Storia della messa in Italia

Cristiani d'Italia (2011)

Storia della messa in Italia

Manlio Sodi

Sommario: Premessa ▭ Dal 1861 al 4 dicembre 1963.  Dall’Unità d’Italia al pontificato di Pio X (1861-1914) - Il sorgere e lo sviluppo del movimento liturgico (1909-1939) - Pio XII: l’enciclica Mediator Dei e il progetto di riforma liturgica (1947-1958) - Il congresso di Assisi (1956) e l’annuncio del concilio Vaticano II (1959) - Il Codex Rubricarum e l’ultima editio typica del messale tridentino - La costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963) ▭ Dal 1964 al 25 maggio 1969 ▭ Dal 26 marzo 1970 al 7 luglio 2007. La forma della messa - Libri liturgici - Una storia a partire dall’oggi ▭ Il tempo del biritualismo del rito romano ▭ Conclusioni

Premessa

Nel contesto della vita vissuta in Italia la storia della messa presenta pagine di grande interesse, perché nell’arco di venti secoli mai c’è stato un periodo di vita liturgica così variegato, al riguardo, come quello che va dal 1861 al 2011. Per la storia della principale manifestazione di culto dei cristiani il 1861 non è una data particolarmente significativa, ma solo un terminus a quo per lo specifico obiettivo di questo contributo1. Va inoltre precisato che ci limiteremo esclusivamente al rito romano; ma per oggettività non andrebbe trascurato il riferimento al rito ambrosiano e al rito italo-albanese. In tempi più recenti dovremmo considerare la presenza di numerosi altri riti, espressione della fede di immigrati in Italia: con la loro cultura e le loro tradizioni essi portano spesso, quando è disponibile un presbitero del proprio rito, anche la ritualità propria relativa alla celebrazione dell’eucaristia (si pensi alle varie espressioni rituali dell’Ortodossia e di altri riti di cristiani del Libano, dell’Egitto, dell’India, ecc.).

Di riflesso, andrebbe considerata la pagina scritta dai milioni di italiani emigrati in questo periodo in varie parti del mondo, che hanno portato con sé le proprie tradizioni liturgiche e popolari.

All’interno di tutta la trattazione va tenuto presente che la messa è «azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato»: in questi termini si esprime l’introduzione al messale edito per volontà del concilio Vaticano II (n. 16). La messa è dunque rendere presente il sacrificio della croce attraverso i segni rituali della cena ultima che Cristo ha condiviso con i suoi apostoli, affidando loro il compito (comando) di celebrarne il memoriale.

Dal 1861 al 4 dicembre 1963

La prima periodizzazione abbraccia un secolo di storia ricchissimo di elementi che s’intrecciano con la storia della messa celebrata secondo il cosiddetto rito tridentino. Dal punto di vista della celebrazione, infatti, la seconda metà del secolo XIX si trova in pieno periodo tridentino. La struttura della ritualità della messa e soprattutto la sua spiegazione e relativa comprensione dipendono da quanto stabilito nel Catechismus ad Parochos (1566)2 e nella riforma liturgica voluta, in parte, dal concilio di Trento (1545-1563) e attuata tra il 1568 e il 1614 con l’edizione rinnovata dei sei libri liturgici ufficiali3.

Al di là del concilio Vaticano I (convocato da Pio IX il 29 giugno 1868, celebrato tra l’8 dicembre 1869 e il 18 luglio 1870, in quattro sessioni, fu chiuso ufficialmente nel 1960 e prima del Vaticano II) che non ha avuto alcun rapporto con il nostro tema (salvo alcuni passaggi della professione di fede di Pio IX), il periodo in questione può essere articolato come segue: dall’Unità d’Italia al tempo di Pio X; il sorgere e lo sviluppo del movimento liturgico; la Mediator Dei di Pio XII e il progetto di riforma liturgica ‘piana’; il congresso di Assisi e l’annuncio del concilio Vaticano II; la riforma del Codex Rubricarum di Giovanni XXIII e la pubblicazione dell’ultima editio typica tridentina; il primo documento del concilio Vaticano II sulla liturgia. Tutto questo è considerato solo nell’ottica di ciò che concerne la storia della messa e delle sue forme.

Pur dipendendo dalla messa, non si prendono in considerazione gli aspetti relativi al culto eucaristico e alla comunione fuori della messa. Va tuttavia ricordata la prassi della celebrazione della messa davanti al SS. Sacramento esposto, nell’ultimo giorno della pratica delle quarantore4, prima della reposizione, nella festa e durante l’ottava del Corpus Domini5.

Si tratta di un secolo ricchissimo di elementi culturali, sociali ed economici che s’intrecciano anche con la storia del culto cristiano; per questo la lettura dei dati va considerata in un orizzonte ben più ampio di quello che può essere richiamato dalla ritualità liturgica o dalle statistiche di partecipazione. Né va dimenticato quanto accaduto sia a livello di progressiva unità nazionale, sia con le lacerazioni provocate dalle due guerre mondiali, sia ancora con il periodo coloniale; quest’ultimo non è estraneo al nostro discorso perché ha offerto l’occasione anche per ‘esportare’ forme rituali proprie dell’Italia.

La lettura dell’insieme va dunque realizzata nell’ampia ottica della dimensione culturale6 che attraverso le sue ramificazioni chiama in causa un complesso orizzonte in cui interagiscono, nello specifico riguardante la storia della messa, in particolare la catechesi e la formazione (in generale), l’arte e la musica, ma anche la letteratura, il coinvolgimento della politica, l’insegnamento della religione, il rapporto con il sociale7 e soprattutto con le forme di pietà popolare che – retaggio dei secoli precedenti – s’intrecceranno con la principale manifestazione del culto cristiano, la messa.

Dall’Unità d’Italia al pontificato di Pio X (1861-1914)

Si attua in questo lasso di tempo un percorso che si muove tra le ultime espressioni del Barocco e dell’Illuminismo, nel tempo del Romanticismo, per giungere – pur in un persistente contesto di rubricismo – ad acquisizioni che troveranno nel termine ‘partecipazione’ un essenziale punto di riferimento. «C’è grande santità [scrive B. Neunheuser], si fanno molti sforzi; tutto questo però si concretizza piuttosto nell’aumento di molte ‘devozioni’, con conseguenti visioni parziali del mistero della salvezza e con una situazione liturgica piuttosto passiva e stagnante»8.

a) Struttura del rito della messa

Per una prima comprensione della messa è necessario cogliere almeno nelle sue linee essenziali la struttura generale del rito che contempla quattro diversi momenti.

Preparazione del sacerdote. Strettamente correlata alla celebrazione è la preparazione del sacerdote (e del vescovo). Essa si svolge in chiesa e consiste nel mettersi in un clima di preghiera per sollecitare la devozione privata: così la tradizione a cominciare dal messale di Pio V9. Una preghiera costituita principalmente dalla recita dei salmi 83, 84, 85, 115 e 129 per esprimere il desiderio del sacrificio e la coscienza del peccato insieme alla volontà di far penitenza, e da sette orazioni che chiamano in causa le mani, la testa, il cuore e i lombi della persona.

In questo atteggiamento orante è da collocare anche la preparazione del messale e del calice, che avviene in sacrestia. Dopo essersi lavate le mani, il sacerdote stesso (o clerici in sacris) prepara il calice – il gesto è considerato un atto liturgico di grande significato, sulla linea della proscomidía dei Greci – che porterà sull’altare all’inizio della messa.

La vestizione degli indumenti sacri del presbitero (amitto, camice, cingolo, manipolo, stola, pianeta) è accompagnata da preghiere dense di significato allegorico-spirituale, e comunque finalizzate a entrare nello spirito della celebrazione. Per significare che il vescovo riassume in sé tutti gli ordini, nelle funzioni pontificali indossa anche la tunicella e la dalmatica proprie del suddiacono e del diacono.

La messa dei catecumeni o ‘didattica’. La celebrazione della messa inizia con la parte detta dei catecumeni o anche messa didattica e ha uno scopo principalmente catechetico, destinato a suscitare la meditatio che è all’origine di ogni devotio; la sezione racchiude tutto ciò che comporta il rito dalle preghiere ai piedi dell’altare fino al Credo. Non abbiamo quindi una distinzione tra riti iniziali e liturgia della Parola; tutto è posto sotto il titolo ‘messa dei catecumeni’ per indicare che il cuore di tutto è costituito poi dalla ‘messa dei fedeli’ in cui si compie il sacrificio eucaristico.

Il sacerdos paratus inizia la messa con la recita di ‘preghiere ai piedi dell’altare’; una recita che coinvolge il sacerdote e i suoi ministri, non l’assemblea. Il segno di croce è seguito da un’antifona, dal salmo 42, dal Confiteor; dopo la formula di assoluzione (Indulgentiam) il vescovo mette il manipolo. Durante le due apologie che seguono, il sacerdote sale all’altare – preannunzio del sacrificio che è un ascendere dell’uomo verso Dio – e lo bacia (è il primo di otto baci, nove nella messa solenne). Tutto avviene sottovoce per evidenziare la suggestività del mistero dell’unione con Dio espressa nel rito.

A questo punto, nella messa solenne si ha l’‘incensazione dell’altare’ – come atto di venerazione, in quanto immagine di Cristo – secondo una peculiare ritualità attorno al turibolo (tra ictus e ductus) ampiamente descritta nei manuali di cerimonie10. Dopo l’altare viene incensato il ‘celebrante’. Quindi egli si pone sulla destra dell’altare – dalla parte dell’epistola – per la recita dell’introito; accompagnato da un segno di croce, esso costituisce il vero inizio della messa e indica con quale disposizione di spirito si debbano celebrare i santi misteri. Affidato al coro, il testo dell’introito annunzia il mistero che si sta celebrando11.

All’introito, che appartiene alle parti variabili della messa e che ha la funzione di introdurre alla liturgia del giorno, segue il Kyrie, che è un’acclamazione liturgica invariabile, secondo alcuni vero inizio della messa dei catecumeni12. Secondo le rubriche si recita o si canta il Gloria, solenne glorificazione della Trinità13.

La colletta – chiamata anche oratio, perché è la preghiera per eccellenza – «è la prima e unica parte specificatamente sacerdotale di tutta la messa dei catecumeni», ed è per questo che il sacerdote «si presenta come l’intercessore del popolo cristiano»14.

