BALBANI, Turco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALBANI, Turco

Gemma Miani

Nacque a Lucca da Agostino e da Lucrezia Sbarra, sua seconda moglie, il 15 luglio 1526. La famiglia del B. era ascesa di recente al rango della più cospicua aristocrazia mercantile di Lucca, e la società dei due fratelli Agostino e Francesco Balbani si andava affermando come uno dei principali consorzi commerciali della città.

Quando nel 1534 il padre del B. morì, lasciò ai dieci figli, avuti da due successivi matrimoni, una notevole fortuna, investita per la maggior parte nei commerci e nella manifattura di drappi serici. Francesco Balbani assicurò la continuità dell'azienda ed assunse la tutela dei nipoti avviandoli, via via che raggiungevano la maggiore età, alla collaborazione attiva con i propri figli, nella grande società familiare.

Fino all'età di diciassette anni il B. frequentò le scuole a Lucca.

Erano quelli gli anni del soggiorno lucchese di C. S. Curione e della prima grande diffusione delle dottrine riformate nella città. Assieme al fratello Niccolò, che divenne più tardi ministro della Chiesa italiana riformata di Ginevra, il B. fu certo uno dei simpatizzanti più ardenti delle nuove idee. Nella propria autobiografia, composta sul finire della vita, il B. disse poco di questi primi anni lucchesi, ma fece risalire a questo periodo l'origine del proprio orientamento religioso, e ne indicò le premesse nell'influenza della prima educazione ricevuta dal padre. L'adesione ad una religiosità più intima e immediata che il B. aveva appreso nella famiglia si tradusse, più tardi, nel clima di lotta controriformistica degli anni 1550-60, in una rottura aperta con il cattolicesimo. Ma già prima di prendere la via dell'esilio il B. aveva potuto consolidare i propri principi religiosi nel clima di relativa libertà spirituale di Anversa e di Lione. In quelle città, dove il B. trascorse lunghi periodi della propria vita per l'esercizio del commercio, egli si trovò in contatto stretto con i gruppi di mercanti lucchesi seguaci delle dottrine riformate; tra costoro egli si legò più strettamente agli Arnolfini, ai Michaeli e ai Diodati, i quali tutti lo precedettero nell'esilio.

Nel 1543 il B. fu inviato dal tutore Francesco Balbani ad Anversa per apprendere l'arte della mercatura nella succursale fiamminga della società familiare. Fece il viaggio in compagnia di Michele Diodati, e in quella città si trovò alle dipendenze del più anziano cugino Tommaso di Francesco Balbani.

Il B. si soffermò in Anversa una decina d'anni. In questo periodo compì due soggiorni a Lucca. La prima volta ritornò in patria per ristabilirsi dalla febbre quartana che aveva contratto nelle Fiandre: giunto a Lucca nell'agosto 1547, ripartì per Anversa nell'aprile dell'anno seguente in compagnia di Vincenzo Diodati. Quando nel gennaio 1548 la società familiare fu rinnovata in compagnia con i Bernardini, con la costituzione di un corpo di compagnia globale di 90.000 scudi, il B. fu addetto, assieme a Tommaso Balbani, alla direzione della succursale di Anversa, che era stata costituìta con capitale di 20.000 scudi, sotto i nomi dei tre cugini "Giovanni, Tommaso e Matteo Balbani e C.".

A questo periodo risalgono i primi legami con la famiglia Michaeli: nel 1549 la sorella del B., Zabetta, sposò Francesco Michaeli uno dei più ferventi seguaci delle dottrine riformate e successivamente tra i primi lucchesi esuli in Svizzera per motivi religiosi; nello stesso anno il B. designò come sua futura sposa la giovanissima sorella di Francesco Michaeli, anch'essa di nome Zabetta, che aveva allora solo otto anni. Il contratto di matrimonio, stipulato a Lucca dal procuratore del B., fissava la data delle nozze al 1555.

