Sindacato

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sindacato Associazione di lavoratori o di datori di lavoro costituita per la tutela di interessi professionali collettivi. Nel linguaggio economico e finanziario, coalizione di imprese.

Il sindacalismo è la dottrina e prassi politico-economica, di varia matrice ideologica e culturale, finalizzata all’organizzazione dei lavoratori in sindacato.

Il sindacalismo

Nato in seno al movimento operaio e affermatosi progressivamente in tutti i paesi sviluppati a partire dalla prima fase della loro industrializzazione moderna (➔ operaio), il sindacalismo si è variamente configurato, nelle diverse aree geografiche, sulla base delle differenti situazioni politico-economiche, ma anche in relazione ai rapporti con i partiti politici operai.

La prima espressione teorica si definì, tra il 1850 e la fine del 19° sec., nelle trasformazioni del tradeunionismo inglese. La teoria del sindacalismo tradeunionistico postulava una concezione dicotomica della struttura sociale ed economica e fu organicamente esposta negli scritti di S. e B. Webb, venendo a costituire il maggior punto di riferimento per tutte le altre riflessioni sul s. che si diffusero in Francia e poi in Germania. L’attività sindacale era ridotta a mezzo per trasferire e far maturare tra i lavoratori una coscienza politica che trovava nel partito e negli intellettuali il naturale e superiore bacino di formazione e di elaborazione. Sul piano teorico, le concezioni comuniste del s. che si diffusero successivamente si possono considerare una variante della concezione del rapporto partito-s. tipica della teoria della socialdemocrazia tedesca.

Radicalmente diverso, il sistema del sindacalismo rivoluzionario formulato in Francia soprattutto da G. Sorel, che ebbe larga diffusione in altri paesi e un originale radicamento negli USA, vedeva il s. come unico agente del superamento del sistema di produzione capitalistico e dell’organizzazione del potere nelle forme dello Stato liberale. Ancora all’interno della concezione della separazione degli interessi tra lavoratori e classe borghese si collocò la dottrina del sindacalismo riformista, che però era contraria alla rottura del sistema capitalistico, ritenuto modificabile con una pressione graduale dei lavoratori. Su presupposti ideologici completamente diversi si collocò, invece, il sindacalismo corporativista, sia cattolico sia fascista, che muoveva dal principio della possibilità e della necessità di realizzare la collaborazione tra le classi (➔ corporativismo). Con la diffusione del capitalismo fordista (➔ Ford, Henry) e con l’affermazione in Occidente, dopo il 1945, dei principi politico-costituzionali dello Stato democratico, la riflessione sul rapporto tra imprenditoria e lavoratori è ricaduta prevalentemente nell’ambito delle cosiddette relazioni industriali.

S. e relazioni industriali

Un sistema di relazioni industriali basato su un’espressione relativamente libera delle forze sindacali e su un ampio intervento dello Stato in campo economico e sociale cominciò a svilupparsi a partire dagli anni 1920. Esso comportava, fra l’altro, il riconoscimento reciproco, da parte dei lavoratori e degli imprenditori, delle rispettive rappresentanze, la definitiva stabilizzazione della procedura contrattuale, l’assunzione da parte dell’autorità pubblica di funzioni di arbitrato nei conflitti di lavoro e di indirizzo nell’evoluzione dei rapporti tra dinamica contrattuale, strategia imprenditoriale e politica economica e occupazionale. Questo sistema, intimamente connesso con il fenomeno del fordismo, si fondava sull’accresciuto potere d’acquisto dei salari e sul conseguente incremento della domanda: si delineava così un comune interesse dei lavoratori e degli imprenditori allo sviluppo della produzione e, pur rimanendo materia di conflitto la definizione delle condizioni salariali, normative e occupazionali, si configurava la possibilità di uno scambio tra incrementi di produttività e aumenti retributivi. Questo modello di relazioni industriali, la cui diffusione si accompagnò all’integrazione del movimento operaio nei sistemi politici occidentali e all’introduzione del welfare state, è stato rimesso in discussione, a partire dagli anni 1970, con l’emergere della crisi fiscale dello Stato e dei limiti ecologici dello sviluppo, in concomitanza con un netto rallentamento della crescita economica internazionale. Si è aperta così una nuova fase, genericamente definita postfordista, che ha contribuito a ridefinire in modo sostanziale spazi e ruoli del movimento dei lavoratori e del sindacato. In particolare, i processi di decentramento produttivo, di mondializzazione dell’economia, di aumento della flessibilità nell’organizzazione del lavoro, connessi anche con l’avvento dell’informatica, hanno ridotto la concentrazione operaia nelle grandi industrie e favorito la diffusione di condizioni lavorative precarie, mentre si è verificata una notevole crescita della disoccupazione tecnologica. In un tale contesto, che ha esercitato effetti negativi sul potere contrattuale dei lavoratori, a una diminuzione dell’intervento pubblico nell’economia si è accompagnata una tendenza al ridimensionamento del ruolo del s. e della funzione mediatrice dello Stato.

