TIPOGRAFIA

Enciclopedia Italiana (1937)

TIPOGRAFIA

Luigi PAMPALONI
Tammaro DE MARINIS
Francesco VATIELLI
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. È l'arte di comporre e stampare libri o altri lavori per mezzo di tipi, cioè di caratteri mobili. Con tale nome si indica anche l'officina nella quale si compone, si stampa e si fa l'allestimento. Comunemente il pubblico la chiama stampa, e stamperia l'officina in cui si fa tale lavoro, ritenendosi tali nomi sinonimi di tipografia; ma in realtà la stampa non è che un nome generico che, oltre alla stampa tipografica, comprende altri generi di stampa, come quella sui tessuti, su cuoio, su legno, su metallo, la stampa fotomeccanica, calcografica, litografica, ecc.

L'esercizio dell'arte tipografica consta di due parti ben distinte, della composizione cioè e dell'impressione; in ogni officina tipografica quindi esistono il reparto composizione e il reparto impressione; vi ha inoltre un terzo reparto di legatura o allestimento, nel quale vengono piegati e cuciti i fogli stampati. Gli operai che attendono alla composizione si chiamano compositori, quelli che attendo all'impressione (o stampa) impressori, e quelli che attendono all'allestimento legatori o librai.

Composizione tipografica. - Il lavoro di composizione tipografica può essere fatto in due maniere, o a mano o mediante speciali macchine. Nella composizione a mano il compositore raccoglie dalla cassa dei caratteri le varie lettere necessarie per formare le parole e le linee, che raggruppate e convenientemente spaziate costituiranno il blocco di composizione che dovrà poi essere impresso sulla carta.

Per comporre quindi sono necessari prima di tutto i caratteri. Con il nome carattere s'indica il tipo mobile, sia esso di metallo o di legno, e più particolarmente una collezione di lettere di uguale grossezza e forma, compresi i bianchi tipografici, tali cioè da potersi combinare tra loro per comporre la forma atta alla stampa. Può anche indicare l'insieme di tutte le lettere contenute in una cassa tipografica. I bianchi tipografici sono quei tipi che, pur facendo parte della composizione, non risultano stampati sulla carta, ma servono a distaccare tra loro le parole e le linee.

I tipi di metallo, che vengono fusi sulle relative matrici nelle fonderie di caratteri, sono costituiti da una lega metallica di piombo, antimonio e stagno, in proporzioni differenti secondo che si voglia ottenere una lega più dura o più tenera: piombo da 80 a 54%, antimonio da 19 a 29%, stagno da 1 a 17%. Ogni tipo ha la forma di un parallelepipedo a sei facce (fig.1), nel quale si riscontrano le seguenti parti: 1. l'occhio, parte superiore del carattere, portante in rilievo la lettera in senso inverso a come viene letta, e che naturalmente nella stampa risulterà diritta. 2. la spalla, spazio vuoto lasciato dalla lettera alla superficie del carattere, o superiormente o inferiormente o da ambedue i lati. 3. il piede, la parte opposta all'occhio. 4. la forza di corpo, distanza tra la parte anteriore e posteriore della lettera. Questa distanza è uguale per tutte le lettere di un medesimo corpo. 5. l'avvicinamento, distanza tra il lato destro e il sinistro della lettera. Forma la larghezza del carattere. 6. la tacca, scanalatura posta su uno dei lati anteriore o posteriore della lettera, sempre però dalla stessa parte. Essa ha grande importanza, facilitando grandemente il lavoro del compositore, in quanto che gli è di guida per riunire sul compositoio, voltati tutti nel medesimo senso, i caratteri che a mano a mano toglie dalla cassa. Inoltre, secondo la sua altezza sulla lettera e secondo il numero (una, due o più) serve a distinguere tra loro i caratteri di una stessa forza di corpo (fig. 2). 7. L'altezza, distanza tra l'occhio e il piede. Tanto l'altezza quanto la forza di corpo e l'avvicinamento sono sempre misurate in punti tipografici. Vi sono diverse altezze: l'altezza francese, la più comunemente usata in Europa, è di 63 punti tipografici; l'altezza inglese, usata solo in Inghilterra, è di 62 punti; l'altezza italiana, usata in pochissime tipografie italiane, è di 66 punti. È ovvio dire che ogni tipografia deve possedere tutti i suoi caratteri di una medesima altezza.

Il punto tipografico è l'unità di misura tipografica e corrisponde a mm. 0,376. Il punto tipografico può essere paragonato al millimetro del sistema metrico decimale, e come in questo il centimetro corrisponde a 10 millimetri, così nel sistema di misura tipografico la riga di lettura corrisponde a 12 punti: di guisa che tale sistema di misura potrebbe essere chiamato duodecimale. La fig. 3 illustra tale sistema.

Il numero dei punti tipografici che concorrono alla formazione della forza di corpo di un determinato carattere stabilisce il corpo di questo carattere. Quindi un carattere di corpo 12 ha la forza di corpo di 12 punti, uno di corpo 8, di 8 punti e così via di seguito.

Si può facilmente conoscere il rapporto tra una misura in centimetri e la corrispondente in righe tipografiche o viceversa, mediante uno strumento detto tipometro, simile a un doppio decimetro avente da un lato segnati i centimetri e i millimetri e dall'altro le righe e i punti corrispondenti, oppure con semplici operazioni aritmetiche: volendo ridurre delle righe in centimetri si moltiplica il numero delle righe per il numero fisso di 0,45.

I bianchi tipografici, che hanno la medesima forza di corpo del carattere a cui appartengono, se servono per distaccare le parole tra loro e completare le linee, si chiamano spaziature (fig. 4); se servono per distaccare tra loro le linee si chiamano interlinee (fig. 5); se infine servono per inquadrare la composizione per la stampa si chiamano marginature (fig. 6).

Tutti i bianchi tipografici hanno un'altezza di circa 53 punti, cioè di 10 punti in meno del carattere che va impresso.

La base di misura della spaziatura è il quadratone, il cui spessore da ogni lato equivale alla forza di corpo del carattere a cui appartiene. Perciò un quadratone di corpo 8 avrà lo spessore di 8 punti misurato tanto sulla forza di corpo quanto sull'avvicinamento. Si hanno poi i multipli (detti anche quadratura) e i sottomultipli del quadratone (fig. 7). I multipli del quadratone equivalgono a due o tre volte il quadratone e si dicono quadrati da due o da tre. I sottomultipli del quadratone sono il quadratino, uguale a metà del quadratone, lo spazio da tre, da quattro, da sei, da otto, il finissimo, che sono rispettivamente uguale alla terza, alla quarta, alla sesta, all'ottava parte del quadratone e al punto.

Le interlinee sono lamine di lega dolce (piombo con pochissimo antimonio) fuse dello spessore di un punto, un punto e mezzo, due, tre e quattro, tagliate in lunghezze corrispondenti a determinati numeri di righe di corpo 12, da cui prendono il nome; così, ad esempio, un'interlinea da 15 avrà la lunghezza di 15 righe. Le fonderie di caratteri le forniscono tagliate nelle varie lunghezze, o anche in lamine lunghe circa 60 cm., che poi il compositore taglia col taglietto alla misura che gli occorre.

Le mezzerighe e le righe hanno uno spessore di 6 punti le prime e di 12 le seconde. Fanno parte della marginatura, la quale comprende pure quei diversi spessori di materiale tipografico, maggiori della riga, che vengono usati per distanziare tra di loro le pagine da stampare, e contornarle per chiuderle nei telai.

Ogni carattere di testo ha il tondo e il corsivo. Il carattere tondo comprende il maiuscolo, il maiuscoletto e il minuscolo; il carattere corsivo comprende solo il maiuscolo e il minuscolo.

Oltre che dei caratteri cosiddetti di testo (v. caratteri tipografici) la tipografia deve essere fornita anche di caratteri di fantasia, e così pure di fregi e di filetti; questi ultimi preferibilmente di ottone. Di tutti i tipi posseduti ogni tipografia deve avere una mostra stampata che si chiama campionario.

I caratteri stanno disposti nelle casse tipografiche. Ogni cassa tipografica (fig. 8) è divisa in due parti; una per l'alfabeto minuscolo, le interpunzioni, e i bianchi tipografici, che si chiama bassa cassa; l'altra per l'alfabeto maiuscolo e maiuscoletto, le lettere accentate maiuscole e minuscole e qualche altro segno, si chiama alta cassa. Le casse stanno raggruppate in speciali mobili a scomparti, che insieme coi banchi per la scomposizione, la lingottiera per la marginatura e i grandi tavoli per le forme e le composizioni, fanno parte del mobilio tipografico.

Per eseguire il suo lavoro, il compositore ha bisogno di alcuni utensili indispensabili, che sono: il compositoio (fig. 9), le pinze, il vantaggio (fig. 10), oltre al tirabozze (fig. 11), al taglietto per le interlinee e per gli angoli (fig. 12), al curva filetti, ecc.

Sul compositoio il compositore raccoglie i caratteri che a mano a mano estrae dalla cassa, per l'ordinata formazione delle parole e delle linee; le pinze servono per le correzioni in piombo; esse finiscono all'estremità opposta con una punta acuminata, che serve per abbassare gli spazî nella composizione e per la legatura del pacco di composizione; sul vantaggio il compositore depone, allineate l'una sotto l'altra, le linee composte nel compositoio. Per composizioni di grandi dimensioni, in luogo del vantaggio si adopera la balestra.

Il compositore esegue la composizione sulla scorta dell'originale che gli viene passato, e compone le linee secondo la giustezza di riga indicatagli. Per giustezza di riga quindi s'intende la lunghezza delle linee di una composizione, e si prende per lo più con i filetti di ottone. Eseguita la composizione, il blocco relativo viene legato con spago (fig. 13), onde evitare che la composizione si sfasci, e portato al tirabozze per l'esecuzione di una bozza, che deve servire al compositore per verificare se nella composizione stessa vi siano refusi, doppioni, capovolti, lettere guaste, lasciati. In tal caso saranno subito eseguite sul vantaggio le opportune correzioni. Non resta allora che procedere alla tiratura delle bozze in colonna che vanno poi inviate alla revisione del cliente. Il blocco della composizione, dal quale sono state tirate le bozze in colonna, viene pulito dall'inchiostro e setolato con la setola dopodiché viene deposto sui portapagine (fogli di carta o cartoncino più volte piegati su sé stessi, fig. 14) e poggiati sui banconi in pile generalmente di 4 a 8.

La composizione meccanica viene fatta per mezzo di macchine compositrici le quali sono di due tipi o compongono cioè e fondono le linee in un solo pezzo, e si ha la composizione meccanica a fusione di linee; oppure fondono i caratteri mobili e simultaneamente compongono, e si ha la composizione meccanica a fusione di tipi mobili. Il primo sistema si presta più particolarmente per la composizione dei giornali, per i quali occorre rapidità e facilità di lavoro; si presta meno bene per lavori di lusso e per grandi tirature, dovendosi per le correzioni rifare le intere linee, con considerevole perdita di tempo e rischio di introdurre nuovi refusi, e dovendosi usare una lega a punto di fusione piuttosto basso, e quindi tenera e meno resistente, perché la linea fusa possa raffreddarsi con maggiore facilità. D'altra parte, con tale sistema, si ha il vantaggio di economizzare il personale, bastando una sola persona; di semplificare enormemente la composizione, e di eliminare l'inconveniente dello sfasciamento delle forme.

Il secondo sistema è da preferire per cataloghi e opere di lusso, e in genere per tutti quei lavori nei quali si richiedono molte correzioni. Sostituisce completamente la composizione a mano, pur conservandone tutti i vantaggi; le correzioni si possono fare facilmente come nella composizione a mano, l'occhio del carattere è profondo. Infine può all'occorrenza eliminare la stereotipia e permettere di rifornire di caratteri le casse per la composizione a mano.

La prima idea di una macchina compositrice a fusione di linee si deve al Leroux nel 1843. Successivi tentativi, senza pratici risultati, furono fatti da Armengaud e Gallien nel 1846, da Capeart e Godson nel 1885; ma solo nel 1886 Otto Mergenthaler, nato nel Württemberg, ma domiciliato in America, giungeva a costruire la prima macchina veramente corrispondente allo scopo, che chiamò Linotype (line of types, linea di caratteri). Le prime macchine di tal genere comparvero nel 1886 ln alcune tipografie degli Stati Uniti; nel 1890 comparvero in Inghilterra, e oggi sono diffuse dovunque. Su questo concetto della composizione con matrici e simultanea fusione di linee si sono successivamente costruite altre macchine, quali la Typograph, la Barotype nel 1890, la Monolyne nel 1893, la Intertype nel 1912.

Il problema della composizione meccanica a fusione di tipi mobili, nonostante precedenti tentativi fatti dal Church nel 1820 e dal Galahoff nel 1866, fu risolto praticamente solo nel 1892 dal Lanston con la Monotype a cui tenne dietro la Stringertype nel 1916.

Le macchine compositrici più diffuse oggigiorno nell'industria tipografica sono la linotype e la monotype.

La linotype compone da speciali matrici (lastrine di bronzo, di forma particolare, che portano su una costola incisa la lettera o il segno [fig. 15]), le quali per mezzo di una tastiera, i cui tasti sono mossi dall'operatore, scendono automaticamente e in perfetto ordine in un raccoglitore detto compositoio; nelle matrici regolarmente disposte a formare la linea, viene fatta la fusione dei relativi segni e lettere in modo da costituire un lingotto di metallo, già nella giustezza di linea voluta e pronto a essere adoperato.

Tale macchina (figure 16, 17), che occupa un limitato spazio ed è pochissimo rumorosa, consta di una tastiera (fig. 18), situata lateralmente, composta di 90 tasti, ciascuno dei quali porta impressa una lettera. I tasti sono in corrispondenza con altrettante asticelle verticali di metallo. ciascuna delle quali, con la battuta del tasto, fa cadere dal magazzino A (fig. 17), situato nella parte superiore della macchina, attraverso alcuni canaletti, la corrispondente matrice, che, per mezzo di una piccola cinghia, viene trasportata su una specie di compositoio G. Tra parola e parola viene fatto discendere dal magazzino degli spazî variabili uno spazio variabile, battendo la leva J della tastiera, e la composizione della linea viene proseguita finché il suono di un campanello non indica che a completare la giustezza mancano 24 o 36 punti. Il raggiungimento della giustezza si ottiene con la pressione esercitata dal basso in alto contro la base degli spazî variabili i quali sono formati da sottili cunei, di guisa che ciascuno di essi, per effetto della pressione suddetta, può aumentare fino a un massimo di tre punti e mezzo lo spazio tra parola e parola (figura 19). Nell'angolo inferiore destro della tastiera un manubrio serve ad alzare la leva che spinge in alto il compositoio G, in modo che la riga di matrici passi all'imboccatura della camera di fusione. La camera di fusione (fig. 20) ha un vano rettangolare che si fa corrispondere alla forza di corpo e alla lunghezza delle linee volute. In esso viene spinta la lega fusa, mediante uno stantuffo che pressa il metallo liquido contro le matrici attraverso una lastra metallica provvista di forellini; e così si ha la linea fusa, che, piallata ai fianchi e al piede, va automaticamente a collocarsi completamente ultimata, entro uno speciale vantaggio.

Le matricí che hanno servito alla composizione di una riga, eccettuati gli spazî, che mediante apposito congegno sono sospinti nel magazzino degli spazî, sono immediatamente (per dare posto alle matrici della nuova linea) prese da un braccio che le innalza fino al livello del distributore T, che sta nella parte più alta della macchina, e spinti su di un regolo orizzontale, a forma triangolare, portante tanti filetti corrispondenti alle intacche verticali delle matrici. Infatti esaminando la matrice riprodotta nella fig. 15 si osserva che essa è incavata triangolarmente nella sua parte superiore, ma porta anche un certo numero di dentellature, diversamente intagliate nelle diverse matrici. Per la loro forma triangolare le matrici aderiscono al regolo a cui sono sospese (fig. 21), mentre la diversità delle dentellature che scorrono nei filetti della sbarra ne regola la distribuzione nel magazzino A, in quanto che vi è per ciascuna matrice un punto in cui la matrice non trova più il sostegno dei filetti, e allora cade. Per ogni matrice questo punto coincide esattamente con l'apertura superiore del canale del magazzino in cui sono riposte le matrici della lettera corrispondente a quella che cade. Le combinazioni delle dentellature sono 91, delle quali 90 corrispondenti ai tasti della tastiera, mentre la novantunesima raccoglie quelle lettere che non avendo tasto corrispondente stanno in apposito magazzino sussidiario e s'introducono a mano nella composizione.

Le composizioni così sommariamente descritte si succedono ininterrottamente, così da dare una produzione variabile dalle 6000 alle 7000 lettere all'ora, e che con operai specializzati può raggiungere anche le 9000 lettere.

La monotype, che, come abbiamo visto, è la macchina a fusione di tipi mobili, consta di due meccanismi ben distínti l'uno dall'altra. La tastiera e la compositrice-fonditrice. La composizione si fa con la tastiera (fig. 22) che perfora una striscia di carta, nel senso della sua lunghezza, così che le perforazioni necessarie per costituire una riga non succedono in senso orizzontale, come si potrebbe supporre, ma sibbene in senso verticale. La striscia di carta perforata viene poi trasportata sulla macchina compositrice-fonditrice (fig. 23), la quale fonde le lettere e gli spazî uno ad uno, e li compone in linee di determinata giustezza.

I tasti della tastiera sono 225, disposti in 15 gruppi di 15 matrici ciascuno, e ogni gruppo comprende lettere e segni di spessore eguale. La tastiera funziona ad aria compressa.

Premendo un tasto scatta un punzone circolare che va a perforare la carta in corrispondenza alla lettera che si vuol comporre, e in posizioni variabili sulla striscia di carta col variare delle lettere. Ogni tasto, e di conseguenza ogni lettera, corrisponde, in relazione al suo spessore, a un determinato numero di unità.

La lettera M, per es., corrisponde a 15 unità. In tal modo una intera linea corrisponde a una data somma di unità, costituita dallo spessore delle lettere e da quello degli spazî intermedî, che varia per ogni corpo di carattere. Ultimata la composizione della linea un'asticina munita di lancetta va a segnare, sopra un tamburo, situato sul davanti della tastiera, due numeri, che rappresentano la forza o spessore dello spazio intermedio richiesto per la spazieggiatura e la giustificazione della linea.