Nell'agosto 1550 il B. partì da Anversa per un secondo soggiorno a Lucca. Nel viaggio verso l'Italia si soffermò a Lione dove incontrò Francesco Michaeli ed assieme a lui compì l'ultima parte del viaggio verso Lucca. Tornò ad Anversa nell'aprile del 1551 in compagnia di Gabriele Samminiati. Dopo la partenza di Tommaso Balbani, il B. tenne la direzione di quella succursale, con l'aiuto dei propri fratelli minori Bartolomeo e Biagio.

Nell'estate del 1553 abbandonò definitivamente la direzione degli affari della società fiamminga per fare ritorno in patria. Partì da Anversa il 21 agosto e giunse a Lucca il 23 settembre; ebbe come compagni di viaggio Battista e Francesco Amolfini, i soci di Francesco Michaeli, anch'essi più tardi incriminati di eresia.

Il 1° apr. 1554 il B. costituì una compagnia assieme allo zio Francesco Balbani per la direzione di una bottega di manifattura serica a Lucca. La società prese la ragione sociale "Francesco e Turco Balbani e C.", ed al governo di essa stette il B., coadiuvato dal cugino Giovanni di Francesco Balbani e da Gabriello di Bonaccorso Balbani.

Il 1° genn. 1555, riformata la ragione sociale, fu fondato un nuovo consorzio di compagnie con la collaborazione dei figli di Francesco Balbani e degli eredi di Agostino Balbani. Il capitale della compagnia ammontò complessivamente a 70.000 scudi, suddivisi tra cinque società: due botteghe e un banco a Lucca e due società all'estero (Lione e Anversa).

Il B. assunse la direzione di una delle due botteghe lucchesi nuovamente chiamata "Francesco e Turco Balbani e C.", con capitale di 20.000 scudi, ed ebbe ancora la collaborazione di Gabriello di Bonaccorso Balbani e del cugino Giovanni di Francesco. Dava contemporaneamente il proprio nome anche alla società lionese "Giovanni, Turco e Bartolomeo Balbani e C." e alla società di Anversa "Giovanni, Turco e Biagio Balbani e C.". Ognuna di queste due società aveva un capitale di 10.000 scudi.

L'associazione doveva avere la durata di quattro anni. Il B., che si era riservata la sede lucchese, non se ne allontanò in questo periodo che una sola volta, in occasione di un viaggio a Lione compiuto tra il 6 maggio e il 29 sett. 1558. Con la scomparsa del capo della famiglia Balbani, Francesco, morto nell'estate del 1556, era venuto meno l'elemento che cementava l'unione tra i membri della società. Sul finire del 1556, ancor prima della scadenza dell'associazione del 1555, Giovanni di Francesco Balbani si separò dai fratelli fondando a Lucca una propria casa bancaria; anche il B. procedette alla divisione con i propri fratelli Biagio e Bartolomeo del patrimonio familiare fino ad allora comune. Nel 1559, assieme a Gabriello Balbani, figlio di Bonaccorso, il B. entrò a far parte della compagnia "Eredi di Antonio e Turco Balbani e C.".

Antonio Balbani, che non aveva discendenti diretti, aveva testato a favore di parecchi membri della famiglia Balbani, anzi quasi tutti i Balbani allora viventi avevano avuto la loro parte nell'eredità. Tra gli eredi principali furono per 1/12 in parti uguali i figli di Francesco e di Agostino Balbani, i discendenti di Niccolò Balbani (1466-1521), Timoteo, col figlio Niccolò, e Luiso con i figli Gregorio e Lelio; per 1/4 Gabriello di Bonaccorso Balbani; per 1/4 il nipote di Arrigo Balbani (1470-1530), Pietro di Paolo; per 1/6 i discendenti di Michele Balbani (1471-1521) e cioè il figlio Giorgio e il nipote lacopo di Iacopo; per 1/4 Stefano, Massinissa e Biagio, figlio di quel Guglielmo di Carlo Balbani allontanatosi da Lucca per motivi religiosi.

