SORABI

Enciclopedia Italiana (1936)

SORABI

Wolfango GIUSTI
Giovanni MAVER
Harthur HABERLANDT

. I Sòrabi sono una popolazione slava che abita oggi śoltanto nelle regioni dell'Alta Sprea, all'incirca dai poggi a monte di Bautzen in Sassonia fino a parecchi chilometri a valle di Kottbus in Prussia. Mentre i principali centri urbani (Kottbus, Guben, Forst, Lübben, Bautzen) sono quasi esclusivamente abitati da popolazione di lingua tedesca, il sorabo si è mantenuto in vita in modo relativamente tenace nelle campagne.

Staccata territorialmente dal gruppo slavo-occidentale (polacco e cèco), la zona linguistica soraba è ridotta ormai a due piccoli nuclei, tutt'e due completamente circondati da aree tedesche: uno settentrionale, detto basso sorabo che occupa la valle superiore della Sprea dalle colline lusaziane (Lausitzer Hügelland) fino allo Spreewald e abbraccia i distretti di Kottbus, Spremberg, Hoyerswerda e Rothenburg; l'altro meridionale, detto alto sorabo, parlato nei capitanati di Lokbau, Bautzen e Kamentz della Sassonia. Ancora nel sec. XVI, epoca alla quale risalgono i più antichi documenti letterari di queste popolazioni slave, il territorio linguistico sorabo coincideva press'a poco con quello della Lusazia inferiore e superiore. Tale fatto, come pure la scarsa potenzialità linguistica e letteraria dei Sorabi, ha avuto per conseguenza una grande incertezza nella denominazione di questa lingua slava: mentre gli abitanti stessi si dicono Serb, plur. Sérbjo, e chiamano la propria lingua sérski (e l'identità etimologica di questo nome con quello dei Serbi della Penisola Balcanica ne risulta evidente), essi sono di regola chiamati dai tedeschi Sorben e Wenden e dagli altri slavi per lo più Serbi lusaziani. Il termine di Sorabi, Sorabo ha di fronte agli altri il suffragio di una maggiore antichità e il vantaggio di evitare qualsiasi possibile equivoco.

È difficile stabilire quando i Sorabi abbiano occupato la regione lusaziana: probabilmente verso la fine del sec. VI d. C. Tutto l'odierno bassopiano germanico era allora abitato da popolazioni slave, appartenenti a varie stirpi: gli odierni Sorabi sono gli unici sopravvissuti alla germanizzazione, avvenuta in modi assai diversi: con la costituzione di centri urbani a prevalenza germanica, con la penetrazione commerciale, con la violenza, con la conversione al cristianesimo; la frequente avversione al cristianesimo da parte delle tribù slave si spiega appunto col fatto che nel vecchio culto pagano esse vedevano in certo qual modo un rifugio contro il dominio straniero.

La storia dei Sorabi s'identifica in grandi linee con la storia della Lusazia (v.), pur dovendosi tener conto che assai presto la Lusazia cominciò ad essere abitata, specie nei centri urbani, non da soli Sorabi, sibbene anche da Tedeschi.

Il diretto dominio polacco e boemo in passato, la relativa vicinanza della Polonia e della Boemia in epoca più recente, hanno evidentemente contribuito a mantenere in vita questa "isola slava" in mezzo a terre da secoli oramai germanizzate (i Polabi del Luneburgo, altro resticciuolo dell'antica popolazione slava, si erano completamente germanizzati già nei primi anni del secolo decimottavo).

Una coscienza nazionale soraba (più che altro culturalmente concepita) si ha soltanto a partire dal sec. XIX; dopo la guerra mondiale alcuni Sorabi si manifestarono fautori di una larga autonomia, perfino di un' eventuale unione alla repubblica cecoslovacca. Nel momento presente quei medesimi gruppi si limitano invece a postulare alcuni diritti culturali entro l'orbita dello stato nazionalsocialista.

Difficile stabilire al momento presente il numero esatto dei Sorabi (si oscilla dai 70.000 ai 160.000); evidentemente le differenze derivano da diverse valutazioni di gruppi bilingui; la lingua tedesca progredisce, sia pure lentamente, quasi dovunque, specialmente tra le più giovani generazioni, sostituendo la parlata soraba.

