche tradizioni, la letteratura azerbajgiana sovietica ebbe i primi nomi di rilievo in S. Achundov (1875-1939), in A. Šaik (1881-1959) e in G. Džavid (1884-1944). Alla generazione di mezzo apparteneva R. Achundov (1897-1938), perito nelle purghe staliniane, e ad essa appartengono anche il poeta e drammaturgo S. Rustam (1906), il drammaturgo S. Vurgun (1906-1956), e lo scrittore G. Mechti (1909). Negli ultimi decenni sono apparsi poeti interessanti, come N. Babaev (1924), e prosatori di talento, come M. Ibragimov (1911). L, Asia centrale esprime le culture del Kazakistan, dell'Uzbekistan, del Turkmenistan, del Tagikistan e della Kirgizia: a eccezione di quella tagika - che è di ceppo iranico - le altre sono di ceppo turco (come anche quella azerbajgiana); tutte, dal 1940, adottano l'alfabeto cirillico, con qualche modifica.

La formazione di una letteratura di lingua kazacha è di epoca sovietica, con gli scrittori S. Sejfullin (1894-1939), vittima delle repressioni staliniane, M. Auezov (1897-1961) e S. Mukanov (1900), poeta, romanziere e drammaturgo. Assai noti in URSS e all'estero sono pure il drammaturgo A. Tažibaev (1909), il romanziere G. Mustafin (1902) e il poeta O. Sulejmenov (1936), che però scrive in russo.

La letteratura uzbeka è invece di antiche tradizioni, ma ha conosciuto in epoca sovietica un profondo rinnovamento. Vi fanno spicco A. Kadyri (r894-1939), scrittore e pubblicista di vena satirica; Ajbek (pseud. di M. Tusmuchamedov, 1904-1968); il poeta e drammaturgo Ujgun (pseud. di R. Atakuziev, 1905); A. Kachchar (1907-1968); e K. Jašen (1909), autore del dramma All'alba della rivoluzione (1972).

Anche la letteratura turkmena è di remota tradizione. Nel periodo sovietico, i suoi rappresentanti più significativi sono il romanziere B. Kerbabaev (1894), il romanziere e drammaturgo A. Kaušutov (1903-1953), il poeta Č. Aširov (1910) e K. Sejtliev (1915-1971), che è stato anche ministro della Cultura della sua repubblica. Negli ultimi anni sono emersi il romanziere B. Sejtakov (1914), col romanzo storico I fratelli (1958-65), e i più giovani A. Kibanov (1927), O. Akmamedov (1930), Ja. Mametiev (1930), T. Džumagel'diev (1938).

Quella tagika è una delle letterature più antiche di tutte quelle dei popoli dell'URSS. In epoca sovietica, dopo i poeti S. Ajni (1878-1954) e A. Lachuti (1887-1957), che vengono considerati i capostipiti della letteratura moderna, si è affermata la generazione di mezzo, con M. Tursun-zade (1911-1977), autore di vasti poemi, tra cui La voce dell'Asia (1956). Vanno ricordati anche Dž. Ikrami (1909) e R. Džalil (1909), romanzieri assai noti nell'Unione.

La letteratura kirgiza si è formata invece solo di recente, ed è la più giovane dell'URSS. Ha tuttavia autori validi, come A. Tokombaev (1904), Dž. Bokonbaev (1910-1944), A. Osmonov (1915-1950). Su tutti emerge Č. Ajtmatov (1928), che L. Aragon fece conoscere in Europa già nel 1958, e che si è imposto con Il battello bianco (1971).

Nell'URSS vivono altri gruppi etnici, molti dei quali organizzati in repubbliche o regioni autonome. Delle loro culture, ci limiteremo a segnalare qualche personalità di spicco: il poeta tartaro M. Džalil' (1906-1944), ucciso dai Tedeschi a Spandau, cui venne attribuito postumo il Premio Lenin (1957); gli scrittori yiddish I. Fefer (1900-1952) e P. Markiš (1895-1952), vittime delle repressioni staliniane del dopoguerra, il cui retaggio è vivissimo nella cultura sovietica ebraica; mentre la letteratura dagestana, che ebbe il suo poeta popolare in S. Stal'skij (1869-1937), vanta oggi R. Gamzatov (1923), considerato uno dei maestri del realismo socialista.