Il B. diresse la bottega di manifattura serica di questa compagnia lucchese fino al 1562. Ebbe allora ai suoi ordini anche uno dei due figli di Luiso Balbani, il giovane Lelio.

La bottega lucchese appare in quel periodo strettamente legata da un lato alla società di Anversa diretta da Giovanni di Bonaccorso e da Niccolò di Timoteo Balbani, dall'altro alla bottega lucchese costituita a nome di Pietro Balbani, con la quale collaborava Timoteo Balbani. Uno dei coeredi di Antonio Balbani, Giorgio di Michele Balbani, si trovava in quegli anni a Parigi, ma non sappiamo se questo suo soggiorno avesse relazione con gli affari della società. È probabile che la compagnia si servisse, come corrispondente sulla piazza di Lione, della succursale dell'azienda di Giovanni di Francesco Balbani, che era diretta da Arrigo Balbani. I rovesci finanziari del 1562, che travolsero dapprima questa succursale lionese e poi tutta la rete commerciale di Giovanni Balbani, si ripercossero duramente sulle botteghe lucchesi di Pietro Balbani e degli "Eredi di Antonio e Turco Balbani", che dovettero chiudere i battenti. È in relazione a queste difficoltà finanziarie il viaggio che il B. fece a Lione (20 aprile - 5 settembre).

Il B. entrò quindi nella bottega lucchese di Biagio di Guglielmo Balbani. Dopo un anno i profitti tratti da questa impresa gli avevano permesso di ristabilire parzialmente la propria situazione finanziaria.

Nel 1564 i fratelli Tommaso, Matteo e Filippo Balbani divisero tra loro il patrimonio e il capitale che fino ad allora era rimasto comune. Il B. si accordò quindi con Filippo, che aveva aperto a Lucca la nuova bottega "Orazio, Federico Balbani e C.", per aprire e dirigere la succursale di Lione "Filippo e Turco Balbani e C.".

Partì da Lucca nel maggio 1564 dopo aver redatto il suo ultimo testamento. Ebbe come compagni di viaggio Arrigo di Giovanni Balbani e Pompeo Diodati, due personaggi ai quali era legato dalla comune adesione alla "vera religione riformata", come lo stesso B. ebbe a dire nell'autobiografia. Per il B. e per Pompeo fu quella la partenza definitiva da Lucca: la meta obbligata sarebbe stata presto Ginevra, dove il Diodati doveva prendere la direzione della "Grande Boutique", l'azienda per la manifattura ed il commercio dei drappi di seta costituita dai Lucchesi emigrati.

La decisione di prendere la direzione dei negozi lionesi non era stata dettata al B. da ragioni esclusivamente economiche. Egli stesso affermò di "avere messo quelli negotii innanzi, acciò che potesse con quel pretesto tirare fuori di cattività la sua famiglia et ritirarsi poi in qualche luogo dove avesse puro essercitio della religione". Si appesantiva in quegli anni sulla Repubblica lucchese la politica di repressione religiosa, che la signoria era stata suo malgrado costretta a far propria, sotto le pressioni congiunte di Roma, della Spagna e della minacciata invasione medicea. Già il fratello del B., Niccolò, si era allontanato da Lucca per non farvi più ritorno e dal 1556 si era stabilito a Ginevra. Francesco Michaeli aveva seguito la stessa via, conducendo con sé i figli e la moglie - sorella del B. - nel paese di Gex. Furono probabilmente ragioni di prudenza che indussero il B. a ritardare il trasferimento della famiglia all'estero, ma la sua intenzione appare chiara nella corrispondenza che egli indirizzò alla moglie e ai figli a Lucca tra l'aprile e l'agosto 1564. Da questo epistolario, di cui cinque lettere sono conservate nella Biblioteca governativa di Lucca, appare inoltre come il B. avesse assunto il ruolo di guida spirituale per i correligionari rimasti a Lucca. È questa una prova del fatto che, malgrado il controllo e la repressione religiosa, continuavano allora a sussistere delle relazioni tra i Lucchesi rimasti in patria e i gruppi di concittadini emigrati all'estero per avere aderito alla Riforma. Nella lettera che scrisse in quel periodo alla moglie il B. accennava al rischio di spedire a Lucca certe scritture, ma prometteva di fargliele avere con la prima occasione "sicura". Ma un'estrema prudenza era necessaria nell'intrattenere questi contatti. Ciò spiega il procedere velato nelle allusioni a persone e a fatti, e il tono genericamente cristiano degli argomenti, in cui il Lucchesini - nella sua storia letteraria di Lucca - non trovò nulla che non fosse conforme al dogma cattolico, se non forse un "eccesso" nelle citazioni di s. Paolo. Nella prima di queste lettere, indirizzata ai confratelli riformati lucchesi, il B. cercava di ravvisare la loro fede e li incitava alla fermezza di fronte ai pericoli. Alla moglie Zabetta Michaeli è indirizzata la seconda lettera, in cui il B. ricorda le discussioni avute assieme sulla fede, rincuorandola a superare con fermezza la prova della loro separazione. La terza lettera del B. è indirizzata ai figli, ed altre due si rivolgono a due donne lucchesi svolgendo un tema consolatorio, nei riguardi dell'una per la morte del figlio, nei riguardi dell'altra per la morte recente del marito.

