SLOVENIA

Enciclopedia Italiana (1936)

SLOVENIA (Slovenija; A. T., 77-78)

Elio MIGLIORINI
Pier Gabriele GOIDANICH
Alojzij RES
Giuseppe PRAGA

Regione della Iugoslavia nord-occidentale, che coincide con il banato della Drava (Dravska banovina) e si estende su un territorio di 15.849 kmq., pari soltanto alla quindicesima parte dello stato. Prima della guerra mondiale essa dipendeva dalla Monarchia austro-ungarica e faceva parte della Carniola (salvo Istria e Postumia, venute poi a far parte dell'Italia), della Stiria (circa 6000 kmq., un po' meno di un terzo di questa regione) e della Carinzia (pochi comuni). Data la sua posizione di confine con l'Italia e la lunga dominazione austriaca (durata per quasi sette secoli), è tra i paesi della Iugoslavia quello che maggiormente si discosta dal mondo balcanico, sentinella avanzata verso occidente del mondo slavo.

La Slovenia ha grossolanamente la forma di un triangolo; il lato occidentale dal M. Forno (presso la sella di Rateče) al M. Nevoso s'appoggia sulle Alpi Giulie (M. Tricorno, m. 2864) e sul Carso e coincide con il confine italo-iugoslavo; il lato settentrionale è segnato dal confine austriaco (e nell'ultimo tratto ungherese), mentre quello di SE. segue una linea che unisce il M. Nevoso al Risniak (m. 1528), quindi il corso della Culpa e i Monti degli Uscocchi; traversa la Sava, poi segue un affluente di questa (Sotla), per raggiungere con un decorso SO.-NE. la Drava, che accompagna per un tratto; indi l'abbandona per appoggiarsi sul Mur fino al confine ungherese.

Gran parte della Slovenia si estende nelle Alpi e Prealpi calcaree meridionali. A N. le Caravanche (m. 2263, Veliki Stol), che dividono le alte valli della Sava e della Drava, sono un'erta muraglia che continua le Carniche, dapprima paleozoica e poi calcarea, desolata, al centro rocciosa, nel resto boscosa, incisa debolmente dal Passo di Ljubel (m. 1366) per il quale passa la strada (ora messa in disparte dalla ferrovia) che unisce Lubiana a Klagenfurt. Verso E. loro continuazione sono le Kamniške Alpe (Alpi di Stein; Grintovec, m. 2559), con passi alti e poco frequentati, dopo le quali le Alpi degradano verso oriente con le fertili colline della Stiria meridionale (Slovenske Gorice), mentre sulla destra della Drava s'innalza il massiccio cristallino di Pohor) e (m. 1542). Il cuore della Slovenia è tuttavia fuori delle alte catene, dato che il carattere selvaggio delle Giulie cessa a S. della valle della Sora. Il varco di Nauporto segna il passaggio alle colline e ai ripiani carsici di Carniola (calcari cretacei fessurati a idrografia superficiale incerta), che abbracciano gran parte della Slovenia meridionale tra il fiume Sora e la Krka; le valli sono spesso allagate e le depressioni (tra le quali è da ricordare il Lago di Circonio), talora ricoperte da terra rossa, alte 350-450 m., si alternano ad altipiani calcarei (650-950 m.) e a plaghe sterili e sassose. La bora, che soffia impetuosa, il diboscamento, il continuo pascolo degli ovini hanno peggiorato ancor più le poco felici condizioni naturali. Talora sui terreni carsici si alza qualche cima isolata (Javornik, m. 1268; M. Nevoso, m. 1796; M. Krim, a S. di Lubiana; Monti degli Uscocchi o Gorjanci) che ricordano come aspetto le Prealpi. Gli Sloveni designano col nome di Gorenjsko il paese alto posto tra le sorgenti della Sava e Lubiana (dove i fenomeni carsici sono accompagnati da tracce glaciali, esiste qualche lago e si hanno tracce d'un sollevamento notevole a partire dal Terziario), mentre per gli altipiani calcarei meridionali si fa la distinzione tra quelli occidentali interni (Notranisko) e quelli orientali più bassi e più poveri, tra Sava e Culpa (Dolenjsko).

Per quanto la regione sia posta a non grande distanza dall'Adriatico, essa ha un clima che presenta caratteri alpini, con inverni assai freddi, che tuttavia diminuiscono di rigore da ovest verso est con l'abbassarsi del rilievo. Lubiana (m. 289) ha in gennaio una media di −2°,5, in aprile 9°,5, in luglio 19°,6, in ottobre 10°,1, con una media annua di 9°,0. Le precipitazioni sono abbondanti, in genere superiori ai 1000 mm., con massimi di 2000-2500 nelle zone montuose, egualmente distribuite da maggio a ottobre, favorevoli al pascolo e al bosco. Esse decrescono da NO. a SE. con l'avvicinarsi al bassopiano del Danubio (Prekomurje, mm. 800). La flora è quella dell'Europa centrale con boschi di abeti, pini, faggi e sui declivi ben riparati viti, noci, castagni.