Il dattilografo-compositore non ha che da battere l'uno dopo l'altro i due tasti corrispondenti posti nella parte superiore della tastiera perché si vengano a formare sulla striscia di carta delle perforature particolari che fanno sì che ad ogni fusione di linea la fonditrice si troverà, in tal modo, automaticamente preparata a fondere lo spazio medio richiesto per l'aggiustaggio di ciascuna linea.

Le matrici sono tanti piccoli cubetti di bronzo che recano in incavo l'occhio delle singole lettere e segni, e sono fissate, con l'occhio rivolto in basso, in un telaietto metallico, quadrato (fig. 24), che applicato nella macchina viene assoggettato a un duplice movimento laterale di leve (compassi) che serve a portare la matrice in corrispondenza della forma, per la fusione. Ciò è ottenuto mediante il leggitore pneumatico. È questo un cilindro metallico cavo, munito di 31 fori allineati, su cui viene applicata e fatta scorrere la striscia di carta precedentemente perforata nella tastiera. Ogni foro della carta viene così a trovarsi a mano a mano sovrapposto ad un corrispondente foro del cilindro. Siccome ai singoli fori del leggitore pneumatico fanno capo altrettanti canaletti metallici le cui opposte estremità sono collegate rispettivamente con speciali valvole aventi lo scopo di sollevare altrettanti pistoncini debitamente collocati nel piano della macchina, avviene che ogni qualvolta si verifica la sovrapposizione di un foro della carta (che corrisponde come si sa ad una lettera) col rispettivo foro del leggitore, l'aria compressa del cilindro (che mediante apposita conduttura viene portata in presenza del cilindro del leggitore pneumatico) s'immette a forza, attraverso i due fori nel rispettivo canaletto, azionando la valvola corrispondente che solleva il rispettivo pistoncino. Questo, così sollevato nel piano dove scorrono i compassì portanti il telaietto delle matrici, ne determina l'arresto in modo tale che la matrice della lettera corrispondente al foro della carta attraverso al quale si è immessa l'aria che ha sollevato il pistoncino, si verrà a trovare esattamente sovrapposta sulla forma. Attraverso a questa forma, sempre mediante l'aria compressa, viene proiettato contro la matrice un getto di materiale fuso che, raffreddandosi, formerà la lettera voluta. La forma dà le dimensioni corrispondenti allo spessore delle varie lettere e l'uniformità dell'altezza del carattere.

Le monotype producono dalle 7000 alle 9000 lettere all'ora.

Ritornate le bozze dall'autore, fatte le debite correzioni sulle forme e rivedute dal revisore, il proto darà all'operaio impaginatore le istruzioni per l'impaginazione, cioè per dare forma di pagina regolare e precisa ai pacchetti di composizione in colonna, osservando particolari norme tecniche, con l'applicazione dei numeri di pagina, dei titoli correnti, degli occhietti, delle segnature, ecc.

Se nell'impaginazione vanno inserite delle illustrazioni, occorre che l'impaginatore prima di ogni altra cosa riscontri se corrispondono esattamente a quelle indicate per la composizione che deve essere impaginata, e osservi dove vanno inserite, contrassegnandole col rispettivo numero d'ordine. Deve inoltre accertarsi che siano perfettamente squadrate e in piano, e che non siano deteriorate. Circa la loro disposizione nella pagina deve tener presente la necessità di lasciare al disotto di esse un certo spazio per la didascalia. Esse dovranno sempre essere allineate perpendicolarmente con le righe del testo. Quelle che occupano soltanto una parte della riga si dovranno di regola investire, cioè dovranno essere contornate di composizione per quel tratto di differenza che intercede tra la figura e la giustezza della riga, e poste dal lato infuori della pagina. Lo spazio che deve intercedere tra le illustrazioni e il testo sarà uguale sia superiormente sia lateralmente, mentre sarà maggiore di circa un terzo al piede. Non ci dilungheremo sulle altre norme da osservare nella disposizione delle illustrazioni intercalate nel testo e a pagina intera, rimandando ai trattati speciali citati in bibliografia; a ogni modo anche il gusto artistico del proto e dell'impaginatore hanno un gran peso su come può presentarsi un bel libro illustrato. Le didascalie dovranno essere composte con un carattere di corpo di almeno 2 punti inferiore a quello del testo.

Anche per l'impaginazione dei giornali vigono regole speciali; ma il lavoro sarà grandemente facilitato dall'abilità e dalla pratica dell'impaginatore particolarmente dedicatosi a tale lavoro.

Le bozze impaginate e riviste dal revisore verranno nuovamente inviate al cliente, che dovrà ritornarle, affinché si possa procedere alla stampa, col "visto, si stampi". Allora verranno eseguite le ultime correzioni in piombo, il revisore farà una nuova revisione per accertarsi che, tipograficamente parlando, tutto sia in ordine, e l'impaginato sarà passato alla stampa.

Stampa. - Per procedere alla stampa occorre prima preparare le forme da passare in macchina. Questa operazione richiede tempo e cura, e va eseguita perciò con un certo anticipo rispetto alla messa in macchina, per aver sempre le forme pronte appena libera la macchina.

La preparazione delle forme, che si fa su appositi piani di ghisa, consiste: 1. nell'impostazione delle pagine; 2. nello stabilire i bianchi; 3. nello slegare le pagine e chiuderle nel telaio.

Dopo aver fatto attenzione che il piano di ghisa sia ben pulito, vi si poggerà sopra il telaio che dovrà contenere le pagine impostate, e che porta nel centro una sbarra o traversa longitudinale. Si procederà quindi all'impostazione. Questa consiste nel dare alle pagine in piombo il posto che ciascuna deve avere nel foglio stampato, con l'ordine numerico progressivo, come si vede in tutti i libri stampati.

A regolare l'impostazione concorre il formato del libro e di conseguenza il formato del foglio su cui si deve stampare ogni segnatura, piegato in modo da vedere come si presenterà il libro.

La segnatura è il piccolo numero progressivo a principiare dall'i, che viene messo a sinistra, al piede della prima pagina di ogni foglio che si stampa. Essa più che tutto è necessaria al legatore per la raccolta ordinata dei varî fogli piegati.

Circa il raggruppamento e la denominazione dei varî formati v. formato (XV, p. 691 seg.); si deve aggiungere, però, che da tempo la Biblioteca nazionale centrale di scienze ha adottato il seguente raggruppamento di formati:

Questi formati rappresentano le dimensioni della carta in uso. I formati che derivano dall'in-folio e successivi multipli, si chiamano regolari, perché piegando due o più volte l'in-folio col congiungere gli estremi delle pagine, tanto di fianco come in testa, si ha il quadernetto nelle giuste proporzioni del libro. Irregolari sono invece quei formati nei quali o la piegatura del foglio avviene in modo irregolare, o il foglio prima della piegatura deve essere tagliato in varie parti, delle quali l'una per il solito incastra l'altra. L'introduzione delle macchine celeri da stampa ha fatto sì che i formati irregolari siano stati quasi del tutto abbandonati, e si adoperino soltanto per qualche lavoro specialissimo.

La giusta impostazione per tutti i formati si ottiene applicando le seguenti regole: 1. Le pagine di numero dispari devono essere disposte in maniera che le loro linee si debbano principiare a leggere dalla parte del bianco di cucitura. 2. La seconda pagina deve essere sempre messa simmetricamente al lato opposto della prima rispetto alla sbarra del telaio. 3. Impostata la prima pagina, tutte le altre devono risultare alternativamente due da una parte e due dall'altra del telaio, eccettuata l'ultima del foglio, che si colloca sempre a destra della prima.

Quando i numeri di pagina sono ai lati, devono tutti risultare collocati verso il margine del taglio (quando cioè la forma contiene le pagine del dritto e del rovescio del foglio d'impaginatura, separati dalla sbarra del telaio). L'impostazione più comunemente usata è in bianca e volta su di una medesima forma. In casi speciali, quando, per esempio, il formato della carta o della macchina non può contenere che metà delle pagine del foglio di segnatura, si fa l'impostazione in bianca separata dalla volta. In tal caso la divisione delle pagine risulta la seguente:

Si può fare anche l'impostazione detta intercalata, quando due o più fogli, stampati e piegati, s'inseriscono l'uno nell'altro in modo da poterli riunire con un solo punto. Per controllare l'impostazione basta prendere un foglio da stampare, piegarlo nel modo voluto, numerandone le facciate progressivamente senza tagliare i foglietti; successivamente si distende e si colloca da una parte del piano, con il lato più lungo a contatto della sbarra del telaio, ma in modo che la prima pagina risulti all'opposto della partenza e della sbarra. Ogni numero segnato sulla facciata del foglio rivolta verso il piano, indica il posto che deve occupare la pagina corrispondente. Impostata la prima parte, si volta il foglio in maniera che la seconda pagina risulti all'opposto della prima, e si procede al rimanente dell'impostazione. Le figg. 25 e 26 mostrano esempî d'impostazione di formati regolari.

La ripartizione dei bianchi in un'opera che s'inizia si può stabilire in modo che nella testa e in cucitura rimangano i due quinti del margine totale, mentre i tre quinti saranno dati alla parte del taglio e al piede. Il bianco totale da dividere è quello spazio di foglio bianco che sopravanza sulla lunghezza e larghezza di una pagina normale di composizione del testo. Per poterlo stabilire si piega un foglio e si confronta con una bozza. Si intende che questa è la regola generale, ma frequentemente le proporzioni dei bianchi vengono modificate secondo la forma delle testate o la disposizione dei numeri di pagina. A ogni modo per poterle giustamente giudicare conviene osservare il foglio stampato e piegato a registro. I libri che vanno legati e raffilati devono avere un margine maggiore in testa, taglio e piede.

La slegatura richiede molta attenzione per evitare che la composizione si sfasci. Le pagine vanno slegate in ordine, principiando da quella posta verso il lato di partenza e che quindi sta a ridosso della sbarra del telaio e proseguendo sulle altre vicine a questa, sulla medesima linea, e passando poi alla seconda fila. Sciolte le pagine di destra, con ugual sistema si procedera per quelle di sinistra.

S'intende che per tutti quei lavori commerciali, come buste, carta intestata, fatture, circolari, ecc., l'impostazione e la distribuzione dei bianchi saranno modificate di conseguenza.

Dopo essersi assicurati che non siano stati commessi errori nelle precedenti operazioni, che le pagìne siano esattamente a piombo sul loro piede, che non vi siano margini spostati che possano lasciare uscire qualche lettera, che il registro delle pagine sia perfetto, vale a dire che le pagine che compongono la forma siano tutte bene allineate, si procede alla chiusura della forma nel telaio. Occorrono serraforme (fig. 27) di lunghezza proporzionata alle pagine da chiudere; quando queste siano molto grandi se ne adoperano due. Siccome la chiusura della forma influisce grandemente sul registro, sul sollevamento del materiale, sulla squadratura delle pagine, così essa deve essere fatta con cura, a più riprese, facendo in modo che le colonne rimangano chiuse prima dal lato più elastico (testa e piede). La forma, al primo grado di chiusura, viene battuta col battitoio per abbassare i caratteri rimasti eventualmente sollevati. Dopo chiusa non va alzata di colpo, ma va appena sollevata, per assicurarsi, premendo con le dita sulle varie parti della composizione, che tutto sia ben fermo.

La forma chiusa è pronta per essere messa in macchina.

Macchine da stampa. - La prima macchina da stampa è il torchio creato dal Gutenberg. L'idea di questo torchio da stampa gli venne suggerita vedendo uno strettoio da uva. Palesò questa idea a un suo amico, lavorante in legno, tale Conrad Saspach, il quale tradusse in atto la geniale idea del Gutenberg. Il torchio di legno, successivamente modificato e migliorato, fu adoperato dai più grandi maestri tipografi italiani, e per oltre tre secoli uscirono da esso, a migliaia, edizioni meravigliose, che formano anche oggi l'orgoglio della prima epoca della stampa. Con la sostituzione in esso, dovuta a Danner di Norimberga, della vite di legno con quella di ottone, si ebbe un primo miglioramento; e successivamente altri miglioramenti furono apportati dall'olandese W. Blaew. Solo verso il 1800, per opera di Guglielmo Haas di Basilea, fu costruito il primo torchio di ferro, finché l'inglese Lord Stanhope ideò il torchio di ferro fuso, e modificò anche il sistema di pressione fino allora in uso. Al torchio Stanhope seguì il torchio Columbia, ideato dall'americano Clymer, e che, nel commercio mondiale, contrastò quelli ideati dagl'inglesi Cowper, Hopkinson, Cogger, Hagas, e dai tedeschi Dingler, Koch, Hoffmann.

Nonostante che l'uso dei torchi metallici abbia recato enormi benefici all'arte della stampa, purtuttavia questa non avrebbe potuto corrispondere alle moderne esigenze se al torchio a leva non si fosse sostituito il torchio meccanico, rendendo cosi più agile il lavoro tipografico e permettendo di stampare in brevissimo tempo un grande numero di esemplari di un dato lavoro.

Nei primi del sec. XIX l'inglese William Nicholson ideò un torchio meccanico, ma i suoi sforzi non ebbero esito felice. Dopo qualche tempo avvenne che l'editore del Times, John Walter, preoccupato di non poter soddisfare con le copie del suo giornale le esigenze del pubblico, a causa della lenta produzione del torchio a mano, e assillato dall'idea di trovare la maniera di potere stampare più sollecitamente il suo giornale, ebbe l'insperata fortuna di conoscere un tale Koenig di Eisleben, che si era recato in Inghilterra proprio per tradurre in atto l'idea di trasformare il torchio a mano in torchio meccanico, idea intorno alla quale da tempo si affannava. Il Walter prese il Koenig nella sua azienda, e questi, dopo lunghi e pazienti studî ideò la macchina da stampa. Occorreva però costruirla; ma ciò non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di un abile meccanico. Il Koenig fece allora venire dalla Germania un suo amico, tale Andrea Federico Bauer, abile meccanico, e così nel 1811 i due tedeschi poterono metter fuori la prima macchina da stampa. Ma questa prima macchina, per effetto specialmente dei suoi meccanismi disposti lateralmente, si mostrava ingombrante e antiestetica: perciò fu da loro studiato e costruito un nuovo tipo avente tutti i congegni situati nel corpo della macchina. Nel 1814 Koenig e Bauer costruirono un nuovo tipo di macchina a due cilindri di pressione accoppiati; nel 1816 crearono una macchina a ritirazione, e nel 1817 la macchina a due giri, a rotazione continua del cilindro. Nello stesso anno 1817 i due tedeschi ritornarono in patria e fondarono nell'antico convento di Kloster, Oberzell presso Würzburg, la prima fabbrica di macchine tipografiche, la fabbrica Koenig e Bauer, la quale è tuttora fra le migliori del mondo.

Quasi contemporaneamente il francese Gannal inventò i rulli inchiostratori di materia elastica, per la migliore distribuzione dell'inchiostro sui tipi.

Ben presto nei varî stati d'Europa e anche in America sorsero fabbriche di macchine tipografiche. Così in Italia, nel 1848 l'Uguet a Torino, e pure a Torino il Tarizzo e il Bollito, i Dall'Orto a Milano, i fratelli Magnoni e l'Arbizzone, e oggi le Case Nebiolo e Saroglia a Torino costruiscono ottime macchine tipografiche a platina, piano cilindriche, ecc.

Le macchine tipografiche possono essere così raggruppate: 1. macchine in bianca; 2. macchine in bianca e volta; 3. macchine a due o più colori contemporanei; 4. macchine rotative.

Macchine in bianca. - Questo gruppo comprende le macchine a platina, di cui il più antico tipo è il torchio. Ha il piano e la platina mobili, ed è rappresentato dalla "Liberty" costruita nel 1862 a New York dai meccanici Degener e Weiler. La platina dalla posizione orizzontale o quasi passa alla verticale durante l'impressione del foglio; il piano, che a causa del sistema d'inchiostrazione si trova in posizione inclinata, passa, durante l'impressione, alla posizione verticale. L'inchiostrazione è a tavoletta circolare. Un secondo tipo di macchina a platina, di cui il prototipo è la "Gordon", ha il piano fisso col corpo principale della macchina e la platina con movimento a cerniera. I rulli passano alternatamente dalla tavoletta di macinazione al piano della composizione. Il calamaio è situato all'estremità superiore della tavoletta di macinazione, dietro la macchina. Un terzo tipo ha il piano fisso e la platina oscillante con pressione a movimento parallelo. Sono macchine che per la loro perfezione, solidità e potenza di pressione hanno raggiunto una grandissima diffusione. La "Balilla" (Saroglia, Torino; fig. 28), la "Roma" (Nebiolo, Torino; fig. 29) sono rappresentanti di tale tipo. In queste macchine la pressione è graduabile e può anche essere tolta senza per questo arrestare la marcia della macchina stessa. Il calamaio è situato nella parte posteriore, e i rulli inchiostratori possono, mediante un apposito tirante, essere immobilizzati nella loro posizione più alta. Si può quindi fare agire la pressione senza che avvenga l'inchiostrazione. L'unico difetto che si può presentare in queste macchine è la non perfetta distribuzione dell'inchiosto nella forma, per il fatto che nella forma stessa, specie quando è molto grande, i rulli, che per inchiostrare si muovono sulla forma girando sopra sé stessi, dopo il primo giro si spogliano dell'inchiostro, che viene così a scarseggiare nel fondo di essa; per di più nel ritorno i rulli scarichi riprendono da essa parte dell'inchiostro, lasciando così un'inchiostrazione irregolare. A ogni modo i costruttori non hanno mancato di riparare a tale inconveniente, adottando varî sistemi. Vi sono anche macchine a piano fisso orizzontale e platina oscillante, specialmente adattate per rilievi e fustellature, data la loro eccezionale pressione, e infine le modernissime macchine a piano fisso e platina oscillante con inchiostrazione su carrello continuo, che presentano enormi vantaggi nei riguardi dell'inchiostrazione.

Le macchine piano cilindriche ad arresto, sono tra le più diffuse per la semplicità dei loro meccanismi, il loro relativo buon prezzo, l'assoluta precisione di registro, la loro robustezza, rigidità e potenza di pressione, la buona distribuzione dell'inchiostro, la comodità che offrono all'impressore nel lavoro di preparazione, e il loro rendimento in velocità (1000 a 1200 copie all'ora), che può essere assai aumentata quando si ricorra ai mettifoglio automatici. Così, per esempio, la "Aligera" e la "Rapida di lusso" (fig. 30) della ditta Nebiolo possono dare una produzione oraria di circa 1600 copie. Si chiamano ad arresto del cilindro perché questo, avvenuta la stampa di un foglio, si arresta per dare modo al carro di ritornare al suo punto di partenza.

