Statuto

Enciclopedia on line

Diritto

S. del contribuente  Legge ordinaria (l. 212/2000) le cui disposizioni esprimono i principi generali dell’ordinamento tributario, riconducibili agli art. 3, 23, 53 e 97 Cost., che dovrebbero essere attuati e rispettati da tutti i soggetti titolari di autonomia normativa tributaria e da tutti i soggetti titolari di poteri e funzioni strumentali a quelli propri delle Agenzia delle Entrate. Al suo interno si distinguono regole che attengono alle modalità di formazione e di efficacia delle leggi tributarie, al contenuto degli atti impositivi, all’integrità patrimoniale del contribuente, ai suoi diritti e garanzie nel corso delle verifiche fiscali, all’applicazione di istituti di genesi civilistica all’obbligazione tributaria, alla tutela dell’affidamento del contribuente, al cosiddetto diritto di interpello, all’istituzione e funzionamento del garante del contribuente. Lo S. ha natura ‘rafforzata’, in quanto le sue disposizioni possono essere derogate o modificate solo espressamente, e mai da leggi speciali; lo S. prevede, tra l’altro, che l’adozione di norme in materia tributaria possa essere solo eccezionale, attraverso una legge ordinaria che espressamente qualifichi le disposizioni come di interpretazione autentica (art. 1, co. 2); i decreti legge, inoltre, non potrebbero istituire nuovi tributi né estendere l’ambito soggettivo di applicazione di tributi già esistenti (art. 4). In base allo S. le norme tributarie (il cui contenuto deve essere rispettoso delle regole della chiarezza e trasparenza: art. 2) non possono avere effetto retroattivo, né prevedere adempimenti con scadenza anteriore ai 60 giorni dall’entrata in vigore. Le modifiche apportate sono inoltre applicabili solo dal periodo di imposta successivo a quello nel corso del quale è entrata in vigore la modifica (art. 3). Si prevedono regole comportamentali volte a implementare nei rapporti tra gli uffici e i contribuenti la correttezza e il rispetto reciproco, attraverso l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di garantire al contribuente l’informazione circa le disposizioni normative e le interpretazioni (art. 5), la conoscenza degli atti a lui destinati, senza gravarlo di oneri di produrre documenti già in possesso degli uffici e permettendo, prima delle iscrizioni a ruolo, un contraddittorio procedimentale (art. 6). Lo S. prescrive un contenuto degli atti impositivi chiaro e motivato, al fine di garantire al contribuente un’effettiva comprensione e tutela (art. 7). Si ammette, inoltre, che l’obbligazione tributaria possa essere disciplinata da istituti di derivazione civilistica come la compensazione e l’accollo del tributo (art. 8), e che, nella sua attuazione e controllo, il rapporto debba essere improntato alla correttezza e buona fede, per cui non sono irrogabili sanzioni qualora il trasgressore si sia conformato, nel suo comportamento, a indicazioni fornite dagli stessi uffici ma, successivamente, modificate in sede di accertamento, ovvero qualora si sia di fronte a obiettive condizioni di incertezza normativa (art. 10). Al fine di evitare che possano persistere condizioni di incertezza lo S. ha introdotto l’istituto del cosiddetto interpello interpretativo al fine di permettere al contribuente di conoscere, all’esito di un articolato procedimento amministrativo, la corretta interpretazione delle disposizioni (art. 11). Con lo scopo di tutelare la sfera personale del contribuente lo S. specifica le condizioni al cui verificarsi si possono svolgere accessi, ispezioni e verifiche, prevedendo che il contribuente possa presentare delle memorie all’esito delle indagini e della redazione di un processo verbale di constatazione e che le indagini stesse non possano superare un termine massimo (art. 12). Infine, è istituito il garante del contribuente, per accogliere denunce e lamentele dei cittadini e per richiedere chiarimenti su comportamenti commissivi od omissivi dei singoli uffici (art.13). La giurisprudenza ha riconosciuto alle disposizioni dello S. valenza di norme interpretative e sancito l’illegittimità di tutte quelle norme che non ne rispettino i principi; tuttavia, la natura di legge solo ordinaria e non costituzionale espone le singole disposizioni a una sostanziale provvisorietà in quanto suscettibili di essere derogate espressamente per casi specifici da norme successive di legge ordinaria.