Le condizioni economiche variano molto con le zone: il contadino delle fertili colline stiriane trae buoni guadagni dalla coltura della vite, ma il pastore della regione carsica mena grama esistenza, attratto dai fondi delle doline. Solo il 4,5% del terreno risulta tuttavia improduttivo: il 43 ,4% è coperto da boschi e il resto è utilizzato con campi, prati e pascoli. Colture principali sono quelle del frumento, mais, segala, avena, orzo, con un rendimento per ettaro che è ancora molto scarso. Importante è anche la coltura della vite e la frutticoltura. L'allevamento conta circa mezzo milione di capi di bestiame in prevalenza bovini. Si esporta burro e pollame e gli alveari producono miele in abbondanza. La mano d'opera locale trova impiego nella lavorazione del legno, nell'estrazione dei minerali, nelle distillerie, nell'industria tessile; la lavorazione dell'acciaio, che si basava sul ferro stiriano, è ora in decadenza. La rete ferroviaria è lunga 1037 km.

Nel 1931 la Slovenia contava 1.144.298 ab., con una densità media di 72,2 per kmq. L'aumento della popolazione nell'ultimo decennio è stato del 7,9%, quota assai inferiore a quella media dello stato (16,3%). La popolazione è per la massima parte di nazionalità slovena, di statura alta e di tipo bruno, alacre e parsimoniosa, discretamente istruita (14% di analfabeti). Minoranza d'un certo rilievo, ma ora assai in declino, è quella tedesca (40.000 ab.), che conta anche un isolotto compatto nella zona di Kočevje (Gottschee). Nel 1931 sono stati contati in Slovenia anche 6730 sudditi italiani. Fuori del territorio iugoslavo minoranze slovene vivono in Italia (oltre 300.000), Austria (91.600) e Ungheria (6500). Si calcola che l'area occupata da Sloveni si estenda su 20-22 mila kmq. e il loro numero complessivo (compresi quelli residenti negli Stati Uniti) si aggiri sul milione e mezzo. Come confessione gli Sloveni sono in maggioranza cattolici (soltanto 2,1% luterani e 0,6% ortodossi). La densità di popolazione aumenta da ovest a est con l'abbassarsi della regione e mentre presenta valori piuttosto bassi nei rilievi calcarei, s'addensa in corrispondenza dei terreni arenacei e marnosi delle colline terziarie e presso i depositi alluvionali e lacustri (bacini di Lubiana, di Celje, di Marburgo e di Ljutomer); i valori massimi (355 ab. per kmq.) si riscontrano nel distretto minerario di Zagorje-Trbovlie-Hrastnik da dove si estrae il 40% della produzione iugoslava di combustibili (2,5 milioni di tonn. tra carbon fossile e lignite). Tra le miniere della regione vanno ricordate anche quelle di piombo e zinco (Litija, Mezica: 80 mila tonn.), di antimonio (Trojana) e di pirite (Železno). La principale città della Slovenia è Lubiana (v.); al secondo posto viene Marburgo (Maribor; v.). Tra le numerose stazioni di cura ricordiamo Dobrna, a 353 m. s.m. e 18 km. da Celie; Rogaška Slatina (228 m. s. m.); Toplice Laško (231 m. s. m.) e, la più importante di tutte, Bled.

V. tav. CLXXXII.

Bibl.: F. Musoni, La nazione slovena e l'attuale momento politico, Milano 1916; J. Krek, Les Slovènes, Parigi 1917; J. Lakatos, Industrija Slovenije, Zagabria 1922; J. Rus, Slovenska zemlja, krakta analiza njene zgradnje in izoblike, Lubiana 1924; N. Krebs, Die Ostalpen und das heutige Österreich, Stoccarda 1928; A. Melik, Kmetska naseljana Slovenskem, in Geogr. Vestnik, IX (1933), pp. 129-63 (riassunto in Boll. R. Soc. geogr. it., 1924, pp. 893-99); Y. Chataigneau, Pays balkaniques, in Géographie universelle, VII, Parigi 1934; A. Melik, Slovenija, Geografski opis, I, Lubiana 1935.

Storia.