Lingua. - Ridotto a due piccoli nuclei, senza continuità territoriali e privo di quell'appoggio che allo sviluppo unitario, letterario e linguistico offrono i centri cittadini, il sorabo presenta due varianti di lingua letteraria: l'alto sorabo (o sorabo superiore) che si basa sul dialetto di Bautzen e il basso sorabo (o sorabo inferiore) che poggia invece sul dialetto di Kottbus: nella divisione linguistica si rispecchia quindi la divisione politica. Conformemente alla posizione geografica il basso sorabo ha maggiori attinenze con la lingua polacca, l'alto sorabo è invece più affine al cèco.

Indipendentemente da questi accostamenti parziali all'una o all'altra delle due principali lingue slavoccidentali, il sorabo - cioè tanto il basso sorabo, quanto l'alto sorabo - si avvicinano al polacco per la risoluzione trot, tlot degli antichi tort, tolt (quindi: basso sorabo grod, alto sorabo hród di fronte al polacco gród, cèco hrad), al cèco per la stabilizzazione dell'accento sulla sillaba iniziale (come nel cèco, mentre in polacco l'accento colpisce la penultima sillaba), con questa particolarità però, che nel basso sorabo si ha, nei plurisillabi, accanto a questo accento principale un accento secondario sulla penultima sillaba. Tanto dal cèco, quanto dal polacco il sorabo differisce per la conservazione del duale nella declinazione, dell'imperfetto e aoristo nella coniugazione. Le differenze principali tra il basso sorabo e l'alto sorabo sono le seguenti: all'é (l'e nasale) dello slavo comune corrisponde ĕ nel basso sorabo, ja nell'alto sorabo (basso sorabo mĕso, alto sorabo mjaso); l'antica semivocale ŭ, in quanto conservata, appare nell'alto sorabo quale o (son sŭnŭ), nel basso sorabo quale e (sen); di fronte alla conservazione del g nel basso sorabo sta, nell'alto sorabo, il riflesso h (basso sor. drugi, alto sor. druhi); š, č, ž sono fortemente palatali nell'a.-sor., ed hanno subito invece nel b.-sor. (come nel polacco) una radicale depalatalizzazione (a.-sor. šija, čisty; b.-sor. šyja, cysty); i gruppi kr, pr, tr hanno nel b.-sor. la pronunzia palatale anche dinnanzi ad a, o, u, mentre in questo caso restano intatti nell'a.-sor. (b.-sor. kšaj, hutšoba, a.-sor. kraj, wutroba); č si conserva nell'a.-sor. e diventa c nel basso sorabo (colo di fronte a coto).

Letteratura. - Più che di un'unica letteratura soraba (serbolusaziana) si può in realtà parlare di una letteratura alto lusaziana e di una basso lusaziana; la distanza tra i due dialetti, divenuti col tempo due lingue letterarie diverse, è pur tale da richiedere uno sforzo e uno studio non del tutto irrilevante per la reciproca comprensione. Inoltre la peculiare situazione geografica e politica in cui sono vissuti i Sorabi ha avuto come conseguenza che i primi documenti "letterarî" avessero in realtà finalità religiose; in epoca più recente "letteratura" ha significato più che altro studio della lingua, delle tradizioni, delle antiche usanze, in senso illuministico-nazionale; infine negli ultimi decennî la letteratura ha avuto una chiara finalità nazionale. Intenzioni artistiche ci sono state, ma esse assumono inevitabilmente un aspetto marginale.

Appartiene al 1548 la prima traduzione in lusaziano del Nuovo Testamento (in dialetto basso lusaziano). Anche altri scritti di carattere religioso, usciti negli anni successivi, sono in dialetto basso lusaziano. Una traduzione del piccolo Catechismo di Lutero in alto lusaziano risale soltanto al 1597. Assai caratteristico è il fatto che generalmente, in questi primi documenti religiosi, accanto al testo slavo si trovi il testo tedesco. La guerra dei Trent'anni interruppe ogni ulteriore sviluppo.

Grande importanza per lo sviluppo di una "letteratura" ebbe la fondazione del Seminario cattolico lusaziano a Praga nel 1706 e quella di un'associazione lusaziana protestante a Lipsia nel 1716: ne uscirono numerosi sacerdoti che furono tra i più attivi propagatori di una letteratura religiosa.

