TEATRO

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

TEATRO.

Rodolfo Sacchettini
Monica Ruocco

– Il teatro contemporaneo. Europa. America Settentrionale. America Latina e Caraibi. Asia. Africa. Bibliogra fia. Mondo arabo. Bibliografia

Il teatro contemporaneo di Rodolfo Sacchettini. – Nell’era della globalizzazione anche il t., confrontandosi con il crollo delle ideologie, l’egemonia economica, i nuovi terrorismi e la rivoluzione digitale, ha radicalizzato un processo di internazionalizzazione che ha portato nell’arco di venti-trent’anni a riscrivere una mappa dei luoghi e delle compagnie attive nei cinque continenti. In particolare, è cresciuto il ruolo dei festival che sono andati a poco a poco a tracciare – pur nell’enorme varietà degli stili – una sorta di grande comunità teatrale, il cosiddetto teatro contemporaneo internazionale.

Contemporaneo si definisce il t. di oggi (già ‘nuovo’ negli anni Sessanta o ‘di ricerca e sperimentale’ nei decenni successivi): qualifica forse più aperta, certo più ‘liquida’. «È davvero contemporaneo – afferma il filosofo Giorgio Agamben (Che cos’è il contemporaneo?, 2008, p. 9) – chi non coincide perfettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo». Questo scarto rappresenterebbe la funzione critica presente all’interno di ogni opera che vuole dirsi contemporanea, la differenza intima che la distingue da forme di intrattenimento, legate al mainstream o alle scene più convenzionali.

Dagli anni Ottanta-Novanta del Novecento a oggi sono emerse caratteristiche comuni, a partire da un riferirsi sempre maggiore a differenti arti (cinema, musica, danza, arti visive, grafica, arti digitali...), come necessario nutrimento ed essenziale elemento per l’invenzione di un linguaggio specifico della scena, che non ha né nell’attore, né nel testo i suoi centri obbligati. La scena contemporanea ha discusso i capisaldi del t. di regia, operando un superamento della messa in scena con principi e procedimenti nuovi: antinarrativi e antimimetici. Nel fortunato saggio Postdramatisches Theater (1999) Hans-Thies Lehmann individua i caratteri distintivi del t. contemporaneo, alcuni dei quali perdurano anche negli anni successivi: inclinazione al disorientamento, al frammento, a strategie di simultaneità, a una predominanza della drammaturgia visiva e musicale, all’ingresso di inedite espressioni della corporeità.

In anni più recenti il t. contemporaneo da area critica, campo minoritario aperto alle sperimentazioni, ha cominciato a codificarsi in genere, non di rado rispondendo ai parametri del mercato teatrale. La diffusione di una spettacolarità pervasiva, l’esplosione dei nuovi media nella vita quotidiana, l’ideologia della creatività diffusa, la partecipazione attiva del pubblico, l’utilizzo di elementi di teatralità nei più disparati ambiti (politica, pubblicità, aziende con il proliferare di corsi di public speaking, gestione del gruppo ecc.) hanno contribuito a sfumare sempre di più i confini dell’arte scenica. Una nuova ondata di performance art, dai tratti spesso molto vaporosi e ispirata all’arte relazionale, ha favorito a volte situazioni di consenso ludiche e interattive, delle vere e proprie ‘Disneyland’ artistiche del 21° sec., come sostenuto da Frie Leysen, una tra le più importanti operatrici teatrali, in occasione della consegna dell’Erasmus prize 2014. La scena degli ultimi anni è perciò impegnata in una continua autoriflessione sulla propria ‘necessità’ nella società odierna, in relazione, tensione e attrito con la realtà, termine di riferimento privilegiato nell’invenzione di forme e dispositivi nuovi, capaci di bucare, o almeno raccontare, la superficie del presente.