La Slovenia, come territorio storico, incomincia ad avere una fisionomia tutta particolare con lo stanziarvisi degli Sloveni. Dalle pianure danubiane, dove, insieme con gli altri Slavi che poi si dissero meridionali, erano stati trapiantati nel sec. VI quali schiavi degli Avari, essi, dopo il passaggio dei Longobardi in Italia (568) incominciarono a migrare verso ovest, risalendo specialmente la valle della Sava. Nell'epoca della più vigorosa espansione occupavano il territorio tra l'Isonzo, l'alta valle della Drava tra Villaco e Ptuj, la valle della Sotla, i Monti degli Uscocchi, l'alta valle della Culpa e il Timavo superiore, mentre singoli filoni penetravano nel Friuli nella valle del Natisone, nel Salisburghese verso il Lungau e nella Stiria sino alla Raab. Lo spostamento in questi territorî essenzialmente alpini li sottrasse automaticamente al giogo degli Avari, naturali dominatori di regioni pianeggianti steppose, e li fece entrare nella sfera d'influenza e di dominio dei popoli e degli stati germanici, sotto i quali rimasero quasi ininterrottamente sino al 1918. Già dal 623 al 658 appaiono dominati da un Franco, il re Samo, che con la loro massa demografica costituì uno stato indipendente, parzialmente rettosi anche dopo la sua morte. Successivamente passarono sotto il dominio dei Bavari (745-788), dei Franchi (788-907), dei Magiari (907-955), nuovamente dei Bavaro-Franchi, sinché, a poco a poco, nei secoli XI-XIII, al dominio più o meno diretto degli stati unitari medievali non si sostituì la signoria feudale di una moltitudine di dinastie tedesche minori, quali i Babemberg, che si affermarono nella più parte dei territorî centrosettentrionali, gli Andechs-Merano, gli Spanheim, i conti di Gorizia, il patriarcato di Aquileia ed altri che si affermarono nella parte meridionale. In seguito l'influenza dei Babemberg si estese anche ai territorî meridionali, sicché quando, dopo il breve dominio di Ottocaro Přemysl (1262-1278), gli Asburgo furono assunti al trono germanico, il passaggio integrale degli Sloveni nel nesso dello stato austriaco si poteva già dire potenzialmente compiuto. La storia ulteriore della Slovenia s'immedesima con quella dell'Austria. Nella divisione dell'impero fatta da Carlo V nel 1521, le regioni slovene furono comprese nell'Austria interiore con centro a Graz. Dal 1783 al 1809 furono direttamente amministrate dalla cancelleria di corte di Vienna. Dal 1809 al 1813 appartennero al governo napoleonico delle Provincie Illiriche con sede a Lubiana. Nel 1814 tornarono all'Austria che ne formò il regno d'Illiria mantenuto sino al 1849. In queste vicende gli Sloveni, tutti contadini legati alla terra, privi di nobiltà, di borghesia e di una qualsiasi classe dirigente, non ebbero alcuna parte attiva. Appena verso il 1848 si nota un certo risveglio nazionale (Prešern, Bleiweis), ma, per quanti impulsi e sollecitazioni venissero dall'esterno, il movimento rimase rigidamente e deliberatamente confinato nel campo letterario, essendosi tra gli stessi più coscienti patrioti formata la convinzione che supremo interesse del popolo fosse un'Austria potente e indipendente sotto lo scettro del buon imperatore (Bleiweis, Novice, 22 marzo 1848). Un atteggiamento pressoché identico assunsero nel 1917 i deputati sloveni al parlamento austriaco, i quali, il 30 maggio, per bocca del loro presidente Antonio Korošec dichiararono di aspirare all'unificazione di tutte le terre della monarchia abitate da Sloveni, Croati e Serbi, sotto lo scettro della dinastia degli Asburgo-Lorena. Tuttavia l'esito della guerra mondiale fece sì che nel 1918 passassero allo stato dei Serbi, Croati e Sloveni, sotto lo scettro dei Karagjorgjević.

Bibl.: A. Dimitz, Geschichte Krains von der ältesten Zeit bis auf das Jahr 1813, voll. 4, Lubiana 1874-1876; F. Šuman, Die Slowenen, Vienna 1881; Fr. Kos, Gradivo za zgodovino Slovencev v srednjem veku (Matertiali per la storia degli Sl. nel Medioevo), voll. 4, Lubiana 1902-1920; V, a cura di M. Kos, ibidem, 1928; L. Pivko, Zgodovina Slovencev (Storia degli Sl.), Lubiana 1909; J. Gruden, Zgodovina slovenskega naroda (Storia del popolo sl.), voll. 6, Lubiana 1911-1916, continuata da J. Mal, 1928 segg.; D. Loncar, Socijalna zgodovina Slovencev (Storia sociale degli Sl.), nella ediz. slovena di L. Niederle, Slovanski svet (Il mondo slavo), Lubiana 1911, pagg. 177-244; J. Krek, Les Slovènes, Parigi 1917; Lj. Hauptmann, Slovenci, Historija (Sloveni, storia), in St. Stanojević, Narodna enciclopedija srpsko-hrvatsko-slvenačka (Enciclopedia nazionale serbocroato-slovena), Zagabria 1929, IV, pagg. 210-232. Altra bibliografia in M. Kos, Pregled slovenske historiografije (Sguardo alla storiografia slovena), in Jugoslavenski istoriski časopis, I (1935), pp. 8-21.

Lingua.

1. - Lo sloveno è il gruppo più occidentale degl'idiomi slavi meridionali. Si parla nella Carniola, nella Stiria Inferiore, nell'Oltremur, nella Carinzia meridionale, nella Val di Resia, e nella parte orientale del Territorio Giuliano. In conseguenza della natura alpestre del territorio d'immigrazione degli Sloveni e della lunga sottomissione a diversi stati e a diversi centri religiosi lo sloveno è frazionato in un grandissimo numero di dialetti, pur non essendo il paese occupato molto esteso né molto numerosa la popolazione. Inoltre le aree dei singoli fatti sono di estensione diversa e partenti da punti più diversi, onde una determinazione dei gruppi dialettali e dei singoli dialetti qui, più ancora che in altri territorî, va intesa fatta con una certa approssimazione. I gruppi sono tanti quante sono le regioni sopraindicate.

2. - Il gruppo della Carniola, con la capitale Lubiana, che è fra i più omogenei, ha dato il linguaggio letterario agli Sloveni.

