TORELLI, Stefano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TORELLI, Stefano

Irene Graziani

Figlio di Felice Torelli, veronese ma naturalizzato bolognese, e di Lucia Casalini, nacque a Bologna il 24 ottobre 1704 (Graziani, 2005, p. 326). Nella scuola dei genitori, entrambi pittori, apprese i primi insegnamenti, venendo in contatto con gli ambienti culturali dell’Accademia Clementina, nella quale il padre ricoprì diverse cariche di rilievo e la madre venne accolta ricevendo la patente ad honorem (1729). Crebbe dunque nello studio attento della grande tradizione artistica felsinea e nella convinzione di un nuovo ruolo per l’artista, cui andava ora riservato un riconoscimento sociale di maggior prestigio in virtù di un lavoro considerato intellettuale e nobile.

Dopo un soggiorno nel 1724 a Senigallia a fianco della madre, impegnata presso i conti Augusti, per i quali Stefano dipinse un’Aurora non rintracciata che doveva decorare la volta dello scalone del palazzo cittadino appena eretto, le prime prestigiose occasioni di lavoro vennero favorite dal padre. La commissione nel 1730 di una pala d’altare, in parallelo con una seconda richiesta a Felice, entrambe saldate nel 1732 dal rettore del noviziato gesuitico di S. Ignazio a Bologna, Giuseppe Fogaccia, segnò l’esordio di carriera, non privo di polemiche. Pur giudicato «un assai bel quadro» da Giampietro Zanotti (1739, p. 88), segretario della Clementina e difensore di un’estetica fondata sul buon gusto, il S. Ignazio che libera un’indemoniata (Fontanellato [Parma], Rocca Sanvitale, cappella) venne «levato» dai committenti, preoccupati che la «vaghezza» e l’«eleganza» delle «spiritate» potesse «pregiudicare alla purità dei loro novizzi», trovando riparo nella «galleria» del marchese Jacopo Antonio Sanvitale, ben inserito nella corte Farnese (ibid.). Fedele ai modi paterni, come evidenzia il confronto con la pala di Torelli senior raffigurante un diverso episodio biografico del medesimo santo (S. Ignazio bastonato, Bologna, Accademia di belle arti, aula magna), il giovane pittore se n’era tuttavia discostato nel rispetto del fondamentale criterio del “decoro”, non trattenendosi dall’attribuire una grazia fin troppo scopertamente seduttiva all’ossessa, che pare trarre spunto dalla coeva pittura di soggetto mitologico (Ercole Graziani, Proserpina rapita da Plutone, coll. privata: Graziani, 2013, pp. 12, 26 fig. 2).

Sempre sotto l’ala protettrice del padre, Stefano ricevette, intorno alla metà degli anni Trenta, la seconda importante commissione pubblica, proveniente dal cardinale Tommaso Ruffo. Grande collezionista e già cardinale legato di Bologna, Ruffo pensò di rivolgersi all’ambiente accademico clementino per rinnovare gli altari della basilica di S. Giorgio Martire a Ferrara, cattedrale della città in cui ricopriva la carica di vescovo, elevata a sede arcivescovile nel 1735. La pala con S. Filippo Neri che ha la visione dello Spirito Santo, richiesta a Stefano contestualmente a quelle commissionate ai professori Felice Torelli (Martirio di s. Maurelio) ed Ercole Graziani (Martirio dei ss. Giorgio e Alessandra), tutte ancora in loco, rese manifesta la padronanza del mestiere da parte del giovane pittore, avviatosi ormai a tralasciare la retorica a tratti impetuosa del padre per accostarsi a ritmi più fluidi e ariosi e a forme più tornite, aprendosi dunque alle sonorità della pittura veneta e alle volumetrie rassodate dei napoletani, artisti apprezzati e rappresentati nella collezione di Ruffo, di nobile stirpe meridionale.