In questi ultimi anni si sono costruiti tipi di macchine automatiche celeri portanti parecchie interessanti innovazioni organiche: così la Victoria Front, la Mondial, la Tempo S. I., la Miehle verticale, l'Elka verticale, la Neby automatica, di cui troppo lungo sarebbe dare notizie particolareggiate.

Le macchine a rotazione continua del cilindro sono macchine rapidissime, potendo raggiungere praticamente la produzione di 1800-2000 copie all'ora, se provviste del mettifoglio automatico. Si può raggiungere una tale velocità perché, soppresso l'arresto del cilindro, la rotazione di questo è continua. Si dividono in macchine a un giro e macchine a doppio giro. Le prime, a cui appartiene la "Lampo" della ditta Nebiolo, non sono di uso comune in Italia. A ogni giro del cilindro si ha una copia stampata. Il cilindro, che misura una circonferenza doppia della lunghezza utile del piano, gira senza interruzione nello stesso senso, e stampa solo per la sua metà, perché l'altra metà della sua superficie rappresenta, girando, il tempo occorrente per il ritorno del carro al suo punto di partenza. Nelle macchine a due giri si richiedono due rotazioni del cilindro per produrre un'impressione; con la prima rotazione viene eseguita la stampa, mentre la seconda che si effettua a cilindro sollevato, permette al carro di ritornare al suo punto di partenza. Appartiene a questo tipo di macchine l'"Hesperia" della ditta Nebiolo. L'inchiostrazione di queste macchine è mista, le pinze funzionano alternatamente e il foglio è mantenuto aderente al cilindro per mezzo di rotelline d'acciaio funzionanti in luogo dei nastri, e apposite pinze lo trasportano sull'apparecchio leva fogli. Il foglio esce dalla parte anteriore della macchina, durante la corsa di ritorno del carro, allorché il cilindro è sollevato. Esso esce con la stampa all'in su, senza che questa venga a contatto con qualsiasi dispositivo della macchina. Tale sistema di uscita del foglio costituisce la caratteristica delle macchine a doppio giro (figg. 31 e 32), le quali perciò vengono preferite per la stampa delle illustrazioni.

Macchine in bianca e volta. - A questo gruppo, le cui macchine dànno il foglio stampato in bianca e volta, appartengono le macchine a ritirazione. La stampa avviene sopra due distinti cilindri, uno dei quali stampa durante la corsa di andata e l'altro durante la corsa di ritorno del carro. Il congegno delle pinze in ambedue i cilindri è disposto in modo che quando il foglio viene abbandonato da uno di essi perché già stampato in bianca, è subito preso dalle pinze dell'altro per la stampa in volta. Per evitare la controstampa sul cilindro, si rimedia o applicando sul cilindro dei fogli di carta paraffinata, o immettendo col foglio buono un foglio di scarica, o con altri sistemi.

Nelle macchine a reazione il foglio viene impresso da ambo i lati su un medesimo cilindro. Queste macchine hanno una diffusione molto limitata, e non sono adatte per la stampa di lavori di lusso e di fotoincisioni a causa dell'impossibilità di fare l'avviamento.

Nella macchina doppia a due cilindri Johannisberg, che è ad arresto del cilindro, si hanno due cilindri di pressione contro un solo piano della forma. Essi lavorano alternatamente, cioè uno stampa mentre il piano compie la corsa di andata e l'altro mentre compie quella di ritorno. Ogni cilindro ha il suo mettifoglio e il dispositivo per l'uscita dei fogli. Possono produrre circa 2500 copie all'ora, possono fare cioè una produzione circa doppia di quella delle comuni macchine ad arresto. Servono più che tutto per la stampa di giornali o per lavori correnti.

Macchine a due colori. - Posseggono due cilindri, uno per colore, rendendo così possibile un avviamento a parte per le relative forme. Il foglio che è stampato col primo colore passa sul secondo cilindro, mediante un tamburo, in maniera da essere sempre impresso sul medesimo lato. Esistono macchine a due colori ad arresto del cilindro, macchine a due colori a doppio giro, quale la americana Miehle, e macchine a quattro colori, quali la "Iris" della Koenig e Bauer (fig. 33) e la Lambert, in cui il foglio si sposta automaticamente sullo stesso cilindro per ogni singolo colore da stampare.

Macchine rotative. - Le macchine rotative servono, si può dire esclusivamente, per la stampa dei giornali, in quanto che i loro congegni continuando a ruotare incessantemente nel medesimo senso, e non avendo quindi il movimento di va e vieni come nelle comuni macchine tipografiche, possono raggiungere velocità molto forti. I giornali che hanno tirature inferiori alle 20.000 copie possono essere stampati con le rotative piane, che uniscono le qualità della macchina piana e della rotativa, ma per forti tirature occorrono le rotative cilindriche. Tipo di rotativa piana è la Duplex della casa Fratelli Bühler di Uzwill (fig. 34), che stampa su carta continua con composizione mobile o su stereotipia piana, e presenta la particolarità che mentre il piano resta sempre immobile, sono i cilindri, uno per la bianca e uno per la volta che compiono un movimento di va e vieni sulla forma. La carta continua si svolge gradatamente in ragione della celerità di marcia, e dopo stampata dalle due parti viene tagliata in fogli, passando poi alle piegatrici.

Nelle macchine rotative cilindriche la carta viene stampata mentre passa tra due cilindri che girano con la medesima velocità periferica. Uno di questi cilindri è rivestito di un leggiero panno, mentre l'altro porta la stereotipia curva.

Si dividono in rotative per giornali, per edizioni e per stampa a colori. La pressione si esercita per mezzo di due cilindri dei quali uno contiene la forma, che è una lastra stereotipica curva, e l'altro l'avviamento. In mezzo ad essi passa la carta continua. La velocità oraria di tali macchine varia tra le 15.000 e le 20.000 copie all'ora. Le stereotipie curve si ottengono con speciale macchinario, talora esse vengono leggermente ramate, per dar loro maggiore resistenza all'attrito dei rulli inchiostratori e della carta, specie se contengono delle fotoincisioni. Le lastre sono semicircolari, quindi ne occorrono due per rivestire ogni cilindro. La carta, dopo essere stata stampata dai cilindri, entra nei congegni che la tagliano e la incollano secondo il bisogno. Durante il cammino la carta è guidata da rulli posti trasversalmente o diagonalmente. Le copie escono dalla macchina completamente finite.

Le macchine rotative, che possono essere a formato variabile e a formato fisso, sono costruite secondo le esigenze dei giornali da stampare, ossia in proporzione del numero delle pagine e delle copie; ve ne sono infatti di quelle che funzionano con 2, 4, 6 bobine di carta. Con le grandi macchine si possono stampare giornali di 64 pagine (fig. 35). Riducendo il numero delle pagine a una metà o a un terzo si può raddoppiare o triplicare il numero delle copie all'ora; naturalmente in tali casi occorre eseguire due o tre serie di stereotipie.

Finalmente esistono anche rotative a lastre tubolari (fig. 36). Con questo tipo di rotativa si economizza nella spesa delle lastre, che vengono ridotte della metà come numero, e di un terzo come spesa. Inoltre una macchina dotata di una sola lastra per pagina può produrre circa 25.000 copie orarie.

Si costruiscono anche rotative accoppiate, cioè due macchine distinte, una rotocalcografica e l'altra tipografica, le quali sono collegate nel movimento come se fossero una macchina sola. La carta passa prima tra i cilindri della macchina rotocalcografica, dove riceve la stampa delle illustrazioni, quindi prosegue nella rotativa tipografica per la stampa del testo.

Mettifogli automatici. - La generalizzazione delle macchine a rotazione continua del cilindro ha portato alla costruzione di speciali apparecchi che, sostituendosi all'operaio mettifoglio, e con maggiore velocità di questo, immettono il foglio sul cilindro, permettendo eosì di raggiungere una massima produzione (fig. 37). Questo problema fu risolto con diversi sistemi: col principio dell'aspirazione del foglio mediante ventose, come i mettifogli automatici Universal e Atlas; con l'utilizzazione dell'aria premente, come, per esempio, nel Dexter, e con sistemi unicamente meccanici, come nell'Auto, nel Cross, nel Koenig e nel Rotary.

Stereotipia. - È una lastra di materiale ottenuta per mezzo della fusione su impronte o matrici (modelli o flans) prese dalle pagine della composizione. Scopo della stereotipia è di evitare che usando sempre i caratteri per forti tirature di determinate composizioni, essi si debbano troppo logorare, di evitare di rifare una composizione quando si supponga la ristampa di una data opera, di evitare di caricarsi di troppo carattere, e di aver la possibilità di moltiplicare una determinata composizione allo scopo di accelerarne la tiratura.

In alcuni tipi di macchine, come ad esempio nelle rotative cilindriche, la stereotipia si rende assolutamente indispensabile, non potendosi adoperare i tipi mobili.

Per eseguire una stereotipia si opera come segue: un foglio di carta assorbente viene abbondantemente inumidito e disteso sopra un piano, ponendovi su due lati paralleli un piccolo regolo di composizione largo circa 2 cm. e dello spessore di circa 1,5 punti. Si stempera nell'acqua della scagliola di gesso, portandola alla consistenza voluta, e si versa questa pasta sul foglio di carta, in modo uniforme, togliendo poi con una stecca il gesso superfluo e uguagliando la superficie. Il foglio di carta così ricoperto di gesso si sovrappone alla composizione, in modo che il gesso venga a contatto con questa. Coperto il tutto con un foglio di carta assorbente, si passa sotto un apposito bilanciere. Occorre curare che la composizione sia. ben chiusa e sia pure bene in piano: attorno a essa andranno posti dei margini di materiale tipografico quasi della medesima altezza dei caratteri, affinché la pressione del torchio non abbia a risultare eccessiva; inoltre la forma va diligentemente pulita con petrolio o benzina e poi leggermente oliata. Tutto questo s'intende va fatto prima di applicarvi sopra la carta spalmata di gesso. Trascorso qualche minuto si ritira la composizione dal torchio, e si pone ad asciugare sopra un piano moderatamente scaldato, oppure all'aria libera, sempre con l'impronta sovrapposta, fino a che non sia avvenuta l'essiccazione completa. Si pone allora la composizione sopra una balestra, e battendo leggermente col martello al disotto di questa si distacca l'impronta dalla composizione.

Cosparsa l'impronta con polvere di talco e postala nella forma, sovrapponendovi delle squadrette di ferro di qualche millimetro di spessore per dare lo spessore voluto alla lastra che risulterà dalla fusione, si cola la lega fusa alla temperatura di circa 280° nel vano della forma, avendo cura, prima d'immettere l'impronta, di riscaldarla versandovi ripetutamente del materiale liquido. La colatura del metallo nella forma si fa con una speciale cucchiaia, che deve potere contenere la quantità di metallo fuso sufficiente a riempire il vano della forma. Il metallo va versato rapidamente, e quando si è indurito si apre la forma e si capovolge la lastra fusa per staccarne l'impronta. Allora la si pialla, si pulisce col bulino dalle eventuali asperità e si monta. Così preparata, è pronta per l'uso.

Altro sistema di stereotipia è quello alla carta. In luogo del gesso si adopera una mescolanza di pasta ben cotta e di bianco di Spagna, stendendola con una pennellessa in leggiero strato su di un foglio di carta assorbente e sovrapponendovi un foglio di carta velina, poi un altro strato di pasta e un altro foglio della stessa carta, e così via fino a raggiungere 4 o 5 strati. Il foglio così formato viene sovrapposto alla composizione e sottoposto alla pressione di un bilanciere o battuto a mano con uno spazzolone piuttosto duro. Poi, dopo aver cosparso tutto il resto dell'impronta con pasta, lo si ricopre con un sottile foglio di carta collata e lo si lascia asciugare sotto il bilanciere, avendo cura di sovrapporre all'impronta parecchi fogli di carta assorbente e un feltro, e di lasciarla sotto pressione da 5 a 20 minuti.

Per ottenere l'impronta si può anche ricorrere a speciali cartoni matrici per stereotipia che vengono prodotti anche in Italia.

Per le macchine rotative cilindriche occorrono in luogo delle composizioni con tipi mobili, delle stereotipie curve, che vengono fuse in forme speciali, dovendo esattamente adattarsi sui cilindri della macchina.

L'impronta è necessario prenderla col metodo alla carta, dovendo adattarsi alla curvatura della forma. Le operazioni di fusione e di finitura sono pressoché uguali a quelle per le stereotipie piane, solo che si deve ricorrere ad appositi congegni meccanici.

Le stesse finalità della stereotipia sono raggiunte con la galvanotipia, con la differenza che le lastre si ottengono dall'impronta non per via meccanica, come nella stereotipia, ma per via elettrolitica. Si hanno con tale sistema parecchi vantaggi. Prima di tutto, il nessun deterioramento della composizione, la maggiore durata della lastra, in quanto questa anzi che di lega è generalmente di rame, depositato per via galvanica; in secondo luogo la fedelissima e accuratissima riproduzione, necessaria specie per le incisioni.

Preparazione e sistemazione della macchina. - Prima di procedere alla stampa della forma, sia essa una composizione a tipi mobili o una stereotipia o galvanotipia, occorre preparare la macchina, curando particolarmente la registrazione delle pinze che servono a trattenere il foglio durante la rotazione del cilindro della macchina; dei deviatori, che sollevandosi alzano il foglio per passarlo sui ponticelli, da dove poi passa ai nastri di uscita; delle rotelle che girando a contatto del cilindro impressore servono a distendere il foglio prima della stampa e a spingerlo verso l'uscita dopo l'apertura delle pinze. Bisognerà anche controllare che i rulli inchiostratori siano in perfetto stato e ben registrati sulla macchina; lo stesso occorrerà per i rulli macinatori e il rullo prenditore, che ha bisogno di un'accurata regolazione con la vite di registro, in modo da assicurare il passaggio dell'inchiostro. Esso deve risultare perfettamente parallelo al cilindro del calamaio e aderirvi regolarmente. Infine occorrerà provvedere alla registrazione del calamaio. Le differenze d'inchiostrazione si correggono con le piccole viti di cui è munito il calamaio.

I rulli sono formati da una pasta di colla forte; melassa e glicerina, che viene fusa a bagnomaria e colata nell'apposita forma cilindrica di cui ciascuna macchina è provveduta dalla casa costruttrice.

Preparata la macchina, si dovrà provvedere a dare alla forma la giusta e regolare pressione, cioè a farne l'avviamento. Diversi sono i sistemi di avviamento, quali quello alla carta gessata, agl'inchiostri pastosi, alle polveri, alla guttaperca, alla gelatina, che non è qui il caso di descrivere, rimandando ai trattati generali; accenneremo solo all'avviamento a mano che, nelle forme con soli caratteri, si fa assicurandosi prima di tutto che la pressione sia giusta, e osservando poi se la forma ha dappertutto uguale altezza. La cosa si rileva facilmente osservando sul retro di un foglio stampato se in alcuni punti vi sia eccessiva pressione e se in altri questa sia scarsa o mancante. Su tale foglio si faranno le necessarie correzioni, rinforzando mediante taccheggio (pezzetti di carta sottile ritagliati con aree di taglio all'incirca corrispondenti ai punti di minor pressione, incollati sul foglio stesso), e indebolendo, cioè asportando porzioni di carta del foglio nei punti di maggiore pressione. Questo primo foglio, fissato sul cilindro, sarà mantenuto sempre volante. Si tira allora un secondo foglio per controllare se il lavoro di taccheggio e ritaglio è stato eseguito giusto, e correggendo ancora se occorre. Infine tolto uno dei fogli di maestra sottostante a quello di avviamento, lo si fissa sopra quest'ultimo a sua protezione durante la tiratura.

Nelle stereotipie il primo avviamento si fa sotto la lastra. Questo avviamento però non ha efficacia sui difetti di piccola estensione, tendendo soltanto a livellare il meglio possibile la pressione generale, perciò la correzione di tali difetti si fa sul rivestimento. Se una parte fosse troppo alta, tanto da giudicare insufficiente il rimedio del taccheggio con spessore di fogli, bisognerà raschiare con un raschietto il rovescio della lastra in corrispondenza della parte troppo alta. Se invece vi fosse un gruppo di lettere troppo basse si può tirarle su nel dietro della lastra con un punteruolo e con piccoli colpi di martello.

Anche per le incisioni è cosa molto conveniente fare l'avviamento mediante pezzi di carta tra la lastra e lo zoccolo; avviamento che si rende in tal maniera permanente.

Bibl.: D. Gianolio, Il libro e l'arte della stampa, Torino 1926; G. Fracchia e B. Rizzo, L'impressore tipografo, ivi 1933; S. Morison, First principles of typography, Cambridge 1936; A. Zanetta, Manuale tipografico, Torino 1900; M. Valotaire, La typographie, Parigi 1930; E. G. Gress, The art and practice of typography, New Jork 1931.

Storia dell'arte tipografica.

1. Origini. - Non si farà qui cenno delle numerose teorie e supposizioni che vollero ricercare in Olanda o altrove le prime origini dell'arte, né della sua discendenza da immagini o stampe xilografiche (v. xilogbafici, libri), che già circolavano dal sec. XIV. Stampi per stoffe, sigilli, ferri per imprimere disegni e motti su legature, forme per carte da giuoco, tavolette con testo e figure dell'Ars Moriendi e Biblia Pauperum niente hanno a che fare con la nuova arte, che doveva permettere, mediante composizione e scomposizione di caratteri fusi lettera per lettera, la rapida produzione in serie di opere dell'umano sapere.

In Cina il procedimento era noto da secoli, e si dà qui la riproduzione della pagina di un libro impresso con caratteri mobili in Corea nell'anno 1324; ma la distanza e la mancanza di comunicazioni dovrebbero fare escludere ch'esso possa essere stato conosciuto e imitato oltre il Giappone.

Nata in Germania verso la metà del sec. XV, l'arte tipografica si sparse poco a poco in tutta Europa; prima in Italia, favorita dall'intenso movimento intellettuale dell'umanesimo, poi in Svizzera, Francia, Olanda, Belgio, Ungheria, Spagna, Polonia, Boemia, Inghilterra, Austria, Danimarca, Svezia, Portogallo, Montenegro. Dal 1454 al 1500 circa 25.000 opere apparvero, stampate con innumerevoli tipi di ogni forma e grandezza da volonterosi e intelligenti pionieri, non di rado artisti di grande valore. Storie tipografiche generali e particolari, biografie di tipografi celebri, elenchi di libri apparsi fino all'anno 1500 attestano questo sviluppo meraviglioso.

