GASSE, Stefano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GASSE, Stefano (Étienne)

Mauro Venditti

Nacque a Napoli nel 1778, in una modesta famiglia, da Étienne, di origine francese, e da Luigia Minotti, napoletana.

Con il gemello Luigi (Louis-Silvestre), che lavorò sempre al suo fianco, fu tra i più significativi architetti neoclassici operanti per oltre un ventennio a Napoli. Ebbero tra loro un costante rapporto di collaborazione, per cui è difficile discernere nelle singole opere la paternità dell'uno o dell'altro, anche se la personalità del primo pare fosse prevalente, come emerge dal capitolo loro dedicato da C.N. Sasso, collaboratore egli stesso nello studio professionale dei fratelli Gasse a Napoli. Luigi morì a Napoli l'11 nov. 1833.

Per via dell'origine francese e delle scarse possibilità economiche della famiglia, che viveva con i proventi di una locanda a S. Lucia a Mare, come ricorda Sasso, a soli sette anni il G. e il fratello Luigi furono mandati a Parigi, presso uno zio materno, abate, direttore di un istituto per ragazzi. Sempre a Parigi, secondo Sasso, diventarono allievi di Jean-François-Thérèse Chalgrin, uno dei più affermati esponenti del gusto neoclassico; ma la veridicità di questa affermazione è stata messa in dubbio (Lorenzetti). Nel 1794 ricevettero la borsa del pensionato artistico presso l'Accademia di Francia a Roma che permise loro di tornare definitivamente in Italia. Il vincitore era risultato Luigi, ma la borsa fu estesa anche al Gasse.

Del G. si ricorda un progetto per il pritaneo (Kaufmann) - ispirato ai modelli ateniesi - con cui egli vinse, nel 1800, il "prix d'emulation" dell'Accademia.

Conclusa l'esperienza romana, il G. ritornò a Napoli con il fratello nel 1802 inserendosi nell'ambiente ufficiale dei lavori pubblici. Successivamente (dal 1806) divenne interprete di numerose iniziative promosse dal governo francese e poi da quello della seconda restaurazione borbonica. Nel 1806 il G. fu chiamato a ricoprire la cattedra di architettura presso l'Accademia di belle arti di Napoli; ma non sentendosi all'altezza rifiutò l'incarico.

Durante il governo francese il G. produsse alcuni importanti progetti: l'allineamento di via Foria, quale pubblica passeggiata fuori le mura, i mercati di commestibili e l'osservatorio astronomico.

Appartiene alle iniziative del governo francese l'esame del problema di dotare i quartieri di Napoli di mercati (definiti "piazze di commestibili"), per ragioni di igiene e decoro, riprendendo peraltro un'esigenza già segnalata da Vincenzo Ruffo nel suo Saggio sull'abbellimento di cui è capace la città di Napoli (1789) e riproposta poi dall'architetto Giuseppe Maresca (1806: Venditti).

Membro del Consiglio degli edifici civili, il G. progettò alcuni dei principali mercati previsti dal re Giuseppe Bonaparte, ispirandosi alla tradizione del macellum romano (quello di Neapolis è emerso in tempi recenti dagli scavi di S. Lorenzo Maggiore). Tra i progetti non realizzati si ricordano quello per S. Maria a Cappella Vecchia (1807) e di Montecalvario (con due soluzioni); mentre fu costruito quello di Monteoliveto (1808: andato poi distrutto), a struttura chiusa porticata, con botteghe laterali intorno alla corte centrale a colonne, articolata con linguaggio classicistico, memore degli esempi pompeiani.

Opera di notevole rilievo architettonico dei gemelli Gasse fu l'osservatorio astronomico, voluto dal re Gioacchino Murat, primo tra i moderni istituti di tal genere in Europa. Esso venne iniziato nel 1812 e concluso intorno al 1820 in sostituzione del troppo modesto belvedere di S. Gaudioso e della "specola" accanto al museo; per la nuova costruzione fu scelta la collina di Miradois, presso Capodimonte, in posizione elevata sulla città. L'osservatorio è concepito come un piccolo padiglione assai elegante, in cui, vera rarità nell'ambiente napoletano, la pietra, assai ben lavorata, sostituisce integralmente lo stucco. Nel lieve bugnato regolare, che vivifica le superfici mediante ombre sottili, quasi disegnate, tre arcate si aprono simmetricamente ai lati del portico che immette nell'atrio dorico. Nonostante gli ampliamenti successivi (1929), che hanno modificato i rapporti proporzionali originari, l'edificio conserva un carattere macchinoso per la presenza, agli estremi della facciata, delle due cupole entro le quali sono racchiusi i cannocchiali e gli strumenti astronomici.