Europa. – La caduta del Muro di Berlino e il conseguente sviluppo di un’Europa senza frontiere ha profondamente influenzato anche la scena teatrale. In particolare, oltre alla circolazione di differenti tradizioni e l’emergere del t. delle aree ex sovietiche, il rafforzamento di molti festival e di finanziamenti specifici hanno contribuito al tentativo di costruire e definire una sorta di ‘teatro europeo’. Difficile stabilire se a oggi l’obiettivo può dirsi raggiunto, piuttosto si segnalano i tentativi di favorire e sostenere lavori artistici che, tramite un linguaggio perlopiù multidisciplinare e ibrido, una sorta di koinè del t. contemporaneo, sono in grado di raccontare e discutere memorie individuali in relazione a una memoria collettiva europea, di riflettere sulle potenzialità e sulle fragilità della democrazia, di creare un nuovo pubblico tramite processi di coinvolgimento diretto degli spettatori.

Italia. Dalla fine degli anni Novanta, e per il decennio successivo, il t. italiano, soprattutto quello dell’Emilia-Romagna, ha attraversato un periodo di grande vitalità e generosità. Si è assistito alla consacrazione, anche internazionale, della Socìetas Raffaello Sanzio (v. Castellucci, Romeo), al raggiungimento della piena maturità del Teatro delle Albe e del Teatro Valdoca, al-l’affermazione dei Teatri ’90 (Fanny & Alexander, Masque Teatro, Motus, Teatrino Clandestino). È una scena dal forte impatto visivo, tra le più vivaci in Europa, che guarda molto al cinema per realizzare scritture sceniche originali, conturbanti, lucide e provocatorie.

In Toscana hanno proseguito il loro significativo e radicale percorso Claudio Morganti, Armando Punzo, Alfonso Santagata; nel 1995 a Pisa è nata la compagnia I Sacchi di Sabbia. A Milano l’originale e appartato lavoro di Danio Manfredini è stato riconosciuto tra i più significativi. Al Sud Toni Servillo (v.) ha ottenuto grande successo con Sabato, domenica e lunedì (2002), e nell’ambito del t. di regia – in forte declino – sono emersi Arturo Cirillo, Antonio Latella, Andrea De Rosa, Davide Iodice, Lisa Natoli e Serena Sinigaglia. Hanno invece realizzato i loro primi lavori Scena Verticale in Calabria, Emma Dante (v.) con Sud Costa Occidentale e la compagnia Spiro Scimone in Sicilia. A Roma è esploso il ‘fenomeno’ Ascanio Celestini, esponente di punta del nuovo t. di narrazione, con spettacoli che nascono dopo un lungo e attento lavoro di ricerca, e anche autore di romanzi e regista cinematografico, mentre la compagnia Accademia degli Artefatti ha virato verso la drammaturgia inglese e Massimiliano Civica ha effettuato le sue prime austere regie. Da ricordare poi i lavori di Fortebraccio Teatro, Daria Deflorian, Teatro di Dioniso, Teatro dell’Argine, Teatro I, l’affermazione internazionale della Compagnia Pippo Delbono, la nuova drammaturgia di Fausto Paravidino e Letizia Russo e, tra gli attori più significativi impegnati sia nel cinema sia nel teatro, Sonia Bergamasco, Fabrizio Gifuni, Filippo Timi.

In circa dieci anni la comunità teatrale è stata però segnata fortemente dall’emergere della crisi, da un contesto culturale più povero, dal persistere della logica dei grandi eventi e anche dalle difficoltà oggettive nel rinnovare un linguaggio teatrale in grado di raccontare i grandi cambiamenti globali e nazionali. La crisi ha investito molti teatri, incapaci spesso di sostenere percorsi sperimentali, provocando una stagnazione distributiva e produttiva. Tra il 2005 e il 2015, sono comunque nati nuovi gruppi dai tratti eterogenei, che coniugano il teatro con differenti arti, rinnovando con inedita leggerezza la relazione con il pubblico e a volte inventandosi dei veri e propri dispositivi visivi o partecipativi: Teatro Sotterraneo, Menoventi, Fibre Parallele, Gli Omini, Muta Imago, Babilonia Teatri, Cosmesi. Tra gli attori si sono affermati Oscar De Summa, Andrea Cosentino, Daniele Timpano e, tra gli autori, Mimmo Borrelli, Lucia Calamaro, Davide Carnevali e Stefano Massini.