Il 7 ag. 1564 il B. morì di peste a Lione.

Lasciò a Lucca la moglie con sette figlioli. Le condizioni finanziarie della famiglia non dovevano essere prospere, se qualche anno dopo, nel 1569, i curatori dell'eredità del B. furono costretti a vendere dei beni per saldare alcuni debiti.

Le quattro figlie del B. furono maritate: Laura (n. nel 1555) a Niccolò Buiamonti, Caterina (n. nel 1558) a Domenico Berti, Susanna (n. nel 1562) a Girolamo di Giovanni Balbani, e Sara (n. nel 1563) ad un Santini.

Dei tre figli maschi, il maggiore, Cesare (1556-1621), che più di tutti aveva potuto essere sensibile all'educazione paterna, raggiunta la maggiore età si stabilì a Ginevra. I due minori, Ottavio (nato nel 1559) e Giambattista (nato 1561 morto dopo il 1597), rimasero a Lucca. Quest'ultimo, nel testamento del 1597, lasciò eredi delle sue sostanze le sorelle e la madre, Zabetta Michaeli, che visse fino al 1609.

Nel quindicennio 1550-1564 il B. si era dedicato alla continuazione della Storia di una memoria che fece Agostino di Giovanni Balbani a Lucca nell'anno del 1524, opera che conteneva le biografie di tutti i membri di casa Balbani. Il B. vi lavorò probabilmente nel 1552 e nel 1562-64, aggiornando fino alla data della sua morte la storia della famiglia. Si tratta di annotazioni quasi diaristiche, redatte in uno stile più sommario di quello del padre. La personalità del B. si rivela soprattutto nelle espressioni di simpatia verso i Balbani suoi correligionari; in genere si astiene però da giudizi di condanna verso i familiari fedeli al cattolicesimo. Il manoscritto contenente le aggiunte del B. passò al figlio Cesare, a Ginevra, dove fu completato nei primi anni del sec. XVII da Vincenzo Burlamacchi.

Fonti e Bibl.: Genève, Bibl. publique et universitaire, Libro dei dignissimi ricordi delle nostre famiglie, raccolti da V. Burlamacchi, Cronaca della famiglia Balbani, ff.26-27; Lucca, Bibi. governativa, ms. 1103, G. V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi, Famiglia Balbani, ff.39-48, 53, 54, 63-64; C. Lucchesini, Della storia letteraria del ducato lucchese libri sette, in Mem. e doc. per servire all'Istoria del Ducato di Lucca, IX, Lucca 1825, p. 234; F. Tocchini, Note sulla riforma a Lucca dal 1540 al 1565, in Boll. stor. lucchese, IV (1932), n. 2, p. 120; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese a Ginevra nel sec. XVI, in Riv. stor. ital., L(1933), pp. 39-41.

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