Il merito principale dev'essere attribuito a Johann Gensfleisch detto Gutenberg (v.), nato a Magonza circa l'anno 1400 e morto nella stessa città intorno al 1468: documenti e precise testimonianze abbondano; l'elogio di G. Fichet è del 1470; il ricordo più noto quello della Cronica van der hilliger Stat Coellen, Colonia 1499, a carta 312. Dal 1439 almeno il Gutenberg era a Strasburgo, dove pare siano stati fatti i primi saggi; ma circa dieci anni dopo egli torna in patria e qui, aiutato da J. Fust, comincia a stampare. La prima stampa con data conosciuta è un foglio col testo della lettera d'indulgenza concessa da Nicolò V a favore dei contribuenti per la guerra contro i Turchi: alcuni esemplari recano la data del 1454, altri del 1455. Apparve poi la grande Bibbia, già perfetto capolavoro di arte tipografica, in voll. 2 in-folio, su due colonne di 40 o 42 linee ciascuna, di carte 324 e 319, stampate con grossi caratteri gotici in rosso e nero: essa è nota col nome di "Bibbia Mazarina" (v. bibbia, VI, p. 925). Questo primo libro impresso (v. gutenberg, XVIII, p. 283) non reca né l'anno né il nome del tipografo, ma le citate testimonianze, e una nota manoscritta apposta in fine dell'esemplare conservato nella Bibliothèque Nationale di Parigi, stabiliscono che essa è opera di Gutenberg, terminata verso il 1454-55, certo non dopo l'agosto 1456.

Se questa Bibbia precede ogni altro libro a stampa, è invece lo Psalterium del 1457, impresso a Magonza da Johann Fust (v.) e Peter Schoeffer (v.), che gode la celebrità di essere il primo con data e nome di tipografo. È anch'esso un vero capolavoro ed ha il merito di avere iniziali a stampa ornate e impresse a colori, blu o rosso. Apparve poi, non si sa se a Magonza o Bamberga, un'altra Bibbia impressa con caratteri gotici diversi, nota col nome di Bibbia di 36 linee, senza data (alcuni documenti le assegnano la data 1457-1458). Esemplari si possono osservare nelle biblioteche nazionali di Parigi e di Vienna.

Il secondo libro noto con data è la ristampa dello Psalterium e terzo il bellissimo Rationale divinorum Officiorum di Guillaume Durand, opera di Fust e Schoeffer, entrambi del 1459. Gli stessi tipografi pubblicarono poi nel 1460 le Constitutiones di papa Clemente V, alcune Bullae di Pio II (1461), un'altra Biblia latina il 14 agosto 1462 e nel 1465 il primo classico latino, Cicero De Officiis (Firenze, Bibl. Laurenziana) e il più antico Boccaccio, la Novella di Tancredi, tradotta in latino da Leonardo Bruni, impresso con i tipi della Bibbia del 1462.

Anche a Gutenberg viene attribuita la stampa del Catholicon di Giovanni Balbi genovese, Magonza 1460, libro celebre per le parole che si leggono nel colophon: "... Non calami stili aut penne suffragio, sed mira patronarum formarum quam concordia proporcione et modulo impressus atque confectus est".

Ora la nuova invenzione comincia a diffondersi: a Strasburgo nel 1460, ché questa è la data apposta da un rubricatore nel 1° volume di una Biblia latina senza data pubblicata da Johann Mentelin; a Bamberga, dove l'anno seguente Albrecht Pfister (v.) stampa un libro di favole celeberrimo, il primo in lingua tedesca e il primo arricchito di figure incise in legno; Ulrich Boner, Der Edelstein, di cui si conosce il solo esemplare della biblioteca di Wolfenbüttel. A Strasburgo lo sviluppo è rapido; subito dopo il Mentelin, che produce almeno una quarantina di edizioni, fra cui la prima Bibbia in lingua tedesca, Adolph Rusch nel 1464 circa pubblica il Rationale del Durando, considerato il primo libro apparso impresso con caratteri romani. Poi Heinrich Eggestein, dal 1466, e 25 altri tipografi, fra cui più noti per la loro attività Johann Reinhard alias Gruninger, Martin Flach e Johann Schott.

A Colonia non meno di 33 tipografi produssero un migliaio di opere. Cominciò Ulrich Zell intorno al 1465 col De Officiis di Cicerone e le opere di Giovanni Crisostomo e di S. Agostino, datate 1466 e 1467. Altra città tedesca in cui la stampa ebbe fin dai primi tempi un grande sviluppo fu Augusta: ventitré tipografi vi produssero ogni genere di opere, in latino o in tedesco. Prima Gunther Zainer, poi Hans Baemler, Anton Sorg, Hans Froschauer, H. Quentell ed E. Ratdolt per citare i principali. Il Ratdolt (v.) aveva già fatto una lunga dimora a Venezia, fino al 1486; tornato in patria, pubblicò dal 1487 al 1522 un gran numero di volumi, considerati fra i più bei prodotti tipografici di ogni tempo (vedi facsimile, XXVIII, p. 854).

Norimberga divenne presto uno dei maggiori centri librarî per merito principale di Anton Koberger, che dal 1471 pubblicò circa 250 volumi fra cui la bella Bibbia illustrata da 109 xilografie (1483) e le due celebri edizioni, latina e tedesca, del Liber Chronicarum di Schedel, 12 luglio e 30 novembre 1493, in-folio massimo, piene di grandi vedute di città e di altre figure incise in legno da M. Wolgemuth e W. Pleydenwurff.

A Ulma un grande tipografo, Johann Zainer, iniziò la sua carriera nel 1473 stampando opere di Boccaccio, la traduzione tedesca del Decamerone (un esemplare a Vienna), la prima edizione latina del De Claris Mulieribus e la traduzione tedesca della stessa opera, entrambe arricchite di xilografie. Sono anche celebri il suo Petrarca, De obedientia Griseldis (1473) e l'Esopo pubblicato intorno al 1477.

Seguirono: Leonhard Holl, che nel 1482 mise fuori la Cosmographia di Tolomeo, con 44 carte incise in legno e nel 1483 Das Buch der alten Weisen (favole) di Bidpay; Conrad Dinckmut, con la Chronica di Th. Lirar (1485-86) e l'Eunuchus di Terenzio (1486); Johan Reger, con le due opere dì G. Caoursin su Rodi (1496). Tutti questi volumi di Ulma sono illustrati e fra i più belli pubblicati in Germania, dove poi l'arte della stampa si era largamente diffusa e stabilita fino all'anno 1500 in 51 città o piccoli paesi.

La tipografia in Germania dopo il sec. XV. - Il sec. XVI vide un gran fervore per l'illustrazione del libro, e bei frontespizî s'incontrano in moltissime opere stampate all'epoca della Riforma; ma nel campo tipografico la sola novità fu un carattere gotico chiamato Fraktur, impiegato a Norimberga da Joh. Schönsperger nel bellissimo Teuerdank, poema composto da Melchior Pfinzing per le nozze di Massimiliano I con Maria di Borgogna (1517).

Nel sec. XVIII a Lipsia si distinse J. G. E. Breitkopf, che difese l'impiego del carattere Fraktur contro la moda dei tipi romani. Per conciliare le due correnti Joh. Fr. Unger, influenzato dal Didot, disegnò un carattere più semplice, usato dal 1793.

Nei tempi moderni la rinascita, iniziatasi ad Amburgo per opera di Heinz König, si affermò a Offenbach sul Meno dove prima Rudolf Koch dal 1892 e poi Karl Klingspor dal 1900 disegnarono e fusero bellissimi caratteri gotici. Divennero poi assai noti i prodotti tipografici dell'Officina Serpentis, della Bremer Presse (v. facsimile, alla voce libro, XXI, tav. XXVIII), di Drugulin, Carlo Poeschel e Jacob Hegner.

2. Italia. - A) La tipografia a Subiaco e a Roma. - Un frammento di sei carte di una Passione di Cristo, testo italiano stampato in grossi caratteri quasi gotici, fu creduto da K. Haebler il più antico esempio tipografico italiano, impresso verso il 1462. Argomento principale una xilografia, che si trova anche in libretti contenenti simile testo in lingua tedesca pubblicati in Germania in quel torno di tempo. Questa è l'unica novità apparsa di recente intorno alla storia delle origini della tipografia in Italia, su cui poco o nulla si conosce, oltre quel che è noto attraverso le testimonianze degli stessi monumenti a stampa. L' opinione del Haebler fu poco discussa; si ritiene che la presenza di quell'antica incisione non possa da sola far attribuire a quel frammento una data così antica, mentre esempî di simili caratteri rozzi s'incontrano anche in libri di epoca assai più tarda.

Il merito di avere introdotta la stampa in Italia viene correntemente attribuito al cardinale spagnolo Giovanni Torquemada (Turrecremata), il quale invitò i tedeschi Conrad Sweynheym (v.) e Arnold Pannartz (v.) a recarsi a Subiaco (v.). Ciò dovette avvenire intorno al 1463-64, se già nel 1465 poté vedersi il bellissimo De Oratore di Cicerone (senza data; v. facsimile alla voce libro, XXI, tavola XVII), seguito dal Lactantius del 29 ottobre di quell'anno. I caratteri nuovissimi, di bel disegno fra il gotico e il romano, di un tipo non assomigliante a nessun altro fino allora fuso in Germania, dovettero essere copiati da un qualche manoscritto. Dopo circa due anni, il 12 giugno 1467, gli stessi tipografi pubblicarono il De Civitate Dei di S. Agostino, in-folio piccolo, su due colonne, libro perfetto in ogni sua parte e di rara bellezza (v. facsimile alla voce subiaco, XXXII, p. 913). Poi i due soci si trasferirono a Roma, dove probabilmente già si era stabilito Ulrich Han (v.), che il 31 dicembre 1467 pubblica le Meditationes del cardinale Torquemada, ornate di rozze xilografie, le prime apparse in Italia (v. facsimile alla voce han, XVIII, p. 352). I bei caratteri adoperati a Subiaco non furono impiegati a Roma: la moda era per il carattere umanistico, largamente usato in gran numero di manoscritti esemplati specialmente per la corte Aragonese a Napoli; così i nuovi tipi furono perfettamente tondi e il primo saggio apparso le Epistolae di Cicerone (novembre 1467). Dal 1468 al 1473, Sweynheym e Pannartz pubblicarono una serie di 48 classici latini, tutti di formato in-folio, tirati quasi sempre in numero di 275 esemplari (v. facsimile alla voce libro, XXI, pp. 71 e 72). Col 1473 i due soci si lasciarono; Pannartz continuò a stampare nella casa dei Massimo, e Sweynheym intraprese a incidere su metallo le 27 carte della Cosmographia di Tolomeo, lavoro interrotto per sua morte avvenuta nel 1476. Il Tolomeo fu terminato poi da Arnold Bucking e vide la luce il 10 ottobre 1478.

Il Han, dopo la stampa del Turrecremata, per cui aveva usato un grosso carattere gotico, adoperò per l'impressione del De Oratore di Cicerone (5 dicembre 1468) un minuto carattere tondo, estremamente assomigliante (se non lo stesso con qualche modifica) ad altro impiegato per la stampa dell'Apocalisse di S. Giovanni Evangelista, libro privo di note tipografiche attribuito a S. Riessinger (v.), che lo avrebbe pubblicato a Roma verso il 1467-68 prima di recarsi a Napoli. È un volume poco noto per la sua grande rarità; in fatto esso è il primo apparso in lingua italiana.

Nel 1470 un messinese, familiare di Sisto IV, Giovan Filippo La Legname (v.), pubblica Quintiliano e Svetonio e circa 40 altri volumi fino al 1484, adoperando un unico bel carattere tondo, grosso, caratteristico e tipi greci analoghi.

Intanto molti altri tedeschi sono attirati nel centro della cristianità: Georg Lauer, che dapprima diresse la stamperia nel monastero di S. Eusebio (1470-72); Leonhard Pflugel, Adam Rot, Theobald Schencbecher, Wendelin de Wila, Joh. Gensberg, Joh. Reinhard, Georg Sachsel, Barth. Golsch, Joh. Schurener, Vitus Puecher, Barth. Guldinbeck, Wolf Han, Joh. Bulle, Stephan Plannck, Eucharius Silber, Georg Herolt, Joh. Schoemberger, Andreas Freitag, Joh. Besicken.

Tanto attivi da lasciar poco respiro agl'italiani, che sono pochi e qualcuno, forse, soltanto capitalista: Antonio e Raffaele da Volterra, Francesco De Cinquinis, Simone Cardella lucchese, Oliviero Servio e Pietro de la Torre, che impresse la bella edizione della Cosmographia di Tolomeo (4 nov. 1490). Tutti questi tipografi impiegarono quasi costantemente caratteri tondi; soltanto verso la fine del secolo alcuni (Plannck, Freitag, Besicken) impiegarono varî tipi di forma gotica, sovente assai minuti.

B) La tipografia a Venezia. - Giovanni da Spira, un tedesco probabilmente fuggito da Magonza dopo il saeco del 1462, introdusse la stampa a Venezia nel 1469. Egli vi si trovava già da alcuni anni (aveva per moglie un'italiana) quando pubblicò il suo primo libro Epistolae ad Familiares di Cicerone, tirato a soli cento esemplari; l'opera fu ristampata subito, a 300 esemplari, seguita poi dalla splendida edizione di Plinio, Historia naturalis: poiché la richiesta fatta alla Signoria di Venezia, di poter esercitare egli solo nel distretto quell'arte per cinque anni, è del 18 settembre 1469, così i tre volumi furono certo impressi prima di quel tempo. Giovanni da Spira morì poco dopo aver chiesto quel privilegio, e l'edizione del De Civitate Dei di S. Agostino fu terminata dal fratello Vindelino, che nello stesso anno 1470 mise fuori Virgilio, Giovenale, il Canzoniere del Petrarca (prima edizione), Sallustio, Prisciano e varie opere di Cicerone; nel 1471 egli pubblicò la prima edizione della Bibbia in lingua italiana (traduzione di Niccolò Malermi) in due grossi magnifici volumi; e poi Terenzio, Plauto, Strabone, Tibullo, le opere latine del Boccaccio, Tacito e libri giuridici. Dal 1473 mancano sue notizie e i bei caratteri tondi passano nelle mani di due suoi compatrioti, Giovanni da Colonia e Giovanni Manthen, che li impiegano per la stampa di varî classici ed opere giuridiche, dal 1474 al 1479.

Morto Giovanni da Spira, un grande tipografo appare all'orizzonte: Nicolas Jenson (v.), francese, maestro di zecca a Tours, proveniente da Magonza. Egli aveva disegnato e fuso bellissimi caratteri romani e gotici; la sua bravura e attività gli valsero grande rinomanza e la nomina di conte palatino concessagli nel 1475 da Sisto IV. Morì nel settembre 1480, dopo aver pubblicato durante dieci anni circa cento opere in ogni formato, dall'in-folio grande, come il Plinio del 1476, al piccolissimo Officium B. M. Virginis del 1474 (v. riprod. alla voce jenson, XVIII, p. 799). Quasi contemporaneamente allo Jenson, nel 1470, iniziò a Venezia l'arte sua Christoph Valdarfer: anch'egli adoperò bei caratteri tondi e di lui va menzionata principalmente la prima edizione del Decamerone, apparsa nel 1471, di cui restano i tre soli esemplari dell'Ambrosiana, della Bibl. Nationale di Parigi e della biblioteca Ryland di Manchester.

Venezia fu la città in cui meglio fiorì, fin dalle sue origini, l'arte nuova, così che si possono contare dal 1469 al 1500 non meno di 151 aziende tipografiche. Ai numerosi tedeschi si aggiunsero, oltre ad alcuni francesi, veneziani e italiani giunti da ogni parte, fra i quali Bartolommeo di Cremona, Antonio Miscomini, i fratelli De Gregori di Forlì, estremamente attivi (1480-1527), Ottaviano Scoto di Monza, Andrea de Paltasichis di Cattaro, Bernardino Stagnino di Trino Monferrato, Matteo Capcasa e Annibale Fossi di Parma, G. B. Sessa milanese, i Paganini di Brescia, Aldo Manuzio romano. Essi adoperarono caratteri tondi e gotici e quasi sempre ottima carta e bellissimi inchiostri rossi e neri, escogitando infiniti mezzi per rendere il libro sempre più ricco e ornato, o più semplice ed elegante, o meglio leggibile, o più economico.

Grande impulso e fama vennero alla tipografia veneziana dall'opera di Erhard Ratdolt (v.), di Augusta, Giovanni e Gregorio De Gregori, Andrea Torresani e Aldo Manuzio. Il primo adoperando tipi nuovissimi, con occhio molto largo (oggi ridisegnati e fusi dalla ditta Nebiolo col nome di "carattere inkunabula"), carta meravigliosa, fregi incisi in legno su fondo nero oltremodo eleganti (v. facsimili alla voce libro, XXI, tavola XVII; e ratdoldt, XXVIII, p. 854); il De Gregori col pubblicare testi volgari come il Decamerone o il Novellino di Masuccio (1492), celebri testi di medicina (Ketham, 1491, 1493), ornati con xilografie di rara bellezza, e lo stupendo Herodotus del 1494.

Il Torresani, suocero di Aldo, ebbe i caratteri di Jenson e li seppe adoperare con rara abilità: la sua edizione di M. A. Sabellico, Rerum Venetarum Decades IV, del 1487, è un vero capolavoro tipografico. Con Aldo Manuzio (v.) il sommo è raggiunto: egli non solo compone con tipi romani libri meravigliosi quali il De Aetna di Pietro Bembo (1496), Iamblichus (1497), la Hypnerotomachia Poliphili (1499), ma crea, si può dire, la tipografia greca ed escogita il piccolo formato, facendo disegnare dal bolognese Francesco Grifi quel carattere corsivo che da lui prese il nome (v. facsimili in libri d'ore, XXI, p. 69; libro, XXI, p. 75; manuzio, XXII, p. 183, tavv. XXXIX, XL).