Dopo la Restaurazione borbonica (avvenuta nel maggio 1815) il G. realizzò altrettante opere di rilievo, dal palazzo dei ministeri di Stato, al "muro finanziero", con le barriere e la nuova dogana, il prolungamento della villa reale di Chiaia, la sistemazione delle strade costiere che muovevano dal centro urbano verso occidente (via del Piliero, via S. Lucia e via Mergellina), nonché il disegno del pronao dell'ingresso al camposanto nuovo. Nel 1822 accettò la cattedra di architettura presso l'Accademia di belle arti di Napoli.

La grande occasione di una pubblica committenza di vasto respiro architettonico si ebbe dopo la restaurazione borbonica e fu rappresentata dall'intervento per riorganizzare, in maniera funzionale e unitaria, quale sede di tutti i ministeri di Stato, lo stratificato insieme di fabbriche, poste a valle di via Toledo, destinate a divenire, dopo l'Unità d'Italia, sede del Municipio napoletano, con il nome di palazzo S. Giacomo. L'incarico del progetto venne conferito, oltre che ai Gasse, ad Antonio De Simone e Vincenzo Buonocore, architetti di corte, con decreto reale del 18 giugno 1816; ma l'opera, iniziata nel 1819, di complessa esecuzione per le preesistenze da rispettare e le parti da riammagliare funzionalmente, vide il suo compimento soltanto nel 1825 con il prevalente intervento architettonico del Gasse.

La fabbrica, tra le più vaste del periodo neoclassico (circa 15.000 mq), contava, al suo compimento, 846 stanze, 40 corridoi, 6 cortili (alcuni con fontane) e 6 ingressi minori; ma, nonostante le dimensioni, giustificate dal dover accogliere i sette ministeri borbonici e le loro dipendenze, riusciva poco unitaria. Essa nasceva con grossi vincoli, poiché sul suolo prescelto sorgevano il convento della Concezione (che fu demolito), un ospedale, il Banco di S. Giacomo e molte case private; inoltre nella composizione dell'alto bugnato della facciata verso Castel Nuovo, il G. dovette inserire l'ingresso alla chiesa di S. Giacomo degli Spagnuoli, ripetendo due portali simmetrici rispetto a quello centrale. L'uniforme e monotona ripetizione di tre piani di balconcini con timpano verso la piazza è stata giudicata un autentico "trionfo della simmetria" (Cione), coerente con la funzione burocratica, sebbene giustamente M. Ruggiero, nel suo Discorso (1832) sottolinei l'evidente sproporzione tra i portali d'ingresso e i balconcini ripetuti uniformemente nei piani sovrastanti. Più che per l'articolazione esterna - riproposta sul fronte opposto con minore altezza e talune varianti - palazzo S. Giacomo era interessante per il fluire dello spazio assiale a piano terra, dall'atrio a volta, sulla piazza, fino a via Toledo, mediante un passaggio coperto, poi interrotto a seguito della costruzione della sede del Banco di Napoli di M. Piacentini (1938), che consentiva di attraversare tutta la fabbrica, richiamando analoghe soluzioni londinesi o parigine.