3. - Quando gli Sloveni immigrarono nel territorio alpino parlavano una lingua ancora poco differenziata dal preslavo meridionale. Lo si può desumere dalla forma fonetica assunta dai nomi locali di età romana o da altri prestiti latini: queste parole cioè subirono la stessa alterazione che le parole indigene slave di pari fonetica: per es., a Sontius, Carantia corrispondono oggi Soča, Koroško; a Carnia, Kranj; a Aquileia, Oglej e così via.

4. - Le alterazioni fondamentali di quello che divenne l'idioma letterario e comuni a non pochi dei dialetti, sono, secondo F. Ramovš: I. alterazioni fonetiche: 1. ǫ ed ę in o ed e larghi; 2. aje, oje, oja in ā, ē, ā; 3. t′, d′ in č, j; 4. zd′ in ž; 5. r′ dav. a voc. in rj; in singoli casi, ž fra voc. in r; 6. l dav. a cons. e l finale in e l voc. in ou̯; 7. il tipo accentuativo zvêzdà in zvézda; 8. la formazione di nuove lunghe sotto il circonflesso originario breve (mêd, bôg, bôga, čâst); 9. lo spostamento del circonflesso sulla seguente (bogâ); 10. il prolungamento dell'acuto breve antico e nuovo nella penultima sillaba (bra???t-bráta); 11. in rapporto con questo il passaggio di è in ê (e largo), di ò in ó e ó??? (o largo) e di ə in á (n. plur. rêbra, ókna, vó???lja, žánjem; 12. influssi della quantità sulla qualità delle vocali: nelle sillabe lunghe domina la vocale stretta (e con la lunghezza, in rapporto la dittongazione delle vocali di tipo e ed o) e nelle brevi la tendenza alle vocali larghe (in dial.: e in a, o in a, i in e, u in o); e la riduzione di quantità conduce al restringimento della vocale (o, e in u, i) o a una vocale evanescente (i, e, u in ə ecc.). II. Fatti morfologici: 1. la perdita del vocativo; 2. l'estensione analogica dei temi in -u ai temi in -o; 3. la perdita dell'imperf. e dell'aor.; 4. m di prima sing. in tutti i verbi. III. Particolarità lessicali e sintattiche: grande influsso del tedesco e del neolatino sul lessico; grande influsso del tedesco sulla sintassi; kaj?, pron. interr. neutro.

5. - Notevoli generali arcaismi sono la conservazione del duale, la conservazione del supino e della forma del nom. sg. in kri. - Fra i dialetti meglio conservativi sono i settentrionali e occidentali, ché le innovazioni dei meridionali si sono arrestate alle Alpi Giulie e alle Caravanche. Tale arcaicità si rivela in questi fatti: conservazione di dl e di vy; frequente conservazione della ossitonesi preslava; parziale conservazione della nasalità di ę ǫ preslavi (la snasalizzazione, dove s'incontra, è recente; i riflessi di ę ǫ sono qui vocali larghe); la moderna riduzione delle vocali si presenta qui ai primi inizî; la conservazione di ła, c, z, s dav. a desin. in i ed ê; sporadica conservazione dell'aor., dell'imperfetto e del verbo ausiliare per il condizionale; arcaismi lessicali. Però questi ed altri fatti non servono a determinare confini dialettali perché hanno aree diverse.

6. - Il dialetto di Bela Krajina è un dialetto ibrido di sloveno e ciacavico, perché nel sec. XVI qui su territorio sloveno vi fu una forte immigrazione di Croati fuggiti davanti ai Turchi.

7. - I documenti più antichi del dialetto, quelli di Frisinga, del sec. X o XI, non presentano ancora tracce di varietà dialettali; ma i documenti di 400-500 anni più tardi presentano già dialetti completamente formati del tipo degli attuali.

Bibl.: Grammatiche pratiche: di A. Janežič (Klagenfurt 1869); dello Sket (ivi 1882, tradotta anche in italiano), dello Šuman (ivi 1884); A. Breznik, Slovenska slovnica, 3ª ed., 1916; id., Slovenski pravopis (1922); Glonar, Naš jezik (1919), e l'italiana del Guyon; vocabolarî: M. Pleteršnik, Slovenskonemški slovar (Dizionario sloveno-tedesco, in 2 voll., Lubiana 1894-95); A. Janežič, Slovenskonemški slovar (2ª ediz., curata da Kleinmayr, Klagenfurt 1874); Grammatiche storiche: K. Štrekelj, Historična slovnica slov. jezika (1922); F. Ramovš, Hist. gram. slov. jezika (II, Lubiana 1924); id., artic. nella Narodna Enciklopedija srbskohrvatsko-slovenacka, IV, s. v.

Letteratura.

I. Medioevo (800-1530). - La civiltà degli Sloveni comincia con la loro cristianizzazione, ma il cristianesimo non portò agli Sloveni, divisi in diverse provincie, senza uno stato linguisticamente omogeneo e politicamente indipendente, quell'attività letteraria di cui godettero gli altri popoli occidentali: la nobiltà e il clero entrarono a poco a poco nell'orbita germano-latina.