Bibl.: In generale: Istorija mnogonacional'noj sovetskoj literatury, tt. 1-6, Mosca 1970-75; H. Jünger, The literatures of the Soviet Peoples, New York 1970. Per le singole letterature: Istorija ukraïnskoj literatury, tt. 1-8, Kiev 1967-1971; Narysi pa gistor'yi belarusskoj literatury, Minsk 1956; Očerk istorii moldawskoj literatury, Mosca 1963; Očerk istorii estonskoj sovetskoj literatury, ivi 1971; Latviešu literatūras vēsture, tt. 1-6, Riga 1956-1963; Lietuviu literaturos istorija, tt. 1-4, Vilnius 1957-1965; S. Cilaja, Očerki istorii gruzinskoj sovetskoj literatury, Tbilisi 1960; S. Sar'jan, Poslevoennaja armjanskaja literatura, Erevan 1966; M. Arif, Literatura azerbajdžanskogo naroda, Batumi 1958; Očerk istorii kazachskoj sovetskoj literatury, Mosca 1960; Istorija uzbekskoj sovetskoj literatury, ivi 1967; Ch. Kor-Ogly, Turkmenskaja literatura, ivi 1972; Očerki istorii tadžikskoj sovetskoj literatury, ivi 1961; Ocerki istorii kirgizskoj sovetskoj literatury, Frunze 1961.

Archeologia. - Nell'ultimo venticinquennio l'attività archeologica nell'immenso paese è proseguita a ritmo intenso. Per molti settori cronologici, le conoscenze si sono ampliate e talvolta profondamente modificate.

Per quanto riguarda il Paleolitico, il numero delle testimonianze è molto aumentato, e l'area di distribuzione delle scoperte si è ampliata verso Nord (insediamenti del Paleolitico superiore sulla Peciora, nella repubblica dei Komi). Nella stazione di Moldova, sul Dniester, un'abitazione del Musteriano è stata classificata come la casa più antica della storia umana: qui come a Kostenki sul Don si sono impostate importanti stratigrafie. Nella grotta di Kapov sugli Urali si sono rinvenute antichissime pitture rupestri (mammut, rinoceronte, cavallo). Fra le più interessanti esplorazioni riguardanti il Neolitico si può ricordare quella delle miniere di selce nella regione di Volkovysk nel territorio di Grodnenski (8° millennio a. C.): si tratta di fossi profondi fino a 10 metri, scavati con picconi fatti di corna di renna.

È mutato, con le ricerche degli ultimi decenni, il quadro della vita economica delle popolazioni del periodo Eneolitico e dell'età del Bronzo.

Nel Turkmenistan meridionale si è scavata una serie di abitati agricoli primitivi (dal 5° millennio a. C.): a Gheitun, vicino ad Anckhabad, si è scavato un insediamento che si può datare come contemporaneo ai più antichi centri agricoli conosciuti, quelli di Gherno e Hassun nella Mesopotamia meridionale; in genere le comunità agricole del Sud dell'Asia centrale presentano analogie con i resti delle culture neolitiche, eneolitiche e dell'età del Bronzo di India, Belucistan, Iran, Mesopotamia. Case a più ambienti, decorate di pitture geometriche, compaiono in alcuni abitati già nel primo Eneolitico (Iassy-Tepe, Namazga-Tepe); case ed edifici vari in mattoni crudi, circondati di mura e torri, caratterizzano i centri abitati della valle di Teghen nell'oasi di Noksiurk (4° millennio). Dell'antichissima cultura agricola di Tripolie (sul medio corso del Dnieper e del Dniester) erano note testimonianze a partire dal 3° millennio; con l'estendersi della ricerca, si è identificata una fase anteriore, risalente alla fine del 4° millennio. Fra i ritrovamenti più notevoli riguardanti la cultura di Tripolie, è da ricordare il tesoro di Korburn (repubblica della Moldavia): 852 oggetti (asce di pietra e di rame battuto, piastre di rame con figure antropomorfe, ornamenti femminili) nascosti in una pentola di terracotta. Da ricordare inoltre le tombe a cromlech (3° millennio) del villaggio di vihvatinzi sulla Moldava (fra i corredi: statuette femminili di argilla, raganelle per bambini). Per quanto riguarda la "cultura delle antiche fosse" (tribù che abitavano le steppe della Russia meridionale nell'Eneolitico), gli scavi nell'abitato di Mikhailov sul basso Dnieper hanno ampliato le conoscenze degli studiosi, testimoniando l'uso dell'allevamento e dell'agricoltura; si possono poi citare i reperti della necropoli scavata da I.I. Artemenko nella regione di Gomel, nella Russia bianca, databili alla metà del 2° millennio. Nelle regioni site all'estremo Oriente del paese, si sono rinvenuti oggetti vari, tra cui i vasi di argilla del villaggio di Vosnesenovka (scavi Okladnikov, 1964), databili al 3° millennio: eccezionale un frammento con maschera.