Dopo la carestia del 1817 e gli eventi politici del 1820-21, il governo borbonico, per garantirsi il controllo doganale delle merci introdotte nella capitale, deliberò la costruzione del cosiddetto "muro finanziero", nuova cintura daziaria scandita da diciannove varchi d'ingresso (barriere). Fu investito dell'incarico dal medesimo ministro Luigi de' Medici il G., ancora impegnato nei lavori di completamento del palazzo S. Giacomo; la planimetria del nuovo tracciato, delimitante il confine tra città e casali, lungo ben 20 km e articolato in tre tratti venne approvata dal re Francesco I il 28 ott. 1825. Le successive vicende hanno risparmiato solo poche "barriere", che il G. aveva elegantemente disegnato come piccoli padiglioni murari, rinnovando l'adozione di un ordine classico nella loggetta centrale, serrata tra i corpi simmetrici destinati ai finanzieri. Tra quelle superstiti può cogliersi a Capodichino (piazza G. Di Vittorio) un'elegante loggetta ionica; mentre il dorico enfatizza quella presso il ponte della Maddalena. Rientra nella medesima politica amministrativa, ma successiva di circa un decennio, la nuova grande dogana, ultimata dopo la morte del G. dal colonnello Clemente Fonseca, e ubicata sul bacino portuale del molo piccolo, detto Mandracchio. Concepita anch'essa in forma di padiglione di classicistica impronta, la fabbrica si inseriva nel riassetto edilizio della zona verso il porto, per cui il G. disegnò e diresse, nel 1836, l'adiacente strada del Piliero, dal nome della cappella di S. Maria del Pilar, demolita per le nuove opere di sistemazione stradale della zona.

Altro notevole impegno di carattere pubblico fu l'ampliamento e la definitiva sistemazione della villa di Chiaia (attuale villa comunale), compiuta dal G. nel 1834. Il G., nominato "direttore della Real Villa di Chiaja", ne disegnò il prolungamento verso occidente, con palese adesione al nuovo gusto romantico all'inglese dei viali sinuosi e delle alberature a masse più liberamente disposte, in netta antitesi con il geometrico tracciato vanvitelliano della parte sino allora eseguita; nel verde dei prati, animati dai boschetti di lecci, egli eresse i due candidi tempietti monumentali, l'uno rettangolare in antis dedicato a Virgilio, l'altro, circolare periptero, in onore di T. Tasso, entrambi ispirati ai rilievi degli antichi, avvalendosi della collaborazione dell'archeologo Francesco Avellino, con lavori compiuti tra il 1819 e il 1828.

Sasso ricorda ancora, tra le opere compiute dal G., il macello dei bovini al ponte della Maddalena (perduto); mentre il re Ferdinando II, dopo averlo nominato cavaliere dell'Ordine di Francesco I per l'opera meritoria svolta nella villa di Chiaia, gli conferì l'incarico di sistemare tre importanti strade napoletane: di S. Lucia, di Mergellina e del Piliero (1839). A ciò Quattromani aggiunge un disegno del G. (già autore del cimitero di Barra) per l'ingresso al camposanto. Ma la morte sopraggiunta non gli consentì di eseguire che la prima di queste opere; mentre le altre - a testimonianza di Sasso - vennero eseguite più tardi secondo i progetti già predisposti dal Gasse. Se l'unica fabbrica religiosa progettata dal G., in collaborazione con Giuliano De Fazio, fu la chiesa parrocchiale dello Spirito Santo a Torre Annunziata, non poteva mancare al G. la committenza privata; a tal proposito si ricordano talune ville: le "casine" Cacace a Sorrento, del duca di Terranova e di Domenico Sofia a Posillipo, dei Dupont, poi Bozzi-Miroballo, ai Ponti Rossi.

Quest'ultima rappresenta, al margine del bosco di Capodimonte, un singolare episodio, non soltanto per il disegno della fabbrica, che si eleva su di un poggio, ma anche per il bellissimo parco all'inglese che la circonda. Il gusto lineare del G. si manifesta nel lieve bugnato basamentale e nella loggia ionica del piano superiore, aperta verso il panorama; o, sul fronte opposto, nello svolgimento del consueto vestibolo per le carrozze, in forma di piccolo portico avanzato, secondo le soluzioni già proposte da Antonio Niccolini nella villa Gallo e nella Floridiana. Ma della Dupont va indicato soprattutto l'originale ornato delle due colonne doriche in piperno, con targhe e corde intrecciate, scolpite nella pietra vesuviana, ai lati del cancello d'ingresso.