Intanto la lingua lusaziana si avvantaggia dello stato d'animo e dell'orientamento che l'illuminismo aveva creato nei ceti colti della Germania. È caratteristico il fatto che il principale rappresentante del nuovo indirizzo entro all'associazione di Lipsia fosse proprio un tedesco: G. Korner, autore di un libretto intitolato Philologisch-kritische Abhandlung von der wendischen Sprache und ihrem Nutzen in den Wissenschaften, pubblicato nel 1766 a Lipsia. Degna di nota è pure un'altra opera pressoché contemporanea e cioè il Kurzer Entwurf einer oberlausitz-wendischen Kirchenhistorie, abgefasst von einigen oberl. wendischen evangel. Predigern (Bautzen 1767); infine merita di essere citata l'opera di Ch. Knauth, Der oberlausitzer Sorbenwenden umstândliche Kirchengeschichte (1767). Assai tipico che, accanto a Tedeschi che si interessano della lingua e della storia dei Sorabi, anche taluni Sorabi si servano della lingua tedesca.

La caratteristica di questi lavori è data da un aspetto decisamente illuministico-scientifico. Senza questa vasta, anche se un po' superficiale attività, non si spiegherebbe il successivo risveglio nazionale. Si raccolgono frattanto i canti popolari, alcuni dei quali artisticamente molto notevoli, si compilano grammatiche, dizionarietti: sforzi un po' disordinati, un po' dilettanteschi, ma in cui si manifesta sempre più una coscienza nazionale, un desiderio di mantenere in vita la propria lingua. Quasi inavvertitamente da un piano scientifico e illuministico si passa a una visione nazionale-romantica. Le grandi correnti di pensiero che si manifestano in tutta la Germania, si rispecchiano anche in Lusazia, assumendo aspetti peculiari dalla peculiare situazione dei Sorabi.

Tralasciando parecchi nomi che lo spazio non ci consente di citare, menzioneremo H. Zejler il primo poeta in lingua alto lusaziana (1804-1872). Egli si è ispirato alla lingua viva, alle leggende, ai canti del popolo. Se alcuni suoi tentativi drammatici hanno un puro interesse documentario, talune sue liriche riprendono invece molto felicemente il tipo della lirica popolare, insieme alla quale vengono spesso confuse. Con H. Zejler sono forse anche segnati più o meno i limiti della letteratura soraba: i Sorabi, partecipando alla vita culturale della Germania, vedono in fondo la "loro" letteratura come una letteratura regionale; anche chi ha frequentato le scuole e le università germaniche, ama nei giorni di festa e di riposo udire i canti che da piccolo ha udito dalla madre, nella lingua natale.

Tuttavia, nonostante questa sua bilinguità e il fatto di vivere come in un'isola tutta circondata da Tedeschi, il risveglio nazionale della Boemia vicina ha contribuito a destare nei Sorabi un desiderio di parziale autonomia culturale, una volontà di fortificare le proprie organizzazioni. Tra questi "risvegliatori" va anzitutto citato J.E. Smoler (1816-1884) e il suo collaboratore M. Hórnik (1833-1894).

Nella generazione successiva meritano di essere ricordati I. Bart-Ćišinski (1856-1909), autore di alcune belle liriche, nonché di mediocri satire e drammi, A. Muka, "risvegliatore" e studioso di notevole valore, autore tra l'altro del monumentale dizionario della lingua basso lusaziana, e di fondamentali studî linguistici, M. Andricki, ecc.