Il movimento sindacale in Italia

Le origini. - L’associazione organizzata dei lavoratori volta alla tutela degli interessi economici (di gruppo, di categoria, di classe) costituì anche in Italia il nucleo originario del moderno sindacato. Nel corso del 19° sec., dopo la dissoluzione delle vecchie corporazioni di arti e mestieri, i lavoratori si vennero associando all’interno di un vasto movimento solidaristico il cui centro era costituito dalle Società di mutuo soccorso. A partire dagli anni 1880, la crisi sociale nelle campagne e lo sviluppo dell’industrializzazione favorirono l’avvento di una diversa forma di organizzazione dei lavoratori: le leghe di miglioramento e di resistenza. Tali organismi si ispiravano ai principi dai quali avrebbero tratto origine le stesse strutture sindacali: l’esclusivismo di classe, in quanto le leghe tutelavano solo i lavoratori manuali ed erano costituite e dirette solo da essi; la resistenza sul piano economico, poiché avevano il compito di difendere i lavoratori dalle azioni unilaterali dei padroni circa il salario, l’orario e le condizioni di lavoro; il ricorso ordinario allo sciopero sia come strumento di difesa sia come mezzo di pressione e di sostegno per le proprie azioni. Ordinate sulla base di uno statuto, in genere per mestieri, le leghe si affermarono nelle città e nelle campagne, dove assunsero una fisionomia fortemente politicizzata, come nel caso dei Fasci siciliani e del movimento bracciantile in Puglia e nella pianura Padana. A fianco delle leghe, che nonostante la presenza al loro interno di varie posizioni politiche si mantenevano sostanzialmente autonome dai partiti, venne costituendosi, in quegli anni, un’altra importante forma di organizzazione e di rappresentanza dei lavoratori: la federazione di mestiere. Fin dal 1872, nei settori a più elevato contenuto professionale quali quelli dei tipografi, dei ferrovieri e degli edili, si era affermata l’organizzazione di tipo federale, che raggruppava tutti i lavoratori di una stessa categoria. Scopo primario delle federazioni era quello di rendere omogenea la condizione di lavoro attraverso la stipula di convenzioni o contratti collettivi, la cui validità era estesa a tutti i lavoratori del mestiere, superando le primitive forme di accordo individuale e informale con il padrone. Negli anni 1890 si affermarono nuove strutture sindacali, le Camere del lavoro. Da una iniziale impostazione di pura assistenza nell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, esse vennero via via trasformandosi in organismi di rappresentanza politica e sindacale di tutto il movimento dei lavoratori su un determinato territorio. Agli inizi del Novecento le Camere del lavoro e le federazioni di mestiere si coordinarono al fine di superare i contrasti che spesso nascevano circa la direzione degli scioperi, dando vita al Segretariato centrale della resistenza (1902-06). Nel 1906 la nascita della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) completò l’edificio organizzativo e istituzionale del s. italiano.

Il s. confederale e quello fascista. - Protagonista della lotta politica, crocevia di tutte le correnti ideologiche del movimento operaio, il s. confederale accettò l’ideologia socialista e stabilizzò i rapporti con i partiti sulla base del principio, tipico della Seconda Internazionale, dell’autonomia intesa come divisione dei rispettivi compiti. La CGdL contribuì a generalizzare il sistema della contrattazione collettiva del lavoro, elaborò la prima forma di sindacalismo industriale come superamento di quello di mestiere e rappresentò sul piano generale il lavoro nelle relazioni con le associazioni padronali. Negli anni 1910 il s. confederale subì una duplice scissione: nel 1912 si formò l’Unione Sindacale Italiana (USI) di ispirazione sindacalista rivoluzionaria, mentre nel 1919 le forze sindacali di ispirazione cattolica diedero vita a un organismo di livello confederale, la Confederazione Italiana Lavoro (CIL). Una genesi del tutto propria ebbe nel 1922 la Confederazione dei sindacati fascisti, nata dall’iniziativa di quei settori che non si ritenevano adeguatamente rappresentati dal sindacalismo classista operaio e bracciantile. Nel volgere di pochi anni il s. fascista riuscì a imporsi come s. di Stato, sfruttando soprattutto la distruzione violenta del leghismo e delle strutture sindacali confederali da parte dello squadrismo, nonché la disponibilità della Confindustria e degli ambienti economici a liberarsi, dopo la tensione degli anni 1919-20, dei consigli di fabbrica e del s. libero. Nel 1927 i dirigenti riformisti confederali furono indotti a proclamare l’autoscioglimento della CGdL e da quel momento il s. italiano si ridusse al solo s. fascista, unico, obbligatorio, con poteri pubblici, facoltà contrattuali, senza diritto di sciopero né di rappresentanza operaia, con dirigenti nominati dall’alto. Nel 1928 lo ‘sbloccamento’ del s. diede vita a sei diverse confederazioni per grandi comparti, all’interno dei quali operavano poi le singole federazioni di categoria, mentre sul piano territoriale agivano le unioni provinciali.