Infine va ricordato il palazzo Tappia su via Toledo, che il nuovo proprietario, Francesco Paolo de Tocco, principe di Montemiletto, rinnovò totalmente nel 1832, con disegno e direzione del Gasse. Qui le forme classicistiche e i tre ordini sovrapposti, sull'alto stilobate a bugne regolari, in sostituzione degli stucchi barocchi, se mancano di vera ispirazione, rivelano, tuttavia, l'estrema misura della composizione del Gasse. Sasso indica nel palazzo Corigliano duca di Vietri, a S. Domenico Maggiore, il modello mormandeo assunto per la facciata della nuova opera; mentre Catalani, con maggior intuito, esalta la derivazione vignolesca, pur notando le sproporzioni tra il dorico del primo piano, troppo lungo, e i successivi ordini, troppo bassi; riserva che può ripetersi per la scala aperta in fondo al cortile, ove il G. ugualmente adotta gli ordini classici, allontanandosi nettamente dal linguaggio della tradizione barocca, la prima a esaltare con fantasiosi moduli tale nodo architettonico.

Va infine ricordato che il G. fu reclutato dal Consiglio edilizio, istituito da Ferdinando II con decreto 22 marzo 1839, allorché il sovrano abolì la precedente Giunta di fortificazione (che, dal 1817, aveva sostituito a sua volta il Consiglio degli edifici civili, di cui il G. faceva già parte insieme con Luigi Malesci). La nomina del G. con Antonio Niccolini - il maggiore esponente del neoclassico napoletano, architetto di corte e scenografo del teatro S. Carlo - conferma, ancora una volta, il prestigio di cui il G. godeva presso il sovrano.

Il G. morì a Napoli il 21 febbr. 1840.

Fonti e Bibl.: Del nuovo reale edificio di S. Giacomo, Napoli 1828 (con tre litografie di D. Cuciniello e A. Bianchi su disegno del G.); M. Ruggiero, Discorso intorno alle presenti condizioni dell'architettura in Italia, in Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti (Napoli), I (1832), pp. 146-157; G. Quattromani, Necrologia di S. G., Napoli 1840; L. Catalani, I palazzi di Napoli, Napoli 1845, p. 83; C.N. Sasso, Storia dei monumenti di Napoli e degli architetti che li edificavano, II, Napoli 1858, pp. 97-121, 214 s.; G.B. Chiarini, Notizie del bello e del curioso della città di Napoli…, IV, Napoli 1859, p. 387; V, ibid. 1860, p. 558; E. Cione, Napoli romantica (1830-1848), Milano 1942, p. 151; C. Lorenzetti, L'Accademia di belle arti di Napoli, Firenze 1952, pp. 56, 77, 313, 316 s., 319; A. Venditti, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli 1961, pp. 194, 198, 328-334; E. Kaufmann, L'architettura dell'Illuminismo, Torino 1966, pp. 243, 264 n. 135; R. Penna, La villa comunale di Napoli, in Napoli nobilissima, V (1966), pp. 23 s.; R. Di Stefano, Storia, architettura e urbanistica, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, pp. 666, 674, 676, 679 s., 703, 718; figg. 96-103, 117-120, 134 s., 146, 186-188; S. Casiello, Architettura neoclassica a Napoli. L'osservatorio astronomico, in Napoli nobilissima, XXI (1982) pp. 157-167; F. Strazzullo, Il real passeggio di Chiaja, Napoli 1985, p. 25; A. Buccaro, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario, Napoli 1992, pp. 221-223 e passim; F. Starita Colavero, Arte e potere. S. G. un architetto al servizio di un Regno, Napoli 1993; C. Lenza, Monumento e tipo nell'architettura neoclassica, Napoli 1997, p. 183 e passim; A. Venditti, Napoli neoclassica. Architetti e architetture, in Civiltà dell'Ottocento. Architettura e urbanistica (catal.), a cura di G. Alisio, Napoli 1997, pp. 25-34; F. Mangone, Il pensionato napoletano di architettura 1813-75, ibid., p. 35; Id., Nuove tipologie per la città borghese, ibid., p. 60; A. Buccaro, La politica urbanisticanel pensiero di Ferdinando II, ibid., pp. 67 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 233; Dizionario encicl. di architettura e urbanistica, II, Roma 1968, p. 426.

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