Un soggiorno di lavoro a Venezia, collocato da Zanotti a ridosso della partenza di Torelli per «paesi oltramontani», va forse situato in un tempo un poco precedente: nella Storia dell’Accademia Clementina, edita nel 1739, Zanotti riferì infatti come notizia attuale che Torelli «presentemente» risiede a Venezia, ove «dipigne così a fresco come a olio con molto su’ onore» (Zanotti, 1739, p. 88). Nulla, purtroppo, è stato finora rintracciato di questa ultima fase di attività italiana, che dovette tuttavia includere anche un soggiorno a Napoli e uno a Roma.

Stefano venne in effetti definito «écolier de Solimene» (Liebsch, 2007, pp. 17, 242 n. 5) nella lettera datata 9 luglio 1739 e inviata al primo ministro sassone, conte Heinrich von Brühl, dal conte Joseph Anton Gabaleon von Wacherbarth-Salmour, amministratore della casa reale di Sassonia, giunto in Italia al seguito del figlio di Augusto III, Federico Cristiano, per accompagnare la sorella di questi, Maria Amalia, andata sposa a Carlo di Borbone nel 1738. Nella medesima lettera, scritta a Roma durante il ritorno da Napoli in Sassonia, il conte von Wackerbarth-Salmour informava il primo ministro sassone che il pittore, «plein de feu et de bonne volonté», intenzionato a «tenter fortune», sarebbe approdato a Dresda aggregandosi all’oboista Antonio Besozzi, di origini parmensi, e che avrebbe intrapreso il viaggio a proprie spese. A conferma dell’avvenuto trasferimento in Germania di entrambi, una successiva lettera di risposta di von Brühl (2 settembre 1939) avvertì il conte von Wackerbarth-Salmour del loro arrivo nella capitale sassone (Liebsch, 2007, pp. 18, 243 n. 6).

Dalla corrispondenza fra i due diplomatici tedeschi paiono dunque deducibili un periodo trascorso da Torelli alla scuola di Solimena a Napoli – notizia ripresa in seguito dalla storiografia tedesca (von Hagedorn, 1755) – e anche un suo soggiorno a Roma, dove, stando alla missiva, sarebbe avvenuto l’incontro con l’entourage del principe ereditario sassone. Dopo l’esperienza condotta nelle capitali culturali italiane, le credenziali per l’ingresso a Dresda, giudicata addirittura la corte «più brillante» d’Europa da Giacomo Casanova, potevano dirsi acquisite.

Prima di avviare la propria attività a Dresda, Torelli assunse tuttavia l’incarico di affrescare per la margravia di Bayreuth, Guglielmina di Prussia, il soffitto della sala delle udienze nell’Ermitage. La prestigiosa commissione venne mediata forse dal potentissimo primo ministro sassone von Brühl (Liebsch, 2007, p. 18) e venne condotta a termine nel 1740, come indica l’iscrizione con la firma nell’affresco, raffigurante Chilonide e Cleombroto: soggetto raro, tratto da Plutarco (Vite parallele, Agide, 17-18) e Polibio (Storie, 4, 35, 11), in cui la celebrazione della virtù dei “buoni principi”, pronti al sacrificio di sé per la ragion di stato, intendeva probabilmente riflettere il vissuto della margravia, andata in sposa a un possibile pretendente alla corona prussiana e dunque esule lontano dalla propria patria per facilitare a Berlino la salita al trono del fratello Federico II (Krückmann, 1998, p. 43). Acclimatatosi rapidamente all’ambiente di corte, il pittore seppe in effetti mettere a punto una retorica dal fraseggio composto e garbato, lasciando trasparire nei protagonisti sentimenti da melodramma, controllati e decifrabili, per accondiscendere alla sensibilità culturale della committente, che fu anche compositrice di opere in musica.

Finalmente poi a Dresda, Torelli venne nominato pittore di corte (Hofmaler) nel 1741, acquisendo sempre maggior credito, come dimostra l’infittirsi delle richieste, spesso di impegnativi soggetti religiosi, avanzate da numerosi esponenti della famiglia reale. La pala con la Predica di s. Bennone nella Hofkirche (1751-52) segnò un punto di arrivo nelle sperimentazioni del pittore, che sull’onda dell’entusiasmo suscitato dall’approdo nella Galleria Reale di capolavori italiani, molti dei quali provenienti dalla collezione del duca Francesco III d’Este (1745), volle tributare un omaggio alla pittura emiliana (Correggio, Parmigianino) nelle forme polpose e floride e nelle sofisticate grazie femminili, mentre nella brillantezza vivida e nella qualità “iridata” del colore volle emulare le prerogative cromatiche dei veneti (Veronese, Sebastiano Ricci, Giambattista Tiepolo), celebrati da Francesco Algarotti, attivo alla corte di Dresda come procacciatore di opere dal 1742 al 1746.