Il dopoguerra. - Caduto il fascismo, la costituzione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) diede vita, tra il 1944 e il 1948, a un’inedita esperienza di s. unitario, al cui interno confluirono cattolici, comunisti, socialisti, anarchici e indipendenti. Sul piano organizzativo la CGIL si appoggiò sul tessuto delle ricostituite Camere del lavoro, mentre le federazioni riconquistarono un ruolo centrale solo a partire dalla metà degli anni 1950. Dopo la scissione nel 1948, alla CGIL, divenuta espressione delle sole componenti comunista e socialista, si aggiunsero l’Unione Italiana del Lavoro (UIL), costituita dalle correnti repubblicana e socialdemocratica (1949), e la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL), d’ispirazione cattolica (1950). Nel 1950 nacque la Confederazione Italiana Sindacati Nazionali Lavoratori (CISNAL, di cui è erede l’UGL, Unione Generale del Lavoro, fondata nel 1996), legata al Movimento sociale italiano, e nel 1957 la Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori (CISAL), punto di riferimento per tutta l’area del sindacalismo autonomo. Per quasi due decenni il s., pur contribuendo all’inserimento delle masse nella vita nazionale e al consolidamento delle istituzioni democratiche, rimase politicamente debole e diviso, mentre le relazioni industriali vedevano una sostanziale contrapposizione tra le associazioni padronali e la CGIL in particolare, spesso isolata dalla pratica seguita da CISL e UIL degli accordi separati. La forte ripresa della conflittualità operaia verificatasi dalla fine degli anni 1960, in particolare nelle grandi industrie meccaniche, generò un profondo rinnovamento del s. in senso classista e unitario: a una significativa conquista legislativa, lo Statuto dei lavoratori del 1970, si accompagnò l’affermazione dei consigli di fabbrica, inseriti nelle strutture sindacali e dotati di poteri rappresentativi e contrattuali. Contemporaneamente fu avviato un processo unitario che culminò nella costituzione della Federazione CGIL-CISL-UIL (1972). I rinnovi contrattuali del 1973 e l’accordo del 1975 per l’unificazione del punto di contingenza segnarono la maggiore espansione delle conquiste economiche dei lavoratori, mentre il s. diveniva un importante interlocutore nella definizione della politica economica del governo. Negli anni successivi, l’avvio di profondi mutamenti nel sistema produttivo, le conseguenze della crisi economica internazionale e gli sviluppi della situazione politica interna indussero le confederazioni all’adozione di una linea più moderata in campo salariale e rivendicativo, sancita in particolare dalla conferenza sindacale dell’EUR (1978). Contemporaneamente, di fronte alle tensioni suscitate dai gravi episodi di terrorismo verificatisi a partire dal 1969, si accentuava l’impegno del s. in difesa delle istituzioni.

