SISTEMA MONETARIO EUROPEO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

SISTEMA MONETARIO EUROPEO

Giuseppe Tullio

Il Sistema Monetario Europeo (SME) è un sistema monetario internazionale valido a livello regionale, cioè comprendente solo alcuni fra i principali paesi del mondo (v. anche unione monetaria europea: Il sistema monetario europeo, App. IV, iii, p. 726). L'elemento centrale dello SME, entrato in vigore il 13 marzo 1979, è costituito dagli Accordi Europei di Cambio (AEC), che prevedono la fissazione di una parità centrale per i cambi bilaterali dei paesi membri (griglia di parità) con intorno una banda di oscillazione del ±2,25%. Per la lira italiana la banda è stata invece del ±6% dal 13 marzo 1979 fino al 31 dicembre 1989; da quella data al settembre 1992 la lira passò nella banda stretta (e contestualmente la parità centrale venne leggermente svalutata).

Gli AEC prevedono che se il cambio raggiunge i margini della banda, le banche centrali dei paesi interessati sono obbligate a intervenire acquistando o vendendo la loro valuta (interventi marginali). Le banche centrali, soprattutto quelle dei paesi a valuta debole, sono intervenute spesso prima che il cambio raggiungesse i margini (interventi intra-marginali). Gli AEC prevedono inoltre la possibilità di modifiche delle parità centrali (riallineamenti) da parte del Consiglio dei ministri finanziari delle Comunità europee nel caso di andamenti fondamentalmente divergenti delle economie. Di questa facoltà fu fatto uso frequente dal 1979 al 1987 e soprattutto dal 1979 al 1983, mentre dal riallineamento del gennaio 1987 fino al settembre 1992 le parità centrali rimasero stabili, tranne che per la lira (v. sopra).

Fino al 14 settembre 1992 aderivano agli AEC i seguenti paesi: Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Olanda, Belgio, Danimarca, Portogallo, Irlanda e Lussemburgo. La Gran Bretagna, la Spagna e il Portogallo partecipavano agli AEC da poco tempo: la Spagna dal luglio 1989, la Gran Bretagna dall'ottobre 1990 e il Portogallo dall'aprile 1992. Nel settembre 1992 la Gran Bretagna e l'Italia abbandonarono gli AEC in seguito a una grave crisi dei cambi, innescata dall'affermarsi sui mercati di aspettative di riallineamento delle parità per i paesi i cui andamenti di fondo risultavano più squilibrati, e per i quali l'indirizzo fortemente restrittivo della politica monetaria tedesca non era più sostenibile. L'Italia, in particolare, soffriva di una forte perdita di competitività, accumulatasi per l'eccessiva rigidità del tasso di cambio nominale rispetto al marco (sostanzialmente fisso a partire dal 1987) in presenza di politiche fiscali non sufficientemente restrittive. Fra il settembre 1992 e il 2 agosto 1993 diverse valute furono svalutate o abbandonarono gli AEC. Il 2 agosto 1993 la banda di oscillazione del franco francese e del franco belga, che avevano resistito fino a quel momento agli attacchi speculativi, fu ampliata da ±2,25% a ±15%. Ciò decretò di fatto la sospensione, almeno temporanea, degli AEC come sistema monetario internazionale regionale.

Lo SME è nato sotto il forte impulso politico dato dal presidente francese V. Giscard d'Estaing e dal cancelliere tedesco H. Schmidt. L'obiettivo dello SME era quello di creare in Europa anche una ''zona di stabilità monetaria'', oltre a cambi stabili. Dopo l'elevata inflazione e la notevole instabilità dei cambi che avevano caratterizzato gli anni Settanta, era sentita l'esigenza di un ritorno a una maggiore fissità dei cambi e di una maggiore cooperazione economico-monetaria. Forte era anche l'interesse della Germania d'isolare il più possibile l'economia tedesca dall'instabilità derivante dalle oscillazioni del dollaro statunitense. Nelle trattative preliminari che condussero alla creazione dello SME erano in discussione due sistemi di cambio, uno basato sui cambi bilaterali (griglia di parità) e uno basato sul cambio di ciascuna valuta con l'ECU (indicatore di divergenza). Il sistema effettivamente adottato ha rappresentato un compromesso fra i due; tuttavia l'indicatore di divergenza non ha mai svolto il ruolo inizialmente previsto, in parte per motivi tecnici (l'inclusione della sterlina nella definizione dell'ECU e la sua non partecipazione agli AEC fino all'ottobre 1990, e la banda più larga della lira), in parte per l'opposizione dei Tedeschi, che non hanno mai visto con favore i tentativi di introdurre più simmetria nello SME.