La parte cosiddetta didascalica della messa è costituita dall’epistola, cioè dalla lettura della Scrittura15. Nella messa solenne è il suddiacono che legge l’epistola rivolto verso l’altare. Seguono: il ‘graduale’ (simile al salmo responsoriale), il cui nome deriva dal luogo (gradus, gradino) in cui esso è letto o cantato, ed è una meditazione e riflessione sul mistero che si celebra; l’Alleluia (secondo alcuni avanzo di un salmo responsoriale che accompagnava una seconda lettura prima del Vangelo) prepara immediatamente al Vangelo; il ‘tratto’ ha la stessa funzione del graduale, fa le veci dell’Alleluia quando non è possibile recitarlo ed è costituito da versetti salmodici; la ‘sequenza’, composizione poetica e musicale che illustra e sviluppa il mistero celebrato (Victimae paschali, Veni Sancte Spiritus, Lauda Sion, Stabat Mater, Dies irae).

Questa parte culmina nel Vangelo proclamato con solennità o cantato dal diacono (accompagnato da una particolare ritualità). Fin dall’antichità, e precisamente dalla testimonianza di Giustino16, il Vangelo è seguito dalla predica o sermone o omelia. Nella messa pontificale alla predica segue il Confiteor.

Il Credo, da recitarsi secondo le rubriche, conclude questa parte della messa per evidenziare il rapporto tra culto e fede, tra le verità celebrate e quelle credute e professate. È in stretto rapporto con la predica perché sintesi delle principali verità di fede che la predica enuncia.

La messa dei fedeli. Tre sono le sezioni che caratterizzano questa parte: l’offertorio, la consacrazione eucaristica e la santa comunione.

Sotto il titolo di ‘offertorio’ si pongono vari elementi che caratterizzano la prima parte della messa dei fedeli: a) il ‘canto dell’offertorio’ che anticamente accompagnava la processione con le oblazioni dei fedeli, è costituito da un testo della Scrittura e riecheggia o il significato della festa o il tipo di celebrazione; b) l’‘offerta del panecon la preghiera a Dio di gradire il sacrificio (Suscipe, Sancte Pater); c) la ‘preparazione e l’offerta del calice’ con il versamento del vino e di alcune gocce d’acqua per indicare l’unione tra Cristo e i fedeli o per ricordare il sangue e l’acqua sgorgati dal costato di Cristo sulla croce, e la preghiera Offerimus tibi, Domine seguita da altre apologie (In spiritu humilitatis e Veni sanctificator); d) nella messa solenne la ‘seconda incensazione’ delle oblate, dell’altare, del celebrante, del clero e dei fedeli per esprimere purificazione, santificazione e venerazione nei confronti delle oblate e di tutti i presenti; e) il ‘lavabo’ del pollice e dell’indice17, con carattere simbolico, accompagnato dalla recita del salmo 25; f) il Suscipe, Sancta Trinitas: una preghiera che conclude i gesti offertoriali e predispone all’offerta del vero e proprio sacrificio.

L’‘offertorio’ ha uno specifico carattere sacerdotale; per questo tutte le preghiere sono recitate sottovoce. I fedeli vi partecipano con il gesto dell’offerta per i bisogni dei poveri, e soprattutto con l’offerta della propria volontà a quella divina.

Sotto il titolo ‘consacrazione eucaristica’ abbiamo vari elementi che possono essere articolati come segue: preghiere che precedono la consacrazione, la consacrazione vera e propria, le preghiere e i riti che seguono. Dalla terminologia si comprende immediatamente che tutta l’attenzione si concentra sulla consacrazione, e non sui vari elementi distinti, a cominciare dalla preghiera eucaristica che non è solo ‘consacratoria’; il confronto con il messale del Vaticano II evidenzia questo dato di fatto.

Vari sono gli elementi che precedono la consacrazione; li ricordiamo in sintesi in modo da cogliere la frammentazione di una parte della messa che successivamente ha ritrovato la sua logica più originaria: a) l’Orate fratres e la Segreta appaiono staccati da ciò che precede, mentre di fatto concludono l’offertorio; il primo è un invito a pregare Dio perché accetti il sacrificio, la seconda è così chiamata perché era l’oratio super secreta o super oblata, cioè sui doni che sono stati separati (secernere) per il sacrificio (in seguito si cominciò a recitare sottovoce e da qui ‘segreta’); b) i quindici ‘prefazi’ – con il Sanctus e il Benedictus – appaiono staccati dal canone, anche se nella messa solenne il Benedictus viene cantato dopo la consacrazione; c) il ‘canone’ per circa sedici secoli è stata l’unica preghiera eucaristica del rito romano; recitato sottovoce, costellato da 25 segni di croce, non compreso nella sua unitarietà a motivo dei vari elementi di cui è composto18, ha orientato tutta l’attenzione sulla consacrazione e la connessa ‘grande elevazione’ (con genuflessioni, suono di campanelli, incensazioni e presenza di candele) per concludersi con la ‘piccola elevazione’ (Per ipsum); d) il Pater noster è seguito dall’‘embolismo’ e dal rito della fractio panis completato dalla consignatio (tre segni di croce sul calice con l’ostia consacrata) e dalla commixtio (una particella di ostia che scende nel calice); e) la recita o il canto dell’Agnus Dei è seguito dalla ‘preghiera per la pace’ e quindi dal ‘gesto’ per significare l’offerta del sacrificio che unisce gli uomini a Dio e tra di loro19.

Infine, la parte relativa alla ‘santa comunione’ comprende: a) le due preghiere di preparazione personale del sacerdote; b) la consumazione del sacramento da parte del sacerdote e la comunione dei fedeli, quanto mai auspicata (e ricevuta in piedi fino al secolo XVII); questa viene preparata dalla recita del Confiteor, dal Misereatur e dall’Indulgentiam20; c) la purificazione del calice e delle proprie dita accompagnata da due preghiere.

Parte finale. La conclusione della messa va dal Communio fino alle preghiere di Leone XIII e Pio X, e a quelle di ringraziamento personale. Sempre in sintesi ecco gli elementi: a) il communio è un’antiphona ad communionem, tratta spesso dai salmi, cantata originariamente dal coro durante la comunione del popolo, mentre nel periodo che ci interessa deve essere cantata dopo la comunione dei fedeli; b) strettamente unito al communio è il postcommunio seguito nei giorni di Quaresima dall’oratio super populum; c) l’Ite, Missa est precede la preghiera finale (Placeat) e l’ultima benedizione; d) l’ultimo Vangelo, il prologo di s. Giovanni (con alcune eccezioni), è recitato per devozione o anche come protezione contro malattie, temporali e infestazioni diaboliche, ed è in questa linea che il messale di Pio V rese ufficiale l’antica usanza; la spiegazione più plausibile è costituita dal rapporto tra il mistero dell’incarnazione e quello dell’eucaristia; e) preghiere prescritte solo per le messe ‘lette’ e con carattere provvisorio da Leone XIII nel 1884: si tratta di tre Ave Maria, della Salve Regina accompagnata da un’orazione, dell’invocazione a s. Michele Arcangelo, e della triplice invocazione al Sacro Cuore di Gesù stabilita nel 1904 da Pio X (in alcune zone d’Italia si aggiungevano ancora delle ‘glorificazioni’ di Dio e dei santi in lingua volgare (Dio sia benedetto); f) preghiere di ringraziamento, sulla linea di quelle per la preparazione alla messa.

b) Forme rituali

Sotto l’aspetto cerimoniale le forme rituali attraverso cui è celebrata la messa sono individuabili in tre categorie: la messa letta, la messa cantata e la messa solenne. Il Codex Rubricarum indica due specie di messa: in cantu e lecta. Quella in cantu è detta solemnis se celebrata con l’assistenza di ministri sacri (se questa è celebrata dal vescovo è detta pontificalis), diversamente è solo cantata.

La messa ‘letta’ chiama in causa tre diversi ambiti che coinvolgono rispettivamente il celebrante, il serviente, e la forma dialogata.

Il ‘celebrante’ segue un cerimoniale ordinario puntualmente descritto nell’introduzione al messale e soprattutto nei manuali di cerimonie. Dalla preparazione che si svolge in sacrestia fino al ritorno in essa, egli segue tutte le indicazioni richieste. Alcune avvertenze particolari chiamano in causa parti che si devono sapere a memoria (quali le preghiere da dirsi a chiara voce o in segreto).

Il ‘serviente’ è necessario e di solito deve essere uno solo; ha una funzione propria e deve mantenere una posizione (quasi sempre in ginocchio sul primo gradino, e dalla parte opposta a quella in cui si trova il messale) e un contegno tali da edificare l’assemblea; può essere un chierico (con talare e cotta) o un laico (con talare e cotta o altra veste o divisa), non una donna, la quale, in caso di necessità, può solo guidare preghiere e canti.

La ‘messa dialogata’ è quella «seguita concordemente da tutti i fedeli in diretta unione con il celebrante. Questo metodo è […] il più perfetto e raccomandato dalla chiesa, la quale però non esclude altri sistemi che, per certe categorie di fedeli o certi individui liturgicamente meno preparati, possono essere ugualmente fruttuosi»21. Al di là dei vari gradi stabiliti in base al numero delle parti ‘dialogate’ con il celebrante, i fedeli assumono atteggiamenti conformi al momento della celebrazione, seguendo le indicazioni della guida che può fare spiegazioni e istruzioni, leggere l’epistola e il Vangelo in volgare (mentre il celebrante li legge in latino).

La messa ‘cantata’ può essere servita da uno o due servienti (more missae lectae) o da uno o due chierici che assistono il celebrante sulla predella (more cappellanorum). È caratterizzata dall’uso di quattro o sei candele accese, da alcuni aspetti rituali tipici, dall’uso dell’incenso come per la messa solenne, dalla presenza di due o quattro ceriferi.

La messa ‘solenne’ richiede la presenza del celebrante, del diacono e del suddiacono in sacris22, di due accoliti e del turiferario e possibilmente di un cerimoniere. Il canto di tutte le parti è obbligatorio.

Attenzioni specifiche sono richieste in ordine a questi elementi: a) la predica, svolta dal celebrante all’altare, alla balaustra o sul pulpito; da farsi sul Vangelo o su un tema attinente alla liturgia del giorno; oppure un fervorino eucaristico prima dell’Ecce Agnus Dei; se non è celebrante, il predicatore recita un’Ave Maria e comincia la predica; b) l’aspersione, obbligatoria solo per la messa conventuale e solo di domenica; c) una ritualità propria per alcune messe penitenziali e per quelle dei defunti, per la messa davanti al SS. Sacramento esposto, per quella con il prete assistente, e per binazioni e trinazioni senza e con interruzioni.

c) Modalità di partecipazione

Due sono le forme di partecipazione alla santa messa, e sono indicate con una terminologia caratteristica: ‘liturgica’ e ‘non liturgica’. La riprendiamo dagli orientamenti della Mediator Dei, anche se la presentazione dell’enciclica sarà fatta successivamente, e dall’istruzione De musica sacra (3 settembre 1958), sempre di Pio XII, dove la fidelium participatio è dettagliatamente descritta per le messe in cantu (nn. 24-27), per le messe lectae (nn. 28-34) e per le messe conventuales vel in choro (nn. 35-37).