S. dei lavoratori È il nome con cui è nota la l. n. 300/1970, contenente «norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento». In materia di lavoro è, senza dubbio, la fonte normativa più importante nel nostro ordinamento dopo la Costituzione, che ha fissato i principi fondamentali della materia. La legge accoglie le motivazioni essenziali del progetto lanciato dal Congresso di Napoli della CGIL, del novembre 1952, quando per la prima volta G. Di Vittorio sollecitò l’approvazione di uno «Statuto dei diritti dei lavoratori». La ratio della l. n. 300/1970 va ricercata, infatti, nella volontà del legislatore di proteggere il prestatore come parte più debole del rapporto di lavoro, nella tradizionale linea di sviluppo del diritto del lavoro, permeata dall’esigenza di salvaguardare la pace sociale e l’ordinato perseguimento dell’unitario fine produttivo dell’organizzazione imprenditoriale. La legge si articola in 6 titoli, che racchiudono, nell’ordine, norme concernenti la libertà e dignità dei lavoratori (art. 1-13), la libertà sindacale (art. 14-18), l’attività sindacale (art. 19-27), disposizioni varie e generali (art. 28-32), il collocamento (art. 33-34), le disposizioni finali e penali (art. 35-41): norme quindi che da un lato si rivolgono alla tutela del lavoratore nel rapporto di lavoro e, dall’altro, sostengono l’organizzazione e l’attività del sindacato nel contesto aziendale. Il 1° dei 6 titoli disciplina: la libertà di opinione dei lavoratori (art. 1) e il relativo divieto di indagine da parte del datore di lavoro (art. 8); la tutela dei lavoratori contro ogni forma di controllo lesivo della loro privacy, attuato con modalità occulte o comunque invasivo della sfera della personalità morale (art. 2, 3, 4, 5, 6); la tutela in caso di contestazioni disciplinari (art. 7); la tutela alla conservazione della posizione di lavoro acquisita (art. 13); le attività culturali, ricreative e assistenziali (art. 11 e 12); la concessione di permessi agli studenti lavoratori; la tutela del diritto delle rappresentanze sindacali a controllare l’applicazione aziendale delle norme dirette a tutelare la salute dei lavoratori e la loro integrità fisica (art. 9). Nel 2° titolo, ai lavoratori è garantito il diritto di associazione e di attività sindacale (art. 14), con il relativo divieto per il datore di lavoro di inficiare la libertà e l’autonomia sindacale costituendo o sostenendo, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori (art. 17); è sancita la nullità di atti o patti posti in essere dal datore di lavoro avente finalità discriminatoria (art. 15) e il divieto, per il datore di lavoro, di erogare trattamenti economici di maggior favore (art. 16); il titolo si chiude poi con l’importante statuizione del cosiddetto «regime di stabilità reale» (art. 18). Il 3° titolo è interamente dedicato all’attività sindacale, attraverso la disciplina della costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (art. 19); del diritto dei lavoratori di riunirsi in assemblea (art. 20); il diritto di indire referendum su materie inerenti all’attività sindacale con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti all’unità produttiva e alla categoria interessata (art. 21); il diritto di affiggere pubblicazioni, testi e comunicati inerenti materie di interesse sindacale e del lavoro (art. 25); il diritto di utilizzo di un locale all’interno dell’azienda (art. 27); il diritto di raccogliere contributi e svolgere opera di proselitismo e collettaggio (art. 26). Il 4° titolo riveste una rilevante importanza nel sistema di garanzia della libertà e dell’attività sindacale prevista dalla legge in commento. L’art. 28 disciplina, in proposito, la repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro posta in essere da quest’ultimo in qualsiasi forma, riconoscendo alle organizzazioni sindacali il diritto di chiedere la tutela giurisdizionale degli interessi collettivi violati da tale comportamento. Il procedimento previsto è particolarmente semplice ed efficace consentendo di ottenere celermente, laddove il giudice ritenga la sussistenza della violazione denunciata, l’immediata cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti dello stesso. Il 4° titolo prevede, inoltre, al fine di promuovere l’attività sindacale, appositi permessi per i dirigenti provinciali e nazionali delle associazioni abilitate alla costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (art. 30) e il diritto a un periodo di aspettativa non retribuita, per la durata del mandato, per i lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali, nonché a svolgere funzioni pubbliche elettive (art. 31). Il 5° titolo contempla norme in materia di collocamento (art. 33 e 34) ormai abrogate dall’art. 8 del d. lgs. 297/2002, nell’ambito di un intervento di più ampia portata volto a conferire maggiore organicità e coerenza al sistema normativo relativo alla mediazione tra domanda e offerta di lavoro e ai servizi di promozione dell’occupazione. All’ultimo titolo dello s. sono riservate la disciplina del campo di applicazione dello stesso (in particolare del 3° titolo) regolata all’art. 35 nonché la disciplina delle sanzioni penali per le violazioni dei precetti dello s. (art. 38). La legge si chiude con l’abrogazione delle disposizioni contrastanti, fatte salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali più favorevoli e con il regime di esenzione fiscale per gli atti e i documenti necessari per l’applicazione delle norme statutarie, nonché per tutti gli atti e documenti relativi a giudizi nascenti dalla sua applicazione (art. 40 e 41).