L'ECU è un paniere di valute definito inizialmente come somma di 0,828 marchi tedeschi, 1,15 franchi francesi, 0,0885 sterline inglesi, 0,236 fiorini olandesi, 3,80 franchi belgi e lussemburghesi, 109 lire, 0,217 corone danesi e 0,00759 sterline irlandesi. Il peso di ogni valuta varia al variare dei tassi di cambio bilaterali; in particolare, il peso delle valute che si apprezzano aumenta. Perciò è prevista una revisione della definizione dell'ECU ogni cinque anni oppure ogni volta che il peso di una valuta muta più del 25%. L'ECU è fino a oggi soprattutto un'unità di conto e una riserva di valore (strumento di diversificazione dei risparmi finanziari). Manca ancora la funzione di mezzo di pagamento, cioè la funzione più importante di una moneta. Nel settembre 1984, le unità di valuta nell'ECU sono state modificate per ridurre il peso delle valute che si erano apprezzate dal 1979, soprattutto il marco tedesco e il fiorino olandese, e per far posto alla dracma greca. In occasione della modifica delle unità di valuta del settembre 1989 furono introdotte nell'ECU la peseta spagnola e lo scudo portoghese.

Un altro pilastro dello SME sono le facilitazioni creditizie a brevissimo, breve e medio termine. L'accesso alla facilitazione di credito a brevissimo termine è consentito in quantità illimitate e senza condizioni per gli interventi marginali sul mercato dei cambi. Dal settembre 1987 (accordi di Nyborg) la durata iniziale dei finanziamenti è stata estesa a 75 giorni (contro i precedenti 45) a partire dal mese successivo a quello in cui ha avuto luogo l'intervento, il limite temporale del possibile rinnovo previsto inizialmente per 3 mesi è stato raddoppiato, e soprattutto l'accesso alla facilitazione è stato autorizzato anche per gli ''interventi intra-marginali'', ma per ammontari limitati e solo previo consenso della banca centrale che emette la valuta da usare negli interventi. Il sostegno monetario a breve termine è concesso senza condizioni dal Comitato dei governatori per un periodo di 3 mesi per il finanziamento di disavanzi di bilancia dei pagamenti, mentre il concorso finanziario a medio termine è concesso ai paesi membri per un periodo di 2÷5 anni dal Consiglio dei ministri finanziari della Comunità europea per far fronte a difficoltà o grave minaccia di difficoltà nella bilancia dei pagamenti.

Un terzo elemento chiave dello SME è la centralizzazione, presso il FECoM (Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria), del 20% delle riserve auree e del 20% delle riserve in dollari detenute da ciascuna banca centrale in cambio della creazione di conti in ECU (ECU ufficiali). Lo scambio riserve internazionali-ECU fra ciascuna banca centrale e il FECoM (swap) è di natura temporanea, essendo rinnovato ogni 3 mesi. Le fluttuazioni del prezzo dell'oro e del dollaro incidono sull'ammontare degli ECU ufficiali in essere. Per comprendere questa centralizzazione delle riserve internazionali occorre ricordare che fra gli obiettivi originari dello SME vi era anche quello di procedere entro due anni alla creazione di una banca centrale europea, obiettivo che fu abbandonato sino alla fine degli anni Ottanta, quando l'idea di una Unione Monetaria Europea (UME) riprese vigore con il rapporto Delors dell'aprile 1989. Il forte impulso dato dal rapporto all'idea di una UME sfociò il 7 febbraio 1992 nella firma del trattato di Maastricht, che prevede fra l'altro la costituzione di una banca centrale europea completamente indipendente dal potere politico e l'introduzione dell'ECU come moneta comune europea in sostituzione delle valute nazionali. L'evoluzione verso l'UME è prevista secondo il trattato in tre fasi: una prima fase terminata alla fine del 1993, che prevedeva l'ulteriore convergenza delle economie dei paesi membri, un maggiore coordinamento monetario fra i paesi, l'ulteriore liberalizzazione dei movimenti di capitali e l'adozione della banda di oscillazione stretta da parte di Spagna, Portogallo e Gran Bretagna; la seconda fase avente inizio il 1° aprile 1994 con la costituzione dell'Istituto Monetario Europeo, l'embrione della futura banca centrale europea, la cui sede è stata stabilita nel 1993 a Francoforte; la terza fase doveva segnare con il 1° gennaio 1997 o 1° gennaio 1999 l'inizio della vera e propria unione monetaria con la stessa moneta europea circolante in tutta l'Europa (e quindi con cambi irrevocabilmente fissi). L'evoluzione dello SME verso l'UME sembrava la logica conseguenza dell'accresciuta integrazione economica delle economie europee, del progresso verso il ''mercato interno'' e soprattutto della libertà dei movimenti di capitali che rende molto difficile la gestione di un sistema di cambi fissi con banche centrali nazionali indipendenti fra loro.