La ‘modalità liturgica’ è detta anche interiore e fa riferimento all’uso del messalino. È stato questo il modo per avvicinare e gustare il testo liturgico nella sua integralità, superando così le parafrasi in volgare presenti in vari sussidi circa il ‘modo di assistere alla messa’. È stata una modalità, però, riservata a una élite; per questo l’obiettivo del movimento liturgico è stato quello di far sì che tutto il popolo preghi; e questo è stato l’obiettivo della cosiddetta messa dialogata. La modalità liturgica – che implica la dimensione interiore ed esteriore – chiama in causa la messa dialogata e la messa cantata.

La messa ‘dialogata’ si ha quando il popolo risponde al sacerdote, quando esegue dei canti durante la messa, e quando fa l’una e l’altra cosa insieme. È la forma che cerca di riportare i fedeli alla partecipazione che loro compete. E questo avviene: a) attraverso il dialogo con cui i fedeli si associano al celebrante rispondendo a voce alta insieme al ministrante e recitando insieme al celebrante le parti che il popolo normalmente deve seguire nella messa cantata (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei); b) attraverso il canto che corrisponda alle varie parti del sacrificio. Approvata ufficialmente il 4 agosto 1922 dalla Congregazione dei riti23, questa forma viene rilanciata ancora dalla Mediator Dei, purché si svolga secondo le norme rituali vigenti.

La messa ‘cantata’ o solenne costituisce il vertice della partecipazione liturgica dei fedeli. La partecipazione consiste nel canto dei testi liturgici dell’ordinario della messa.

La modalità ‘non liturgica’ di partecipazione alla messa consiste nella pia meditazione dei misteri della vita di Cristo compiendo esercizi di pietà o facendo altre preghiere che in qualche modo hanno un riferimento alla messa.

Quali dunque ‘le condizioni per una partecipazione attiva’? In sintesi, esse possono essere individuate attorno ai seguenti obiettivi: a) vedere: fare in modo che la disposizione di tutti gli elementi della chiesa sia tale da facilitare la partecipazione e la comprensione di ciò che si celebra24; b) comprendere: una comprensione dei testi che dipende dall’ascolto e quindi dall’impegno da parte del celebrante nel farsi sentire, e sottolineare tutto questo con adeguata catechesi sul sacrificio della messa; c) agire: la partecipazione richiede canto e preghiera a voce alta e distinta, e accompagnare il tutto con i gesti del corpo; d) vivere: è l’obiettivo finale di tutta l’azione liturgica.

In tutto questo entra in gioco l’uso della lingua volgare che è regolamentato da queste disposizioni: a) nella ‘messa letta’ è proibito leggere a voce alta le parti proprie del celebrante, soprattutto la preghiera eucaristica, e cantare traduzioni integrali di parti variabili e invariabili della messa; mentre non è proibito recitare il rosario o compiere altri pii esercizi o cantare cantici in lingua volgare purché approvati dall’Ordinario; b) nella ‘messa cantata’ è proibito eseguire canti in lingua volgare anche durante la distribuzione della comunione.

d) Libri liturgici

Nel periodo che intercorre tra il 1861 e il 1963 il libro liturgico per eccellenza e quasi unico in ordine alla messa è il messale romano. L’editio princeps del 1570 è presto seguita da altre editiones typicae che segnano le tappe di uno sviluppo della tradizione stessa. Le principali edizioni25 sono quelle del 1604 (Clemente VIII)26, 1634 (Urbano VIII)27, 1884 (Leone XIII)28, 1920 (Benedetto XV)29, 1962 (Giovanni XXIII). Tutto questo significa che il messale subisce adattamenti e integrazioni secondo la vita della Chiesa, e la liturgia riflette tale vitalità; ecco perché si impongono varie edizioni ufficiali, considerando il fatto che quella di Benedetto XV riflette anche la pubblicazione del Codex Iuris Canonici del 1917, e quella di Giovanni XXIII la pubblicazione del Codex Rubricarum.

Tutto questo porta a evidenziare che mai è esistito un fissismo rubricale nell’ambito del rito romano, tanto che prima del 1970 già erano stati operati cambi di notevole rilevanza nel 1962. A sua volta, l’edizione del 1920 aveva operato aggiustamenti adeguati ai tempi e in conformità alle disposizioni del Codex Iuris Canonici del 1917. Risalendo a ritroso dal presente al passato, si potrà constatare che ogni epoca, sia dopo il concilio di Trento sia prima, ha proceduto all’immissione o alla soppressione di formulari. Si pensi allo sviluppo eortologico sia delle solennità di Gesù Cristo e della Beata Vergine Maria che dei santi.

Il sorgere e lo sviluppo del movimento liturgico (1909-1939)

Sugli inizi e gli sviluppi del movimento liturgico, che si proponeva di portare la liturgia al popolo e il popolo alla liturgia, molto è stato scritto30. Al riguardo si legge nel motu proprio di Pio X Tra le sollecitudini (22 novembre 1903): «Essendo nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della chiesa»31.

Pertanto, nella consapevolezza che i fedeli vivranno il vero spirito cristiano nella misura in cui parteciperanno attivamente ai santi misteri e alla pubblica e solenne preghiera della Chiesa, il movimento liturgico sviluppa un insieme di attività formative a vari livelli, tali da creare progressivamente una mens a tutti i livelli di responsabilità nella Chiesa. Espressioni della Mediator Dei e progressive parziali riforme saranno il segno eloquente di un cammino che si muove ‘dal basso’ per coinvolgere poi tutta la Chiesa.

In questa prima fase del movimento liturgico si succedono il pontificato di Pio X, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII: scorrendo la documentazione liturgica emanata notiamo che sono molti gli interventi che direttamente o indirettamente toccano la messa, soprattutto in ordine alla sua più approfondita conoscenza e quindi alla sua partecipazione, pur senza toccare la ‘forma’, promuovendo sussidi come foglietti e soprattutto messalini.

Pio XII: l’enciclica Mediator Dei e il progetto di riforma liturgica (1947-1958)

Se l’inizio della Seconda guerra mondiale segna l’interruzione del movimento liturgico, verso la metà del secolo XX si fa ancora più impellente il bisogno di una riforma della liturgia. Ne è testimone il pontificato di Pio XII, sia con la pubblicazione dell’enciclica Mediator Dei32, sia con l’attivazione di un progetto di riforma generale: progetto di cui ora si conoscono i termini e anche le prospettive dei risultati33.

L’enciclica Mediator Dei et hominum di Pio XII (20 novembre 1947) è il documento magisteriale più importante di tutto il periodo postridentino, in quanto offre all’intera Chiesa una riflessione completa sulla liturgia. A noi interessa in particolare il contenuto del suo secondo capitolo dove si tratta del ‘culto eucaristico’. La riflessione è articolata su quattro parti:

Nella prima parte (nn. 53-65) si sottolinea anzitutto la ‘natura del sacrificio eucaristico’. A partire dall’insegnamento del concilio di Trento, viene evidenziato il vincolo che intercorre tra messa e croce per ricordare che il «sacrificio dell’altare non è [...] una pura e semplice commemorazione della passione e morte [...] ma è un vero e proprio sacrificio nel quale, immolandosi incruentemente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso» (n. 55). E nel contesto si ricorda che «identico [...] è il sacerdote, Gesù Cristo» (n. 56); «identica è la vittima [...] il Divin Redentore» anche se «differente [...] è il modo col quale Cristo è offerto» (n. 57); «identici [...] sono i fini»: la ‘glorificazione di Dio’, il ‘ringraziamento a Dio’, l’‘espiazione’ e la ‘propiziazione’, e l’‘impetrazione’. Questa parte si conclude ponendo in evidenza l’efficacia dei due sacrifici, quello di Cristo e quello della Chiesa.

Nella seconda parte (nn. 66-93) l’enciclica – offrendo sviluppi dottrinali nuovi rispetto a prima – tratta della ‘partecipazione dei fedeli al sacrificio eucaristico’, una partecipazione finalizzata al «porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote» (n. 66) attraverso: l’offerta che i fedeli fanno del divin sacrificio «insieme al sacerdote» (nn. 70-80); «l’offerta di se stessi come vittime» (nn. 81-86); e la valorizzazione di tutti i mezzi atti a «promuovere questa partecipazione» (nn. 87-93).

Nella terza parte (nn. 94-106) il documento tratta della ‘comunione eucaristica’ che, pur costituendo il compimento del «divino convito» (n. 94), «è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente» (n. 97).

Nella quarta parte (nn. 107-115), infine, si accenna all’‘adorazione eucaristica’.

Sta di fatto che a partire dai principi della Mediator Dei e dalle prospettive emerse dal progetto di riforma generale, l’inizio di un rinnovamento della liturgia comincia proprio dal cuore del mistero pasquale: la Veglia (1951); a essa farà seguito la riforma della Settimana santa (1955) e successivamente il riordino di tutto l’apparato rubricistico attraverso la pubblicazione del Codex Rubricarum (23 luglio 1960)34.

La riforma di Pio XII – da lui, da Pio, prende nome la riforma ‘piana’35 – non andrà oltre. Sotto il suo pontificato si muovono diversi organismi e istituzioni che, con un lavoro intelligente di studio dei testi, di conoscenza delle fonti, e di un cammino educativo compiuto da periodici36, da congressi – si pensi alle Settimane liturgiche nazionali promosse dal Centro di azione liturgica37– e da pubblicazioni di sussidi e opere di vario genere, convergeranno nell’alveo di quei lavori che prepareranno e poi animeranno le discussioni conciliari del Vaticano II.

È in questo cammino che s’inserisce anche l’impegno nel predisporre le editiones typicae dei libri liturgici realizzate tra il 1952 e il 1962. La riproposta di queste fonti liturgiche nella collana «Monumenta Liturgica Piana» permette di cogliere i contenuti e la forma dell’ultima fase di quel cammino che aveva ripreso sviluppo in seguito al concilio di Trento, e che è confluito – in un atteggiamento di vera continuità – nelle prospettive del concilio Vaticano II.

Il congresso di Assisi (1956) e l’annuncio del concilio Vaticano II (1959)

In un breve arco di tempo si sono succeduti eventi che hanno segnato la storia. Diversi tra di loro, ma strettamente correlati in ordine all’obiettivo di realizzare un rinnovamento liturgico predisposto ormai da un lungo cammino che aveva attraversato oltre mezzo secolo.