Scena dello spettacolo Rosso Bordeaux
Scena dello spettacolo Ping Pang Qiu

Germania. La scena tedesca si è rinnovata, sotto il segno della regia, con la nomina nel 1999 di Thomas Ostermeir, poco più che trentenne, alla direzione della Schaübune di Berlino. La capitale tedesca, dieci anni dopo la caduta del Muro, è divenuta meta prediletta di moltissimi giovani europei. Il t. di Ostermeir ha caratteri fortementi fisici, non evita tratti violenti, predilige un intreccio tra grandi drammaturgie (o drammaturgia inglese contemporanea) e riferimenti pop. René Pollesch, premiato come miglior drammaturgo tedesco nel 2002 e molto attivo alla Volksbühne, è l’altro nome nuovo (oltre a quello di Falk Richter) nel campo della regia. I suoi spettacoli si connotano per un umorismo grottesco generato dal contrasto tra linguaggio accademico ed espressioni televisive.

Sul versante dei gruppi sperimentali non meno influente è la presenza di Rimini Protokoll (v.), punto di riferimento internazionale per il ‘teatro documentario’. Rimini Protokoll coinvolge in scena non attori, ma persone comuni, che chiama esperti. È un t. che indaga i conflitti e ne studia le cause, con l’utopia di portare in scena la ‘realtà’ tramite una sorta di ready made della vita. Una sensibilità simile, ma virata al femminile, muove il collettivo She She Pop (formato da un gruppo di sette artiste) che conduce un’indagine sulle questioni legate alla vita comune e alla memoria personale, aprendosi a riflessioni più ampie sulla storia europea: tra gli spettacoli più significativi, Schubladen (2012).

Francia e Belgio. La crescita di un t. dal respiro europeo è fortemente sostenuta in Francia e in Belgio. Oltre all’attività storica del Festival di Avignone, nei primi anni Duemila è stata soprattutto Bruxelles, grazie anche al Kunsten Festival des arts, la città nella quale si sono confrontate le ultime tendenze artistiche, con un’attenzione specifica agli intrecci con la danza e la performance.

Sul fronte della regia alla fine degli anni Novanta si sono affermati in Belgio Guy Cassiers e in Francia Stéphane Braunschweig, Stanislas Nordey, Olivier Py, Joël Pommerat e Pascal Rambert. Quest’ultimo con lo spettacolo Clôture de l’amour (2011) ha raggiunto un successo internazionale. Con riferimenti diretti alle arti visive si distinguono il lavoro di Philippe Quesne, L’effet de Serge (2007), e Germinal (2012) di Halory Goerger e Antoine Defoort, spettacolo che, partendo da una scena completamente vuota, costruisce una sorta di catalogo delle tipiche azioni riconducibili al

t. contemporaneo.

È proseguito in Belgio un attento studio sugli attori del collettivo TgStan mentre con gli spettacoli di Fabrice e David Murgia si è imposto il punto di vista teatrale di una nuova generazione, capace di raccontare le solitudini e le alienazioni di oggi (Notre peur de n’être, 2014).

Spagna. Sono due le compagnie più note e provocatorie dei primi anni del 21° sec.: La Carnicería Teatro, con l’argentino Rodrigo García, che costruisce una scena fortemente critica rispetto alla società dei consumi, spesso sovrabbondante di oggetti e di cibo (Jardinería humana, 2003), e Atra Bilis della catalana Angéli ca Liddell, trasgressiva e imprevedibile, che porta avanti una linea di forte intreccio tra performance e teatro (You are my destiny, 2014).

Barcellona è la città dove operano anche i due registi piùnoti degli ultimi anni: Àlex Rigola, direttore del Teatro Llure dal 2003 e della Biennale Venezia Teatro dal 2010, impegnato in una rilettura di grandi classici e di autori contemporanei (2666, 2007, di Roberto Bolaño), e Calixto Bieito che dirige il Teatre Romea con allestimenti non di rado provocatori, anche di testi letterari (Plataforma, 2007, di Michel Houellebecq, v.). Appartiene all’ultima generazione Roger Bernat, impegnato nella creazione di dispositivi innovativi che consentono la partecipazione attiva del pubblico, come in Domini públic nel quale gli spettatori sono invitati a seguire le istruzioni e a rispondere alle domande impartite loro tramite delle cuffie. Tra gli autori, il più significativo è Juan Mayorga: i suoi testi (tra cui Hamelin, 2005) affrontano temi di natura morale e filosofica, con uno stile antinaturalistico.