Dagli anni 1970. - Il disegno di stabilizzare il sistema politico e quello delle relazioni industriali con un s. forte, autorevole e rappresentativo si arenò sul finire degli anni 1970, quando riemersero nella federazione unitaria prospettive divergenti. Queste si accentuarono nei primi anni 1980 in relazione alle crescenti pressioni volte a ridimensionare il meccanismo della scala mobile. In particolare, il diverso atteggiamento assunto dalla CGIL, da un lato, e da CISL e UIL, dall’altro, nei confronti del taglio di alcuni punti di contingenza, deciso dal governo Craxi nel 1984, portò alla rottura della Federazione unitaria. Negli anni successivi il s. entrò in una fase critica caratterizzata da incertezze di linea, ricorrenti dissensi tra le confederazioni e al loro interno, e un calo di consensi fra i lavoratori. Si diffondeva intanto, soprattutto in alcuni settori del pubblico impiego, dei servizi e dei trasporti, un sindacalismo autonomo di base (COBAS) con un forte spirito rivendicativo e conflittuale. Tali fenomeni sono proseguiti negli anni 1990, mentre i problemi posti dai processi di ristrutturazione del sistema produttivo e di mondializzazione dell’economia (compresi quelli connessi con il programma di integrazione europea), dall’inasprirsi della concorrenza internazionale, dalla crescita del debito pubblico e dalla crisi fiscale dello Stato hanno indotto il s. a un’ulteriore revisione della propria strategia. Oltre ad accentuare la politica di moderazione salariale (concordando, fra l’altro, nel 1992 l’abolizione totale della scala mobile), CGIL, CISL e UIL si sono mostrate disponibili ad accettare una limitazione dei tradizionali strumenti di regolazione pubblica del mercato del lavoro, una maggiore flessibilità del lavoro nelle aziende, una regolamentazione del diritto di sciopero nei pubblici servizi, una trasformazione in senso privatistico del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, una diminuzione della copertura pensionistica pubblica e lo sviluppo di forme integrative private; contemporaneamente sono stati rafforzati i vincoli imposti alla contrattazione aziendale e di categoria dalle trattative ‘triangolari’, a livello confederale, tra sindacati, associazioni padronali e governo. Questa politica sindacale ha suscitato proteste e dissensi anche all’interno delle confederazioni. Gli anni 2000 hanno visto l’inasprimento di tali polemiche fra le tre confederazioni sindacali, anche a causa della firma di accordi separati.

S. di comodo

Si dicono s. di comodo (o s. gialli nel linguaggio comune) associazioni sindacali costituite e sostenute dai datori di lavoro e dalle loro associazioni. L’esistenza di tali organizzazioni è vietata dalla legge in quanto comprime la libertà sindacale e ne limita gli spazi per un’attività e un’organizzazione effettivamente genuina. I modi in cui i datori di lavoro sostengono i s. di comodo sono molteplici e difficilmente tipizzabili. L’esperienza offre una serie di esempi, che vanno dal finanziamento vero e proprio al più semplice, e meno grave, favoreggiamento, che comporta maggiori problemi per l’individuazione da parte del giudice. Ciò che comunque deve essere individuato, e che il nostro ordinamento ritiene strumento antigiuridico, è il rapporto di asservimento del s. di comodo al datore di lavoro. In caso di violazione di tale divieto da parte del datore, il giudice eventualmente adito dovrà inibire il comportamento, interdicendo l’azione di sostegno, ma non potrà disporre lo scioglimento dell’organizzazione costituita.

S. di imprese

S. commerciali Intese miranti a incettare un prodotto o una materia prima per speculare sul rialzo del prezzo (dette anche rings). S. industriali (o, più propriamente, di produzione) Intese tendenti a sospendere per un certo periodo la concorrenza tra imprese dello stesso ramo (più note sotto il nome di cartelli o consorzi) e accordi che sboccano in forme più accentuate di concentrazione industriale in senso orizzontale o verticale (tra imprese cioè similari o tra imprese collegate da complementarità o strumentalità), dando vita in modo permanente a complessi economici (gruppi o trust) volti a rafforzare l’efficienza produttiva e a ridurre i costi di produzione.

Nella pratica finanziaria, s. azionari, accordo fra gruppi di azionisti, di maggioranza o di minoranza, di una società per azioni, che si obbligano reciprocamente ad assumere un atteggiamento uniforme nelle assemblee sociali. La liceità dei s. azionari, che una volta era posta in dubbio, è ora pienamente riconosciuta, anche se tuttora manca una specifica disciplina legislativa e se si riconosce la necessità di particolari limitazioni, soprattutto temporali. Gli scopi dei s. azionari sono raggiunti o mediante l’impegno reciproco dei partecipanti al s. di votare in assemblea secondo le decisioni prese, oppure conferendo la procura a un mandatario comune; una particolare specie di s. azionari è il s. di blocco, con il quale i partecipanti si obbligano a non vendere le proprie azioni oppure a venderle soltanto a un altro partecipante al sindacato. S. di difesa Associazione in partecipazione tra banche o imprese finanziarie che si propone di agevolare, animando il mercato, le contrattazioni di un certo numero di titoli che per il loro frazionamento in più mani hanno un mercato debole, oppure di ostacolare manovre di accaparramento degli stessi da parte di speculatori.

Per il patto di s. ➔ patto.

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