Nel 1956 fu organizzato il congresso di Assisi38. Preceduto dal convegno internazionale di Maria Laach (1951), di St. Odile (1952), di Lugano (1953) e di Mont-César (1954), quello di Assisi si presenta con il carattere dell’ufficialità sia per la presenza di ben sei cardinali e ottanta vescovi, sia per il tema (il rinnovamento liturgico sotto il pontificato di Pio XII), e sia infine per la conclusione a Roma, con il discorso dello stesso Pio XII39.

Relazioni e comunicazioni furono caratterizzate soprattutto dalla prospettiva pastorale considerata come «chiave della storia liturgica» (J.A. Jungmann). Da qui la lettura pastorale della Mystici Corporis e della Mediator Dei (B. Capelle), la pastorale dei sacramenti e i rituali bilingui (P.M. Gerlier), l’arte (J. Wagner) e la musica (A. Stohr e F. Romita), il valore pastorale della parola di Dio nella liturgia (A. Bea), il rinnovamento della liturgia e della predicazione (A.M. Roguet) e altri approfondimenti riguardanti in particolare la riforma della Settimana santa attuata l’anno precedente, e soprattutto la necessità dell’adattamento della liturgia alla mentalità e alle tradizioni dei singoli popoli.

Ampio e articolato il discorso di Pio XII, che in quell’occasione definì il movimento liturgico «come un segno delle disposizioni provvidenziali di Dio riguardo al tempo presente, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua chiesa, miranti ad avvicinare sempre più gli uomini ai misteri della fede e alle ricchezze della grazia, che hanno la loro sorgente nella partecipazione attiva dei fedeli alla vita liturgica»40.

Inoltre, il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII annuncia un concilio per la Chiesa universale. La preparazione impegna il tempo successivo fino a quando l’11 ottobre 1962 il papa dà inizio al concilio. I lavori si incentreranno subito sul tema della liturgia perché lo schema era il più pronto, e nel giro di un anno la costituzione sarà approvata41.

Può destare sorpresa il fatto che mentre sono già in atto i lavori per preparare l’assise conciliare in cui si tratterà della liturgia si provveda in parallelo alla pubblicazione del Codex Rubricarum e del Missale. Questa comunque è la storia; gli eventi porteranno la vita della liturgia su altre prospettive.

Il Codex Rubricarum e l’ultima editio typica del messale tridentino

Il progetto di Pio XII giunge a compimento sotto il pontificato del successore. Il 26 luglio 1960 – preceduto dal motu proprio Rubricarum instructum del 25 luglio – viene approvato il nuovo Codex Rubricarum42. La modifica e l’adeguamento delle rubriche predispongono alla preparazione di nuove edizioni ufficiali soprattutto del breviario e del messale. Per questo si procede immediatamente a un’aggiornata pubblicazione del Pontificale Romanum43, del Breviarium44 e soprattutto del Missale Romanum attraverso un decreto della Sacra congregazione dei riti che porta la data del 23 giugno 1962.

Uno sguardo all’Index permette di avere una panoramica sul contenuto del Missale; può risultare però più che opportuna una conoscenza dettagliata della struttura, in quanto ci si trova di fronte a un Index alphabeticus omnium festorum, e non davanti a un Index generalis come accade invece nel Missale Romanum edito dopo il concilio Vaticano II.

Parte introduttiva (nn. 1*-177*). Risulta notevolmente e variamente articolata sia considerata in sé sia se confrontata con le precedenti edizioni del Missale. Le prime 83 pagine offrono aspetti nuovi relativi al rivisto dispositivo rubricale e ad altri elementi propri della tradizione del Missale.

Il Proprium de tempore (nn. 1-1374). La celebrazione del mistero di Cristo nel tempo è prospettata attraverso i formulari che, secondo la tradizione, si muovono dalla Dominica prima Adventus fino alla Missa vigiliae paschalis.

L’Ordo missae (nn. 1375-1608). La sezione che riguarda il rito della messa occupa complessivamente 113 pagine. Il rito è presentato nella successione dei suoi elementi, con il ricco apparato rubricale e con la collocazione dei testi musicali secondo la successione dei momenti rituali. Un’ampia sezione è occupata dalle praefationes in tono solemni e feriali (nn. 1427-1493; segno eloquente che il prefazio è destinato principalmente al canto), cui fanno seguito le praefationes sine cantu (nn. 1494-1529); segue il Canon missae: la sola preghiera eucaristica che dal secolo IV ha caratterizzato la liturgia di rito romano (nn. 1530-1562); in stretta continuità seguono i testi per i riti di comunione (nn. 1563-1588) e per quelli di conclusione (nn. 1509-1608); la parte dell’Ordo missae si completa con la recita del prologo del Vangelo di Giovanni, che conclude il rito della messa (n. 1608).

Il Proprium sanctorum (nn. 2425-5453). Si apre con festa novembris, a partire dal giorno 29, per concludersi sempre con il mese di novembre, il 26.

Il Commune sanctorum (nn. 5454-5890). Sotto questo titolo sono raccolti tutti i formulari che riguardano le celebrazioni dei santi.

Le Missae votivae (nn. 5891-6547).

Le Missae defunctorum (nn. 6548-6713).

Il Proprium sanctorum pro aliquibus locis (nn. 6714-7433).

Varia (nn. 7532-7588). Questa sezione si conclude con la dicitura (in rosso): Finis Editionis Typicae. Resta ancora un’Appendix che, a sua volta, è ratificata dal Concordat cum originali e con approvazione del 30 ottobre 1962, in cui sono ancora riportate Benedictiones diversae (ex Rituali Romano) di uso più frequente (nn. 7589-7603). Seguono le benedizioni cosiddette pontificali, il Ritus Confirmationis e l’Ordo ad patenam et calicem consecrandum dal pontificale romano (nn. 7604-7642). Il Missale si chiude con l’Index alphabeticus, come sopra accennato.

La costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963)

Già il 23 ottobre 1962 inizia la discussione sullo schema riguardante la liturgia. Il 4 dicembre dell’anno successivo, alla presenza di Paolo VI viene approvata la costituzione sulla divina liturgia45. Nel discorso di chiusura del secondo periodo del concilio, Paolo VI afferma: «la liturgia prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano […], e primo invito al mondo perché sciolga in preghiera beata e verace la muta sua lingua e senta l’ineffabile potenza rigeneratrice del cantare con noi le lodi divine e le speranze umane» (EV 1, 212*).

L’obiettivo non è quello di «diminuire l’importanza della preghiera, né […] impoverirla della sua forza espressiva e del suo fascino artistico; bensì vogliamo renderla più pura, più genuina, più vicina alle sue fonti di verità e di grazia, più idonea a farsi spirituale patrimonio del popolo» (EV 1, 214*).

Precisati nel capitolo I i principi essenziali della liturgia e della sua riforma, il documento conciliare dedica al mistero eucaristico soprattutto il capitolo II; numerosi riferimenti alla messa sono presenti ovunque, e tutto il contenuto è sempre rivolto alla comprensione della liturgia e al suo culmen et fons che è costituito dalla messa.

È nel capitolo II che dopo aver dato una definizione della messa come «memoriale della morte e risurrezione» si manifesta la preoccupazione per la partecipazione attiva dei fedeli alla messa. Per questo si stabilisce la riforma dell’ordinario della messa e una più abbondante presenza della parola di Dio; l’omelia deve tornare a svolgere la sua funzione come parte della messa; la preghiera dei fedeli va ripristinata; il latino deve alternarsi alla lingua volgare; la comunione sotto le due specie è molto raccomandata; la messa va vista come un unico atto di culto dall’inizio alla fine; e viene estesa la facoltà della concelebrazione in numerose occasioni.

La Sacrosanctum Concilium si presenta dunque come la magna charta del culto cristiano, con peculiare riferimento al rito romano. Ma i suoi contenuti non sono circoscritti all’ambito rituale; al contrario manifestano uno stretto rapporto con tutti gli altri documenti, soprattutto con le costituzioni conciliari, tanto che il sinodo straordinario dei vescovi nel 1985 non avrà difficoltà nell’elaborare una felice formula che li sappia riassumere in una visione unitaria: «La chiesa (Lumen Gentium) nella parola di Dio (Dei Verbum) celebra i santi misteri (Sacrosanctum Concilium) per la salvezza del mondo (Gaudium et Spes)».

Da tutto questo si comprende l’orizzonte entro cui si era collocata la liturgia quando la Sacrosanctum Concilium ricorda che «la liturgia non esaurisce tutta l’azione della chiesa» (Sacrosanctum Concilium 9) e tuttavia essa «è il culmine verso cui tende l’azione della chiesa […] e la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosanctum Concilium 10). Per questo dalla liturgia «e particolarmente dall’eucaristia deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene, con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della chiesa» (ibidem).

Ed è ancora in questa ottica che va compreso il lavoro di riforma che è stato svolto attorno alla messa e agli altri sacramenti e sacramentali perché il loro linguaggio susciti la «piena e attiva partecipazione di tutto il popolo» (Sacrosanctum Concilium 14).

Dal 1964 al 25 maggio 1969

Nel quinquennio che precede la pubblicazione della rinnovata introduzione al nuovo messale si succedono numerose attività e iniziative da parte degli organismi ufficiali della Curia romana e delle Conferenze episcopali sia per accogliere i primi adattamenti al rito della messa, sia per predisporre itinerari formativi atti ad accogliere e a comprendere i rinnovati libri liturgici.

In ordine alla messa sono da ricordare: l’istruzione Inter Oecumenici (26 settembre 1964) con cui si dà la possibilità al celebrante di recitare o cantare le parti dell’ordinario con il popolo, la soppressione del salmo 42 ai piedi dell’altare e del Vangelo finale, la recita ad alta voce di varie parti dell’Ordo missae, le preghiere dei fedeli, la celebrazione rivolta al popolo; il rito per la concelebrazione e per la comunione sotto le due specie (7 marzo 1965); con l’istruzione Tres abhinc annos s’instaurano ulteriori variazioni nell’Ordo missae (18 maggio 1967), come la recita ad alta voce della preghiera eucaristica, la semplificazione delle genuflessioni e dei segni di croce, ecc.; con il decreto Prece eucharistica sono pubblicate nuove preghiere eucaristiche e prefazi (23 maggio 1968); il Calendarium Romanum (21 marzo 1969) e il nuovo Ordo missae (6 aprile 1969) preceduto dalla costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI (3 aprile 1969) e dalla Institutio generalis46.

Rispetto al messale del concilio di Trento, che si apriva con le Rubricae generales Missalis, seguite dal Ritus servandus in celebratione missarum, dal De defectibus missae, il messale del Vaticano II si apre con la costituzione apostolica di Paolo VI che con linguaggio meno giuridico ma più pedagogico abroga il precedente messale (Quae Constitutione hac nostra praescripsimus), e con un’ampia introduzione che in nove capitoli dà una panoramica completa di tutto ciò che riguarda la celebrazione della messa47.