Il successo di Stefano si espresse anche nel genere del ritratto – Christian Ludwig von Hagedorn segnalava le affinità fra Torelli e Gregorio Guglielmi, entrambi «principalment attachés à représenter des sujets de grand mouvement, qui demand plus de verve», diversamente da Pietro Antonio Rotari, anch’egli a Dresda, che preferiva rappresentare «la nature en repose» (von Hagedorn, 1755, p. 36) – e nei temi mitologici: resta a farne testimonianza il complesso decorativo in Schloss Nischwitz (Wurzen; 1748-49), residenza di campagna del primo ministro von Brühl, committente di Torelli anche per gli interni del suo celebre Belvedere in città, lungo la riva dell’Elba, purtroppo perduto. Una vera “Aetas Ovidiana” splende nel salone delle feste di Nischwitz, dove dall’alto s’irradia l’armonioso dominio di Apollo, in corsa sul suo carro insieme alle Ore, mentre sulle pareti trionfano gli amori degli dei, a celebrare il principio rigenerante e civilizzatore di Amore, capace di addomesticare la natura ferina dell’uomo, conducendolo alla scoperta dei sentimenti. L’idea di un progresso dell’umanità fondato sul potere educativo dell’Amore andava dunque affermandosi, come in altre corti europee, anche nella Dresda augustea, in cui si vagheggiava l’attuarsi di una nuova età dell’oro. Ma l’infuriare della guerra dei Sette anni (1756-63) avrebbe disperso la vitalità culturale della città, spingendo Torelli a cercare opportunità di lavoro altrove.

Dal 1758, forse grazie a Carl Heinrich von Heineken, segretario privato di von Brühl, entrò infatti in contatto con il senatore Johann Friedrich Schävius, uno dei massari del cantiere del Municipio di Lubecca. Aggiudicatosi la decorazione della sala delle udienze nel Rathaus (26 maggio 1758), si trasferì nella città anseatica, dove svolse in una serie di soggetto allegorico (dieci tele; maggio 1759 - settembre 1761), tuttora nel luogo d’origine, un’epitome emblematica delle virtù morali e civiche del buon governo e dei suoi benefici effetti. Negli stessi anni si collocano numerosi ritratti, dipinti da Torelli anche per l’aristocrazia danese.