S. regionale Per s. regionale si intende quel tipo di fonte del diritto che, in virtù del principio di autonomia, disciplina l’organizzazione interna delle Regioni, indica i fini che l’ente intende perseguire e detta le regole fondamentali a cui essa dovrà attenersi nell’esercizio della sua attività. Tuttavia, poiché nell’ordinamento italiano le Regioni, a differenza dello Stato, sono dotate di autonomia, ma non di sovranità – come rimarcato altresì dalla Corte costituzionale – gli s. regionali non possono essere assimilati a una costituzione regionale. Conseguentemente, il «nuovo» art. 123 Cost. (come introdotto con la l. cost. n. 1/1999) stabilisce che gli s. delle Regioni ad autonomia ordinaria debbano porsi «in armonia con la Costituzione», espressione che parte della dottrina e la stessa giurisprudenza costituzionale hanno interpretato come rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.

Lo s. regionale dopo la l. cost. n. 1/1999 e la l. cost. n. 3/2001. - Un’importante innovazione in tema di s. regionali si è avuta a seguito della l. cost. n. 1/1999 e della l. cost. n. 2/2001. Prima di esse, vi era una netta distinzione sul piano procedurale tra gli s. delle c.d. Regioni ad autonomia differenziata (Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Trentino-Alto Adige/Südtirol, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia) – chiamati anche statuti speciali – e quelli delle c.d. Regioni ad autonomia ordinaria, generalmente qualificati come statuti ordinari: in entrambi i casi la delibera statutaria del Consiglio regionale era seguita da un intervento del Parlamento che doveva approvarla, ma, mentre gli s. speciali erano approvati con una legge costituzionale, gli s. ordinari venivano approvati con una legge ordinaria. La l. cost. n. 1/1999 e la l. cost. 2/2001 hanno profondamente innovato il procedimento di approvazione degli s. ed hanno esteso anche le loro materie di competenza: in particolare, il «nuovo» art. 123 Cost. rinvia, infatti, agli s. regionali la decisione in ordine alla «forma di governo» regionale, laddove prima della l. cost. n. 1/1999 questa era disciplinata direttamente dalla Costituzione.

Attualmente, il procedimento di approvazione degli s. delle Regioni ad autonomia ordinaria non prevede più l’intervento del Parlamento in sede di approvazione e diversifica tale deliberazione da quelle sulle altre leggi regionali, prevedendo che sia necessaria una doppia deliberazione del Consiglio regionale a maggioranza assoluta con un intervallo non inferiore a due mesi. La deliberazione statutaria viene pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione a scopi meramente notiziali, al fine di fare decorrere i termini entro cui è possibile richiedere un referendum confermativo con funzione oppositiva – non diversamente da quanto previsto all’art. 138 Cost. con riferimento al procedimento di revisione costituzionale – mentre il Governo, da parte sua, può impugnare la deliberazione statutaria di fronte alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla pubblicazione della deliberazione consiliare. Tale sindacato da parte del giudice costituzionale, di cui al «nuovo» art. 127 Cost., costituisce attualmente l’unica forma di controllo preventivo di costituzionalità presente nel nostro ordinamento.