Ultimo ma essenziale elemento, prima della pubblicazione ufficiale del Missale, è costituito dall’Ordo lectionum missae (25 maggio 1969): lo strumento affidato alle Conferenze episcopali per predisporre i nuovi lezionari48.

Per una comprensione più piena di tutto ciò che concerne la storia della messa va tenuto presente il capitolo dei canti: il Graduale simplex, l’Ordo cantus Missae e il Graduale Romanum si pongono accanto alle raccolte in lingua viva perché le assemblee possano esprimere la fede anche attraverso forme canore più rispondenti sia all’azione liturgica che alla propria cultura.

Strettamente correlato alla celebrazione dell’eucaristia è il culto eucaristico. Anche per esso si predispone l’apposito libro liturgico per regolamentare una forma di pietas che risulti maggiormente dipendente dalla celebrazione e non come elemento a sé stante.

In conclusione, quali i criteri che stanno alla base della riforma? In sintesi, essi possono essere così individuati49: a) l’assemblea è il soggetto della celebrazione; b) essa è invitata a realizzare una partecipazione attiva, consapevole e fruttuosa; c) per questo sono state ripristinate o elaborate le forme più genuine della celebrazione, e d) riordinata tutta la gestualità del sacerdote; e) a servizio di un culto più consapevole il messale è ristrutturato e arricchito di numerosi testi; f) e soprattutto la Parola di Dio riacquista la sua centralità.

Quando si osserva il lavoro che è stato svolto in questi pochi anni si rimane positivamente impressionati per la mole, per il metodo e per i risultati50. L’accoglienza di questi ultimi da parte del popolo cristiano è il segno eloquente che la mens del concilio risponde a un bisogno, e che i risultati raggiunti richiedono un continuo impegno di formazione nel rinnovamento liturgico della Chiesa.

Dal 26 marzo 1970 al 7 luglio 2007

Con decreto della Congregazione per il culto divino, il 26 marzo 1970 viene pubblicato il Missale Romanum ex decreto sacrosancti oecumenici concilii vaticani II instauratum, auctoritate Pauli PP. VI promulgatum. Al di là delle coincidenze storiche, a quattro secoli esatti dalla pubblicazione del messale del concilio di Trento viene pubblicato quello del concilio Vaticano II (1570-1970)51.

In contemporanea viene pubblicato il Lectionarium. Dopo quasi un millennio, il libro per la messa torna a scindersi non solo per caratterizzare la mensa della Parola, ma soprattutto per rispondere a una volontà espressa del concilio di aprire ai fedeli con abbondanza i tesori della Parola di Dio52.

Come sempre capita nella storia del libro liturgico, dato che esso deve rispondere a una realtà viva qual è la liturgia, si impongono successivi aggiornamenti e aggiunte. Per questo nel 1975 appare la seconda edizione del messale, e nel 2000 la terza edizione53.

Anche il messale del Vaticano II è pubblicato in latino, come tutti i libri liturgici del rito romano. Il suo uso in latino era raccomandato fin dal 1970 nelle principali chiese e cattedrali. Un ulteriore segno che mai è stata abolita la messa in latino.

La forma della messa

In seguito al messale del Vaticano II abbiamo una struttura della messa molto più armonica e chiara. Distinta in quattro parti, la messa è costituita da due parti essenziali: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica; i riti di introduzione e di conclusione aprono e completano la struttura.

Questa impostazione è comune a tutte le celebrazioni della messa, anche quando al suo interno si celebra un altro sacramento, oppure un sacramentale. Per ciò che concerne la celebrazione del mistero eucaristico va tenuta presente una duplice distinzione che scaturisce dal ‘tipo’ di comunità che celebra, e dalla ‘forma rituale’ che la celebrazione può assumere.

In rapporto al tipo di comunità possiamo individuare quattro diverse ‘forme’ celebrative: a) la messa presieduta dal vescovo, circondato dai suoi presbiteri, cui partecipa attivamente il popolo di Dio; il segno più eloquente è quello che si attua annualmente in occasione della ‘messa crismale’; b) la messa della comunità parrocchiale, principalmente nel giorno di domenica; c) la messa conventuale e quella della comunità religiosa; d) la messa per gruppi particolari.

In rapporto alla forma rituale dobbiamo distinguere: a) la messa con il popolo; b) la messa concelebrata: sia quella presieduta dal vescovo, sia quella più ‘ordinaria’; c) la messa con i fanciulli; d) la messa senza il popolo (cui è presente però almeno un ministrante).

La forma rituale dipende chiaramente dalla presenza o meno di un’assemblea (che sarà rappresentata almeno da un ministrante). Diversa è da considerare la situazione di assemblee costituite prevalentemente da fanciulli54.

Nell’insieme possiamo concludere che il messale del Vaticano II contiene forme celebrative maggiormente rispondenti al tipo di assemblea. Questa dunque è al centro, perché è lei che è chiamata a offrire il sacrificio spirituale, e al suo servizio si pone il sacramento dell’ordine e tutta la ministerialità che il libro liturgico chiama in causa. Sulla stessa linea si coglie il ruolo della ritualità che non appare più come fine a se stessa o orientata a creare un clima di spiritualità e di misticismo, ma – tenendo presente anche questi elementi – a configurare linguaggi tali che possano essere espressione della comunità in preghiera.

Libri liturgici

Non più uno solo, ma due sono i libri fondamentali per la celebrazione della messa. Non si può dire di conoscere la messa, o meglio la celebrazione dell’eucaristia, se non si accosta il contenuto racchiuso in questi due libri: il lezionario e il messale. Di per sé dovrebbero essere segnalati anche altri libri come quello per la preghiera dei fedeli o comunque quelli necessari per celebrazioni che si inseriscono all’interno dell’eucaristia, o il Caeremoniale Episcoporum.

a) Il lezionario

Il termine ‘lezionario’ deriva dal latino lectionarium, cioè il libro delle lectiones, delle ‘letture’ bibliche scelte per un determinato obiettivo. Nella forma usata dal Vaticano II in poi esso risulta decisamente nuovo rispetto a tutta la tradizione precedente. Il suo contenuto è essenziale per la celebrazione, perché non si può attuare alcuna celebrazione dell’eucaristia o di qualunque altro sacramento se prima l’assemblea non accoglie la proclamazione della Parola di Dio. Il lezionario è il libro che contiene le pagine più importanti della Bibbia, ordinate secondo un principio di pedagogia. La disposizione dei testi, cioè, è fatta in modo tale da offrire all’assemblea la possibilità di compiere un cammino di fede e di vita annunciando, in sintesi, le fasi principali della storia della salvezza, dall’attesa della nascita di Gesù Cristo fino al suo ritorno ultimo nella gloria.

Vari sono i lezionari. C’è quello domenicale e festivo, anzitutto, che contiene tre letture e un salmo per tutte le domeniche, solennità e feste, distribuite in tre cicli (A – B – C ) in modo da proporre le principali pagine della Scrittura all’ascolto dei fedeli. C’è poi quello feriale, distinto per i tempi cosiddetti forti (Avvento-Natale, Quaresima e Pasqua) e per il tempo ordinario: la distinzione comporta anche una diversa pedagogia e quindi una diversa scelta metodologica nella selezione delle letture. Il segreto di tutto questo è racchiuso nella Premessa al lezionario: un testo fondamentale – speculare a quello del messale – per comprendere la liturgia della Parola in sé e nelle sue varie componenti.

Sono poi da ricordare anche vari altri lezionari, secondo la diversità delle celebrazioni che si attuano nel corso dell’anno liturgico e nella liturgia dei sacramenti per la vita dei fedeli.

b) Il messale

Il messale è organizzato in modo da costituire un autentico manuale di pedagogia per la celebrazione cristiana. Al di là di un’ampia premessa che dà il quadro di riferimento biblico, teologico, celebrativo e spirituale dell’eucaristia, il testo contiene le orazioni per le singole celebrazioni distribuite lungo l’anno liturgico: dall’Avvento alla solennità di Gesù Cristo Re dell’universo. Ma contiene anche nella sua parte centrale tutto ciò che riguarda il rito della messa. Seguono poi le messe in onore dei santi, quelle per celebrare alcuni riti sacramentali, quelle per invocare l’aiuto divino nelle più diverse circostanze della vita, e quelle per i defunti.

Valorizzando dunque il messale il fedele può trovare in esso tutto ciò che serve per compiere un cammino spirituale, in comunione o in sintonia con tutta la Chiesa. È qui che si coglie il senso della partecipazione attiva e comunitaria all’eucaristia.

Una storia a partire dall’oggi

La storia della messa non è solo descrizione delle sue forme rituali, ma comprensione degli elementi vitali che l’hanno caratterizzata o la stanno caratterizzando. Ed è in questa seconda accezione che appare necessario evidenziare alcuni elementi tipici della messa odierna sia per rivederne l’opportunità alla luce dei secoli passati, sia per cogliere meglio il senso e l’impegno di quella fase che ha caratterizzato soprattutto il secolo XX con il movimento liturgico, il Vaticano II e la successiva riforma.

a) La parola di Dio al centro

La vera e più importante novità del messale del Vaticano II è costituita dal lezionario. Mai nella storia, nella tradizione bimillenaria delle Chiese, era stato approntato un lezionario così ricco come quello auspicato dai padri del Vaticano II. Non si può neppure stabilire un inizio di confronto con il lezionario presente nel messale del concilio di Trento. Le pochissime letture, sempre le stesse ogni anno, costituivano quel minimum che poteva assicurare la presenza indispensabile della Parola nell’azione liturgica. Cantillate, per di più, in latino (il Vangelo anche in greco, nelle celebrazioni papali) non erano comunque tali da far percepire la storia della salvezza nel tempo e nella vita della persona.

L’abbondanza di Parola di Dio nella celebrazione, se ben proclamata, accolta e approfondita anche mediante l’omelia, permette alla comunità e ai singoli fedeli di crescere nella conoscenza della storia della propria fede e di saperla poi coniugare con le diverse situazioni della vita.

b) Ricchezza di testi eucologici

Se si confronta il messale attuale con quello del concilio di Trento, ci si rende conto della maggiore ricchezza dell’attuale messale rispetto al precedente. La classica espressione: lex credendi, lex orandi, lex vivendi non fa altro che ‘fotografare’ un dato di fatto: nei testi della preghiera ufficiale è contenuta la fede della Chiesa.