A Venezia si lavorava anche per altri paesi: i frati dell'Abbazia di Cluny vi fecero stampare il loro Breviario a cominciare dal 1478; nel 1480 vi si stampa il Missale ad uso della Chiesa di Gran (Esztergom in Ungheria), nel 1482 quello per l'uso di Nantes, ed è del 1487 il Breviario di Périgueux. Il prezioso Missale glagoliticum, impresso con caratteri cirillici per l'uso della Iugoslavia, apparve nel 1483. Si ricorderanno anche i Missali ad uso delle Chiese di Besançon (1500), Segovia (1500), Maiorca (1506), Valencia (1509), Zagabria (1511), Salisburgo (1515), Freysingen in Baviera (1520), Passau (1522), Cracovia (1532) e Salisbury in Inghilterra (1540). (V. riproduzioni in libro, XXI, tavv. XXI e XXII).

C) La tipografia a Milano. - Differentemente da Roma e Venezia, a Milano non furono tedeschi ad iniziare e sviluppare l'arte. Vi si stampava certo anteriormente al 1470, ma il primo libro noto è il Festus del 3 agosto 1471, dovuto forse a Panfilo Castaldi da Feltre, a cui viene anche attribuita la Cosmographia di Pomponio Mela (25 settembre 1471). Filippo Lavagna cominciò con le Epistolae ad familiares di Cicerone (25 marzo 1472), libro tirato a 300 esemplari, a cui tennero dietro una quarantina di edizioni fra cui i due grossi volumi di Avicenna (1473), Orazio (1476 e 1477), il Filocolo del Boccaccio e Tito Livio (1478). Poi vennero Antonio Zaroto, Domenico di Vespolate, G. Antonio de Honate, Ludovico e Alberto piemontesi, Paolo de Soardi, Pietro de Corneno, Simone Maniago, Filippo e Pietro Mantegazzi. Del primo di essi, infaticabile e benemerito della cultura milanese, si conoscono edizioni dal 1472 al 1497; egli stampò il primo Missale Romanum (6 dicembre 1474) e l'anno dopo il primo messale di rito ambrosiano.

Stranieri pochi: Christoph Valdarfer, giunto da Venezia nel 1474, Leonhard Pachel ed Ulrich Scinzenzeler di Ingolstadt, Guillaume Le Signerre di Rouen.

Milano fu la culla della tipografia greca. Se si trovano già agl'inizî a Magonza, a Subiaco e a Roma in testi latini poche parole o intere righe di passi greci, il primo libro interamente stampato in quella lingua apparve a Milano il 30 gennaio 1476 per opera di Dionigi Paravicino. È la nota grammatica greca di Costantino Lascaris (descritta da Legrand, Bibliogr. hellénique du XVe siècle, n° 1; v. facsimile a libro, XXI, p. 73), cui seguirono parecchi altri volumi greci, pubblicati a cura di Bonus Accursius pisano, fra i quali il dizionario greco-latino di Giovanni Crastono e le prime edizioni di Esopo e Teocrito nel testo originale.

È a Milano che la parola tipographus viene adoperata per la prima volta, nella prefazione dell'Astronomicon di Manlio stampato da Antonio Zaroto nel 1488.

D) La tipografia a Napoli. - Il gusto dei re d'Aragona, rivolto ad arricchire continuamente la loro biblioteca di classici scritti a mano su membrane, non favorì eccessivamente lo sviluppo dell'arte tipografica in Napoli: cosicché si possono contare in tutto dagl'inizî all'anno 1500, poco meno di 300 edizioni, compresi una ventina di volumi ebraici. Prima Sisto Riessinger, poi Arnaldo di Bruxelles, copista di codici, Bertoldo Rihing, Mattia Moravo di Olmütz, H. Alding, Conrad Guldenmund, Giovanni Adamo di Polonia, Cristiano Preller, Giovanni Tresser, Antonio Gontier, Martino di Amsterdam, Jodoco Hoenstein. Fra i napoletani Francesco Del Tuppo, che con Domenico Carafa, Nicola Jacopo de Luciferis, Pietro Molino e il famoso calligrafo Joan Marco Cinico rappresentarono l'elemento locale incoraggiante l'arte nuova. I testi impressi furono in gran parte giuridici, di medicina, liturgici e scolastici; fra i classici Cicerone, Horatius, Juvenalis (1474), Ovidius, Terentius (1478). Alcuni volumi godono grande celebrità: il Seneca del 1475 (Mattia Moravo) e la Divina Commedia del 1477 (Adamo di Polonia) per la loro bellezza; il Filocolo del 1478 (Riessinger) per l'interesse delle 41 xilografie che lo adornano, la Theorica Musicae di Franchino Gaffurio, impressa dal fiorentino Francesco di Dino nel 1480, per contenere la più antica rappresentazione dell'organo, e lo straordinario Esopo, testo latino e volgare, pubblicato da Francesco Del Tuppo nel 1485, celebrato per la sua ricca e spiritosa illustrazione incisa in legno.

I tipi romani prevalsero; abbastanza rozzi quelli di Riessinger, belli quelli tondi o gotici di Mattia Moravo, fra gli altri il più abile ed attivo.

E) La tipografia in Sicilia. - In Sicilia l'arte tipografica apparve contemporaneamente a Messina e a Palermo nel 1478; ma solo a Messina ebbe prima un reale sviluppo, mentre nel secolo seguente fiorì nelle due città per opera di Livino di Bruges, Antonio Mayda, Giovanni e Antonio Pasta, Giorgio e Petruccio di Spira (v. messina, XXIII, p. 7).

F) La tipografia a Firenze. - I primi prodotti di Firenze sono oggi considerati alcuni volumi privi di note tipografiche impressi nel 1471 con delicati ed eleganti caratteri tondi, Mesue, Phalaris e tre operette di L. B. Alberti. Contemporaneamente l'orafo Bernardo Cennini (v.), aiutato da suo figlio Domenico, fonde bei tipi romani e con essi compone il magnifico volume in-folio contenente il commento a Virgilio di Servius diviso in tre parti datate 7 novembre 1471, 9 gennaio e 7 ottobre 1472; libro celeberrimo, di cui si conoscono forse soltanto tre esemplari completi. Per l'ulteriore sviluppo della stampa a Firenze nel sec. XV, v. firenze, XV, pp. 461-462.

G) Cronologia tipografica italiana. - Ecco ora un quadro completo dei luoghi d'Italia in cui l'arte tipografica apparve per la prima volta. Da esso si può vedere come quest'arte si diffondesse poi rapidamente: dal 1470 al 1472 essa era già attiva in sedici città italiane, e dal 1473 al 1479 in trenta altre; dal 1480 alla fine del secolo la conobbero anche cittadine modeste o piccolissimi paesi. Essa ebbe particolare rilievo a Ferrara, Treviso, Bologna, Padova, Parma, Brescia, Pavia, Vicenza e Modena, ma si può dir che, per una ragione o per l'altra, tutte possano vantare la pubblicazione di qualche singolare cimelio tipografico. Così di Foligno e di Iesi i bellissimi Dante del 1472; di Mondovì il preziosissimo Esopo del 1476 (v. facsimile a mondovì, XXIII, p. 630); di Fivizzano il Virgilio (1472) e il Sallustio (1474); di Mantova il Boccaccio e il Dante (1472); di Vicenza le bellissime edizioni di Leonardo da Basilea, fra cui il Dittamondo di Fazio degli Uberti (1474); di Reggio di Calabria (che fu la culla del libro ebraico) il Pentateucho del 1475; di Perugia il Libro de la ventura di Lorenzo Spirito del 1482 (noto per l'unico esemplare della Biblioteca di Ulma); di Ascoli il prezioso volume degli Statuti della città impresso da fra Giovanni da Theramo nel 1496; di Colle Valdelsa l'Appianus (1478); di Pinerolo Boezio, Giovenale e Ovidio impressi da Jacques Le Rouge nel 1479 e 1480; dell'Aquila le belle impressioni di Adamo di Rothwil (1482) e l'introvabile Esopo del 1493; di Trento la prima commedia in prosa che sia mai stata impressa, Catinia di Sicco Polentone apparsa il 28 marzo 1482.

Il numero dei volumi impressi in Italia nel sec. I dell'arte della stampa si può calcolare approssimativamente a 6500; 4230 sono conservati a Londra al British Museum e il catalogo di essi, compilato con grande cura e dottrina da Alfred Pollard e Victor Scholderer, costituisce il più preciso documento del grado della cultura italiana in quel tempo e dei momenti in cui essa per merito della nuova invenzione poté raggiungere ogni parte di Europa.

Le città e i luoghi d'Italia in cui apparve per la prima volta le tipografia nel sec. XV sono, in ordine cronologico:

H) La tipografia in Italia dopo il sec. XV. - Agli albori del Cinquecento una vera rivoluzione si compie nell'arte del libro. Aldo Manuzio aveva fatto disegnare da Francesco Grifi di Bologna un nuovo carattere minuto, elegante, chiarissimo, di forma inclinata (chiamato aldino, corsivo o italico), singolarmente adatto per la stampa di volumi di piccolo formato (circa 10 × 16 cm.): il primo di questo tipo fu Virgilio, apparso nel 1501. I nuovi caratteri furono subito copiati o imitati, a Fano dai Soncino, a Firenze da Giunta, a Lione, a Tours da Jacques Le Rouge. Poi lo stesso Grifi ne fuse di più minuti per pubblicare a Bologna una serie di classici di formato in-32°. Un curioso carattere, anch'esso di tipo corsivo, fece fondere Paganino Paganini, che col figlio Alessandro stampò a Venezia e a Toscolano sul Lago di Garda. Altri tipi corsivi adoperarono Ludovico degli Arrighi vicentino (Roma 1524), Francesco Marcolini, P. A. Castiglione e A. Calvo a Milano (1541, 1540), Etienne Dolet a Lione (1532).

Lazaro Soardi volle fare cosa nuova adoperando un curioso carattere che potrebbe chiamarsi gotico italiano, e collocando dentro graziose cornicette incise in legno su fondo nero il testo della pagina, più piccola di quella di Aldo. Il tentativo forse non ebbe fortuna poiché pochissimi volumi furono così impressi, fra essi il Canzoniere del Petrarca (1511; v. facsimile a soardi, XXXI, p. 985).

Intanto Venezia diventa un mercato librario di grande importanza e vi prosperano numerosissime tipografie, alcune delle quali producono opere in lingua armena, tedesca, croata, slava e in greco moderno (1512-1527).

Nel sec. XVI si contano circa 500 officine tipografiche, ma in verità solo fin verso il 1550 molte di esse furono animate da vero senso d'arte. Si devono almeno ricordare i nomi dei fratelli De Gregori di Forlì, Nicolò Zoppino ferrarese, Luc'Antonio Giunta, i fratelli Bindoni milanesi, G. A. Vavassore, Ottaviano Scoto, Bernardino Benagli, Giorgio Rusconi, la famiglia dei Giolito, Bernardino Stagnino e Francesco Marcolini.

A Roma, cessato l'ardore umanistico, pochi restarono, fra questi il Silber, che nel 1513 mise fuori i Canti Davidici, primo libro impresso con caratteri etiopici, tipi acquistati poi dal prete tedesco Giovanni Potken per portarli a Colonia dove stampò nel 1518 un Salterio poliglotto (v. riproduz. a libro, XXI, p. 76). Al principio del secolo vi si stabilirono Etienne Guilleret, Andrea Antico; più tardi Giacomo Mazochi, Antonio Blado, Valerio Dorico e la "Tipografia Medicea", che ebbe il vanto di pubblicare nel 1593 la prima edizione del testo arabo di Euclide. I tipi arabi erano apparsi per la prima volta nell'Officium B. M. V., stampato a Fano da De Gregori nel 1514 (v. la riproduzione sotto libro, XXI, tav. XXII).

A Napoli per poco tempo ancora durarono le belle tradizioni della stampa del Quattrocento. Sigismondo Mayr pubblicò la bellissima edizione delle opere di Gioviano Pontano (1505-08); Jean Pasquet le opere di Belisario Acquaviva e quelle di Agostino Nifo (1526). Fino al 1550 appare ancora qualche bel libro come Gli ordini di Cavalcare di Federico Grisone e le Favole di Aganippe di Antonio Mariconda, in caratteri corsivi (1550). Poi libri mediocrissimi fino alla metà del Settecento, quando lo spirito innovatore di Carlo III di Borbone diede nuovo impulso ad ogni cosa. Vediamo così pubblicate le grandi opere di Luigi Vanvitelli e del Hamilton (1756, 1776).

A Firenze le belle tradizioni continuarono nel sec. XVI: Filippo, Benedetto e Bernardo Giunta stamparono classici di ogni genere, adottando il formato e i caratteri immaginati da Aldo; accurati ed eleganti libretti stampò Anton Francesco Doni; Lorenzo Torrentino fiammingo vi pubblicò fra tante altre la bellissima edizione delle Pandette (1553).

A Vicenza Tolomeo Janiculo, bresciano, stampò in forma oltremodo elegante gli scritti di G. G. Trissino: nel 1529 l'Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana ed in un foglio volante il nuovo alfabeto da lui proposto, in cui sono adoperate le forme latina e greca dell'e e dell'o, le due s lunga e corta, il doppio z, j e v distinte da i ed u, ecc.

Poi fu soltanto alla fine del sec. XVIII che in Italia un grande tipografo seppe attirare l'attenzione universale: G. B. Bodoni che, allievo in Roma della tipografia di Propaganda Fide, capo dal 1768 della Stamperia Reale di Parma, vi stabilì nel 1791 una propria tipografia. Egli prese dapprima a modello i bei caratteri disegnati a Parigi dal Fournier, indi ne disegnò di ogni genere, sempre di tipo classico: tutti sono raccolti nel suo stupendo Manuale tipografico (1788 e 1818; v. riproduz. a bodoni, VII, p. 247; libro, XXI, p. 77).

Nel rifiorire dell'arte della stampa in Italia nel sec. XX le fonderie italiane produssero alcuni bei caratteri fra cui son da ricordare l'alfabeto "Ruano", dai disegni del calligrafo Ferdinando Ruano che nella 2a metà del sec. XVI lavorava nella Biblioteca Vaticana; l'alfabeto "inkunabula", che riproduce quello di E. Ratdolt (Venezia 1477); l'alfabeto "Paganini" anch'esso fatto disegnare da Raffaello Bertieri, il quale preoccupandosi delle condizioni della nostra arte tipografica promosse a Milano, infaticabilmente, un movimento che valse poi a grandemente migliorarla. Finalmente per la pubblicazione dell'Opera omnia di Gabriele d'Annunzio un istituto nazionale si assunse il compito di produrre cosa perfetta: la promessa fu mantenuta per opera dell'"Officina Bodoni" di Verona, diretta da Hans Mardersteig, e l'edizione (1927-36) riuscì un vero capolavoro. È da segnalare ancora l'opera efficace e benemerita della Libreria dello Stato (creata a Roma nel 1923) che viene producendo libri intonati alla maggiore dignità artistica.

3. Svizzera. - Culla della tipografia in Svizzera fu considerata il "Monasterium Beronense", convento sito nella cittadina di Münster in Argovia, presso il Lago di Sempach. Uno dei monaci, Hely as de Louffen, che sottoscrive alcuni pochi volumi, il più antico datato 10 novembre 1470 (Marchesini, Mamotrectus). Invece a Basilea, sede di università dal 1460, un'edizione senza data dei Morali di S. Gregorio era già pubblicata prima, poiché in un esemplare di esso un rubricatore contemporaneo notò la data 1468. Questo libro viene anche ricordato per essere il primo in cui s'incontra un elenco di errori corretti ("Emendanda et Corrigenda"): fu stampato da Berthold Ruppel di Hanau, discepolo di Gutenberg, insieme con 15 altri fra cui due Bibbie, la Summa di S. Tommaso, le Prediche di Fra Roberto da Lecce, il Digesto e la Leggenda Aurea di Iacopo da Varazze, tutti senza indicazione di anno.

Più attivo a Basilea il cittadino Michel Wenssler, che dal 1474 al 1490 stampò circa 80 opere di teologia, liturgia, diritto civile e canonico. Seguì Giovanni Amerbach di Reutlingen, che impiegò una grande varietà di tipi pubblicando dal 1478 al 1514 un centinaio di volumi, fra cui gli scritti latini del Petrarca (1496), l'Historia Bohemica, Boezio, Marsilio Ficino e le Lettere di Francesco Filelfo impresse con tipi tondi; il resto di materia teologica.

Altri tipografi: Martin Flach, J. Besicken (trasferitosi poi a Roma), Peter Kollicher, Nikolaus Kessler (che pubblicò le Facetiae del Poggio), Jacobus Wolff, Leonhard Eisenhut, Michael Furter (specialmente noto per la sua ristampa della Lettera di Cristoforo Colombo), J. Froben, J. Bergmann von Olpe.

A Ginevra la stampa fu introdotta da Adam Steinschaber nativo di Schweinfurt, che cominciò il 24 marzo 1478 col Livre des Saints Anges, seguito da Melusine e Fierabras. L. Cruse, alias Garbin, ristampò il Fierabras (1483) e pubblicò nel 1492 e 1494 due edizioni dei Sept Sages de Rome, Olivier de Castille e La danse des aveugles, privi di data.

Jean Belot, di Rouen, stampò a Losanna nel 1493 il Missale Lausannense e a Ginevra varie edizioni del Kalendrier des Bergers, i Sept Sages de Rome e il Missale Gebennense (1497-98).

Nell'abbazia di Rougemont fu impresso, nel 1481, da H. Wirczburg, di Vach, il Fasciculus temporum del Rolewinck.

A Promenthoux L. Cruse pubblicò (2 agosto 1482) un Doctrinal de Sapience: solo libro ivi impresso.

In un altro piccolo paesello, a Sursee, fu impressa con data 14 gennaio 1500, Schradin, Cronik, testo tedesco, da un ignoto tipografo.