Per quanto riguarda il procedimento di approvazione degli statuti speciali, la l. cost. n. 2/2001 ha esteso i principi della l. cost. n. 1/1999 alle Regioni ad autonomia differenziata. È previsto, infatti, che esse possano modificare il proprio statuto (che rimane approvato con legge costituzionale, ex art. 116, co. 1, Cost.), per quanto riguarda la forma di governo e il sistema elettorale, per mezzo delle c.d. leggi statutarie. Queste soggiacciono ad un procedimento particolare, diverso da quello legislativo ordinario, che ricalca in gran parte quanto previsto al «nuovo» art. 123 Cost. (approvazione dalla maggioranza assoluta del Consiglio regionale; possibilità per il Governo di ricorrere alla Corte costituzionale; eventuale referendum ecc.).

La dottrina è divisa sul fatto se lo statuto regionale – che l’art. 123, co. 2, Cost. dice essere una legge regionale – sia una fonte sovraordinata alle altre leggi regionali, ovvero se essa sia solamente, come affermato dalla Corte costituzionale, una legge regionale «a competenza riservata e specializzata». Tuttavia, anche prima delle riforme del biennio 1999-2001 il rapporto tra statuto e legge regionale era tale per cui la violazione del primo da parte della seconda comportava l’illegittimità costituzionale di quest’ultima.

Per quanto riguarda, infine, il contenuto degli statuti regionali, la dottrina e la giurisprudenza costituzionale distinguevano (e distinguono tuttora) tra i c.d. contenuti necessari e i c.d. contenuti eventuali. Nell’ambito dei primi rientrano la disciplina della forma di governo regionale, i principi fondamentali in tema di organizzazione e funzionamento delle istituzioni regionali, l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali (art. 123, co. 1, Cost., come modificato con la l. cost. n. 1/1999). In particolare, lo statuto regionale può derogare al meccanismo dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale previsto nella stessa l. cost. n. 1/1999 (art. 122, co. 5, Cost., come modificato con la l. cost. n. 1/1999), così come prevedere un organo di consultazione tra Regione ed enti locali (art. 123, co. 4, Cost., come introdotto con la l. cost. n. 3/2001). Per quanto riguarda i contenuti c.d. eventuali degli statuti regionali, la giurisprudenza costituzionale, con qualche contrasto tra i commentatori, ha ritenuto che eventuali enunciazioni di principio in essi presenti abbiano un carattere meramente programmatico non siano dunque giuridicamente vincolanti, cosa che rafforza la distinzione sistematica, oltre che teorica, tra lo statuto regionale e la Costituzione.

Storia

Statutum fu il termine che prevalse nel Medioevo per designare tecnicamente la norma deliberata dagli organi costituzionali di ordinamenti particolari sottoposti a una autorità superiore. Così, nell’età comunale venne a indicare dapprima le singole deliberazioni di carattere legislativo adottate dai consigli comunali, e di efficacia per lo più generale e perpetua, poi la raccolta di quelle deliberazioni e di altre norme del diritto locale, considerate come un corpo organico, e in quanto tali coordinate tra loro. La legislazione statutaria ebbe una grande varietà di forme e di svolgimenti, che invano si è tentato di classificare. Oltre al loro valore per la storia del diritto, gli s. rappresentano una fonte straordinaria per lo storico della società e delle istituzioni del Basso Medioevo, in Italia e nel resto d’Europa. Si diffusero anche degli s. corporativi, che regolavano i rapporti interni di quegli ordinamenti, e degli s. marittimi, raccolte di consuetudini marittime o di disposizioni legali riguardanti la navigazione. S. albertino Costituzione promulgata dal re Carlo Alberto per lo Stato sardo il 4 marzo 1848 e divenuta successivamente la Costituzione del Regno d’Italia. Redatto sulla Carta francese del 1830, a sua volta informata agli ordinamenti inglesi, lo S. albertino, pur essendo una Costituzione elargita dal monarca, era, per il suo contenuto, una vera legge. Anzi, nel preambolo, era qualificato «legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della monarchia». Constava di 84 articoli, distribuiti in 9 gruppi, il primo dei quali conteneva le dichiarazioni fondamentali intorno alla religione ufficiale dello Stato, alla forma del governo, alle funzioni, prerogative e diritti del re e dei membri della famiglia reale.

CATEGORIE
TAG

Presidente della giunta regionale

Agenzia delle entrate

Diritto del lavoro

Fonte del diritto

Statuto regionale