Valorizzare pertanto testi che erano andati perduti o comporne di nuovi – magari con espressioni dello stesso concilio Vaticano II – è stata un’operazione per recuperare il meglio del passato e del presente, e rilanciarlo dopo un’attenta verifica che chiama in causa la responsabilità della Chiesa sia attraverso la Congregazione per la dottrina della fede e quella per il culto divino, sia mediante l’autorità dello stesso pontefice attraverso una costituzione apostolica o altro documento.

È così che molte ricchezze dottrinali e spirituali – che i padri del concilio di Trento non conoscevano – sono state tratte fuori dall’oscurità delle biblioteche e messe in luce per rischiarare e nutrire la vita delle Chiese locali.

c) Nuove preghiere eucaristiche

Dopo circa sedici secoli, la Chiesa di Roma supera l’unicità del canone romano inserendo prima tre nuovi testi nel messale, e successivamente altri. L’aggiunta di nuovi testi è stata poi arricchita con altri ancora, tanto che oggi arriviamo a ben 13 preghiere eucaristiche se si considerano anche quelle per le celebrazioni con i fanciulli.

Una ricchezza inesauribile che si amplia ancora di più qualora si considerino anche i prefazi, cioè quei testi con cui si apre la preghiera eucaristica. Dai 15 del messale del concilio di Trento siamo giunti nell’attuale ultima edizione latina a ben 94.

Al centro della preghiera eucaristica – ed ecco un’altra delle novità – è stata evidenziata l’azione dello Spirito (epíclesi) e ritoccata la formula di consacrazione, spostando, tra l’altro, quell’espressione mysterium fidei che era stata inserita nel Medioevo e che ora è valorizzata per sollecitare la professione di fede dell’assemblea in ciò che si compie.

La ricchezza di questi testi offre un contributo importante alla comprensione dell’eucaristia e all’educazione alla preghiera cristiana che proprio nella preghiera eucaristica trova lo schema di riferimento e i contenuti delle sue più variegate espressioni.

d) Una duplice ‘introduzione’ all’insegna della pedagogia della fede

Nella preparazione del messale del Vaticano II e del relativo lezionario emerge l’opportunità di elaborare un insieme di premesse (in latino Praenotanda) che non conterranno solo la descrizione delle cerimonie, ma prim’ancora avranno l’obiettivo di preparare i fedeli e i loro educatori – i presidenti dell’assemblea – a celebrare bene, dando sempre il significato di ciò che si compie e spiegando perché lo si compie.

Ne è scaturito un testo introduttivo, rispettivamente per il messale e il lezionario. Due composizioni decisamente nuove, all’insegna di una pedagogia che solo l’esperienza liturgica sa enucleare valorizzando i duemila anni di tradizione delle varie Chiese.

e) Tre elementi recuperati

Chi partecipa all’eucaristia celebrata con il messale del Vaticano II e non conosce il messale tridentino, dopo quasi 40 anni dalla riforma conciliare, non si rende conto della ricchezza dell’attuale rito. Tre esempi al riguardo:

L’‘atto penitenziale’. Esso aiuta a introdurre alla celebrazione dei santi misteri nella consapevolezza del proprio limite: limite che proprio nella celebrazione trova la sorgente per il suo costante superamento. È qui che si pone il recupero del canto del Kyrie, anche nelle forme tropate che permettono non solo la valorizzazione di composizioni della tradizione ma anche il loro arricchimento a partire dai temi del tempo liturgico o del lezionario.

L’‘omelia’. Per secoli la predicazione o non avveniva durante la celebrazione della messa, o se avveniva aveva perduto il senso del rapporto con il mistero celebrato. Oggi l’omelia è ‘parte dell’azione liturgica’, ha obiettivi ben precisi, e deve evidenziare il rapporto della liturgia della Parola con il mistero che si celebra55.

La ‘preghiera dei fedeli’ è stato un ulteriore elemento di novità. È oggi un momento partecipato in cui l’assemblea attraverso la voce del lettore può presentare a Dio le proprie richieste, e che nei gruppi più ristretti può comportare un coinvolgimento più personale dei presenti.

f) Una ritualità più eloquente

Il rito è quel linguaggio simbolico che ha la capacità di significare e di esprimere un messaggio al di là della parola. Esso è legato a una cultura; talvolta ha una capacità di comunicazione transculturale. A volte alcuni riti sono legati al tempo; altri vanno al di là del tempo; altri ancora fanno parte dell’esperienza storica della rivelazione e quindi si trovano a comunicare realtà racchiuse nel messaggio della Bibbia.

La ritualità liturgica ha la funzione di esprimere realtà bibliche anzitutto, ma anche di far interagire la persona nel contesto dell’assemblea orante. L’importante è che i riti ‘parlino’ da sé stessi. Ecco perché i padri del Vaticano II hanno deciso che i riti, pur conservando fedelmente la sostanza, siano semplificati o che siano tralasciati quelli che con il passare del tempo si sovrapposero ai riti originari o furono meno utilmente aggiunti. Un confronto tra i due messali può evidenziare quanto avvenuto con la riforma del Vaticano II e con la documentazione che l’ha accompagnata.

Sta di fatto che l’attuale rito della messa è di immediata percezione e sa coinvolgere la persona. Ciò che è stato tolto non è stato eliminato per gusto (o disgusto) personale, ma solo per rispondere a quanto era stato richiesto da padri conciliari, in dialogo con la storia, con il dato biblico e con la tradizione ecclesiale.

Il tempo del biritualismo del rito romano

In seguito al motu proprio Summorum Pontificum, Benedetto XVI il 7 luglio 2007 ha disposto la liberalizzazione del Missale del 196256. Le indicazioni racchiuse nel documento pontificio e specificate ulteriormente nella lettera ai vescovi indicano l’obiettivo e in parte la mens. La discussione circa il fatto che quel Missale sia stato abrogato o meno con la pubblicazione della costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI permane – nonostante l’evidenza – sia a livello giuridico che teologico. Lo scorrere del tempo permetterà agli animi di recuperare con oggettività quanto è andato perduto con una decisione che chiama in causa non una o l’altra forma rituale, ma una visione ecclesiologica di fondo57.

Se il rito è l’espressione di una Chiesa che manifesta in un peculiare linguaggio la propria fede, e in esso si ritrova per consolidare una communio, ne deriva la problematicità di un doppio rito o di un duplice uso dello stesso rito, con evidenti implicazioni determinate da diversità di calendario e dalla contrapposizione di forme rituali abrogate da costituzioni apostoliche. Al di là delle espressioni, non è immediato cogliere il fatto che ci si trovi di fronte a due modalità complementari di espressione dello stesso rito. I padri conciliari avevano ben presente quanto stavano votando; infatti, mentre approvavano la disposizione che «il rito della messa sia riveduto in modo che appaiano più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli» (Sacrosanctum Concilium 50) essi celebravano con il precedente rito, sperimentando il bisogno che i riti «siano resi più semplici; si sopprimano quegli elementi che col passare dei secoli furono duplicati o aggiunti inutilmente; siano invece ristabiliti […] quegli elementi che col trascorrere del tempo sono caduti in disuso» (Ibidem).

Conclusioni

I 150 anni di storia della messa racchiudono non tanto una serie di modifiche a una ritualità che caratterizza la celebrazione dell’eucaristia secondo il rito romano, quanto soprattutto un’evoluzione così profonda come mai era avvenuto nella storia.

Al di là delle varianti registrate nei libri liturgici e quindi nella prassi, rimane essenziale rilevare che per comprendere la differenza tra un ordinamento e l’altro bisogna tener conto di valori fondamentali. Ed è in questa linea che «si sentiva che di fronte alla secolarizzazione della società il culto della chiesa doveva far splendere in modo più intenso il primato di Dio e la centralità di Cristo e del suo mistero pasquale. La partecipazione viva e consapevole dei laici, uomini e donne, all’azione sacramentale della chiesa diveniva un’esigenza ineludibile per inserire il popolo di Dio in maniera più efficace nella corrente della salvezza, offerta a tutti e non solo ai chierici e ai monaci. Una più chiara autoconsapevolezza della chiesa come famiglia universale, vivente e operante in un ambito planetario, doveva esprimersi in modo più trasparente nell’azione che rappresenta il vertice e la sintesi massima del suo culto»58.

Accanto a questo dato di fatto emerge la constatazione che nell’arco di un secolo e mezzo è avvenuto un passaggio epocale, da considerarsi non come rottura con quanto precede, ma come il recupero di una traditio che lungo il tempo si era modificata.

Tutto questo è stato possibile seguendo due direttrici: da una parte un percorso che ha coinvolto dal basso le forze vive della Chiesa attraverso un lavoro di informazione e di formazione molteplice (come si può vedere da una corretta storia delle idee e delle attività del movimento liturgico); dall’altra la pubblicazione di opere (studi e edizione di fonti) che, sulla linea di quanto avvenuto fin dal secolo XVII, hanno permesso di conoscere meglio la tradizione della Chiesa.

Ma la storia della messa racchiude anche un altro aspetto che va tenuto presente: la riforma liturgica e il conseguente rinnovamento non sono tanto questione di libri che cambiano o di riti che si adeguano, ma il frutto di un incontro teologico in cui: a) l’ecclesiologia ha riconquistato un’immagine di Chiesa a partire dalla sua essenza misterica; b) la musica attraverso il movimento ceciliano ha predisposto il recupero di una sensibilità tale da far interagire il linguaggio musicale a servizio della celebrazione dei santi misteri; c) la ‘sacra pagina’ da elemento caratterizzante la cosiddetta messa didattica è tornata a essere la liturgia della Parola, che unitamente a quella eucaristica costituisce unum actum cultus; d) una conoscenza più ampia delle fonti liturgiche ha permesso il recupero di elementi scomparsi dalla traditio Ecclesiae facendo sì che il Missale del Vaticano II si arricchisse di elementi tali da poter affermare che esso è il più tradizionale messale che il rito romano abbia mai conosciuto; e) la dimensione antropologica della ritualità ha permesso la restituzione di un linguaggio cultuale in cui il corpo ha il suo ruolo.

Ama la tradizione chi conosce la storia. L’affermazione è un invito non solo a conoscere la traditio, ma a saper valorizzare questa per guardare oltre. Il termine raggiunto oggi dalla forma e dai contenuti della messa romana non rappresenta l’ultimo traguardo di un cammino. Nuovi orizzonti chiamano in causa il capitolo dell’adattamento e dell’inculturazione, mentre in parallelo permane la perenne sfida della comprensione e dell’interiorizzazione dei contenuti dei libri liturgici, a cominciare dai testi biblici ed eucologici, per cogliere i valori del dispositivo rituale e cerimoniale. Conoscere la storia è dunque il segreto per non fermarsi mai, ma per rimanere in quella dialettica che fa parte della vita e che interpella tutto ciò che la chiama in causa a cominciare dai suoi valori essenziali quali il rapporto con Dio Trinità e con tutto ciò che costituisce ed elabora cultura.