Nell'ultimo decennio del sec. XV apparvero a Basilea i primi libri illustrati; uno di essi è anzi rimasto celebre per l'arte spigliata e lo spirito delle 114 xilografie che lo adornano: è Das Narrenschiff di Sebastian Brant pubblicato da Joh. Bergmann von Olpe nel 1494, subito ristampato in Germania, tradotto in francese (La nef des fols du monde) prima da Rivière e poi da J. Drouyn (Lione 1497, 1498, 1499), in latino da J. Locher (Basilea 1497 e 1498) e in olandese (Guy Marchant, Parigi 1500). Questi legni furono recentemente riconosciuti opera giovanile del Dürer, fermatosi alcuni mesi a Basilea prima di recarsi in Italia. Anche nel secolo seguente Basilea diede il maggiore impulso all'arte tipografica. Morto Amerbach nel 1513, primeggiò il bavarese Joh. Froben, che fu il primo a stampar libri greci e impiegò poi largamente i caratteri tondi e perfino quelli corsivi da poco apparsi in Italia. Egli pubblicò innumerevoli edizioni degli scritti di Erasmo da Rotterdam (che abitava a Basilea) e di suoi amici, e si valse dell'opera di Urs Graf e Hans Holbein per decorare i suoi libri, stampati sempre con grande accuratezza.

Johann e Heinrich Petri, Cratander, Bebel, Hervagius, Michael Isengrim, Johann Oporinus attestano anch'essi con le loro opere un'attività assai notevole; l'ultimo poi raggiunse una grande reputazione per il gran numero di classici latini e greci pubblicati, e per la celebre edizione dell'Anatomia del Vesalio apparsa nel 1543. Robert Estienne, l'autore del Thesaurus linguae latinae, accusato in Francia di diffondere le eresie luterane, si rifugiò a Ginevra e vi fondò una tipografia nel 1551. Infine un italiano di Lucca, Pietro Perna (1522-1582), esiliato in Svizzera nel 1542, pubblicò Petrarca ed eleganti edizioni di diverse opere di Bernardino Ochino.

A Zurigo la stampa fu introdotta nel 1504 da Hans Rügger; fiorì con J. Froschauer, bavarese, morto nel 1564. La sua Bibbia in tedesco illustrata dal Holbein uscì nel 1529, e quella in lingua inglese nel 1535. Pubblicò centinaia di opere di teologia, classici latini e greci e libri di storia naturale. È la stessa tipografia che, dopo aver appartenuto ai suoi eredi, passò ai Bodmer (1620-1719), Heidegger (1719-1765) e poi dal 1755 agli Orell e Füssli che ospitarono Ugo Foscolo.

Fortunato Bartolommeo De Felice, nato a Roma nel 1723, professore a Napoli e fattosi monaco, venne a Berna e fondò a Yverdon, protetto da A. de Haller, una "Società Tipografica" spiegandovi un'attività prodigiosa. La sua maggiore impresa fu la stampa di un'Encyclopédie in 58 volumi, che lo arricchì; si rovinò invece pubblicando i 13 volumi del Code de l'Umanité. Morto il De Felice nel 1789, la celebre tipografia tramontò rapidamente.

4. Francia. - Un'ars scribendi artificialiter, escogitata in Avignone nel 1444 da un orefice di Praga, Prokop Waldfoghel, fece credere ad origini così antiche dell'arte tipografica in Francia. In alcuni atti notarili, di autenticità indubbia, si parla di spese e materiale relativo: due alfabeti di acciaio, due forme di ferro, 48 forme di stagno e "unum instrumentum calibis vocatum vitis". Altri atti, ancora più precisi, sono del 1446, ma i risultati pratici di questa operosità sono del tutto sconosciuti. Più tardi, non appena fatta nota l'invenzione tedesca, Carlo VII inviò a Magonza (4 ottobre 1458) Nicolas Jenson, uno dei migliori incisori della zecca, per carpirne il segreto, ma Jenson, visto che il re successore Luigi XI non nutriva gli stessi entusiasmi, preferì andare in Italia, e i gravi avvenimenti politici ritardarono di parecchi anni l'introduzione in Francia dell'arte della stampa. La quale fu praticata dapprima a Parigi nell'"Atelier de la Sorbonne", sotto gli auspici di Jean de La Pierre, rettore dell'università, e di Guillaume Fichet professore di belle lettere, per opera di Michele Friburger, alsaziano, Ulrich Gering di Costanza e Martin Crantz: loro primo prodotto le Epistole di Gaspare Barzizza di Bergamo, pubblicate nel 1470 con tipi copiati da quelli usati a Roma da Sweynheym e Pannartz. Il secondo libro stampato a Parigi è un'altra opera dello stesso autore sull'ortografia latina, apparsa lo stesso anno con una lettera di dedica del Fichet al suo alunno Robert Gaguin che è della più grande importanza per la storia delle origini dell'arte tipografica. Seguirono nel 1471 Sallustius, Florus e le Epistolae del Cardinal Bessarione contro i Turchi, che Fichet distribuì largamente a scopo di propaganda politica. Sempre con gli stessi tipi uscirono poi la Rhetorica di Fichet, Lorenzo Valla, Cicerone, lo Speculum humanae vitae, il Sophologium e Terenzio. Morto La Pierre e partito Fichet per l'Italia insieme con il cardinal Bessarione, i tre soci lasciarono la Sorbona e si stabilirono là presso "in vico sancti Jacobi" all'insegna "Sole aureo", rinnovando il loro materiale tipografico, e cambiando i tipi da romani in gotici.

Numerosi altri tipografi si stabilivano intanto a Parigi, in gran parte francesi e in numero di circa cinquanta, dal 1474 al 1500. Fra essi vanno menzionati Jean du Pré, Antoine Caillaut, Guy Marchant, Pierre Levet, Pierre Le Rouge, Jean Tréperel, Michel Le Noir; Philippe Pigouchet e Thielman Kerver, dedicato interamente alla produzione dei "libri d'ore" (v.). Jean Larcher, soprannominato du Pré, diede all'arte tipografica nuovo indirizzo e grande impulso; forse aveva dimorato a Venezia, in ogni caso alcuni provetti operai suoi collaboratori furono veneti, come egli stesso ci apprende nel colophon del Messale a uso di Limoges 24 marzo 1484 ("per venetos artes impressoria magnificos et valde expertos"). Dopo gli splendidi Messali a uso di Parigi e Verdun (1481), egli stampò, adoperando un grazioso tipo gotico bastardo, le opere di Boccaccio Cas des nobles hommes et femmes infortunez (1484) e le Cent Nouvelles (27 novembre 1485) nel testo francese di Laurent de Premierfait, e la traduzione delle Vite dei Santi Padri (1486), bellissimi volumi riccamente illustrati. Dal 1488 cominciò a pubblicare libri d'ore arricchiti di figure incise in rame e nel 1490 tentò, con poco successo, di produrne uno con figure tirate in diversi colori; la magnifica Légende dorée di Iacopo da Varazze, ornata di circa 80 figure, apparve, impressa con caratteri nuovi, il 7 ottobre 1489.

Guy Marchant contribuì egualmente allo sviluppo del libro illustrato ed è noto specialmente per le celebri edizioni della Danse Macabre (1485) e del Kalendrier des Bergers (1491, specie di manuale di nozioni meteorologiche, agricole, igieniche), libri di carattere popolare, abbondantemente illustrati, che ebbero un immenso successo e furono più volte ristampati. Pierre Le Rouge diede forse ancora più slancio alla produzione del libro artistico; egli apparteneva a una famiglia di calligrafi e miniatori, poi divenuti tipografi (uno di essi, Jacques Le Rouge, lavorò a Venezia dal 1471 al 1478 e poi a Pinerolo e a Milano, 1479-81). Fatte le prime armi a Chablis, dal 1478, venne a Parigi forse nel 1484, e nel 1487 furono pubblicati i suoi due magnifici volumi de La Mer des Histoires, pieni di figure e ornati in maniera del tutto originale, considerato il più bel libro francese illustrato del Quattrocento. Ma il grande animatore, vera figura di editore industriale, fu il calligrafo Antoine Vérard, che, accortosi presto del partito che si poteva trarre dall'incisione in legno, diede un impulso straordinario al libro illustrato facendo pubblicare a sue spese da tipografi diversi, a cominciare dal 1485, un gran numero di opere di tal genere, alcune delle quali poi egli stesso miniava a colori. Per differenziare la sua produzione inventò per i titoli nuove forme di grandi lettere iniziali, ornate da visi grotteschi o imitanti la calligrafia.

A Lione cominciò nel 1473 Guillaume Le Roy, di Liegi, seguito nel 1477 da Nikolaus Muller e Marc Reinhart di Strasburgo, Martin Husz, Jean Syber, Jean Numeister, Michelet Topie, Jean Trechsel, Jean de Vingle, Giacomo Suigo e Giacomo Zacconi piemontesi, Bonino de Boninis di Ragusa, e moltissimi altri, alcuni attivissimi anche nel secolo seguente.

Indi a poco a poco l'arte fu introdotta in 37 altri luoghi, piuttosto in piccoli paesi che in città grandi; e tranne che a Tolosa e a Rouen, dove ebbe un certo sviluppo, essa fu dappertutto assai modesta. Così può dirsi veramente affermata soltanto a Parigi e a Lione e lo studioso può seguirla nei 4 volumi della monumentale opera di A. Claudin.

La tipografia in Francia dopo il sec. XV. - Il movimento del Rinascimento, formatosi in Francia con ritardo, apportò poi tutti i benefici di cui si era giovata l'Italia tanti anni prima; così l'arte fiorì in tutto il Cinquecento per merito di buon numero di valorosi tipografi. Morti Guy Marchant (1508), Rembolt (1518), e Vérard (I 518), alcuni della nuova generazione come Jean Petit, Galiot du Pré e François Regnault conservano alla loro produzione il carattere primitivo. Ma Gilles de Gourmont stampa i primi libri apparsi in Francia con caratteri greci (1507) ed ebraici (1508); Henri Estienne, capostipite della celebre famiglia di tipografi, pubblica nel 1509 il suo bello Psalterium Quincuplex; Josse Bade immagina frontespizî di gusto italiano e su questa via entra poi risolutamente Geffroy Tory, il quale, dopo i suoi viaggi in Italia, adotta in definitiva i caratteri romani, aiutandosi con la decorazione incisa in legno, e disponendoli in modo da creare volumi di perfetta bellezza. Nel suo Champfleury (Parigi 1529) Tory esalta i caratteri antichi immaginandoli derivati dal nome. della dea Io formato dalle lettere I, O, e cioè da linee diritte e curve. Suo emulo fu Simon de Colines, che disegnò bei caratteri corsivi imitanti quelli di Aldo, e dello stesso tempo è Claude de Garamond, che intagliò e fuse nuovi caratteri greci e corsivi.

Nel 1534 Chrestien Wechel pubblica la bella edizione degli Emblêmes di A. Alciati; nel 1546 Jacques Kerver la traduzione francese del Polifilo, producendo un libro quasi altrettanto bello che quello celeberrimo di Aldo (1499).

Jean de Tournes, intorno alla metà del secolo, stampa a Lione libri elegantissimi riprendendo quella tradizione che in Italia invece andava affievolendosi; pubblica opere in lingua italiana, fra cui sono da ricordare l'Illustratione de gli epitaffi et medaglie antiche del fiorentino Gabriele Simeoni e l'Aritmetica di Francesco Peverone, del 1558. Poi si volle far cosa nuova e Robert Granjon disegnò un carattere imitante la scrittura francese contemporanea, adoperato la prima volta a Lione nel 1557 per la stampa del Dialogue de la vie et de la mtort e nel 1560 da Richard Breton a Parigi nel libretto La civile honesteté pour les enfants: da esso i nuovi tipi furono chiamati caractères de civilités.

Nel Seicento l'arte in Francia, come in Italia, non ebbe alcun rilievo, tolto qualche esempio isolato. L'Imprimerie Royale, diretta da Sébastien Cramoisy, fondata nel 1640, produsse alcuni bei volumi, come l'Imitatio Christi (1640) e Les principaux poincts de la Foy catholique defendus del cardinale Richelieu (1642). Pierre Moreau, calligrafo e incisore, stampò alcuni volumi con tipi nuovi imitanti la calligrafia italiana del tempo (La belle esclave, 1643).

Il sec. XVIII segnò l'epoca d'oro del libro illustrato francese, ma grandi tipografi furono soltanto J. Barbou e F.-A. Didot con i figli Pierre e Firmin. Pierre (1761-1853) adoperò caratteri disegnati e fusi da Firmin, iniziando la magnifica collezione detta Édition du Louvre, in cui apparvero fra altri Virgilio (1798), Orazio (1799) e Racine (1801), considerato un capolavoro. I Didot, come il Bodoni, con la loro produzione seguirono la corrente neoclassica, formando perfetta unità con lo "stile impero". Venne poi la produzione dei libri "romantici": molti stampati con cura grandissima, le pagine inquadrate con due o tre filetti; e dopo una lunga parentesi, più o meno insignificante, l'allarme di William Morris trovò anche in Francia larga eco dando origine a un movimento di ripresa artistica nel campo tipografico. Dal 1900 circa, poi, un buon numero di società di bibliofili favorisce la produzione di bei libri, alcuni degni della più grande ammirazione; e nomi di eletti tipografi quali Edouard Pelletan, Léon Pichon, Darantière, J. G. Daragnès, resteranno ad attestare come quest'arte antica possa sempre nobilmente rinnovarsi.

5. Olanda. - Una tradizione abbastanza antica volle farne la culla dell'arte tipografica (per le notizie relative, v. coster, laurens janszoon). Ma sta di fatto che, allo stato attuale delle eonoscenze, la priorità del ritrovato tedesco non può essere infirmata. Un tipografo di cui s'ignora il nome cominciò col pubblicare a Utrecht verso il 1471 uno Speculum humanae Salvationis, numerose edizioni della grammatichetta latina di Donatus e del Dottrinale di Alexander Gallus e il De salute corporis di Guglielmo da Saliceto; due cittadini di Nimega, Nicolaas Ketelaer e Gerardus de Leempt, vi si stabilirono nel 1473, seguiti da W. Hees (1475) e Jan Veldener (1478). Tredici altre città poi ospitarono torchi, fra i più attivi quelli di Delf, Gouda, Deventer, Zwolle, Leida e Haarlem. Alcune opere sono rimaste celebri per la ricchezza e originalità delle illustrazioni: fra esse il Dialogus creaturarum (Gerard Leeu, Gouda 1480), Iacopo da Varazze (J. van der Meer, Delft 1487), Bart. de Glanvilla, Boeck van den proprieteteyn derdinghen (Jacob Bellaert, Haarlem 1485).

Nel Seicento la fama dell'università di Leida attira in Olanda gente da ogni parte; e a Leida si stabilisce e prospera la famiglia degli Elzevier, celebri tipografi che adoperano un nitido carattere romano creato da Christoffel van Dyck.

6. Belgio. - Del primo secolo dell'arte tipografica si conoscono in Belgio 35 officine, che produssero circa un migliaio di opere. Prima ad Alost, poi a Lovanio, Bruges, Bruxelles. Audenaarde, Anversa e Gand. Ad Alost Giovanni di Westfalia e Thierry Martens cominciano col De duobus amantibus di Enea Silvio Piccolomini (1473), Martens in fine di un'altra sua edizione dice: "quest'opera l'ho stampata io Th. M. che reco ai Fiamminghi il sapere dei Veneziani". A Lovanio dal 1474 undici tipografi ne favorirono l'incremento; Jean Veldener che fu anche disegnatore, incisore e fonditore, vi pubblicò verso il 1474 il Belial di Giacomo da Teramo.

A Bruges Colard Mansion stampò certamente prima del 1476, ma è di quest'anno il suo bel Boccaccio, De la ruyne des nobles hommes et femmes, di cui sono noti tre esemplari (degli undici conosciuti), ornati di 9 figure incise in rame, fatte fare più tardi dal Mansion. Quasi contemporaneamente qui cominciò a lavorare W. Caxton, divenuto poi celebre in Inghilterra.

A Bruxelles funzionò nel Quattrocento la sola tipografia del convento di Nazareth esercitata dai "Frères de la vie commune", i quali pubblicarono dapprima (25 maggio 1476) Gnotosilatos di Arnold Geilhoven, grosso volume di 472 carte su due colonne; seguirono altre opere quasi tutte di carattere religioso. Quei frati abitualmente copiavano codici, contribuendo alla diffusione del pensiero nei Paesi Bassi e in Germania; essi avevano già stabilito tipografie a Rostock e Meclemburgo (1470) e a Marienthal sul Reno (1474). Nel secolo seguente i più importanti tipografi furono Michel v. Hamont (1557-1585), Jean Mommaert e Roger Velpius, che dal 1585 continuarono con gli eredi fino al tardo Seicento. Jean Pepermans, Frans Foppens, Philippe Vleungaert, la famiglia Stryckwant e Vleminckx furono i più noti dei secoli XVII e XVIII.

Ad Anversa dal 1481 al 1500 vissero non meno di dieci tipografi, i più noti Mathijs van der Goes, Gerard Leeu e Thierry Martens.

Nel Cinquecento vi brillò Cristophe Plantin, che dal 1555 al 1589 produsse oltre 1500 edizioni di opere di ogni genere. Gli successe il genero Jean Moretus, che con i discendenti tenne alte le sorti di questa celebre stamperia fino al 1876.

Arend de Keysere stampò a Audenaarde nel 1480 e poi dal 1483 a Gand.

7. Ungheria. - Andrea Hess stampò per primo a Budapest una Chronica Hungarorum, finita "in vigilia pentecostes" (5 giugno) 1473; con gli stessi tipi, ma senza note tipografiche, furono impresse le Leges in dieta di Mattia Corvino e Basilius, de legendis libris gentilium, con prefazione di Leonardo Bruni d'Arezzo.

8. Spagna. - Ben ventiquattro furono le città spagnole che videro stabilirsi tipografie nel sec. XV, e cioè, in ordine cronologico: Valenza (1474), Saragozza (15 ottobre 1475), Tortosa (16 giugno 1477), Siviglia (1° agosto 1477), Barcellona (15 giugno 1478), Lérida (16 agosto 1479), Salamanca 16 gennaio 1481), Zamora (25 gennaio 1482), Guadalajara (1482), Gerona (17 novembre 1483), Tarragona (4 agosto 1484), Burgos (12 marzo 1485), Maiorca (20 giugno 1485), Hijar (agosto 1485), Huete (23 agosto 1485), Toledo (31 luglio 1486), Murcia (28 maggio 1487), San Colgat del Valles (29 novembre 1489), Coria (1489), Valladolid (3 febbraio 1492), Monterey (3 febbraio 1494), Pamplona (10 ottobre 1495), Granata (30 aprile 1496), Monserrato (27 maggio 1499).