Tuttavia l'UME, così come prevista dal trattato di Maastricht, è stata messa fortemente in dubbio dal susseguirsi degli eventi dal 1991 in poi: la riunificazione delle due Germanie nel 1990; lo sforzo economico della ex Germania Ovest riflessosi in elevati disavanzi pubblici e alta inflazione (per i criteri tedesco-occidentali); le politiche monetarie molto restrittive da parte della Bundesbank anche in anni di recessione come il 1992 e il 1993; la grave crisi dei cambi del 1992 e 1993. Non è facile quindi prevedere oggi in che misura gli accordi presi a Maastricht verranno rispettati, anche se formalmente tutti i governi continuano, almeno dal punto di vista della legislazione nazionale relativa agli adempimenti del trattato di Maastricht, a comportarsi come se tutto dovesse procedere come previsto. In particolare, notevoli progressi sono stati compiuti anche in Italia nel rendere la banca centrale indipendente dal governo: le variazioni del tasso di sconto sono ormai di esclusiva competenza della Banca d'Italia e l'accesso da parte del Tesoro al finanziamento monetario tramite gli scoperti del conto corrente di tesoreria è stato abolito. Ciò non mancherà di portare i suoi frutti nei decenni a venire, anche in caso di fallimento del progetto di UME.

Gli anni 1979-92 sono generalmente considerati un successo per gli AEC, soprattutto visto lo scetticismo con il quale fu inizialmente accolta la creazione dello SME. I cambi delle valute che ne hanno fatto parte sono diventati molto stabili (forse troppo) soprattutto dal 1987 al 1992; l'inflazione verso la fine degli anni Novanta era tornata ai livelli degli anni Sessanta, anche per l'operare di fattori esterni allo SME, come il forte calo del prezzo del petrolio nel 1986; le divergenze d'inflazione fra i paesi membri si erano ridotte. I paesi ad alta inflazione (Italia, Francia) erano stati aiutati nella loro lotta all'inflazione dalla relativa stabilità del cambio con il marco e dall'elevata ''reputazione'' di cui gode la Bundesbank, la banca centrale tedesca.

Secondo quest'ultima interpretazione, gli AEC hanno rappresentato per le autorità dei paesi a valuta debole un modo per ''legarsi le mani'', delegando la propria politica monetaria a quella di un paese credibilmente avverso all'inflazione: si è in tal modo creato un clima di aspettative più favorevole. Anche nella fase più turbolenta degli Accordi (con riallineamenti frequenti fino al 1983), il fatto che in generale le entità dei riallineamenti siano state inferiori ai differenziali d'inflazione accumulatisi (con conseguenti sacrifici in termini di competitività) ha contribuito a salvaguardare la credibilità della politica antinflazionistica.

La Germania ha potuto a sua volta isolare meglio la sua economia dalle ampie oscillazioni del dollaro e ottenere guadagni in competitività sul mercato europeo. Inoltre, le decisioni circa i riallineamenti sono state collegiali, contrariamente a quanto avveniva nel sistema di Bretton Woods (1944-71). Ma sotto un aspetto il vincolo del cambio implicito negli AEC ha fallito, almeno per quanto riguarda l'Italia: imbrigliare la crescita della spesa pubblica e costringere le forze politiche a ridurre seriamente i disavanzi. Con il senno di poi si può dire che la crisi della lira del 1992 e la paura che il cambio superasse le 1000 lire rispetto al marco e che tornasse l'elevata inflazione siano state più efficaci di 13 anni di AEC e 6 anni di cambi col marco quasi fissi nell'indurre i governi italiani a iniziare a correggere i meccanismi perversi di crescita della spesa pubblica e gli elevati disavanzi.

Bibl.: Banca d'Italia, Recenti modifiche nei meccanismi operativi dello SME, in Bollettino Economico, 9 (ottobre 1987); P. Bekx, G. Tullio, A note on the European Monetary System and the determination of the DM-dollar exchange rate, in Cahiers Economiques de Bruxelles, 123 (3° trimestre 1989), pp. 329-43; D. Gros, N. Thygesen, European monetary integration: from the European Monetary System to European Monetary Union, Londra-New York 1992; R.S. Masera, L'unificazione monetaria e lo SME: l'esperienza dei primi otto anni, Bologna 1987; C. Mastropasqua, S. Micossi, R. Rinaldi, Interventions, sterilization and monetary policy in the EMS countries: 1979-1987, in The European Monetary System, a cura di F. Giavazzi, S. Micossi e M. Miller, Cambridge 1988 (trad. it., Bari 1993); M. Russo, G. Tullio, Monetary Policy Coordination within the EMS: is there a rule?, ibid.; Commission Européenne, Les tensions au sein du mécanisme de change et les politiques monétaires en 1993, in Economie Européenne, Rapport économique annuel, 1994.

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