Nuovi collegamenti con le civiltà agricole dell'Asia anteriore sono stati identificati per i più antichi abitatori del Caucaso: qui si sono scoperti anche nuovi monumenti del 4° millennio. Sempre nel Caucaso, ma pertinenti a un'epoca di molto posteriore, sono stati scavati altri importanti monumenti: i tumuli presso il villaggio di Lciascen (13°-11° secolo a. C.), con un vallo di pietra, con cripte formate da enormi lastre pure di pietra. Questi tumuli contenevano ciascuno da uno a quattro cocchi e carri di legno (con notevoli variazioni di fattura) sui quali giacevano i defunti.

Anche la prosecuzione delle spedizioni archeologiche nel Chorezm (cfr. App. III, 1, p. 767) ha dato importanti risultati: si sono studiati gli antichi sistemi d'irrigazione con l'uso delle acque dell'Amu Daria e della Syr Daria, gli antichi insediamenti umani. Nel circondario di Taghisken sulla bassa Syr Daria sono stati rinvenuti tumuli della tarda età del Bronzo (9°-8° secolo a. C.): fra gli altri, mausolei a pianta centrale, in mattoni crudi e legno, destinati ai capi delle tribù locali.

La scoperta della città di Teiscebaini, fortezza presso Erevan capitale dell'Armenia sovietica, ha portato nuova luce alla conoscenza della civiltà urartea. L'indagine archeologica diretta da Pietrovski ha stabilito fra l'altro l'esatto momento in cui cadde sotto l'assalto degli Sciti (agosto 585 a. C.).

Fra i monumenti antichi che, sul suolo dell'URSS, richiamano particolare attenzione vi sono quelli inquadrabili nell'arte "scitica": così viene comunemente chiamata non solo l'arte degli Sciti veri e propri che occuparono nel 7°-3° secolo a. C. la regione fra il Danubio e il Don, ma di tutte le popolazioni nomadi e seminomadi prevalentemente dedite all'allevamento - soprattutto di cavalli - (diverse per razza e per lingua, ma con economia e ordinamento sociale simili) delle steppe euroasiatiche fino alla Cina settentrionale: è un'arte soprattutto decorativa, con uso frequente di materiali preziosi come l'oro (ma con tecniche che manifestano una derivazione dal lavoro d'intaglio su legno, osso, ecc.), con una prevalenza di temi animalistici (soprattutto cervi).

Fra le ricerche più importanti degli ultimi tempi, quelle di S. I. Rudenko nei tumuli dell'Altai: i tumuli, scavati soprattutto nella valle di Pazyryk (6°-1° secolo a. C.), erano coperti con terra e pietrame: servivano alla sepoltura di personaggi ragguardevoli (cui era riservata una camera mortuaria in travi di legno) con i cavalli. Le eccezionali condizioni climatiche (le infiltrazioni di acqua nei tumuli hanno dato luogo alla formazione di ghiaccio perenne) hanno consentito una perfetta conservazione di tutti gli svariati oggetti dei corredi, non solo in metallo (peraltro spesso saccheggiato già nell'antichità) o in pietra, ma anche in legno, cuoio, corno, pelliccia, feltro. Un tappeto di lana cardata del 5° kurgan di Pazyryk, dalla complessa e raffinata decorazione, è il più antico tappeto finora scoperto nel mondo.

Nel Sud dell'immensa regione, vicino al Mar Nero, è identificabile la presenza di artigiani greci: di eccezionale rilievo fra i molti esempi un pettorale in oro della regione di Dniepropetrovsk (4° secolo), con scene di vita pastorale degli Sciti, decorazioni vegetali, lotte di cavalli e grifi, o un vaso rituale d'argento (4° secolo) dal kurgan di Častye presso Voronež, con raffigurazioni probabilmente connesse a leggende sull'origine degli Sciti; o una hydria di bronzo da Mastjugino, sempre nella regione di Voronež.

Collegabile con quella degli Sciti è, in certo senso, l'arte dei Sarmati, cavalieri nomadi che, in un primo tempo vicini orientali degli Sciti stessi, si spingono poi a Ovest oltre il Don, occupandone infine in pratica il territorio a partire dal 2° secolo a. Cristo. Il loro "stile animalistico" va perdendosi, per poi ricomparire con alcune caratteristiche nuove (maggiore corposità e pesantezza, accentuazione del modellato rispetto alle tecniche derivate dall'intaglio) nei secoli seguenti l'inizio dell'era volgare. Si era visto (Rostovzev) nello stile animalistico sarmatico una fonte essenziale dell'arte germanica; oggi quest'ipotesi appare superata. Fra gli esempi più notevoli, una coppa d'argento con scene di vendemmia dal kurgan n. 1 di Novocerkassk (scavi S. I. Kaposcina, 1962: ora al Museo di Rostov), databile al 1° secolo a. C. (nello stesso kurgan, furono ritrovate falere d'oro, e altri elementi decorativi per bardature di cavalli); o un vaso smaltato, con anse d'oro e pietre preziose, da una località presso Severskaia, nella regione di Krasnodar (ora a Mosca, Museo storico nazionale), databile al 2° secolo a. Cristo.