Note

1 La storia della messa va collocata nell’alveo della storia più generale della liturgia. Cfr. al riguardo B. Neunheuser, Storia della liturgia, in Liturgia, a cura di D. Sartore, A.M. Triacca, C. Cibien, Cinisello Balsamo 2001, pp. 1944-1971. Più in generale B. Neunheuser, Storia della liturgia attraverso le epoche culturali, (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae – Subsidia [BELS], 13) Roma 19993 (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae – Subsidia [BELS], 13). Cfr. anche L. Eisenhofer, J. Lechner, Liturgia romana, Casale Monferrato 1960; S. Marsili, La liturgia, eucaristia: teologia e storia della celebrazione, «Anàmnesis», 3, 1983, 2; P. Parsch, La sainte messe expliquée dans son histoire et sa liturgie, Bruges 1951.

2 Cfr. la seconda parte dell’opera (De Eucharistiae sacramento), nn. 207-238; per la terminologia cfr. in part. il n. 208.

3 Per tutta questa sezione la documentazione dettagliata è offerta nei sei volumi della collana «Monumenta Liturgica Concilii Tridentini» [MLCT], Città del Vaticano 1997-2005; la riproduzione anastatica dell’editio princeps dei sei libri che hanno caratterizzato la vita liturgica della Chiesa di rito romano è accompagnata da adeguate introduzioni e indicizzazioni per contestualizzare i singoli libri liturgici nell’arco di ben due millenni. Secondo l’ordine di edizione in MLCT i libri sono: Pontificale Romanum (1595-1596), Missale Romanum (1570), Breviarium Romanum (1568), Caeremoniale Episcoporum (1600), Rituale Romanum (1614), e Martyrologium Romanum (1584).

4 Circa la prassi delle quarantore cfr. L. Gherardi, s.v. Quarantore, in Dizionario di omiletica, a cura di M. Sodi, A.M. Triacca, Leumann-Gorle 2002, pp. 1300-1306.

5 Le indicazioni cerimoniali – come quelle offerte per esempio in L. Trimeloni, Compendio di liturgia pratica, Torino 1963, p. 437 – indicano che si può celebrare solo in caso di necessità o per grave causa o per indulto; tutto questo si attua seguendo una particolare ritualità caratterizzata soprattutto da genuflessioni.

6 In quest’ottica, preziosa è l’opera di B. Neunheuser, Storia della liturgia attraverso le epoche, cit., e anche Id., Storia della liturgia, in Liturgia, cit., pp. 1944-1971.

7 Si pensi al sorgere del movimento liturgico, nato ufficialmente il  23 settembre 1909, giorno in cui don Lambert Beauduin presentò una sua relazione sul ruolo della liturgia nel Congrès national des oeuvres catholiques di Malines.

8 B. Neunheuser, Storia della liturgia attraverso le epoche, cit., pp. 153-154; cfr. inoltre P. Stella, L’Eucaristia nella spiritualità italiana da metà Seicento ai prodromi del movimento liturgico, in G. Barbaglio, Eucaristia. Memoriale del Signore e sacramento permanente, «Quaderni di rivista liturgica», 1967, 7, pp. 141-182.

9 Cfr.  Missale Romanum. Editio typica (1570), a cura di M. Sodi, A.M. Triacca, Città del Vaticano 1998 (MLCT, 2).

10 Si veda, per esempio, E. Vismara , A. Cuva, Funzioni sacerdotali straordinarie. Diritto liturgico e sacre cerimonie, Torino 1962; E. Vismara, Manuale di sacre cerimonie ad uso dei chierici, San Benigno Canavese 1908; Id., Le funzioni della chiesa. Manuale di sacre cerimonie con introduzione generale alla liturgia, 2 voll., Torino 1935-1936; Id., La messa e il messale: note e commento, Torino 1942.

11 Se non vi è la schola cantorum nella messa ‘bassa’ o ‘letta’ è lo stesso presbitero che recita il testo ad alta voce.

12 Cfr. G. Brinktrine, La santa messa, Roma 1952, p. 68.

13 La recita avviene al centro dell’altare; nella messa pontificale si recita al trono, come le altre parti della messa dei catecumeni.

14 G. Brinktrine, La santa messa, cit., p. 85.

15 Per una presentazione globale della lettura della Scrittura nel messale di Pio V cfr. P. Sorci, Il Lezionario del messale di Pio V, «Rivista liturgica», 95, 2008,1, pp. 92-107.

16 Cfr. Giustino, Apologia I, cap. 67.

17 Sono le due dita che toccheranno l’ostia consacrata e che dovranno essere tenute unite fino alle abluzioni dopo la comunione.

18 Cfr. L. Bouyer, Teologia e spiritualità della Preghiera eucaristica, «Liturgia e vita» 3, 1992, 2. Opera preziosa per comprendere l’origine e lo sviluppo della preghiera eucaristica, fino al rinnovamento attuato dopo il Vaticano II.

19 La stilizzazione del gesto di pace ha portato all’uso dell’osculatorium: uno strumento che, benedetto dal celebrante, era portato per essere baciato dai membri presenti in presbiterio, come sostitutivo dello scambio di pace. Cfr. J.A. Jungmann, Missarum Sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della messa romana, II, Milano 2004, pp. 248-249.

20 Lo ricorda la stessa enciclica Mediator Dei di Pio XII, anche se si accenna al fatto che non sono rare le cause per cui venga distribuito il pane eucaristico o prima o dopo lo stesso sacrificio, e anche che ci si comunichi con ostie consacrate in un tempo antecedente; cfr. Enchiridion delle Encicliche [EE], VI, Pio XII (1939-1958), a cura di E. Lora, R. Simionati, Bologna 1995, n. 545.

21 L. Trimeloni, Compendio di liturgia pratica, cit., p. 451.

22 A differenza di altre prassi, «non si può cantare la messa solenne con due chierici non in sacris o due laici vestiti da diacono e suddiacono, senza manipolo e stola, i quali omettono le cerimonie strettamente proprie del diacono e del suddiacono» (L. Trimeloni, Compendio di liturgia pratica, cit., n. 465).

23 Cfr. Decretum in C. Braga, A. Bugnini, Documenta ad instaurationem liturgicam spectantia (1903-1963) [DILS], Roma 2000, n. 1444, e «Ephemerides liturgicae», 36, 1922, 402; il responsum circa la domanda se il coetus fidelium possa rispondere al sacerdote celebrante invita però a grande cautela.

24 È interessante notare che in alcuni testi di commento già si accenna all’altare rivolto verso il popolo per la messa dialogata; cfr. G. Brinktrine, La santa messa, cit., p. 319.

25 Una serie di preziose informazioni sulle singole edizioni è fornita da M. Noirot, Livres liturgiques de l’Église Romaine, in Dictionnaire de droit canonique, VI, a cura di R. Naz, Paris 1957, pp. 595-606.

26 Con la costituzione apostolica Cum sanctissimum Eucharistiae sacramentum del 7 luglio 1604, Clemente VIII approvò la revisione generale del messale con l’aggiustamento di alcune serie di testi dell’anno liturgico, e con ritocchi e correzioni varie di rubriche.

27 Con la costituzione apostolica Si quid est del 2 settembre 1634, Urbano VIII migliorò la latinità specialmente nelle composizioni poetiche.

28 Anche questa edizione è reputata typica nonostante sia stata stampata a Regensburg dall’editore pontificio Pustet: cfr. A.P. Frutaz, s.v. Messale, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Città del Vaticano 1952, col. 837. Poco oltre l’autore della voce accenna anche a un’altra «ed. tipica di Leone XIII del 1900» (col. 838).

29 L’edizione predisposta sotto Pio X (m. il 1914) fu pubblicata successivamente perché la commissione pontificia per la revisione del testo della Vulgata non aveva ancora terminato i propri lavori. Con la costituzione apostolica Divino afflatu del 1° novembre 1911, Pio X approva la nuova disposizione del salterio e di riflesso le rubriche da osservarsi nella recita dell’ufficio e nella celebrazione della messa, cfr. DILS, nn. 285-339.

30 Cfr. in partic. B. Neunheuser, Movimento liturgico, in Liturgia, cit., pp. 1279-1293; A. Catella, Movimento liturgico in Italia, ibidem, pp. 1293-1300; Ritorno alla liturgia. Saggi di studio sul movimento liturgico, a cura di F. Brovelli, Roma 1989 (BELS, 47); Liturgia: temi e autori. Saggi di studio sul movimento liturgico, a cura di F. Brovelli, Roma 1990 (BELS, 53).

31 Cfr. DILS, n. 34, p. 14.

32 Cfr. Pio XII, Lettera enciclica Mediator Dei sulla Sacra liturgia (20 novembre 1947), in EE, VI, nn. 430-632; DILS, nn. 1865-2068.

33 Cfr. C. Braga, La riforma liturgica di Pio XII. Documenti, I, La “Memoria sulla riforma liturgica”, Roma 2003 (BELS, 128). Parte dell’Introduzione dell’opera (pp. V-XXVIII) in La “Commissione Piana” per la riforma della liturgia, «Rivista liturgica», 91, 2004, 1, pp. 142-160; cfr. inoltre A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975), Roma 1997 (BELS, 30).

34 Per la documentazione ufficiale cfr. Instauratio Vigiliae paschalis, in DILS, nn. 2314-2356; Hebdomada Sancta instaurata, ibidem, nn. 2661-2713; Ordo Hebdomadae Sanctae instauratus, ibidem, nn. 2714-2932; “Rubricarum instructum”, ibidem, nn. 3431-3439; Novus rubricarum Breviarii ac Missalis Romani Codex, ibidem, nn. 3440-3988. A tutto questo si deve aggiungere la Declaratio della Congregazione dei riti De servandis in calendariis particularibus inde ab anno 1961, ibidem, nn. 3989-3997; le Ordinationes ad librorum liturgicorum editores, ibidem, nn. 3998-4003 e vari altri documenti applicativi ed esplicativi della normativa emanata.

35 Da qui anche il titolo della collana «Monumenta Liturgica Piana» [MLP] che mette a disposizione degli studiosi il Missale (1962), il Rituale (1952), il Pontificale (1961-1962) e il Breviarium (1961), unitamente al quinto volume in cui è indicizzata tutta la riforma tridentina, dal 1568 al 1962. Cfr. al riguardo M. Sodi, A. Toniolo, P. Bruylants, Liturgia tridentina. Fontes, Indices, Concordantiae (1568-1962), Città del Vaticano 2010.