Con un clero e ordini religiosi per la maggior parte stranieri, gli Sloveni non ebbero fissate in lingua nazionale se non pochissime preghiere liturgiche. Tra queste i più importanti sono i Documenti di Frisinga (Baviera) che contengono le confessioni comuni e una omilia sul peccato e la penitenza, scritti in caratteri latini nella seconda metà del sec. X. Oltre a questi e ad alcuni canti religiosi, non è rimasto delle lettere slovene di tutto il Medioevo che qualche frammento in varî manoscritti, come nel Manoscritto cividalese che contiene il Liberfundationum di una confraternita di Cergneu presso Tarcento, il primo documento sloveno datato (1497). Ma al di là di questa povera raccolta, l'anima del popolo trovò la sua più genuina espressione nei canti popolari, per lo più lirici, che, arricchiti dalle vicende tragiche delle rivolte dei contadini e delle guerre turche, furono per secoli tramandati con melodie elegiache per essere infine sistematicamente raccolti nella monumentale opera di K. Štrekelj (Slovenske narodne pesmi, Lubiana 1895 segg., voll. 16).

II. Epoca della Riforma e della Controriforma. - Sebbene il popolo non avesse accolto con simpatia il verbo di Lutero come lo fecero la nobiltà, la borghesia e una parte del clero, il movimento protestante, con la sua richiesta di liturgia nell'idioma nazionale, gettò le basi della letteratura slovena. Fu Primož Trubar (1508-1586), scolaro del vescovo triestino Pietro Bonomo e da lui protetto, che iniziò il protestantesimo sloveno e ne divenne la figura centrale. Dopo alcuni anni di tenace propaganda in patria, dovette fuggire in Germania dove operò per lo più nel Württemberg e pubblicò a Tubinga, nel 1551, l'Abbaco e il Catechismo, i primi due libri in lingua slovena. Intuendo l'importanza della stampa, creò a Urach, con l'aiuto della nobiltà emigrata, una stamperia non solo coi caratteri latini, ma anche glagolitici e cirilliani, e diresse e lanciò di lì tutte le pubblicazioni protestanti per i paesi balcanici. Per il suo popolo pubblicò ancora, oltre alle postille, salmi, canzonieri e ordinamenti ecclesiastici, il Nuovo Testamento (1557-1577). In questa fervida e feconda attività lo seguirono altri riformatori sloveni, tra i quali lo scolaro di Melantone, Adam Bohorič (circa 1530-circa 1600) che compose la prima grammatica slovena Arcticae horulae (Wittenberg 1584), lo storiografo tedesco Hieronymus Megiser che con il Dictionarium quattuor linguarum (Graz 1592) compilò il primo vocabolario contenente vocaboli sloveni, e, specialmente, Jurij Dalmatin (circa 1546-1589) che con la sua ottima traduzione della Bibbia (Wittenberg 1584) diede l'opera principale del protestantesimo sloveno. Il movimento nazionale ebbe così fino dagl'inizî lo strumento indispensabile che indirizzò la lingua slovena sulla via di un organico sviluppo letterario che non è stato mai più interrotto. La Controriforma che distrusse, tranne la Bibbia del Dalmatin, tutte le opere dei protestanti, era costretta, per combattere e vincere, a costruire sulle stesse basi linguistiche create dai protestanti. Diretta energicamente dal vescovo di Lubiana Tomaž Hren (1560-1630), l'unità religiosa tra gli Sloveni fu ben presto ricostituita. Accanto alla grande opera Die Ehre des Hertzogthums Crain di J. V. Valvasor (1689), importantissima per la storia e i costumi sloveni dell'epoca, uscirono allora solamente opere religiose: voluminose raccolte di prediche, libri morali, catechismi e canzonieri ecclesiastici. Tra questa produzione eccellono le opere dei cappuccini: Johannes a Sancta Cruce (nato dalla nobile famiglia dei Leonelli, circa il 1640, morto a Gorizia nel 1714), il quale pubblicò il Sacrum Promptuarium (Venezia-Lubiana 1691-1711, voll. 5) e padre Rogerio (1660?-1728), di cui uscì postumo il Palmarium empyreum (Lubiana 1731-1743, voll. 2). Ambedue le opere palesano la vasta cultura di questi religiosi e manifestano lo spirito nuovo, italiano, che allora prevalse, fecondandole, nelle lettere e nell'arte slovena e di cui era già un indice il Vocabolario Italiano e Schiavo (Udine 1607) del frate Gregorio Alasia da Sommaripa, che visse nel convento di Duino (Trieste). Mentre nelle opere religiose dominava l'influsso dei predicatori italiani (specialmente del padre Segneri e del padre Piccinelli), che creò e sviluppò lo stile retorico sloveno e introdusse nello stile protestante, chiaro e concreto, la ricchezza delle immagini, l'esuberanza dell'espressione e la fluidità del sentimento, le prime compagnie italiane della commedia dell'arte e dell'opera apparvero sulle scene di Lubiana dove arrivarono pittori, scultori e architetti italiani che diedero alla città una decisa impronta artistica. L'epoca barocca che non ebbe purtroppo per le lettere profane alcun interesse e che letterariamente non segnò alcun progresso, realizzò però in Slovenia per la prima volta, con la cooperazione di tutto l'organismo sociale del tempo, l'ideale d'una cultura locale (se non ancora nazionale) gettando così le basi indispensabili per lo sviluppo ulteriore.