Si sono compiuti notevoli progressi nello studio delle antiche città greche del Mar Nero (scavi nell'agorà e nel temenos di Olbia), delle città e fortezze del Bosforo (fortezze in mattoni crudi del 1° secolo a. C. nella penisola di Taman; oggetti d'arte e gioielli nella piccola Kepo, fondata da Milesii nel 6° secolo a. C., la cui vita si protrasse fino al 6° secolo d. C.), nel Bosforo Cimmerio - penisola di Kertch (abitati rurali del 4°-3° secolo a. C.) -, nel Chersoneso (pietre tombali con ritratti talvolta affrescati nel tardo rifacimento della Torre di Zenone; teatro di Chersoneso). Vedi tav. f.t.

Per l'archeologia medievale in URSS, si rimanda alla voce archeologia medievale, in questa Appendice.

Bibl.: A. Mongait, Civiltà scomparse. L'archeologia nell'URSS, trad. it., Roma 1964; B. A. Rybakov, Archéologie soviétique d'aujourd'hui, in Questions d'histoire, I (1965), p. 17 segg.; id., 50 Jahre Sowietische Archäologie, in Voprosy istorii, XLIII (1968), 1, p. 28 ss.; Tesori dell'antica arte russa, Roma, Palazzo Venezia 1967, Roma 1967; M. Artamonov, Les trésor d'art des Scythes, Parigi 1968; S. I. Rudenko, Frozen tombs of Siberia, ed. ingl. Londra 1970; T. Sulmirski, The Sarmatians, New York 1970; E. Belin de Ballu, Olbia, cité antique du littoral nord de la Mer Noire, Leida 1972; M. Artamonov, Le Royaume des Scythes, in Sovietskaia Archeologija, 1972, 3, p. 57 segg.; A. Wasowicz, Olbia pontique. La cité et son territoire, Parigi 1975; Autori vari, L'oro degli Sciti, Firenze 1977. Si vedano inoltre le riviste: Materialy i issledovanija po archeologij SSSR; Archeologija SSSR; Sovietskaja Archeologija.

Arti figurative. - La situazione nelle arti figurative degli anni Sessanta-Settanta è contrassegnata da tentativi di rinnovamento, da un certo ricupero dei valori artistici e da una ripresa di alcune dimenticate ricerche degli anni Venti. Il principio stesso del "realismo socialista" si sviluppa e si modifica, rimanendo sempre la base ideologica di creazione per la maggioranza degli artisti della Russia di oggi, fedeli alla rappresentazione figurativa e alla raffigurazione realista della vita contemporanea. L'idea stessa dell'arte nella sua funzione sociale e propagandistica, l'idea dell'importanza dell'espressione artistica nell'"edificazione del popolo", che risale alle tradizioni dell'arte russa dell'Ottocento, rimane una base di partenza sulla via della ricerca figurativa e impone agli artisti la scelta dei loro soggetti, temi e immagini. Ma cominciando dalla fine degli anni Cinquanta questi concetti si ampliano e diventano più flessibili; si rivolge molta più attenzione alle ricerche di forma, e il modo stesso della rappresentazione realista diventa più variato. L'uomo contemporaneo, il rappresentante e il creatore della società sovietica di oggi, è sempre l'eroe principale di quest'arte; diversi aspetti della sua vita e del mondo che lo circonda sono i suoi soggetti preferiti. Un grande ruolo nella rivalutazione dei valori artistici hanno in questi anni una serie di mostre personali degli artisti della vecchia generazione, le cui prime attività risalgono al primo quarto del secolo: R. Falk, P. Končalovskij, A. Lentulov, P. Kuznecov, D. Šterenberg, S. Konenkov, P. Filonov, M. Sar'jan, M. Vološin, M. Chagall, V. Čekrygin. Oltre alle mostre personali e collettive, gli avvenimenti più importanti nella vita artistica sovietica sono le grandi mostre, come la Sovetskaja Rossija ("Russia sovietica"), che si ripete ogni due-tre anni, quelle dell'Accademia di Belle Arti, delle diverse repubbliche dell'URSS, dei giovani artisti, le mostre primaverili e autunnali, quelle ancora in occasione dei diversi anniversari e le molteplici esposizioni tematiche. Queste mostre riflettono le principali tendenze e orientamenti della vita artistica sovietica, anche se la presentano sotto un punto di vista piuttosto ufficiale, emarginando quegli aspetti e quei movimenti, che rimangono chiusi nelle attività di laboratorio e negli studi dei pittori.