Gran Bretagna. Il teatro inglese ha prestato sempre molta attenzione alla produzione dei nuovi autori grazie al Royal Court e al Bush Theatre. Oltre alla generazione inyer-face, autori ‘arrabbiati’ che propongono un t. sfacciato e provocatorio, antirealistico e aggressivo, spesso ricorrendo a un linguaggio osceno e a immagini di forte disagio (Mark Ravenhill, Martin Crimp, Tim Crouch e Philip Ridley), si sono affermati negli ultimi anni Dennis Kelly e Simon Stephens. Trova nuova linfa il verbatim theatre, forma di teatro documentario, con i testi di David Hare.

Sul versante performativo i Forced Entertainment, diretti da Tim Etchells, provocano disorientamento nel pubblico con opere dalla lunga durata e con il recupero auto ironico, citazionistico e corrosivo di materiali eterogenei (The last adventures, 2013). Sul versante visivo il gruppo anglo-tedesco Gob Squad, usando i linguaggi del cinema, della televisione e della pop music, esplora invece la complessità e l’assurdità della vita di oggi (Super night shot, 2003).

Russia ed Europa dell’Est. La difficile situazione politica che attraversa la Russia, con forti restrizioni alle libertà di espressione, non impedisce al t. di vivere un momento di particolare energia. Grazie all’attività di Teatr.doc di Elena Gremina e Michail Ugarov si è diffusa, anche in provincia, una forma attiva di t. documentario, ispirato direttamente al verbatim theatre inglese. Oltre a questioni politiche, nei testi dei nuovi autori prevalgono temi legati alla marginalità e alla malattia, come nel caso di Ivan Vyrypaev, affermatosi anche come regista e attore (Ossigeno, 2002).

In Bielorussia nel 2005 è nato The Belarus Free Theatre, in aperto dissenso con la presidenza di Aleksandr Luka šenko. Costretto ad agire in clandestinità, il gruppo porta avanti un’idea di teatro come luogo di elaborazione di una coscienza critica (Generation jeans, 2006).

In Lettonia il regista Alvis Hermanis realizza affondi quasi antropologici in epoche recenti, tramite la ricostruizione filologica e dettagliatissima di ambienti quotidiani (Long life, 2003). Tra i più giovani ha realizzato i primi lavori Valters Sīlis.

Nell’Europa dell’Est è maturata nei primi anni Duemila una generazione cresciuta con il crollo dell’Unione Sovietica e ne è emersa una prima postcomunista. Tra i registi, in Polonia Krzysztof Warlikowski allestisce con originalità testi shakespeariani. In Ungheria Árpád Schilling con The party (2013) ha inteso riflettere sulla crisi del sistema democratico con un formato a metà tra il t. e l’interazione ludica, e Béla Pintér con Our secrets (2014) recupera storie di libertà individuali limitate dal controllo spionistico del regime. Proveniente invece dal cinema Kornél Mondruczó ha costruito sulla scena set iperrealisti con spettacoli fortemente provocatori (The Frankestein Project, 2010). Il gruppo Via Negativa ha portato avanti in Slovenia un progetto sui vizi capitali, con connessioni fra t. e performance.

America Settentrionale. – Realtà dai forti contrasti, l’America Settentrionale continua ad avere un t. eterogeneo, contrassegnato dalla spiccata propensione commerciale oppure appartenente a una tradizione radicale di sperimentazione artistica, in connessione alle esperienze degli anni Sessanta. Negli ultimi decenni sia sul fronte della produzione dei testi, sia per quanto riguarda i progetti registici è maturata, soprattutto in Canada e in Messico, una sensibilità acuta per le minoranze etniche, sessuali e religiose. Il t. negli Stati Uniti si è adoperato invece per una messa in discussione e una critica dell’American way of life, con attenzione specifica a storie di migrazioni e di razzismo, e con proposte estetiche spesso tese a raccontare una faccia nascosta dell’America, più quotidiana e reale.