«Regis Poloniae Pictor» – così ancora si firmava –, Torelli ottenne formalmente il permesso di sciogliersi dal servizio dei reali di Sassonia dalla principessa Maria Antonia Valpurga di Baviera, vedova del principe elettore Federico Cristiano, il 2 settembre 1762. In barca da Amburgo fino a Cronstadt, poi risalendo la Neva, giunse nell’autunno dello stesso anno a San Pietroburgo, dove entrò a far parte dell’Accademia di belle arti (7 ottobre 1762), probabilmente su segnalazione dello scenografo bolognese Serafino Barozzi, ponendosi al servizio dell’imperatrice Caterina II, salita da pochi mesi al trono dopo il colpo di stato del giugno 1762 e l’assassinio del marito, lo zar Pietro III. Assumendo il ruolo già ricoperto da Pietro Antonio Rotari, morto inaspettatamente nell’agosto del 1762, e da Francesco Fontebasso, ripartito per l’Italia, Torelli si dimostrò perfettamente all’altezza degli impegni, a partire dal grande Ritratto di Caterina II nelle vesti dell’incoronazione (San Pietroburgo, Museo di Stato russo, 1763 circa), primo di una serie di dipinti dedicati all’immagine ufficiale della sovrana, che si professava monarca illuminata, esempio di assolutismo liberale. Insieme al danese Virgilius Eriksen, Stefano fu l’artefice della costruzione di un’icona imperiale funzionale alla promozione politica e indispensabile per far accettare il raggiungimento della corona da parte di Caterina II con metodi discutibili. Fra gli altri, il Ritratto di Caterina II come Minerva, protettrice delle arti, garante di pace e di progresso (San Pietroburgo, Museo statale russo, 1770), suscitò addirittura il giudizio entusiastico di Étienne-Maurice Falconet, che definì Torelli «peintre enchanteur» (lettera a Caterina II del 7 maggio 1770; Réau, 1921, p. 124). L’apprezzamento era per altro già stato premiato con il prestigioso incarico di pittore di corte, ottenuto il 26 febbraio 1768. In questa veste Torelli operò ampiamente per la corona ed eseguì la decorazione della dacia personale di Caterina II e del padiglione dello scivolo a Oranienbaum, dimora imperiale sul golfo di Finlandia. Quadri, sovraporte, sopracamini, tempere, plafonds che, accanto a numerose tele richieste a pittori veneziani coevi, raccontano fra mito e allegoria l’età felice della sovrana. Per la zarina Torelli inventò una mistura cromatica dalle trasparenze rarefatte e sonore, un impasto tenero e plasmabile, forme flessuose e palpitanti, ritmi smottanti; una pittura che aveva «le vrai caractère de la séduction», tale da eguagliare ciò che «les grands maîtres ont fait de beau en ce genre», secondo il commento di Falconet (nella lettera già citata a Caterina II; Réau, 1921, pp. 123 s.); un giudizio ancora più lusinghiero considerando che lo scultore francese, prima di giungere presso la zarina, era stato per diversi anni direttore della Manifattura di Sèvres, e al servizio di Madame de Pompadour aveva tradotto in finissime porcellane le invenzioni di François Boucher.

Senza più fare ritorno in patria, Stefano morì a San Pietroburgo il 22 gennaio del 1780, come risulta dagli archivi della chiesa cattolica di S. Caterina (Ernst, 1970, p. 184 nota 34).

Fonti e bibliografia

G.P. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina…, II, Bologna 1739, p. 88; Ch.L. von Hagedorn, Lettre à un amateur de la peinture, avec des eclaircissments historiques sur un cabinet et les auteurs des tableaux qui le composent…, Dresde 1755, pp. 35 s.; L. Réau, Correspondence de Falconnet avec Catherine II, Paris 1921, pp. 123-127, nn. 86-88, e pp. 137 s., n. 97 (lettera 7 maggio 1770, pp. 123 s., n. 86; lettera 8 maggio 1770, p. 125, n. 87; lettera 28 maggio 1770, pp. 125-127, n. 88; lettera 25 ottobre 1770, pp. 137 s., n. 97); D.J. Warncke, Zur Geschichte der Torellischen Wandegemälde in Audienzsaale des Rathauses zu Lübeck, in Nordelbingen, I (1923), pp. 16-36; V. Thorlacius-Ussing, S. T., in Kunstmuseets årsskrift. Statens Museum for Kunst, LI-LII (1964-1965), pp. 1-47; S. Ernst, S. T. in Russia, in Arte Veneta, XXIV (1970), pp. 173-184; H. Marx, Zur Ikonographie der Wand- und Deckenmalereien des S. T. in Nischwitz, in Jahrbuch der Staatlichen Kunstsammlungen Dresden, 1970-1971, pp. 129-144; P.O. Krückmann, Die Ermitage, in Id., Paradies des Rokoko, I, Das Bayreuth der Margräfin Wilhelmine, München-New York 1998, pp. 25-68; I. Graziani, La bottega dei Torelli. Da Bologna alla Russia di Caterina la Grande, Bologna 2005, pp. 107-177, schede nn. 1-187, pp. 261-319; T. Liebsch, S. T., Hofmaler in Dresden. Sein Werk in Sachsen, Bayreuth, Lübeck und Sankt Petersburg, Berlin 2007; I. Graziani, Sognare l’Arcadia. S. T. «peintre enchanteur» nelle grandi corti del Nord Europa, Bologna 2013.

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