Un nuovo impulso venne alla letteratura soraba nell'immediato dopoguerra dal fatto che la Polonia e la Cecoslovacchia si erano costituite in stati indipendenti: i legami culturali con Varsavia e con Praga (specialmente con quest'ultima) si fecero più intensi, si accentuò la nota dello slavismo, si dimenticarono forse i limiti delle reali possibilità di sviluppo politico e culturale. In quegli anni uscì il volumetto di J. Nowak, Z duchom swobody (Con lo spirito della libertà): mai forse nella poesia soraba la volontà di vivere e di resistere si era manifestata con tanta forza, con tanta assenza di rettorica, accompagnata da una cosi marcata nota sociale. Uscì pure in quegli anni la notevole raccolta di versi di J. Skala, Škrĕ (Scintille), un mediocre romanzo storico di J. Lorenc-Zaleski, infine tutta una serie di traduzioni dalle altre letterature slave nella raccolta Dom a swĕt (La patria e il mondo), tra cui particolarmente notevole la traduzione delle "biline" russe fatta da M. Nowak. Tutta questa attività letteraria era in alto lusaziano. I Sorabi della Bassa Lusazia, pochi di numero e più germanizzati spiritualmente, hanno dato ben poco negli ultimi tempi: sia citato tuttavia il volumetto di Mina Witkojc, semplice donna del popolo, Dolnoserbske basńe (Poesie della Bassa Lusazia).

Con l'avvento al potere del regime nazionalsocialista i legami culturali fra i Sorabi e il rimanente mondo slavo si sono fortemente affievoliti.

Etnografia e folklore. - Caratteristica, e comune agli altri slavi, è la conservazione dei vecchi costumi e usi popolari. Nelle masserie hanno secondo lo stile francone un vecchio edificio adibito a magazzino, posto parallelamente alla casa d'abitazione, che contiene anche le stalle, il forno e ambienti per il servidorame. Il cortile è limitato in fondo da un granaio, davanti da un cancello con portone e porticina laterale. Nella casa d'abitazione sono usate la costruzione di legno e muratura, e quella a tronchi, la prima destinata alla stanza delle feste, l'altra alle cucine; i granai sono generalmente di argilla, i magazzini di legno e muratura o tutta muratura.

In genere, le tradizioni e usanze popolari tendono a sparire, sopraffatte sia dalla germanizzazione, sia dal diffondersi di condizioni di vita più moderne e uniformi. Pure, non poche delle tradizioni nazionali vengono gelosamente conservate, specie nei luoghi più lontani dai grandi centri.

Subito dopo la nascita del bambino si cerca di leggerne l'avvenire da alcuni segni del cielo. Perciò l'ora e il giorno della nascita hanno una importanza molto grande; i nati di domenica saranno particolarmente felici, quelli nati alla mezzanotte avranno speciali capacità di conoscere il futuro. Per quattro oppure sei settimane dopo il parto, la madre non deve abbandonare la casa.

L'educazione del bambino è piuttosto accurata, generalmente ispirata a vecchie tradizioni; il giovane fa l'offerta di matrimonio alla fanciulla da lui prescelta mediante un intermediario (braška); in seguito i genitori della fanciulla visitano i genitori del giovane e viene festeggiato il fidanzamento (slub, zlub), grande importanza hanno nelle cerimonie matrimoniali il bràska, i paraninfi e le amiche della sposa; le cerimonie sono pittoresche e piuttosto complicate. In caso di malattie si ricorre ai mezzi di difesa tradizionali: nei villaggi c'è generalmente una zelowa žona che, come dice il nome, conosce le piante miracolose e che pronuncia incantesimi e benedizioni. Quando si avvicina la morte, si apre la finestra, affinché l'anima possa volare in cielo; finché il morto è in casa, non deve mai essere lasciato solo. La sera prima o dopo il trasporto viene svolta in casa una cerimonia funebre (pusty wječor). Il periodo natalizio è particolarmente adatto a farsi predire la sorte; lo stesso si dica della notte di Capodanno: i varî rumori che si odono in tale notte preannunciano il fuoco, la morte, ecc. Col periodo di Pasqua si riconnettono parecchie usanze in cui si celebra la venuta della primavera e la morte dell'inverno. Un fantoccio raffigurante la morte viene gettato da un corteo di giovani e di ragazze nell'acqua o fuori del villaggio: chiara sopravvivenza di antichi riti di rinnovamento. Come anche in Polonia e in Russia, per Pasqua la gente si spruzza con "acqua pasquale" che possiede la qualità di guarire e di ringiovanire.