Molti artisti della vecchia generazione continuano a lavorare negli anni Sessanta-Settanta mantenendo i loro modi stilistici. Ancora attivi, con opere di pittura, grafica e caricatura politica, sono i "Kukryniksy" (M. Kuprijanov, P. Krylov, N. Sokolov); A. Dejneka (1899-1969) crea grandi quadri e pannelli che monumentalizzano le immagini della realtà sovietica; M. Sar'ian (1880-1972) esalta nei suoi paesaggi, ritratti e nature morte la vita dell'Armenia di oggi; B. Ioganson (1893-1973), V. Serov (1910-1968) e D. Nalbandjan (n. 1906) lavorano come prima nel campo della pittura storica celebrativa e del ritratto rappresentativo. A. Plastov (1893-1972) dipinge una vasta galleria di ritratti contadini non privi di un certo vigore espressivo; J. Pimenov (n. 1903) rende i diversi aspetti della vita delle nuove città; S. Gerasimov (1885-1964), N. Romadin (n. 1903) e J. Romas (1902-1969) lavorano nel campo del paesaggio poetico-descrittivo; G. Nisskij (n. 1903) dipinge paesaggi industriali, laconici e sintetici. I disegni, le acqueforti e le litografie di G. Verejskij (1886-1962) hanno immagini di acuto realismo; v. Favorskij (1898-1964), N. Kuzmin (n. 1890), D. Smarinov (n. 1907), E. Kibrik (n. 1906) lavorano soprattutto come illustratori di libri. Nella scenografia teatrale si distinguono V. Ryndin, A. Tyšler, N. Akimov, S. Junovič, S. Virsaladze. S. Konenkov (1874-1971) scolpisce busti monumentali in marmo e in legno, V. Vatagin (1884-1969) opera nel campo della scultura animalistica; M. Maniser (1891-1966), N. Tomskij (n. 1900), Z. Vilenskij (n. 1899), E. Belašova (1906-1971) continuano a lavorare nelle tradizioni della scultura accademica; E. Vučetič (n. 1908) crea composizioni scultoree allegoriche, assieme al grande monumento agli eroi di Stalingrado (1960-1967). L. Kerbel' (n. 1917), V. Cigal (n. 1917), M. Anikušin (n. 1917), A. Kibalnikov (n. 1912), I. Slonim, N. Nikogosjan, L. Lankinen cercano di trovare in scultura forme di espressione figurativa più moderne. Anche nella pittura si delineano le personalità degli artisti della generazione di mezzo: J. Kugač (n. 1917) con le sue scene di genere; E. Moiseenko (n. 1916), che con la sua pennellata larga, rapida e distesa, rende il dinamismo e la tensione degli anni della rivoluzione e della guerra civile; V. Stožarov, A. Gricaj con i loro paesaggi del Nord e delle antiche città russe; M. Aslamasjan, autrice di paesaggi e nature morte piene di vivaci contrasti di colori. Nel superamento delle tendenze accademiche, retoriche e naturalistiche verso la fine degli anni Cinquanta appare nella critica sovietica il concetto dello "stile contemporaneo", che per reazione tende a un'espressione laconica, severa, dinamica e monumentale, priva della descrittività e della pomposità tipica degli anni precedenti. Compare una nuova generazione di artisti, tra cui bisogna nominare prima di tutto: G. Koržev, autore dei trittici Comunisti e Bruciati dal fuoco della guerra, in cui le immagini si presentano nella chiave del naturalismo espressionista; P. Nikonov, uno dei creatori del nuovo stile laconico e monumentale nei quadri I nostri giorni, Geologi, Lo stato maggiore di Ottobre; N. Andronov, creatore d'immagini sobrie e severe; D. Žilinskij, che nelle sue composizioni statiche rende la natura con una particolare attenzione; V. Popkov, attirato dalle immagini impressionanti del Nord della Russia; T. Salachov, pittore di Azerbaidžan, che rende le immagini in toni aspri e freddi, con un'espressività particolare. Occorre anche citare i nomi di P. Ossovskij e dei fratelli A. e P. Smolin, anch'essi attirati dalle possibilità espressive dello stile laconico e severo; A. Nikič, con i suoi paesaggi di città e le nature morte calme e sobrie. Accanto a loro lavorano artisti dediti a una ricerca specificamente pittorica: K. Mordovin, M. Nikonov, B. Birger, M. Ivanov, con i suoi paesaggi ricchi di gradazioni coloristiche, V. Veisberg, che elabora instancabilmente nelle sue molteplici nature morte gli effetti raffinatissimi del "bianco sul bianco". Nel campo della scultura tra gli artisti della nuova generazione si distinguono: A. Drevin, che usa gli effetti specifici del materiale nelle sue sculture in legno; O. Komov, con le sue piccole graziose scene di genere: D. Šachovskoj, F. Fivejskij e molti altri. Nel campo della grafica si sviluppano particolarmente le tradizioni della scuola di V. Favorskij con la sua interpretazione poetica dello spazio in xilografia e nell'incisione su linoleum (A. Gončarov, I. Golicyn, G. Zacharov, A. Ušin, J. Manuchin, A. Borodin, J. Vasil'ev, I. Obrosov, J. Mogilevskij) e si esplorano anche altre vie di espressione grafica nel disegno e nelle illustrazioni per libri (D. Bisti, J. Sooster, B. Markevič, B. Svešnikov, M. Miturič, I. Bruni, I. Glazunov, V. Pivovarov), Anche nel campo della scenografia teatrale appaiono nuovi nomi: P. Belov, V. Levental, B. Messerer, D. Borovskij, E. Stenberg. Tra i più giovani si possono indicare anche i nomi di M. Odnoralov, O. Lošakov, E. Strulev, O. Filatčev, G. Muntjan, V. Skalkin e di molti altri. Un posto particolare occupa un gruppo di artisti, che per la maggioranza, non facendo parte dell'"Unione dei pittori", svolgono loro ricerche nel campo dell'espressionismo, del surrealismo, del metafisico, della pop-art e dell'arte astratta (A. Zverev, D. Plavinskij, V. Jakovlev, A. Charitonov, D. Krasnopevcev, V. Jankilevskii, V. Nemuchin, I. Kabakov, M. Kulakov, O. Kandaurov e gli altri). Negli ultimi anni alcuni artisti sovietici "non-conformisti" sono emigrati all'estero, soprattutto in America e a Parigi: O. Rabin, la cui ricerca ha una forte intonazione espressionista, J. Kuperman, che, affascinato dalla magia dei frammenti della realtà, lavora, utilizzando una fine gradazione di colori grigi, opalescenti, pieni di luce diffusa, M. Chemiakin, creatore di un mondo fantastico delle immagini della vecchia Russia, O. Celkov, attirato dall'espressività del colore forte e sonoro, S. Essajan, le cui fantastiche immagini sorgono da un ricco registro di toni caldi, rossi e ocra; scultori come E. Neizvestnyj, con un linguaggio dinamico di forme espressive e violente, piene di energia, o I. Chelkovskij, che crea in legno sofisticate composizioni cromatiche.