III. Illuminismo e rivolta ideale del romanticismo (1760-1848). - Anche gli Sloveni sentirono un grande beneficio dalle riforme dell'assolutismo illuminato di Maria Teresa e di Giuseppe II. Sorse allora la necessità di libri anzitutto pratici: scolastici e istruttivi, a cui, specie per la parte religiosa, provvide in un primo tempo padre Marko Pohlin (1735-1801), sotto l'influsso del quale nacquero pure i primi tentativi di poesia profana, pubblicati nell'almanacco Pisanice (1779-1781). E mentre i membri della rinata Accademia operosorum Jurii Japeli e Blaž Kumerdej si accinsero alla nuova traduzione cattolica della Bibbia (1784-1802), il barone Žiga Zois (1747-1819), spirito illuminista di varia cultura, promosse una feconda attività letteraria che si concentrò soprattutto sulle questioni artistiche, lessicali e grammaticali. Dal circolo lubianese dello Zois uscirono Valentin Vodnik (1758-1819), pubblicista e poeta anacreontico, primo in ordine di tempo, che diresse e scrisse il primo giornale sloveno Ljubljanske Novice (1797-99), lo storico Anton Linhart (1757-95) che tradusse e mirabilmente adattò per le scene lubianesi due commedie (di cui una, Le nozze di Figaro, del Beaumarchais), le prime in lingua slovena, e Jernei Kopitar che scrisse la prima grammatica scientifica della lingua (1808) e che con la sua attività filologica gettò a Vienna le basi per gli studi slavistici. Così l'illuminismo da una parte suscitò una proficua produzione letteraria d'indirizzo utilitario e popolare, richiesto dallo spirito e dalle necessità dell'epoca, a cui si accompagnò un lavorio grammaticale per l'unificazione della lingua letteraria e l'interesse per il folklore e la poesia popolare; dall'altra risvegliò le tendenze verso un'unità nazionale che l'intermezzo napoleonico delle Provincie Illiriche (1809-1813) con capitale Lubiana non fece che rafforzare. Questi primi germi di un risorgimento maturarono ben presto sotto il potente soffio del romanticismo tedesco nonostante l'atmosfera soffocante dell'assolutismo di Metternich. Il fermento politico europeo e la rivolta polacca attirarono lo sguardo oltre le frontiere anguste, dove gli animi si rinfrancarono nelle grandi creazioni romantiche degli Slavi del nord. Nacque allora l'Illirismo (v.) con la sua aspirazione a unificare la lingua letteraria di tutti gli Slavi meridionali, ma fra gli Sloveni solo il poeta Stanko Vraz vi si associò. Il dissidio per la grafia latina dei suoni slavi, sorto poco prima, si placò quando uscì l'almanacco Kranjska Čbelica (Lubiana 1830-33, 1848) dove, sotto la guida inestimabile di Matija Cop (1797-1835), storico letterario ed esteta, apparvero le poesie di Francè Prešeren, cantore del tragico dissidio tra la realtà e l'ideale, il quale, quasi dal nulla, creò un perfetto e ricco linguaggio poetico, duttile a tutte le emozioni, e in un solo volume di Poezije (1846) donò al suo popolo una poesia profonda e dalle forme più svariate, dove, in un modo geniale, è armonizzata l'arte classica con l'arte romantica. Con Prešeren, che si deve collocare tra i più grandi poeti slavi, il romanticismo sloveno raggiunse il suo apice.