In particolare negli Stati Uniti, dopo la generazione di Richard Foreman, Peter Schumann, Robert Wilson, che in modi diversi hanno affrontato il t. ricercando un forte impegno politico o esplorando i territori dell’happening o ancora costruendo un sofisticato impatto visivo, la scena di New York, ancora la più viva nelle sale Off-off Broadway, offre due esempi di t. americano disilluso e fortemente ironico. Nature Theater of Oklahoma crea situazioni alterate, lavorando con modalità che mettono in risalto un perenne senso di inadeguatezza e precarietà (Life and times, 2003). Richard Maxwell, con il suo gruppo New York City Players, racconta un’America di ordinary people, figure di ‘eroi’ banali e insignificanti, in una scena interrotta da lapsus, frizioni, inciampi attoriali (Neutral hero, 2011).

La scena canadese, sviluppatasi soprattutto a partire dagli anni Settanta, è contrassegnata dalla ricca produzione drammaturgica del Québec, dalla presenza trentennale dell’importante Festival Transamérique a Montréal e dalla figura di Robert Lepage, regista teatrale, cinematografico e d’opera, punto di riferimento per il t. di impianto visivo e tecnologico. Con l’utilizzo di una scena-schermo Lepage è stato tra i primi ad avvicinare il t. alla dimensione cinematografica (tra gli spettacoli The Andersen Project, 2005; Le dragon bleu, 2011). Al contrario, Wajdi Mouawad, libanese, ma naturalizzato canadese, continua a portare avanti un attento lavoro sulla parola letteraria e sulla memoria collettiva (Seuls, 2008; Le sang des promesses. Littoral, Incendies,Forêts, 2009).

America Latina e Caraibi. – La forte crescita economica degli ultimi decenni ha permesso nuovi investimenti sulla cultura e sul teatro. In particolare, anche grazie al traino di tre festival, tra i più grandi al mondo (Festival internacional de Buenos Aires, nato nel 1997; Santiago a Mil, nato nel 1994; Festival iberoamericano de teatro de Bogotá, nato nel 1988), il t. dell’America Latina – già molto radicato nella vita quotidiana e strumento anche di espressione e lotta politica – ha potuto confrontarsi e crescere a contatto con molte esperienze straniere.

In Argentina, Buenos Aires, con le sue quattrocento sale, è considerata una delle capitali mondiali del t. del 21° sec.: può vantare una base molto ampia di spettatori, amatori e attori, impegnati in teatri indipendenti, spazi commerciali o case private. Tradizioni popolari coniugate con esperienze drammaturgiche complesse hanno dato vita a uno stile dai tratti inconfondibili: labirintico, energico, ibrido.

Il rinnovamento è iniziato con la fine della dittatura, negli anni Ottanta e Novanta, quando si è iniziato a parlare di teatro della disintegrazione (in particolare da parte di Osvaldo Pellettieri) e sono emersi nuovi registi: Daniel Veronese con El Periférico de Objetos, collettivo di teatro di figura per adulti fondato nel 1989, e Ricardo Bartís, fondatore (nel 1986) e regista del gruppo Sportivo Teatral. Gli anni Duemila – in cui si è affermato il canone della molteplicità (concetto introdotto da Jorge Dubatti) – sono stati inaugurati dall’affermazione internazionale di Rafael Spregelburd (v.), drammaturgo, attore, traduttore e regista. Il suo teatro è meticcio e multiprospettico, come dimostra Bizzarra (2003), teatronovela in dieci puntate che rielabora il trauma della crisi economica argentina; dal 1996 al 2008 Spregelburd ha composto Eptalogia di Hieronymus Bosch, che comprende sette opere autonome concepite intorno all’idea dei vizi antichi e moderni. Poco più giovani e attivi in Argentina: Federico León, che lavora sulle periferie, intrecciando teatro e cinema (Yo en el futuro, 2009); Claudio Tolcachir, attento al lavoro intimo degli attori (Emilia, 2014), e Mariano Pensotti (Cineastas, 2013).