La situazione artistica nelle diverse repubbliche dell'URSS presenta un panorama abbastanza complesso e variato per la diversità delle ricerche figurative basate sulle tradizioni nazionalì di questi paesi. Le repubbliche baltiche si caratterizzano per l'animazione particolare della loro vita artistica. I pittori dell'Estonia (E. Okas, L. Munga, N. Kormašov, T. Vint, R. Korstnik, L. Mikko, O. Subbi e altri), della Lettonia (E. Kalnin, L. Zarin, B. Berzin, E. Iltner, V. Kalnrose, L. Kokle, R. Valnere, D. Skulme, J. Švažas e altri) e della Lituania (A. Gudaitis, A. Savickas, L. Surgajlis, G. Mitrevč e altri) seguono proprie vie di espressione artistica, affermando la loro nazionale concezione del colore, della maniera pittorica e dell'immagine artistica in generale. La scultura dei paesi baltici (A. Starkopf, L. Laas in Estonia, A. Briede, L. Davydova-Medene, A. Dumpe, V. Alberg in Lettonia; G. Iokubonis e J. Mikenas in Lituania) si distingue per la sobrietà dell'espressione plastica, per il gusto per la generalizzazione delle forme. Un interesse particolare presenta lo sviluppo dell'arte grafica di questi paesi, che trova riflesso nelle mostre biennali di grafica che si organizzano nelle loro capitali. L'inclinazione all'impiego delle tecniche grafiche complesse e difficili, il fine gusto lineare, un'attenzione speciale per la gradazione dei toni o i forti contrasti del bianco e del nero permettono sempre di distinguere le loro opere tra la produzione grafica nelle altre regioni dell'URSS. Aspetti interessanti manifesta anche la vita artistica nei paesi del Caucaso. Non soltanto agli artisti della vecchia generazione (come M. Sar'jan, E. Kočar, G. Grigorjan in Armenia; L. Gudiašvili, E. Achvlediani, L. Bažbeuk-Melikjan, S. Kobuladze in Georgia; P. Sabsaj in Azerbaidžan) si deve l'originalità dell'arte nel Caucaso di oggi, ma anche ai molti giovani, che, pur seguendo le tradizioni dei loro maestri, cercano di elaborare il proprio linguaggio di espressione artistica (M. Abdullaev, T. Salachov, N. Abdurachmanov, T. Narimanbekov e altri in Azerbaidžan; N. Ignatov, G. Gelovani, R. Tordia, B. Švelidze, Z. Nižaradze, V. Kandelaki, G. Narmania, D. Eristavi e altri in Georgia; A. Minas, M. Avetisjan, S. Muradjan, E. Zàkarjan, R. Adaljan, A. Parsamjan e altri in Armenia). In Ucraina lavorano i pittori T. Jablonskaja, O. Pavlenko, M. Deregus, N. Zadorožnyj, V. Čekaniuk, gli scultori V. Borodaj, I. Kolomiec, nel campo della grafica V. Kasian, G. Jakutovič; in Bielorussia i pittori M. Savickij, V. Cvirko, M. Dancig.