36 Si pensi, per sempio, alla «Rivista liturgica» che, nata nell’abbazia di Finalpia (Savona) agli inizi del movimento liturgico (1914), ha portato avanti il proprio progetto sempre per la formazione liturgica; i contenuti delle annate sono un segno eloquente di tale impegno che continua anche nel tempo presente (www.rivistaliturgica.it). Inoltre vanno ricordate le riviste: «Ephemerides Liturgicae» (Roma 1887), «La Maison-Dieu» (Parigi 1945), «Jahrbuch für Liturgiewissenschaft» (Münster 1921).

37 Cfr. A. Cuva, Promuovere la liturgia. Le cinquanta settimane liturgiche nazionali del Centro di Azione Liturgica (Roma) 1949-1999, Padova 2000.

38 È doveroso qui ricordare quello di Assisi nel 1956. Cfr. La restaurazione liturgica nell’opera di Pio XII, Atti del I Congresso internazionale di liturgia pastorale (Assisi-Roma 1956), Genova 1957. In occasione del XXX anniversario è stato realizzato un ulteriore congresso. Cfr. G. Alberigo, Assisi 1956-1986: il movimento liturgico tra riforma conciliare e attese del popolo di Dio, Assisi 1987.

39 Seguiranno ancora i congressi di Montserrat (1958) e di Monaco di Baviera (1960).

40 Si può vedere il testo dell’Allocutio in DILS, nn. 2989-3024 (in francese); il testo completo in AAS, 48, 1956, pp. 711-725 e in La restaurazione liturgica, cit., pp. 3-16 (in italiano).

41 Per un’ambientazione di tutto il lavoro cfr. La Costituzione sulla sacra liturgia, Magistero Conciliare 14, Leumann 1967.

42 Per il testo completo cfr. DILS, nn. 3440-3988.

43 Cfr., Pontificale Romanum. Editio typica (1961-1962), a cura di M. Sodi, A. Toniolo, MLP 3, Città del Vaticano 2008.

44 Cfr., Breviarium Romanum. Editio typica – Totum (1961), a cura di M. Sodi, A. Toniolo, MLP 4, Città del Vaticano 2009.

45 Presenti e votanti 2152; placet 2147; non placet 4; voti nulli 1. L’approvazione avveniva a quattrocento anni esatti dalla conclusione del concilio di Trento (4 dicembre 1563).

46 Cfr. M. Barba, La riforma conciliare dell’«Ordo Missae». Il percorso storico-redazionale dei riti di ingresso, di offertorio e di comunione, Roma 20082 (BELS, 120), e M. Righetti, Manuale di storia liturgica, III, La messa. Commento storico-liturgico alla luce del concilio Vaticano II, Milano 1966 (rist. anast. 1998).

47 In occasione della pubblicazione della terza edizione del Missale Romanum (2002) anche l’introduzione è stata rivista; nella forma definitiva si presenta strutturata in 399 paragrafi e così articolata: dopo il Proemio che situa il nuovo messale sulla linea della Tradizione, si evidenzia l’importanza e dignità della celebrazione eucaristica (I), la struttura, gli elementi e le parti della messa (II), gli uffici e ministeri (III), le diverse forme di celebrazione (IV), la disposizione e l’arredo (V), le cose necessarie per la celebrazione (VI), la scelta delle parti della messa (VII), le messe e orazioni per diverse circostanze e per i defunti (VIII), e gli adattamenti che competono ai vescovi e alle conferenze episcopali (IX). Per un’attenta conoscenza della terminologia cfr. M. Sodi, A. Toniolo, Praenotanda Missalis Romani. Textus – Concordantia – Appendices. Editio typica tertia, Città del Vaticano 2003 (Monumenta Studia Instrumenta Liturgica [MSIL], 24).

48 Il lezionario in latino apparirà in tre volumi con decreto Ordine lectionum del 30.09.1970. Nel 1981 apparirà una nuova edizione dell’Ordo lectionum missae molto arricchita rispetto alla precedente, ed è su questa base che poi sono stati rivisti tutti i lezionari da parte delle Conferenze episcopali.

49 Per un approfondimento di quanto qui accennato cfr. V. Raffa, Liturgia eucaristica, Mistagogia della messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, Roma 2003 (BELS, 100), pp. 189-200.

50 Base di partenza per comprendere tutto questo è l’opera di A. Bugnini, La riforma liturgica, cit.

51 La prima traduzione in italiano ad interim del messale apparve a cura del Centro di azione liturgica (Cal Roma), in tempo per l’inizio dell’anno liturgico 1970-1971. I tre volumi approvati dalla Cei e confermati dalla Congregazione per il culto divino, erano facoltativi secondo la Nota del cardinal Antonio Poma, Presidente della Cei: Messale Romano domenicale-festivo-feriale, I, Dalla I domenica di Avvento al martedì prima delle Ceneri, pp. 132; II, Dal mercoledì delle Ceneri alla domenica di Pentecoste, pp. 308; III, Tempo ‘per annum’ dopo Pentecoste, pp. 260. Successivamente: Messale Romano riformato a norma dei decreti del concilio Ecumenico Vaticano II [Conferenza Episcopale Italiana], Roma 1973, pp. LXIII + 822; Città del Vaticano 21983, pp. LXXV + 1152 [Decreto, 15.08.1983]; Messe della beata Vergine Maria. Raccolta di formulari secondo l’anno liturgico [Conferenza Episcopale Italiana], Città del Vaticano 1987, pp. XI + 289 [Decreto, 8.09.1987]; Preghiere eucaristiche della Riconciliazione, s.d., pp. 18 [Decreto, 23.02.1977]; Ordinamento generale del Messale Romano [Conferenza Episcopale Italiana] 2004, pp. 109; Il testo – approvato dal Presidente della Cei in data 4 marzo 2004 dopo la recognitio della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti (25.01.2004) – presenta solo la traduzione dell’Introduzione per facilitarne la conoscenza, in attesa di una nuova edizione del messale romano per la Chiesa italiana.

52 Per la preparazione dei lezionari ufficiali la Cei aveva predisposto una edizione della Bibbia per l’uso liturgico; cfr. Lettera del Presidente del Comitato per la traduzione della Bibbia al presidente della Cei, del 20.10.1971, e Decreto Cei del 25.12.1971. Lezionario domenicale e festivo, vol. I [Conferenza Episcopale Italiana], Roma 1972, pp. XXIII + 1204 [Decreto,15.06.1972]; Lezionario domenicale e festivo, vol. I/1: Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua [Conferenza Episcopale Italiana], 21983, pp. XLVII + 655 [Decreto, 28.11.1982]; Lezionario domenicale e festivo, vol. I/2: Tempo ordinario [Conferenza Episcopale Italiana], 1983, pp. IX + 565; Lezionario domenicale e festivo: fascicolo supplementare [Conferenza Episcopale Italiana], 1982, pp. XLVI + 57; Lezionario feriale per i «tempi forti». Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Roma 1972, pp. VII + 438 [Decreto, 15.07.1972]; Lezionario feriale «per annum» primo, vol. II/1 [Conferenza Episcopale Italiana], Roma 1972, pp. XXIV + 1149; Lezionario feriale, ‘per annum’ secondo, vol. II/2 [Conferenza Episcopale Italiana], Roma 1973, pp. XXIV + 701 [Decreto, 15.11.1973]; Lezionario per le celebrazioni dei Santi, vol. III [Conferenza Episcopale Italiana], Roma 1972, pp. XXIII + 869 [Decreto, 15.11.1972]; Lezionario per le messe rituali, vol. IV [Conferenza Episcopale Italiana], Roma 1973, pp. 711 [Decreto, 15.06.1973]; Lezionario per le messe ‘ad diversa’ e votive, vol. V [Conferenza Episcopale Italiana], Roma 1973, pp. 527 [Decreto, 15.12.1973]; Lezionario per le messe della beata Vergine Maria [Conferenza Episcopale Italiana], Città del Vaticano 1987, pp. XV + 267 [Decreto, 8.09.1987].

Per la preparazione dei nuovi lezionari è stata approntata una nuova versione della Bibbia per la liturgia. La decisione di procedere a una terza edizione della Bibbia per la liturgia (di fatto è la prima vera edizione ufficiale per l’uso liturgico in quanto è passata attraverso la recognitio della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti: cfr. Decreto del 21.09.2007) – una prima revisione era stata fatta nel 1974 – fu presa nel 1988; il testo del Nuovo Testamento, approvato nel 1996, fu presentato alla Cei il 30 marzo 1997. La pubblicazione ufficiale è avvenuta nel 2008: La Sacra Bibbia (con Introduzioni e Note). Lezionario domenicale e festivo – anno A [Conferenza Episcopale Italiana], 2007, pp. 562 [Decreto, 25.12.2006]; Lezionario domenicale e festivo – anno B [Conferenza Episcopale Italiana], 2007, pp. 494; Lezionario domenicale e festivo – anno C [Conferenza Episcopale Italiana], 2007, pp. 510; Lezionario feriale – Tempi forti [Conferenza Episcopale Italiana], 2008, pp. 590; Lezionario feriale – Tempo ordinario, anno pari [Conferenza Episcopale Italiana], 2009, pp. 806; Lezionario feriale – Tempo ordinario, anno dispari [Conferenza Episcopale Italiana] 2008, pp. 784.

53 Il messale romano. Tradizione, traduzione, adattamento, a cura di C. Giraudo, Roma 2003 (BELS 125).

54 È la prima volta nella storia che un documento ufficiale tiene presenti i fanciulli in modo così organico; cfr. al riguardo il Direttorio pubblicato il 1° novembre 1973, e l’attenzione che è stata data almeno inizialmente da parte delle conferenze episcopali. L’editio typica tertia del messale contiene le preghiere eucaristiche dei fanciulli, da adattare alle diverse circostanze. Per questo ampio capitolo pedagogico cfr. M.L. Mazzarello, s.v. Fanciulli, in Dizionario di omiletica, cit., pp. 534-539.

55 Cfr. al riguardo le numerose voci di indole storica presenti nel Dizionario di omiletica, cit.

56 In seguito al motu proprio è apparsa nel 2010 la riproduzione anastatica dell’editio del 1962: il testo è conforme a quello del 1962, a eccezione dell’ottava preghiera del venerdì santo costituita da un nuovo testo, ma che conserva nel titolo l’antica dicitura: «8. Pro conversione Iudaeorum».

57 Si veda la preziosa riflessione di V. Raffa, Liturgia eucaristica, cit., p. 11, dove si evidenzia il fatto che la messa tridentina e quella vaticana sono in sostanza la stessa cosa, con la differenza però che gli elementi nuovi sono a servizio di un’azione liturgica espressione della fede e della partecipazione dell’assemblea.

58 V. Raffa, Liturgia eucaristica, cit., p. 185.

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