In Cile le nuove generazioni, cresciute nell’ultimo periodo della dittatura di Augusto Pinochet, guardano alla storia del Paese, senza rinunciare al recupero anche provocatorio della memoria collettiva: tra i nomi da ricordare quelli di Guillermo Calderón (Escuela, 2013), del gruppo artistico Teatro La María (La tercera obra, 2005), della compagnia Teatro La Re-Sentida (La imaginación del futuro, 2013).

In Messico, tra autobiografia della nazione e vite private, la compagnia Lagartijas Tiradas al Sol ha realizzato, tra gli altri, lo spettacolo Se rompen las olas (2010), che rievoca, tramite video d’epoca, fotografie e musica, il tragico terremoto del 1985 a Città di Messico.

Asia. – La ricca tradizione rituale e teatrale dell’Asia si mantiene, in molti casi, intatta e resistente alle importazioni dello spettacolo più commerciale di matrice occidentale. In Giappone, e negli ultimi anni nel Sud-Est asiatico, invece il t. contemporaneo di impronta europea comincia a essere ospitato con regolarità; si favoriscono così scambi tra artisti e la nascita di nuove realtà teatrali che spesso realizzano lavori dalle forme ibride, nei quali antiche storie iniziano a coniugarsi a immaginari contemporanei. D’altra parte in Giappone la forte tradizione del Teatro nô e del Teatro Kabuki non ha impedito il fiorire di nuovi artisti che costruiscono inedite modalità teatrali. Oriza Hirata ha elaborato un metodo recitativo teso a raccontare la complessità e la fragilità della vita ordinaria giapponese con testi che rispecchiano la lingua parlata (‘teatro colloquiale’), applicata adesso anche ad attori-androidi: si tratta di Sayonara (2011), primo esperimento di android-human theater, in cui un’attrice dialoga con Geminoid F, un robot costruito per recare conforto agli anziani. Il regista e drammaturgo Toshiki Okada racconta invece le abitudini metropolitane tramite un originale teatro coreografato, nel quale i gesti quotidiani degli attori sono ipertrofici e in dissonanza con il cadenzare del testo. Tra i gruppi più giovani, nei quali abbondano riferimenti all’immaginario manga e alla cultura giovanile giapponese, si sono affermati negli ultimi anni Fai Fai, che mescola con sfrontatezza pop, kitsch e grottesco (My name is I love you, 2010), e Penino, che evoca sulla scena mondi illusori e patologici avvalendosi di studi psichiatrici.

Cina. A partire dagli anni Ottanta la Cina, oltre ai lavori tradizionali, ha iniziato ad aprirsi a esperienze occidentali. Nonostante molte difficoltà legate alla censura, che ha spinto, per es., il più noto autore cinese, Gao Xingjian, vincitore del premio Nobel nel 2000, a rifugiarsi in Francia, cominciano a emergere artisti e gruppi indipendenti (Zhao Chuan, Zhang Xian).

Africa. – Contrassegnato da forme rituali, da cerimonie, da elementi festivi, il t. di tradizione africana continua ad avere un forte impatto sociale. Si contraddistingue, oltre che per intensità coreografica e musicale, per una ricca tradizione orale, che nel corso dello scorso secolo ha incrociato anche miti e storie europee. Protesta sociale e riflessione politica, anche dopo il processo di decolonizzazione, rimangono le tematiche più affrontate.

In Senegal si ricorda l’esperienza dell’attore Mandiay N’Diaye, prematuramente scomparso nel 2014, che ha portato a Diol Kadd il metodo di lavoro del gruppo ravennate Teatro delle Albe. Il Sudafrica, alla fine del regime dell’apartheid nel 1994, ha vissuto una fase di forte rinascita culturale e di recupero della tradizione autoctona. Nel Paese si sono diffusi spettacoli popolari, nei quali prevalgono danza e musica. Si è affermato a livello internazionale, anche per le opere teatrali, l’artista William Kentridge soprattutto con Ubu and the truth commission (1997), spettacolo che unisce pupazzi, attori, documentari e disegni.