IV. Epoca del risorgimento nazionale e del realismo romantico (1848-1895). - La rivoluzione del 1848 con la caduta dell'assolutismo e la conseguente rinascita della vita nazionale creò nuove impellenti necessità. La poesia di Prešeren era troppo sublime per essere compresa da quella generazione, tutta intenta alla nuova attività economico-politica che si raggruppava intorno a Janez Bleiweis (1808-1881), uomo politico e fondatore-direttore delle Kmetijske in rokodelske novice ("Novità agricole e artigiane", Lubiana 1843) che si occuparono in seguito anche di politica e di letteratura. Ai bisogni letterarî della nuova corrente e all'indirizzo di questo giornale corrispose pienamente il pathos nazionale ma retorico e vuoto del poeta Jovan Vesel-Koseski (1798-1884) che riuscì a offuscare per un po' di tempo la luce di Prešeren, finché non insorse la generazione della "Giovane Slovenia". Per questa, Anton Janežič, filologo e pubblicista, fondò a Klagenfurt una rivista prettamente letteraria, Slovenski Glasnik ("Messaggero sloveno", 1858-1868), in cui cominciò un rinnovamento radicale della letteratura. Con Simon Jenko (1835-1869), poeta triste e melodioso della rinuncia, ne furono i paladini: Fran Levstik (1831-87), poeta, novelliere e critico che con la sua novella Martin Krpan (1858) creò il modello classico della prosa slovena, Josip Stritar (1836-1923), poeta, prosatore ed esteta di orizzonti europei che rivendicò l'arte di Prešeren, introdusse nella critica i valori estetici e scrisse poesie e romanzi, impregnati di un idealismo romantico e pessimista, e, infine, J. Jurčič (1844-1881), lo scrittore che dallo storicismo di Walter Scott passò a un realismo romantico e scrisse pregevoli racconti e romanzi (oltre alcune tragedie), tolti dalla vita dei contadini e ancor oggi molto letti. La vecchia generazione delle Novice di Bleiweis - che pur ebbe tanti meriti nel campo politico e culturale - fu decisamente travolta, quando lo Stritar pubblicò a Vienna la rivista Zvon ("La campana", 1870, 1876-1880) e diresse tutte le forze vive della letteratura, finché non si perdette in un formalismo sterile che non resistette alla nuova e fresca corrente realistica. Questa fondò nel 1881, con a capo il Levstik e lo Jurcič, la rivista Ljubljanski Zvon ("La campana di Lubiana") diretta dallo storico letterario Fran Levec, la quale divenne centro della vita letteraria fino al 1914, anno in cui si affermò la rivista cattolica Dom in Svet ("Casa e Mondo", fondata già nel 1888 con indirizzo "dilettevole e istruttivo"). Fra i maggiori collaboratori dello Zvon lubianese apparvero: I. Tavčar (1851-1923), novelliere e romanziere, che raggiunse con Cvetje v jeseni ("Fiori d'autunno", 1917) e Visoška kronika ("La kronaca di Visoko", 1919) una serena e matura epicità; J. Kersnik (1853-1897), lo scrittore satireggiante della borghesia provinciale; Fr. Detela (1850-1928) con i suoi racconti storico-popolari; J. Mencinger (1838-1912), il satirico mordace e spiritoso, e J. Trdina (1830-1905) che nelle sue Bajke in povesti o Gorjancih ("Favole e storie sui Gorjanci", 1882-1888) seppe fondere in un'originale unità la leggenda popolare con la descrizione realistica dei personaggi e del tempo. Tra la prosa (non mai libera da elementi romantici) di questi scrittori realisti uscirono le poesie liriche, sgorgate dal cuore rassegnato di Simon Gregorčič accompagnate dal forte e conciso realismo delle ballate e romanze di A. Askerc. Questa feconda produzione letteraria accompagnò un intenso fervore per la raccolta completa delle poesie popolari (Smolè, Korytko, Štrekelj e altri) e una lodevole pubblicazione di libri per il popolo (A. M. Slomšek e altri), che si affiancò all'attività, svolta da Klagenfurt, della Družba sv. Mohorja ("Società di S. Ermacora", 1857) che manda tuttora ogni anno tra il popolo migliaia di libri, ameni e istruttivi, scelti con sempre maggior cura. Come centro dell'attività scientifica e letteraria per le classi intellettuali sorse a Lubiana nel 1863 la Matica Slovenska, le cui pubblicazioni, specie fino al 1914, acquistano un'importanza sempre maggiore.

V. Dall'episodio naturalista al simbolismo neoromantico (1896-1918). - La fine del secolo XIX generò nuove correnti letterarie che afferrarono anche la gioventù slovena. Il breve e piuttosto superficiale intermezzo naturalista (iniziato da Fr. Govèkar e continuato da R. Murnik, E. Kristan e Zofka Kveder) va considerato più che come un'espressione naturale e logica dello sviluppo culturale, come un impulso diretto contro la rigida concezione moralistica dell'arte, sostenuta con veemenza da A. Mahnič nel suo Rimski Katolik ("Il cattolico romano", Gorizia 1888-96). Accanto a questo gruppo con la sua arte tendenziosa che non lasciò tracce visibili dietro di sé, si raccolse a Lubiana una schiera di studenti di orientamenti totalmente opposti: dal grigiore tetro e sconsolante del naturalismo si rifugiarono nell'impressionismo soggettivo dei lirici francesi fin de siècle, per ritrovare poi, ricchi di delusioni, nel simbolismo neoromantico la via alla propria individualità e alle sorgenti vive dell'anima nazionale. Nacque così la Slovenska moderna che permeò di sé tutta la letteratura contemporanea. Dei quattro amici - fondatori della "moderna" - due furono strappati giovanissimi dalla morte: D. Kette poeta d'impressioni appassionate d'amore e di sonetti dalla forma classica in cui infuse tutta la sua ricca e torturata vita spirituale, e J. Murn-Aleksandrov, cantore armonioso dei campi e della vita rurale e semplice, intuita e bramata dal suo cuore innocente e infelice. Rimasero due: O. Župancič, che, dall'ebbrezza d'illusioni e di sogni giovanili all'amarezza del dolore e della solitudine anelante a una vita nuova, dalla robusta maturità d'arte e di pensiero alla luminosità di ispirazioni profetiche, ha creato una poesia di così ricca, schietta e profonda originalità come nessuno dopo Prešeren, e Ivan Cankar, il quale, con la sua satira implacabile contro l'ingiustizia sociale, l'ipocrisia pseudopatriottica e il filisteismo borghese, con le sue novelle esaltanti l'amore della madre e della donna e con le sue scene della vita degli oppressi e dei diseredati, divenne maestro dell'arte narrativa, con una ricchezza di lingua e con una melodiosità di stile finora mai raggiunti.