Un ruolo importante nel panorama generale dell'arte sovietica di oggi ha lo sviluppo dell'arte monumentale legato al grande incremento delle costruzioni edilizie. Nella decorazione dei nuovi edifici pubblici lavorano squadre di pittori, scultori, mosaicisti, ceramisti, ecc. Notevoli anche i risultati nel campo delle pitture parietali o in quelli delle vetrate, dei pannelli di ceramica, delle decorazioni in graffito. Una serie di complessi e monumenti scultorei realizzati negli anni Sessanta-Settanta sono anche un'espressione molto tipica di quest'epoca con la sua inclinazione verso le forme sobrie e generalizzate. Tra le opere considerate più interessanti dalla critica sovietica si ricordano: l'impressionante complesso monumentale dedicato agli eroi di Stalingrado, la composizione di sculture monumentali a Salaspils (1967), il Monumento alla Rivoluzione di Ottobre a Riga, il Mausoleo dei 26 commissari a Baku (1968).

Un ruolo importante tra i problemi artistici dell'Unione Sovietica hanno in questi anni i diversi lati del design e dell'arte industriale, in cui si comincia a ricordare la lezione del Vchutemas, la scuola artistica degli anni Venti, che cercava di legare l'arte all'industria. Negli anni Sessanta a Mosca viene fondato l'Institut techničeskoj estetiki (Istituto dell'estetica industriale), uno specifico centro del design dove lavorano insieme pittori, architetti, ingegneri, psicologi, sociologi, economisti, critici d'arte, che si occupano dei problemi dello sviluppo dell'arte industriale.

Architettura. - Il rinnovamento della vita culturale sovietica, cominciato dopo il 1955, si è fatto sentire innanzi tutto nel campo dell'architettura, che, liberatasi dal pomposo eclettismo degli anni Quaranta-Cinquanta, si è orientata verso l'edilizia di massa, con larga utilizzazione di nuovi materiali e metodi di costruzione e con l'impiego di elementi prefabbricati, sulla base della valorizzazione estetica della funzionalità e della razionalità dell'edificio. L'edilizia di massa degli anni Sessanta-Settanta prende uno slancio straordinario, che colpisce prima di tutto per la quantità dei nuovi edifici, quartieri e intere città e villaggi, per la rapidità con cui si cambia l'aspetto delle vecchie città. In questi anni si costruiscono i grandissimi nuovi quartieri residenziali alla periferia di Mosca, Leningrado, Kiev, Minsk, Vimius, Riga, Taskent, Vladivostok, Novosibirsk e di altre città; sorgono i grandi complessi industriali: le centrali idroelettriche di Krasnojarsk (1971, con la sua diga di 124 m di altezza e 1165 m di lunghezza), di Saratov, di Bratak, di Ladyžinsk; gli stabilimenti dell'industria di automobili di Volga e di Kama; nascono i quartieri industriali a Vitebsk, Brest, Kaunas, Kišinev, Leningrado, Kemerovo, Uljanovsk; si progettano e si costruiscono nuove città (Togliattigrad, Navoi, Ševčenko, Zelenograd, Sumgait, Naberežnye Čelny, Rustavi e altre) e nuovi villaggi.