Bibliografia: S. Chinzari, P. Ruffini, Nuova scena italiana, Roma 2000; Nueva Hispanidad, a cura di D. Carnevali, M. Cherubini, «Il Patalogo 31», 2008, pp. 292-407; Lexique du drame moderne et contemporain, dirigé par J.-P. Sarrazac, Belval 2010; R. Sacchettini, La “realtà” a teatro, «Lo straniero», 2012, 148, pp. 58-67; «Prove di drammaturgia», 2012, 2, nr. monografico: Teatr.doc report teatrali nella Russia d’oggi, a cura di E. Faccioli, T. Moguilevskai; Teatro in Spagna oggi, a cura di P. Tierno, S. Trecca, «Hystrio», 2014, 4, pp. 29-57.

Mondo arabo di Monica Ruocco. - Il t. arabo contemporaneo, la cui data di nascita si fa di solito risalire alla metà del 19° sec., è sempre stato caratterizzato da una dimensione politica che, a partire dagli anni Sessanta del 20° sec., si è trasformata in un vero e proprio impegno unito a una sperimentazione che, da un lato, guarda alle avanguardie occidentali e, dall’altro, non trascura l’importante patrimonio tradizionale. Come nel caso della produzione culturale in generale, anche per il t. ci troviamo di fronte a espressioni artistiche ufficiali sostenute dai governi al potere, cui si oppone un’arte che mira a essere indipendente dal punto di vista sia dei finanziamenti sia della libertà di espressione, sfidando la censura e le restrizioni imposte dalle autorità politiche.

Il carattere rivoluzionario del t. arabo è stato sottolineato dal maggior drammaturgo del 20° sec., il siriano Sa῾d Allāh Wannūs (1941-1997), durante il discorso tenuto nel 1996 in occasione del World Theatre Day. In quell’occasione Wannūs insistette sul ruolo del t. come strumento di resistenza e metro per misurare il grado di civiltà di una nazione. Non è un caso, quindi, che i lavori di Wannūs siano stati ripresentati in molti Paesi arabi nel periodo che ha immediatamente preceduto e seguito le rivoluzioni del 2011. Inoltre il testo di Wannūs Tuqūs al-išārātwa al-taḥawwulāt (1994, Rituali per una metamorfosi), una storia con cui l’autore ha inteso demistificare l’ipocrisia dei codici sociali e della morale collettiva, è stato la prima opera di un drammaturgo arabo a essere rappresentata alla Comédie française di Parigi nel 2013 con la regia del kuwaitiano Sulaymān al-Bassām (n. 1972).

La ormai acquisita dimensione internazionale del t. arabo è stata sancita anche dalla Biennale di Venezia che, nel 2008, ha assegnato il Leone d’oro alla carriera al drammaturgo, regista e attore libanese Roger ᾽Assāf (n. 1941). Protagonista dell’avanguardia teatrale dagli anni Sessanta e fondatore di una serie di compagnie tra cui al-Ḥakawātī (1977, Il cantastorie), al-Šams (1999, Il sole) e Dawwār alšams (2005, Il girasole), ᾽Assāf ha elaborato una visione del t. in cui l’importanza della memoria e l’attenzione per le voci di quegli individui tenuti a margine dalla ‘storia’ sono diventati il centro dell’azione scenica. Sono entrati nella storia del t. arabo i suoi lavori basati sulle testimonianze dei palestinesi dei campi profughi in Libano, oppure degli abitanti dei villaggi del Sud del Paese prima e durante la guerra civile. Nel 2006, dopo gli attacchi israeliani al Libano, ᾽Assāf ha realizzato Bāb Fāṭimah (La porta di Fatima), un lavoro sulle conseguenze della guerra, in questo caso sulla vita di due donne, una israeliana e l’altra del Sud del Libano, i cui racconti sono stati raccolti personalmente dal regista. Il tema della memoria è invece al centro delle messe in scena di un altro libanese, Rabī῾ Muruwwah (Rabih Mroué, n. 1967), il quale ha realizzato un t. documentario altamente mediatizzato che si concentra su una serie di temi-chiave, tra cui la guerra, la morte, la violenza e la loro rappresentazione iconografica, e sull’analisi della propaganda politica. Dopo aver elaborato spettacoli che avevano per tema la situazione libanese dopo la guerra civile, tra cui al-Mulṣaqāt al-ṯalāṯ (2000, Tre poster) e La-kam tamannat Nancy law an kull mā ḥadaṯa laysa siwà kaḏbatnīsān (2007, noto anche come How Nancy wished that ev erything was an april fool’s joke), Muruwwah si è concentrato sulle rivoluzioni arabe e, in particolare, sulla situazione siriana nel suo al-Ṯawrah al-mubaksalah (2012, noto anche come The pixelated revolution).