Un fiammingo, Lambert Palmart, l'introdusse a Valenza nel 1474 e più tardi s'unì con Alfonso Fernández de Córdoba per stampare nel 1477 una Bibbia spagnola. Vennero poi i tedeschi Nicola Spindeler e Pietro Hagenbach, Alfonso de Orta e Cristoph Kaufmann di Basilea, stampando quasi tutti libri in latino o in lingua spagnola. A Saragozza si distinsero Paolo e Giovanni Hurus; a Siviglia Meinardo Ungut e Stanislao Polono adoperarono tipi già impiegati a Napoli da Mattia Moravo; Pierre Brun di Ginevra e Giovanni Gentile vi pubblicarono il bel Libro de la nobleza di H. Mexia (1492); a Barcellona lavorarono N. Spindeler, Pedro Posa, Diego de Gumiel, Gabriel Pou, Joh. Luschner e J. Rosenbach che pubblicò nel 1493 il Carcel de Amor illustrato; a Burgos Federico Biel di Basilea e Juan de Burgos stamparono alcuni bei libri illustrati fra cui Esopo (1496) e il Fasciculus Medicinae di Ketham (1495).

9. Polonia. - L'arte tipografica fu esercitata a Cracovia dapprima da un tipografo sconosciuto, che alcuni vogliono identificare col bavarese Caspar Hochfeder. Fra i più antichi libri si conoscono un Almanacco per l'anno 1474 (bibl. universitaria di Cracovia, n. 1998) e l'Opus Restitutionum di Francesco de Platea (1475). Dal 1483 al 1491 Świetopełk Fiol stampn̄ 5 opere in lingua slava; poi Jan Haller (1491-1528), Georg Stuchs (1499-1502) e Florjan Ungler che pubblicn̄ dal 1510 opere in lingua polacca, fra cui Historya Trojanska, tutte perdute.

10. Boemia. - In Boemia si stampò a Plzeň, a Praga, a Winterberg e a Kutná Hora.

Per Plzeň ci fu una lunga polemica se la data del 1468 posta in fine della Storia Trojana di Guido Colonna fosse quella del compimento della traduzione boema oppure l'anno di stampa; ora è accertato che quell'edizione priva di note fu impressa da un tipografo anonimo verso il 1475 e preceduta da un Nuovo Testamento, anche in boemo; mentre il primo libro datato, Statuta Synodalia, è del 26 aprile 1476. Altre opere recano le date del 1479, 1489, 1499. Solo nome di tipografo noto quello di Mikuláš Bakalář, che negli anni 1498 e 1499 pubblicò cinque operette, tutte in lingua boema, fra cui l'Imitatio Christi.

Anche a Praga i nomi dei primi tipografi sono sconosciuti. Il prodotto più antico, Articuli statuum utraquisticorum, è del 1478, e fra una quindicina di altri volumi sono da citare Esopo in boemo, la Biblia Bohemica (1488) e Iacopo da Varazze (1495). I nomi di Jan Pylik, Severýn Kramarsz, Joh. v. Störchen e Matthia v. Weissen Löwen sembrano essere quelli di committenti.

In Moravia, a Brno (Bruna) e ad Olomouc (Olmütz) l'arte apparve nel 1485 e nel 1499. A Brno i due stampatori noti sono, associati, Conrad Stehel (che nel 1482 era a Padova) e Matteo Preinlein, che si sottoscrivono "Impressores veneti".

11. Inghilterra. - Fu William Caxton che, reduce da Bruges, esercitò per primo la tipografia in Inghilterra stabilendosi a Westminster dove dal 1477 al 1490 pubblicò circa 90 opere tutte in lingua inglese, fra cui le traduzioni di Boezio, Cicerone, Catone, Esopo, Virgilio, l'Ars Moriendi di Bartolommeo Capranica e la Legenda Aurea di Iacopo da Varazze. La più antica è The Dictes or Sayengis of the Philosophers impressa con caratteri gotici. La raccolta completa delle sue edizioni, già del duca di Devonshire, si conserva a S. Marino di California nella Huntington Library. A Caxton successe Wynkyn de Worde (1491), che adoperò in parte gli stessi tipi.

Il primo libro stampato a Oxford reca la data 17 dicembre 1468, ma la critica è d'accordo ch'essa sia sbagliata; così è nel 1478 che un tipografo ignorato vi pubblicò una Expositio S. Hieronymi in symbolum apostolorum. Con i medesimi tipi furono impressi l'Etica di Aristotele tradotta da Leonardo Bruni e il trattato De Peccato originali di Egidio Romano, datati 1479. Nel 1481 giunse da Colonia Thierry Rood il quale, associatosi con Thomas Hunte, inglese, stampò dodici volumi, fra cui Aristotele e S. Agostino.

A Londra la stampa apparve nel 1480 per opera di John Lettou: John Kendale, Litterae indulgentiarum. Un William de Machlinia dopo aver collaborato col Lettou, stampò poi da solo 14 opere (fra esse Terentius) tutte senza data, una certo del 1486. Ma il prototipografo londinese più noto è Richard Pynson; esordì verso il 1492 con la grammatica latina di Donato e le poesie di Chaucer. Nel 1494 pubblicò la traduzione inglese arricchita di xilografie del De casibus virorum illustrium del Boccaccio; nel 1497 Terenzio; nel 1500 un Missale Sarum e il Manipulus curatorum di Guido da Monte Rochen; poi Esopo, i Viaggi del Mandavilla, una grammatichetta francese, le Vite di S. Petronilla e Santa Margherita, e libretti di liturgia, tutti privi di data e tutti della più grande rarità, alcuni noti soltanto per frammenti di poche carte.

L'ultimo tipografo londinese del sec. XV fu un Giuliano notaio di cui sono noti tre volumi impressi nel 1497 e 1498.

A Saint Albans un tipografo, di cui si sa soltanto che era maestro di scuola, pubblicò dal 1481 al 1486 quattro volumi in latino, una Chronicles of England e The book of St Albans, di Juliana Bernes.

La tipografia in Inghilterra dopo il sec. XV. - Nel Cinquecento W. de Worde adoperò, oltre al gotico, caratteri tondi e arabi (1528), e un corsivo copiato da quello di Aldo, più minuto; Richard Pynson impiegò caratteri romani e greci (1524); John Siberch un bel tondo di tipo fiorentino (1521). Caratteri corsivi, da modelli italiani, adoperarono in Londra Th. Berthelet, R. Grafton, J. Mayler e R. Wolfe nel periodo dal 1540 al 1551; verso. il 1555 vi stampava un Thomas Gemini forse di origine italiana, e nel ventennio seguente Thomas Vautrollier, il quale adoperando caratteri romani o "italici" aveva adottato per marca tipografica l'ancora di Aldo.

Nel Seicento, se si toglie qualche interessante frontespizio, decorato con fregi tipografici (sistema anche più tardi assai abilmente sfruttato), l'arte fu poverissima, cosicché monumenti letterarî come quelli di Shakespeare ci furono tramandati in edizioni oltremodo modeste. Solo a Oxford ebbero una certa rinomanza la "Typographia Sheldoniana" (1669-1713), continuata dalla "Clarendon Press" (1713-1830) fondata da Edward Hyde. Riprese invece nel sec. XVIII. È celebre il volume delle opere di Pope, stampato a Londra da W. Bowyer neì 1717; William Caslon (Londra 1692-1766) fu considerato il più celebre fonditore di caratteri d'Inghilterra; John Baskerville a Birmingham (1706-1775) si rese assai noto per i suoi classici e per l'invenzione del papier vélin utilizzato la prima volta per la stampa del Virgilio (1757): il suo bell'Ariosto è del 1772. Nel 1797 apparve il bellissimo The Seasons di James Thomson ("printed for P. W. Tomkins, the letter-press by T. Bensley, the types by W. Figgins") per gareggiare con le edizioni di Didot e di Bodoni, la cui influenza si fece poi sentire fin circa il 1840, quando William Pickering adottò un'elegantissima serie di nuovi caratteri tondi, di gusto personale.

Negli ultimi anni del sec. XIX, per opporsi al crescente macchinismo che veniva annullando poco a poco ogni senso d'arte, William Morris iniziò un movimento contro questo abbandono: prima servendosi della "Chiswick Press", poi con la sua : "Kelmscott Press". Adoperò caratteri tondi ("Golden Type") e gotici ("Chaucer Type", "Troy Type"), stampando circa 50 volumi fra cui si ricorda l'elegantissimo Keats del 1894 e il celebre Chaucer del 1896. Altre imprese furono incoraggiate da amatori dell'arte tipografica pura: la "Vale Press" e la "Eragny Press" fondate da Ch. Ricketts e Lucien Pissarro; la "Essex House Press", che con interessanti originali tipi stampò i Trattati di Benvenuto Cellini (1898), Adonais di Shelley (1900) e il De Amicitia di Cicerone (1904); la "Doves Press" (Tacito, 1901; Faust di Goethe, 1906-1910); la "Riccardi Press" (Marco Aurelio, Boccaccio, Virgilio). Ma quella che ebbe forse il maggior successo fu la "Ashendene Press" fondata nel 1895 da C. G. St. John Hornby, il quale adottò bellissimi caratteri, disegnati da Emery Walker e S. Cockerell, imitanti i tipi adoperati a Subiaco nel 1465. Stabilita prima ad Ashendene nell'Hertfordshire, trasferita poi alla "Shelley House" a Chelsea (Londra), questa insigne tipografia è sempre attiva; fra le 40 opere impresse fino al 1935 si ricordano: La vita nova e Lo Inferno di Dante (1895, 1902), Tutte le opere di Dante, a cura di Ed. Moore, in-folio (1909), Il Decamerone, La Vita di Santa Chiara, I Fioretti di S. Francesco (1920-22); Don Quixote (1927-28).

12. Austria. - Una dozzina di libri stampati a Vienna dal 1482 al 1486 pare debbano attribuirsi a Stephan Koblinger, viennese, che si era già esercitato nell'arte sua a Vicenza dal 1479 al 1480. Forse il nome di Johan Cassis, che figura in essi (e finora creduto il prototipografo) è soltanto quello del venditore. Il più antico è l'opera di Egidio Colonna, Errores philosophorum, datato per errore 1472, a cui seguirono la Historie von S. Rochus e un Vochabuolista italiano tedesco, 2a ed. aumentata di quella già apparsa a Bologna nel 1479. Seguì Johann Winterburg, di cui son noti circa 160 volumi impressi dal 1492 al 1519, in gran parte opere di liturgia.

13. Danimarca. - Della più antica tipografia in Danimarca, stabilita nel 1482 a Odense, città principale dell'Isola di Fionia, resta unico testimone un prezioso incunabulo di cui sono noti i due soli esemplari della R. Biblioteca di Copenaghen e della Bibl. universitaria di Upsala. È una ristampa della celebre operetta di Guillaume Caoursin, Obsidionis Rhodiae urbis descriptio (pubblicata già a Venezia, Parma e Passau nel 1480), fatta dal tedesco Johann Snell, "artis impressoriae magister". A Copenaghen ebbe vita assai più tardi: Gottfried von Ghemen, già tipografo a Gouda e Leida, vi giunse verso il 1490, quando stampò un Donato con tipi gotici; ma il primo libro con data reca quella del 18 giugno 1493 ed è un Fundamentum in grammatica, seguito dalle Regulae grammiaticales, 9 luglio dello stesso anno. Nel 1495 fu pubblicata la celebre cronaca danese in versi Danske Rijm-Kronicke e nel 1497 la Sutmma de Poenitentia di Innocenzo IV. Gottfried von Gheinen stampava ancora nel 1508.

Ma se la stampa tardò tanto ad apparire e fu così pigra in Danimarca, alcuni tipografi stabiliti a Lubecca provvedevano già prima a stampare opere in lingua danese: Lucas Brandis dal 1478, Bartholomaeus Ghotan dal 1484, Matthias Brandis dal 1486.

14. Svezia. - Dalla Danimarca Johann Snell si spinse a Stoccolma e qui stampò un Dialogus creaturarum moralizatus nel dicembre 1483. Sono noti, poi, un Donatus del 1487 circa (soltanto un frammento conosciuto, conservato a Upsala), un Manuale Upsalense impresso con i caratteri di B. Ghotan, un Breviarium Strengenense (18 luglio 1495) e un Breviarium Upsalense (30 settembre 1496), stampati il primo da Joh. Fabri, il secondo dalla sua vedova.

L'opera di Gerson, De tentationibus diaboli, impressa da Joh. Smedh nel 1495, è considerata il primo libro apparso in lingua svedese (Aff dyäffwlsen frästilse); ma in questa lingua era già stato pubblicato verso la fine del 1489 un foglio volante, Articuli abbreviati, di cui si conoscono due esemplari, conservati a Stoccolma e ad Upsala.

Della tipografia stabilita nel convento di Santa Brigida a Vadstena resta un solo libro, impresso nel 1495: Horae de domina secundum ecclesias diocesis Lincopensis et Scarensis. Di quest'opera è noto l'unico esemplare di Upsala.

A Gripsholm, nel monastero di Mariefred, i frati certosini stamparono il 24 marzo 1498 l'operetta di Alanus Rupe, De dignitate psalterii B. Mariae Virginis.

15. Portogallo. - Nel Portogallo i primi libri stampati furono ebraici. Samuel Gacon pubblicò a Faro il Pentateucho, 30 giugno 1487; Rabbi Eliezer si stabilì a Lisbona nel 1489; a Leiria dal 1492 al 1496 Abraham ben Samuel Dortas pubblicò cinque opere. Poi a Lisbona vennero Nicola di Sassonia e Valentim Fernandes, moravo, che cominciarono nel 1495 con la Vita Christi di Ludolphus de Saxonia, primo testo apparso in lingua portoghese. A Braga Johann Gherlinc, tedesco, stampò nel dicembre 1494 un Breviarium Bracharense.

La stampa fu più attiva nel secolo seguente, principalmente a Lisbona con Giov. Pietro Bonhomini di Cremona (nel primo ventennio) e Germain Gaillard francese (dal 1530 circa), che stampò anche a Coimbra. Pochi volumi ci restano di Evora, Braga e Porto. La produzione non ha carattere proprio; dapprima il grosso carattere gotico tradizionale in Spagna, poi caratteri tondi e corsivi, spesso assai ordinarî.

L'ornamentazione e l'illustrazione derivano quasi esclusivamente dall'arte tedesca, francese e veneziana. Se ne può avere un'idea esatta percorrendo i tre volumi del catalogo dei libri portoghesi raccolti dal re Manuel.

16. Iugoslavia. - Già a Venezia si stampavano, dal 1483, libri per l'uso di queste regioni. La data dei primi libri stampati in Iugoslavia va fissata negli anni 1493-94, in cui la tipografia apparve nelle due città di Rÿeka presso Cettigne e di Segna sull'Adriatico. Fu nel convento di Rÿeka che tra la fine del 1493 e il gennaio 1494 un monaco, Macario, proveniente da Venezia. produsse un Oktōēkhos in caratteri glagolitici; a Segna un Gregorio da Segna (Grgur Senjanin) fece stampare da Blasius Misti, Silvestar Bedričić Gaspare Turčić Missale glagoliticum, che reca la data 7 agosto 1494. A Belgrado l'arte tipografica fu esercitata a cominciare dal 1548 da Radiša Dmitrović; a Lubiana stampavano Jan Manlin nel 1561, Janes Mandeljac intorno al 1579, J. T. Mayr nel 1687; a Zagabria la tipografia fu introdotta nel 1690 da un anonimo tipografo, e il primo nome che s'incontra è quello di un J. B. Weitz (che morì nel 1750).

Per i bisogni di queste regioni provvedevano, oltre che Venezia, anche Ancona e Loreto, dove i tipografi Serafini, Ferri e Belleli produssero libri in lingua serba e croata dal 1633 al 1782.

17. Turchhia. - Anche qui come nel Portogallo, la prima stampa fu introdotta da ebrei. Il Toderini nella sua Letteratura turchesca (Venezia 1787) afferma che un Lessico ebraico fu stampato a Costantinopoli nel 1488, ma è un libro mai visto; mentre date sicure dell'attività degli ebrei tipografi in quella città ci offrono opere impresse quasi senza interruzione dal 1503 al 1598. I primi furono David Nachmias col figlio Samuele, e Rabbi Gerson, figlio di Rabbi Mosè, di Soncino, il quale aveva già stampato in Italia nel paesello di Barco presso Brescia. Il più antico libro stampato con caratteri turchi sembra essere il Türkisch-Arabic Lexicon, Costantinopoli 1726.

18. Romania. - La tipografia romena cominciò nel principato di Valacchia, a Târgovişte, nel 1508, con libri liturgici in lingua slavonica, e per opera di quello stesso monaco, Macario, che dopo aver appreso l'arte a Venezia l'aveva introdotta nel Montenegro. Altri tipografi si stabilirono a Kronstadt (Braşov) nel secolo XVI, fra cui Jon Honterus e Valentin Wagner.

19. Islanda. - Un tipografo svedese di nome Matthiasson ("figlio di Mattia") si stabilì nel 1530 a Holar, sede vescovile posta a nord dell'isola, e vi stampò nel 1531 un Breviarium Nidarosiense: l'unico esemplare noto perì nell'incendio che distrusse gran parte della città di Copenaghen nel 1728. Poi la stamperia fu trasferita a Breidabolstad e a Nupufeel e quindi di nuovo a Holar, dove nel 1584 fu impressa da Jons Syne la famosa Biblia Islandica.

20. Russia. - L'arte tipografica fu introdotta a Mosca da Ivan Feodorov e Petr Timofeevič Mstislavec con la stampa del volume Epistole ed Evangeli in lingua slava del 1564; un Horologion è del 1565. Dopo il grande incendio del 1571 l'arte rivisse dal 1584 per opera di Andronico Timofeev e Triod Postnaja. Progredì lentamente nel sec. XVII, e nel Settecento Teodoro Polikarnov (1701-1731) adoperò caratteri latini e greci.

21. Finlandia. - Dopo la fondazione dell'università ad Åbo (Turku), nel 1640, la stampa fu introdotta in questa città nel 1642 e il primo libro ivi apparso fu un Discursus politicus de prudentia di M. O. Wexionius. Negli anni seguenti vi si stamparono opere in lingua svedese e finnica. Nel 1689 un'altra tipografia fu stabilita a Viborg.

22. Groenlandia. - Della prima stampa di questa regione si conosce un unico esemplare di alcuni salmi impressi nella lingua del paese a New Herrnhut nel 1793 (R. Biblioteca di Copenaghen). Ma il più antico libro composto e pubblicato in quella lingua è un abecedario edito a cura del prete missionario Hans Egede, pubblicato a Copenaghen nell'anno 1739.

