Rattazzi, Urbano

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Uomo politico (Alessandria 1808 - Frosinone 1873). Esponente della sinistra al Parlamento piemontese e ministro, nel 1852 strinse un'alleanza parlamentare (il cosiddetto connubio) con Cavour. Ministro di Grazia e giustizia (1853) e dell'Interno (1855), promosse la legge sulla soppressione degli ordini religiosi contemplativi. Ministro degli Interni (1859-60) con A. Lamarmora, dopo l'unificazione fu presidente del Consiglio (1862; 1867) e fermò l'azione militare di Garibaldi in Aspromonte, diretta alla conquista di Roma.

Vita e attività

Fece gli studi di giurisprudenza all'università di Torino, e tornato in provincia, seppe in breve situarsi tra i più valenti avvocati del senato di Casale. Cominciò a occuparsi di politica attorno al 1847. Nell'agosto di quell'anno, adunatosi in Casale il congresso agrario, si tennero in casa sua adunanze per la compilazione di quell'indirizzo a Carlo Alberto, con cui si chiedeva l'istituzione della Guardia civica. Concesso lo statuto e indetti i comizi generali, nel 1848 fu eletto deputato al parlamento subalpino e alla Camera sedette a sinistra. D'allora in poi egli fu uno dei parlamentari più in vista. Ministro dell'Istruzione e poi dell'Agricoltura e del Commercio nel gabinetto Casati (1848), dopo l'armistizio Salasco passò all'opposizione, caldeggiando la ripresa delle ostilità. Considerato ormai come il rappresentante della sinistra, il 16 dicembre 1848, succeduto al Perrone il Gioberti, con un ministero che fu detto democratico, R. fu nominato ministro guardasigilli: e primo suo atto fu una circolare ai vescovi con la quale li minacciava d'arresto, se avessero continuato a predicare e a far pastorali contro le nuove istituzioni. Dopo un breve periodo di intesa con Gioberti, dal quale si separò perché contrario all'ipotesi di un intervento piemontese in Toscana contro i democratici, diede vita a una nuova maggioranza parlamentare di centro-sinistra e appoggiò il ministero d'Azeglio, votando in favore delle leggi Siccardi. Nel 1852 strinse un'alleanza parlamentare con Cavour (il cosiddetto connubio), e durante il ministero da questi presieduto ricoprì la carica di ministro di Grazia e Giustizia (1853) e poi dell'Interno (1855). Fautore di un ridimensionamento del potere temporale della Chiesa, nel 1854 presentò un progetto di legge, approvato nel 1855, sulla soppressione degli ordini religiosi contemplativi e sul passaggio dei loro beni allo stato. Criticato dall'estrema destra per questo motivo e per non essere riuscito a reprimere i moti mazziniani a Genova (1857), dopo le elezioni del 1857, vinte dai conservatori, fu costretto a dimettersi su richiesta dello stesso Cavour. Ministro degli Interni (1859-60) con Lamarmora, iniziò un'opera di riorganizzazione legislativa e amministrativa, promulgando tre nuovi codici (penale, di procedura penale, di procedura civile). Dopo la formazione del Regno d'Italia fu tra i più tenaci sostenitori della necessità di portare a compimento l'unificazione nazionale. Divenuto presidente del Consiglio (1862), cercò di sfruttare l'azione di Garibaldi, ignorando volutamente le spedizioni che quest'ultimo stava preparando per liberare Roma e il Veneto, con l'obiettivo di porre Francia e Austria davanti al fatto compiuto. La reazione delle due potenze costrinse però R. a fermare l'azione garibaldina prima a Sarnico, poi in Aspromonte. Criticato sia da destra sia da sinistra, si dimise. Richiamato dal re alla guida del governo (1867), R. riprese la sua politica ambigua per liberare Roma, ma l'intervento francese fece fallire i suoi piani costringendolo a far arrestare Garibaldi a Sinalunga e a lasciare nuovamente il potere (1867).

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