Le rivoluzioni arabe del 2011 hanno rappresentato un momento di grande rinascita per il t. arabo, portando alla ribalta internazionale tutto un movimento che ha visto la nascita di progetti collettivi, la ripresa di testi che già nei decenni precedenti avevano denunciato la corruzione e l’oppressione dei regimi, l’elaborazione di nuovi modi di fare teatro. In Tunisia il duo formato dal drammaturgo Fāḍil al-Ǧa῾āybī (Fadhel Jaïbi, n. 1945) e dall’autrice Ǧalīlah Bakkār (Jalila Baccar, n. 1952) ha messo in scena nel 2009 Yaḥyā Ya῾ īsh sulla disfatta di un uomo politico che, dapprima vittima del proprio sistema oppressivo, riesce a ristabilire l’ordine delle cose. La messa in scena è la seconda parte di una trilogia che è iniziata con Ḫamsūn (2006, Cinquanta), su cinquant’anni di storia della Tunisia, ed è terminata con Tsunami (2012-13), sul pericolo del fondamentalismo religioso all’indomani della rivoluzione.

Altri protagonisti del t. tunisino degli ultimi decenni sono Tawfīq Ǧibālī (Taoufik Jebali, n. 1944), oltre alla compagnia del Masraḥ al-Ḥamrā᾽ (Le Théâtre El Hamra), uno dei poli del t. sperimentale della capitale.

In Egitto un mese dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011 un gruppo di artisti si è autofinanziato per mettere in scena, sulla piazza dell’Opera, il lavoro Ḥikāyāt Maydān(Storie di una piazza) in cui gli attori ripropongono i motivi che hanno spinto gli egiziani a protestare contro il governo di Hosni Mubarak. Preservare la memoria di quei giorni e dare la propria versione della storia è diventato un imperativo per molte artiste, da Layla Sulaymān (Leila Sole man,

n. 1981) e Sundus Šabāyik (Sondos Shabayek, n. 1986), a Nūrā Amīn (Nora Amin, n. 1970), protagoniste del t. indipendente egiziano.

Tra i numerosi autori e attori che in Siria hanno manifestato il proprio dissenso al regime si sono imposti i gemelli Aḥmad e Muḥammad Malaṣ (n. 1983), fondatori del Masraḥ al-Ġurfah (Il teatro da camera) e autori di Ṯawrat ġadan tu’aǧǧal ilà al-bāriḥah (2011, La rivoluzione di domani è stata anticipata a ieri).

Nei primi anni del 21° sec. il t. palestinese ha perduto invece due tra le sue personalità più importanti, François Abū Sālim (1951-2011) e Juliano Mir Khamis (1958-2011).

Bibliografia: M. Ruocco, Storia del teatro arabo dalla nahda a oggi, Roma 2010; Kh. Amine, M. Carlson, The theatres of Morocco, Algeria and Tunisia. Performance traditions of the Maghreb, New York 2012; Doomed by hope. Essays on Arab theatre, ed. E. Houssami, London 2012; E. Ziter, Political performance in Syria from the six-day war to the Syrian uprising, New York 2015.

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