Già alla fine degli anni Cinquanta si sono evidenziati anche i punti deboli di una tale colossale attività edilizia: la monotonia e l'uniformità dei nuovi quartieri, la banalità dei progetti-tipo delle case d'abitazione, il livello insufficiente dei lavori di costruzione, di montaggio e di finitura, la violazione, in certi casi, del carattere storico dell'architettura delle vecchie città. I tentativi di superare questi difetti, ampiamente discussi nell'ambiente degli architetti e sulla stampa, hanno ottenuto negli ultimi anni alcuni risultati positivi. Nella tecnica edilizia predominano le costruzioni in cemento armato, si sviluppa l'uso degli elementi prefabbricati nelle diverse variazioni, si sperimentano diverse soluzioni di appartamenti-tipo e di diversi materiali di rifinitura. I metodi di costruzione industriale nel 1970 incidono per oltre l'80% su tutta l'attività edilizia sovietica. Se negli anni Cinquanta si preferirono le case di abitazione di 5-6 piani, la maggior parte di queste costruzioni negli anni Sessanta ha 9-12 piani. Per effetto dell'intensificazione dei lavori di costruzione, dal 1961 al 1971 la superficie abitabile generale è raddoppiata. Dopo il geometrismo uniforme della fine degli anni Cinquanta e dell'inizio degli anni Sessanta, gli architetti cercano di trovare composizioni architettoniche più espressive, di accentuare il plasticismo dell'architettura, di arricchirla del colore, d'inserire nell'insieme gli elementi decorativi di un mosaico o di una scultura e di usare largamente il verde per creare l'ambiente caratteristico delle città moderne.

Uno degli esempi di queste ricerche si può vedere nella città della Scienza (Akademgorodok) presso Novosibirsk, costruita sempre all'inizio degli anni Sessanta. Il nuovo piano regolatore di Mosca (compilato sotto la direzione di M. Posochin) prevede l'edificazione di zone industriali nelle periferie della città, una distribuzione più regolare delle industrie, la creazione di grandi zone verdi e la costruzione di molti nuovi quartieri, alberghi, cinema, ecc. A Mosca si creano, accanto a nuovi grandi quartieri, anche i microquartieri, secondo un progetto standard. Nel centro di Mosca si ricostruiscono piazza Oktjabrskaja e via Dimitrov e si edifica il grande prospekt Kalinin ("Nuovo Arbat"), che per lo slancio verticale dei suoi grattacieli, anche se inadeguati ai vecchi quartieri che lo circondano, porta un accento moderno all'ambiente storico della città. Anche gli edifici pubblici vengono costruiti per la maggior parte da grandi collettivi di architetti, che, basandosi sulla tradizionale combinazione della struttura in cemento armato con le grandi superfici di vetro, usano largamente come materiali di finitura il marmo, il granito, l'alluminio, diversi tipi di ceramica e di mattonelle e decorano le loro opere con mosaici e vetrate. Dopo uno dei primi grandi edifici pubblici di questo genere, il Palazzo dei congressi al Cremlino di Mosca (1961, di M. Posochin, A. Mndojanc, E. Stamo e altri), appaiono il Palazzo dei pionieri sulle colline Lenin di Mosca (19601962), il Palazzo della cultura di Alma-Ata (1967-1971), il Palazzo della cultura "Ucraina" a Kiev, il Museo Lenin a Taškent, il complesso eretto alla memoria di Lenin a Uljanovsk, ecc. Particolare interesse dal punto di vista della tecnica di costruzione presentano la torre della televisione (altezza 533 m, eretta con l'utilizzazione di una struttura preventivamente tirata con funi di acciaio e su fondamenta circolari di cemento armato di 60 m di diametro) e tutto il Centro della radiotelevisione nel quartiere di Ostankino a Mosca (1960-1970). In questi anni sono stati costruiti anche: l'edificio del nuovo circo di Mosca per 3400 posti (1971), il teatro delle marionette a Mosca, nuovi stadi, aeroporti, alberghi, scuole, tipografie, case della cultura, stazioni fluviali, complessi turistici in località di cura, ospedali, padiglioni per mostre, in un imponente programma di arricchimento e di ammodernamento urbanistici che interessa tutte le repubbliche dell'URSS. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Riviste: Iskusstvo ("Arte"); Tvorčestvo ("Creazione"); Architektura SSSR ("Architettura dell'URSS"); Stroitel'stvo i architektura Moskvy ("Costruzione e architettura di Mosca"), in russo, anni 1960-1979; 34a Biennale Internazionale d'arte di Venezia, 1968, Catalogo, pp. 157-60; J. Nickolson, La nouvelle gauche à Moscou, in L'Art vivant, n. 23, Parigi 1971; Vystavka proizvedenij členov Akademii Chudožestv SSSR ("Mostra delle opere dei membri dell'Accademia di Belle Arti dell'URSS"), in russo, Catalogo, Mosca 1973; Architekturnoje tvorčestvo SSSR ("La creazione architettonica nell'URSS"), in russo, n. 2, ivi 1974; Pittura russa e sovietica dal secolo XIV ad oggi, Catalogo della mostra, Roma, Palazzo Venezia, 12 febbr.-15 apr. 1974.

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