Parallelamente a questo gruppo simbolista, la cui arte varcò i confini, si affermò intorno al Dom in Svet un'attività letteraria che in parte continuò, sviluppandolo, il realismo romantico, e in parte seguì l'indirizzo nuovo. Il poeta A. Medved (1869-1910), cantò, in forme concise, le lotte intime e la brama inestinguibile di verità e di bellezza della sua anima inquieta (Poezije, I, 1906; II, 1909) e scrisse pure, in forma classica e non senza pregi artistici, alcune tragedie storiche. Più fortunato nella vita e nell'arte è il suo amico Fr. Sal. Finzgar (1871), che cominciò con versi e racconti romantici di tono popolare, poi affrontò problemi proletarî e sociali per raggiungere col romanzo storico Pod svobodnim solncem ("Sotto il sole della libertà", 1906-07) un grande successo. Col suo ritorno tra il popolo alpestre, di cui visse intimamente le gioie e i dolori quotidiani, la sua arte realistica si fa più matura, più immediata e viva, specialmente nei racconti e nelle commedie di ambiente rustico. Con elementi formali e stilistici dei simbolisti nacque la poesia di S. Sardenko (1875), pervasa da una delicata e calma religiosità (V mladem jutru, "Nel giovane mattino", 1903), arricchita in Roma (1906) da impressioni e meditazioni che la città eterna gli ispirò. Nella scia dei naturalisti cominciò lo scrittore Ks. Meško (nato nel 1874), ma il suo lirismo innato lo condusse ben presto al soggettivismo simbolico in cui poté confessare il suo intimo travaglio e raggiungere in novelle liriche, ricche di analisi psicologica, i frutti più significativi della sua arte.

Nel solco della Slovenska moderna e sotto la sua potenza artistica si sviluppò, dagl'inizî del secolo XX una larga attività letteraria. Tra i prosatori vanno ricordati anzitutto: Vl. Levstik (1886) con la sua poesia impetuosa e rivoluzionaria e con le sue novelle in cui cerca di risolvere problemi sociali e nazionali (Gadje gnezdo, "Nido di vipere", 1918); A. Novačan (1887) con i suoi racconti di vita rusticana, in cui il suo materialismo individualista scopre solo lati negativi; I. Šorli (1877), novelliere fecondo e leggiero che cerca di conciliare romanticismo e naturalismo, un contrasto artistico che caratterizza anche le opere, più robuste, di A. Kraigher (1877). Più oggettivi, più armonici nella loro prosa sono M. Pugelj (1883-1922) con i suoi tristi racconti piccolo-borghesi, e Fr. Milčinski (1867-1932) con il suo umorismo ironico e la sua satira bonaria. Tra i poeti vanno menzionati C. Golar (1886) con la sua lirica esuberante e spensierata; V. Molè (1886) che tentò di frenare in forme classiche la vita moderna, ma riuscì a vivificarle solo attraverso il dolore della guerra (Tristia ex Siberia, 1920); Fr. Albrecht (1889) segna il trapasso della gioventù in lotta con i nuovi problemi spirituali e sociali scaturiti dalla guerra, mentre Pavel Golia (1887) e Igo Gruden (1893) riprendono con i loro versi fluidi i motivi neoromantici, variandoli con nuove emozioni, le quali trovano nella ricca lirica di A. Gradnik, velata dal mistero d'oltretomba, accenti intimi di accorata bellezza.

VI. Ricerca di nuovi ideali e inquietudine del dopoguerra. - La gioventù, ansiosa di uscire dal soggettivismo simbolistico e di affrontare la realtà della vita, trovò in Izidor Cankar (1886) il critico acuto e il mentore esperto che dal Dom in Svet (1914), con novelle e il romanzo psicologico S poti ("Dal viaggio", 1913), aveva spianato la via all'espressionismo. Su questa s'incamminarono tra i primi J. Lovrenčič (1890) che arricchi la poesia con intense immagini espressionistiche (Deveta dežela, 1917) e St. Maicen (1888) con i suoi drammi, poesie e novelle, in cui vibrano il dolore e lo smarrimento attuali, mentre i tre principali prosatori I. Pregelj Fr. Bevk (1890) e J. Kozak (1892) introdussero il nuovo realismo psicologico in cui plasmano il volto spirituale e sociale dell'individualità slovena: il primo con i suoi romanzi storici (Plebanus Joannes, 1920), il secondo specialmente coi suoi racconti della vita dei contadini (Železna kača, "Il serpente di ferro", 1932; Veliki Tomaž, "Il gran Tommaso", 1933) e il terzo col suo grande romanzo della gente del sobborgo Šentpeter (San Pietro, 1924-26). I giovanissimi brancolano tra gli estremi e cercano l'asse della loro vita e della loro arte nell'idealismo spiritualistico (A. Vodnik, E. Kocbek) o nel naturalismo materialistico (T. Seliškar, M. Kranjec).

Bibl.: I. Prijatelj, Slovenačka knjževnost, Belgrado 1920; I. Grafenauer, Zogodvina novejsega slovenskega slovstva, I, Lubiana 1909; II, 1911; id., Kratka zgodovina slovenskega slovstva, ivi 1922; M. Murko, Die südslawischen Literaturen, in Die Kultur der Gegenwart, Berlino-Lipsia 1908; Fr. Kidrič, Zgodovina slovenskega slovstva, Lubiana 1929 segg.; A. Slodnjak, Pregled slovenskega slovstva, ivi 1934; I. Prijatelj, Duševni profili slov. preporoditeljev, ivi 1935.