Numerose le leggende sugli spiriti domestici, sui cavalieri dormenti sotto ai monti, sugli gnomi, ecc. Molte tradizioni e molte leggende si riconnettono ad analoghe tradizioni e leggende di altri popoli slavi. La divinità campestre del mezzogiorno è oltremodo malefica, specialmente verso i mietitori; numerose le divinità dei campi, dei boschi e delle acque. Le malattie hanno generalmente l'aspetto di vecchie e brutte donne: per scongiurare le malattie, fanciulle nude dovevano tirare l'aratro attraverso i campi.

Oltremodo belli e ricchi sono in certe regioni i costumi popolari, portati ancora dalle donne in determinate occasioni solenni, che si mantengono anche in regioni più o meno germanizzate, servendo da attrattiva turistica; i costumi maschili sono pressoché scomparsi.

L'abito maschile domenicale constava di ampie giacche nere con cappello a cilindro; per il lavoro usano calzoni bianchi e stivali. Le donne portano vesti a corpetto di diverse tinte sopra numerose sottovesti, grenbiuli di seta colorata, fazzoletti bianchi da collo e un complicato fazzoletto bianco pieghettato sul capo. Le fanciulle portano per la festa un berretto nero a foggia di una testa di birillo, a cui le spose aggiungono un cerchio di lustrini e in cima una ghirlanda di fiori artificiali e di lustrini.

All'abito festivo si aggiungono larghi colli di merletto pieghettato da porsi sul camice e i grandi bianchi impermeabili, conservatisi più a lungo negli abiti da lutto. I giovanotti portano mazzolini variopinti nei battesimi e nei matrimonî.

I bambini molto piccoli stanno in culle sospese e, durante i lavori campestri, si costruisce con grandi scialli una specie di amaca. Durante certe festività, il suono della cornamusa, dei pifferi e di un vecchio tipo di violino accompagna le danze. Per Pasqua giovanotti e fanciulle organizzano giri di questue con canti, le fanciulle preparano uova colorate e si fanno anche processioni a cavallo dirette a qualche convento. Dalle antiche cerimonie del culto derivano l'albero per calendimaggio e l'addobbo del villaggio con rami verdi per pentecoste, il cavalcare intorno a un ragazzo ricoperto da frasche per S. Giovanni, i giuochi equestri, o il battere su una pignatta contenente un gallo all'epoca della mietitura. Vanno scomparendo ormai nei cimiteri le tavole in legno con motti. Anche gli oggetti di produzione artigiana vanno sempre più prendendo un aspetto standardizzato.

Bibl.: Per quello che riguarda i dizionarî, nella difficoltà di procurarsi le vecchie opere del Pful e del Rězak, si ricorra al grande dizionario di A. Muka (basso-lusaziano-russo), Slovar nižnelužickago jazyka (Pietrogrado 1921); inoltre al mediocre Wendisch-deutsches und deutsch-wendisches Handwörterbuch, altolusaziano (Bautzen 1920). Grammatiche: E. Muka, Historische Laut- u. Formenhere der niedersorbischen Sprache, Lipsia 1891; G. Kral, Grammatik der wendischen Sprache, 3ª ed., Bautzen 1925; G. Schwela, Vergleichende Gramm. der ober-u. niedersorb. Sprache, Bautzen 1926; W. Taszycki, Stanowisko jézka luäyckiego (Posizione della lingua soraba), in Symb. gram. in honorem J. Rozwadowski, II, Cracovia 1928. Storia della letteratura: J. Páta, Zawod do studija serbskeho pisnowstwa (Introduzione allo studio della letteratura soraba), Bautzen 1929; per chi voglia limitarsi a una conoscenza superficiale del sorabo, può essere utile la ricca antologia scolastica Kwétki. Serbska Čitanka za horni skhodzeńk ludowych šulow, Bautzen 1921. Il volume dle pittore cèco L. Kuba, Čteni o Lužici (Letture sulla Lusazia), Praga 1925, è particolarmente notevole per le numerose tavole a colori.

Storia: J. Serbin, Serbske stawizny (Storia soraba), Bautzen 1920; E. Muka, Přinoški k stawiznam přenemcenych stron Delneje Lužicy (Contributi alla storia delle contrade germanizzate della Bassa Lusazia), Bautzen 1911. Per quello che riguarda il folklore, si consulti specialmente la fondamentale opera dello studioso cèco A. Cerný (scritta però in lingua polacca), Istoty mityczne Serbów luäyckich, Varsavia 1901.