23. Norvegia. - Unita politicamente alla Danimarca fino al 1814, la Norvegia era servita per la stampa da Copenaghen. Nel 1643 Tyge Nielsen stampa per primo a Cristiania (Oslo) la voluminosa opera di Christen Bang, Postilla catechetica, e tre libretti scolastici; nel 1644 un almanacco. Poi vi giunse da Copenaghen Melchior Martzan (1647) e Michele Thomesen (1665); i íratelli Giorgio e Guglielmo Wedemann vi fondarono nel 1688 una tipografia che durò fino al 1809. A Bergen l'arte della stampa cominciò nel 1719; a Trondhjem nel 1739; a Christianssund nel 1779.

24. Grecia. - Libri in greco moderno si stampavano dal sec. XVI in Venezia, mentre solo nel 1823 per iniziativa di Ambroise Firmin-Dìdot cominciò a pubblicarsi a Hydra un giornale politico. Il 24 aprile dell'anno dopo apparve il Giornale d'Atene, ma, dopo che i Turchi ebbero ripreso la città, la tipografia fu distrutta. Dal 1834 invece M. Koromélas, aiutato dal Didot, la fece prosperare.

25. Cina e Giappone. - Come sopra è stato accennato la stampa con tipi mobili fu tentata in Cina assai prima che altrove. Già nell'anno 1050 un tale Pi Sheng si serviva di lettere fatte di terra cotta tenute insieme da una cornice di ferro. Nel sec. XIV si fusero segni grafici di stagno; altri in legno furono adoperati da Wang Cheng, un geografo che inventò un tavolo girevole sul quale si potevano disporre i caratteri: fu stampata in tal modo nel 1314 un'opera di soggetto agricolo ed è in essa che si trova la storia dei caratteri mobili i quali prima venivano incisi su un blocco di legno e poi segati.

La stampa con tipi metallici si adoperò nella Corea su vasta scala; per ordine del re si fusero nell'anno 1403 centomila caratteri in rame, i quali furono adoperati fino al 1544. Se ne conservano ancora nell'American Museum of Natural History a Boston.

Nel sec. XVII un imperatore del Giappone, spinto dai missionarî gesuiti, fece fondere 250.000 caratteri adoperati per la stampa di una grande enciclopedia, costituita da 6000 volumi e finita nel 1726. Poi, per una carestia di denaro, con quel metallo furono coniate monete, cosicché per la stampa del catalogo della Biblioteca Imperiale fu di nuovo adoperato il legno ed il solo blocco inciso. Agli inizî del sec. XIX la nozione dei tipi mobili era già perduta e rivisse solo più tardi come cosa nuova di pretta importazione europea. Primo libro noto stampato dagli Europei in Cina: Eduardus de Sande, De missione Legatorum Japanensium ad Romanam Curiam, Macao 1590; ma nella prefazione di esso il tipografo Alessandro Valignano informa che egli aveva pubblicato l'anno prima un'operetta di Giov. Bonifacio, De Honesta puerorum institutione, di cui non si conoscono esemplari.

I gesuiti stamparono nel Giappone, forse già nel 1591, libri in latino e giapponese o nelle due lingue insieme libretti di carattere religioso o grammatichette, e anche le Favole di Esopo. Con la soppressione del cristianesimo, la stampa europea sparì, ma libri relativi a quelle contrade ed ai martirî che vi avvenivano, furono subito stampati a Manila, capitale delle Isole Filippine. Qui un cinese convertito, Juan de Vera, stampò nel 1593 libri in lingua cinese e spagnola.

26. India. - Il primo libro stampato in India apparve a Goa nel 1561: The Spiritual Compendium of the Christian Life di Gaspar de Leâo Pereira, arcivescovo di Goa. È poi nota, del 1563, l'opera di Garcia da Horta, Dialogues on Indian Simples and Drugs, che contiene la più antica relazione sul colera asiatico. Altri 13 volumi sono conosciuti stampati a Goa fino al 1655, fra cui il Tratado contra os judeus, pubblicato da Joâo de Emden nel 1565.

27. Africa del Sud. - L'opera Memoirs of a Gentleman di G. F. Grand, Capetown 1814 (esposto al British Museum) è considerata il più antico libro stampato in questa regione.

28. America Merdionale. - Nel nuovo continente l'arte tipografica fu introdotta dapprima a Città del Messico da Estebán Martín nel 1533-34, ma i libri sono andati perduti. Si sa anche che un bresciano di nome Paolo vi fu inviato nel 1539 da Giovanni Cromberger, forse fratello o figlio del noto tipografo Giacomo, di Siviglia; delle 37 opere da lui stampate fino al 1560, anno della sua morte, dieci sono completamente distrutte e di sei si conosce un solo esemplare. Gli successe Pedro de Ocharte che aveva sposato una sua figlia. Un altro italiano, Antonio Ricardo, di Torino, stabilì qui i suoi torchi, nel 1577, prima di recarsi nel Perù; si stabilì a Lima, dove il Ricardo nel 1584 pubblicò una Doctrina christiana y catecismo para instrucción de los Indios.

Lo sviluppo dell'arte tipografica in altri paesi dell'America Meridionala si deve esclusivamente all'opera dei gesuiti. Nel Venezuela il primo libro apparve a Nuova Valencia nel 1764: Descripción exacta de la Provincia de Venezuela. Nel Chile il più antico noto è il Modo de generar el Jubileo santo, stampato a Santiago nel 1776. La data stabilita per Buenos Aires è del 1789; ivi nel 1807 si stampava un giornale bilingue, La Estrella del Sur.

29. America Settentrionale. - L'arte tipografica apparì dapprima nel Massachusetts a Cambridge, dove l'inglese Stephen Daye cominciò a lavorare nel 1639 pubblicando un manifesto, The Freeman's Oath, e un Almanack for 1639; il Bay Psalm Book è del 1640. Seguirono piccole pubblicazioni, almanacchi, leggi, catechismi fino al 1663, anno in cui apparve la Bibbia tradotta in lingua india da John Eliot.

William Bradford, inglese di Leicester, l'introdusse a Filadelfia nel 1685 e qui si sviluppò poi più tardi principalmente per opera di Benjamin Franklin.

A Boston fu pubblicato il 25 settembre 1690 il n. 1 di un giornale composto di un foglietto (0,140 × 0,225) di due carte intitolato Publick Occurences both Foreign and Domestick con l'indicazione in fondo "Boston printed by R. Pierce for Benjamin Harris, at the London Coffee House, 1690". Circa dello stesso tempo (1683, 1686) sono alcuni manifesti stampati a Jamestown e a St Mary nella Virginia e nel Maryland da William Nuthead.

Il più antico esempio tipografico apparso a New York è un proclama del governatore della città: New England's Spirit of Persecution transmitted to Pennsylvania, stampato da William Bradford nel 1693. Nel secolo seguente fu introdotta anche nel Connecticut, New Jersey, Rhode Island, nella Virginia, nelle Caroline, New Hampshire, Delaware, Luisiana, Vermont; ebbe maggiore sviluppo dopo il 1783.

Tutte queste pubblicazioni hanno soltanto valore storico, mentre un vero sviluppo artistico si ebbe negli Stati Uniti dopo il 1890. Una grande influenza esercitò Bruce Rogers, forse insuperabile nel formare disegni di frontespizî col solo aiuto di fregi tipografici. La sua attività si svolse nel primo quarto del sec. XX e le sue edizioni della Riverside Press a Cambridge Mass. sono ricercatissime. A Boston primeggiò la Merrimount Press (fondata nel 1893 da Daniel Berkeley Updike in società con l'italiano Giovanni Bianchi), che dal 1899 al 1927 pubblicò circa 150 opere fra cui l'Inferno di Dante, Petrarca, l'Autobiografia del Cellini e il Condivi, Vita di Buonarroti, impresse con immensa cura e distinzione.

Altre tipografie che ebbero celebrità negli Stati Uniti sono: Pynson Printers a New York, University of Chicago Press e Lakeside Press a Chicago, Harvard University Press a Cambridge Mass.; quelle dirette da Edwin Grabhorn e J. A. Nash a S. Francisco, W. A. Dwiggins a Boston, W. D. Orcutt (Plimpton Press) a Norwood Mass.

30. Tipografia ebraica. - Il primo libro stampato con caratteri ebraici apparve in Italia, a Reggio di Calabria, ed è un Commentarius in Pentateuchum impresso da Abramo ben Garton nel febbraio 1475 (v. reggio di calabria, XXVIII, p. 994). Altre città italiane videro nel sec. XV prodotti simili libri, specialmente per opera della famiglia Soncino (v.), a Piove di Sacco, Mantova, Ferrara, Soncino, Bologna, Napoli, Casalmaggiore, Brescia, Barco; e nello stesso tempo solo in Portogallo ed in qualche città spagnola.

L'indice di M. Steinschneider dà i nomi dei tipografi ebrei (circa 700, dal sec. XV al sec. XVIII) e quelli di cristiani che stamparono in ebraico (in numero di 232), fra questi Daniele Bomberg di Anversa a Venezia (1516-1548); G. G. Facciotto ed Antonio Blado a Roma (1518, 1524); gli Estienne a Parigi ed a Ginevra (1528-1566); Cristoforo Plantin ad Anversa (1566-1589). Poi, ancora a Venezia, M. A. Giustiniani (1542-1552), la famiglia Bragadin (dal 1550 al sec. XVIII), Giorgio Cavalli (1565-1568), Giov. Imberti (1651-1656), G. G. Martinelli (1636-1642); a Cremona Vincenzo Conti (1556-1567); a Padova Lorenzo Pasquati (1562-1567); a Mantova i fratelli Ruffinelli (1556-1593); a Verona Francesco delle Donne (1594-1595); la famiglia Zanetti a Venezia e a Roma (1564-1609).

I Soncino continuarono anche nel sec. XVl, spargendosi in varie città, a Fano dal 1503, a Pesaro (1507), Ortona (1519) e Rimini (1521); alcuni della famiglia si trasferirono a Costantinopoli dal 1503.

In Germania i primi libri ebraici apparvero a Tubinga, intorno al 1512; in Boemia, a Praga nel 1512; in Francia, a Parigi nel 1520; in Polonia, a Cracovia nel 1534; in Svizzera, a Zurigo verso il 1545. A Londra essi apparvero a metà del Seicento.

Quanto all'aspetto, si può dire che in genere le edizioni più belle sono da ricercarsi fra le più antiche.

Il primo storico della tipografia ebraica fu l'italiano Giov. Bernardo De Rossi, la cui raccolta forma ora uno dei più preziosi fondi della Biblioteca Palatina di Parma. Questa, e l'altra della Biblioteca Bodlejana di Oxford, mirabilmente catalogata da M. Steinschneider, costituiscono le più celebri collezioni di libri ebraici.

Tipografia musicale. - Agl'inizî dell'arte tipografica nelle opere dove occorreva notare il canto veniva lasciato uno spazio bianco per l'aggiunta di righe e note manoscritte. Lo Psalterium di Magonza (1457) contiene il primo tentativo musicale: tre righe sono impresse, la quarta riga e le note scritte a mano; nel 1473 viene per la prima volta adoperata una nota fusa, che s'imprimeva su righe tracciate a mano (Collectorium super Magnificat di Gerson, stampato a Esslingen da C. Fyner); Ulrico Han a Roma nel suo Missale Romanum del 1476 e Teodoro di Würzburg nella Grammatica brevis di Fr. Niger, 21 marzo 1480, offrono i primi esempî di musica interamente impressa. Esempî che appaiono più timidi nella Musika practica dello spagnolo Bartolomeo Ramis de Pareja, pubblicata a Bologna da Baldassarre de Rubiera il 5 giugno 1482; poi assai migliori nei due bei Missali di Ottaviano Scoto (Scotto), Venezia, 28 novembre e 24 dicembre 1482. Nel Musices Opusculum di Burzio (Ruggeri, Bologna 1487) si trovano intere pagine musicali incise in legno, sistema poi sempre adoperato quasi per tutto il sec. XVI, anche quando l'uso dei tipi musicali mobili venne molto facilitato da perfezionamenti e nuovi ritrovati.

Apparentemente la musica che si legge nel Polychronicon di Ranulph Higden (Wynkxn de Worde, Westminster 1495), il primo libro con musica pubblicato in Inghilterra, sembra stampata con tipi metallici, ma l'invenzione viene attribuita a Ottaviano Petrucci di Fossombrone, che ne scrive nella petizione da lui rivolta al governo della repubblica veneta premessa al suo Odhecaton, Venezia 1501 (v. petrucci, ottaviano, XXVII, p. 65). L' Odhecaton è una raccolta di composizioni polifoniche dovute per lo più a maestri fiamminghi; e questa raccolta (che così s'intitolò perché contenente cento canti) si presenta di formato oblungo, come tutte le edizioni petrucciane, con caratteri gotici di grande nitidezza, con inchiostro nerissimo che tuttora conserva la sua lucentezza. All'Odhecaton seguì il Liber Missarum, Venezia 1502 (v. riproduzione in libro, XXI, p. 75) ed altre stampe di musiche religiose e profane, fra le quali ultime vogliamo ricordare i varî libri di frottole, strambotti, odi, sonetti, ecc., che contengono il più puro fiore delle composizioni di maestri italiani del primo quarto del Cinquecento. Oltre a queste musiche vocali, il Petrucci diede alla luce "Intavolature" di organo e di liuto. I volumi di lui recano le varie voci in parti distinte, ma contenute nella stessa pagina. Il procedimento tecnico da lui usato era il seguente: prima stampava le parole del testo, iniziali e altri accessorî, poi le righe, e infine vi sovrapponeva le note, operazione questa più difficile, ché il più lieve spostamento o la più leggiera imprecisione potevano produrre errori.

Il Petrucci trovò naturalmente imitatori e seguaci, in Italia e fuori. A Roma nel 1516 Andrea Antico pubblicò il primo libro di musica sacra ivi apparso, Liber quindecim Missarum, in-folio grande; e il tipografo Iacopo Ant. Giunta nel 1526 i tre libri delle Missae di Josquin Després. A Venezia Francesco Marcolini di Forlì ottenne dal senato nel 1536 uno speciale privilegio per stampare musica "con sistema nuovo", e sono di quell'anno i cinque libri delle Messe di Adriano Willaert e l'Intabolatura de liuto de Francesco da Milano (v. ripr. in marcolini, francesco, XXII, p. 259).

Tipografi musicali attivissimi furono nel sec. XVI principalmente Ottaviano e Girolamo Scoto, Antonio e Angelo Gardane (Gardano), Ricciardo Amadino a Venezia; Valerio e Luigi Dorico (originalmente Dorich) a Roma; e Antonio Barré che nel 1564 si trasportò da Roma a Milano. A Firenze il nome di Giorgio Marescotti è legato alle prime e più importanti musiche di stile monodico dei maestri della Camerata fiorentina; egli aveva stampato nel 1581 il Dialogo della musica antica et moderna di Vincenzo Galilei, e nell'anno 1600 messo fuori le Nuove Musiche di G. Caccini e l'Euridice di Iacopo Peri.

In Francia P. Attaignant (v.) cominciò a pubblicare opere musicali (Chansons nouvelles, Parigi, 4 aprile 1527) continuando per circa 30 anni e servendosi dei punzoni e del sistema escogitato da Pierre Haultin, di La Rochelle, sistema che permetteva di ottenere con una sola tiratura quel che prima ne esigeva tre. Pare che P. Haultin fornisse anche dei suoi caratteri il tipografo T. Susato, che pubblicò ad Anversa nel 1545 il bel Septiesme livre des chansons di Josquin Després.

Nuovi tipi vennero inventati da Briard, di Bar-le-Duc, ed essi compaiono nel Liber Missarum di Elzéar Genet dedicato a Clemente VII (stampato ad Avignone da J. de Channey nel 1532) e nei Motetti del fiore editi lo stesso anno a Lione dal celebre tipografo musicale Jacques Moderne.

Nel 1552 Adrian Le Roy e Robert Ballard, noti musici, formarono una società di edizioni musicali divenuta celebre, e la cui grande attività durò sino alla fine del Settecento, via via declinando. Si servirono dapprima di tipi incisi e fusi da Guillaume Le Bé, di Troyes, discepolo di Haultin (1525-1598) e poi da N. Du Chemin.

Intanto, allo scopo di rendere meno difficile l'impressione di più note riunite in accordo sopra un solo rigo (fosse poi il rigo a 5, o quello a molte linee, in uso allora per la musica strumentale), si cercò un nuovo procedimento per mezzo dell'incisione in rame, la cui invenzione è attribuita al romano Verovio e il più antico esempio è il Diletto spirituale, Roma 1586. Da allora questo sistema, debitamente perfezionato per mezzo di più proficui utensili e di punzoni e con l'uso delle lastre di stagno e di zinco, visse parallelo e più usato del primo sistema della stampa musicale a tipi mobili. Nel 1754 J. G. I. Breitkopf (v. breitkopf e härtel) volle dare ai tipi musicali forma più graziosa; li disegnò facendoli incidere da un certo Schmidt e con essi la principessa elettorale di Sassonia volle far stampare un suo dramma, Il trionfo della fedeltà, in fine del quale si legge "stampato in Lipsia nella stamperia di Johann Gottlob Immanuel Breitkopf, inventore di questa nuova maniera di stampar la musica con caratteri separabili mutabili: è questo dramma pastorale la prima opera stampata di questa nuova guisa, cominciata nel mese di luglio 1755, e terminata nel mese d'aprile 1756".

Quasi contemporaneamente P.-S. Fournier le Jeune, noto tipografo francese, autore di un celebre manuale tipografico, aveva escogitato anch'egli un mezzo nuovo per stampar musica, ma i larghi privilegi onde erano forniti i Ballard ne fece ritardare l'uso: nella corrispondenza fra Breitkopf e Fournier si fa parola del plagio fatto da Enschedé a Haarlem e da Trattner a Vienna; gli Enschedé si attribuirono perfino il merito della invenzione.

Con l'avvento della litografia, gli editori si valsero quasi subito di questo sistema; le pagine musicali, scritte con inchiostro adatto su pietra litografica, vengono così riprodotte in gran numero di copie.

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1 a 30. - Lexikon des gesamten Buchwesens, a cura di Karl Löffler e Joachim Kirchner con la collaborazione di W. Olbrich, Lipsia 1934-36 (in corso di pubblicazione).

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