SICILIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

Vedi SICILIA dell'anno: 1966 - 1997

SICILIA (v. vol. vii, p. 257)

E. De miro

p. 257). - Età preistorica. - Se appare ormai accertato che l'apparizione dell'uomo in S. si verifica assai prima della fine del Pleistocene e del Paleolitico Superiore, con l'individuazione nella parte meridionale dell'isola in numerosi siti all'aperto, sia pure in giacitura secondaria, di manufatti di industrie su ciottolo e resti paleontologici inquadrabili nel Paleolitico Inferiore, rimangono aperti i problemi della ricerca delle forme di giacitura primaria, della diffusione di tale cultura attraverso il «ponte siculo-tunisino», del rapporto tra l'industria su ciottolo costiera e quella a bifacciale dell'interno, così come del passaggio dalla facies macrolitica a quella arcaico-musteriana e di eventuali sollecitazioni continentali.

Senza dubbio più ampio rimane il panorama delle conoscenze per quanto concerne il Paleolitico Superiore, recentemente arricchito dai risultati di ricerche sistematiche alle Grotte Giovanna presso Cassibile, dell'Acqua Fitusa nella Valle del Platani, dell'Uzzo nel promontorio di S. Vito Lo Capo, caratterizzate dalla presenza di una fase finale dell'epigravettiano siciliano, quando non anche dal passaggio al Mesolitico senza soluzione di continuità.

Per il Neolitico, dalla Grotta dell'Uzzo nel Trapanese e dal sito di Piano Vento presso Palma di Montechiaro (v.) nell'Agrigentino, provengono dati per una presenza delle ceramiche impresse già nella prima metà del VI millennio a.C. Nella Grotta dell'Uzzo si assiste al lento processo di neolitizzazione dalla fase più antica della decorazione «cardiale» e a «unghiate» alla fase con stampigliatura regolare, a quella con composizione geometrica stentinelliana, associata alla prima ceramica figulina dipinta a bande brune su fondo rossiccio (Neolitico Medio).

Un grosso muro a doppio paramento di ortostati costruito a chiudere la cavità della grotta costituisce il più antico esempio di architettura muraria in Sicilia.

Un muro di fortificazione analogo, sfruttando il ciglio roccioso, protegge il villaggio neolitico di Piano Vento, dove la ceramica di impasto e quella figulina si distribuiscono in diversi livelli di capanne circolari, più grandi e più solide di quelle della fase finale, comprese entro recinti circolari. A Milena, ai piedi della Serra del Palco, un grande recinto absidato neolitico, costruito in grossi blocchi gessosi, è stato dallo scavatore messo in relazione con strutture egee di quell'età.

Per la prima Età del Bronzo, in questi ultimi anni hanno avuto particolare significato i risultati degli scavi nel territorio nisseno-agrigentino. Nel territorio di Palma di Montechiaro, in località Monte Grande, su un colle in prossimità della costa, un insediamento castellucciano risalente alla prima metà del II millennio a.C. appare caratterizzato da un sistema organico di grandi recinti circolari in struttura megalitica, disposti attorno a un grande recinto centrale: il tutto racchiuso da un robusto muro di «témenos» a costituire un'area sacra, ricca di ceramica fine, corni e falli fittili, piastre di sacrifici e, particolarmente significativo, un modellino fittile di tempietto a forma di capanna circolare, i cui sostegni sono altrettanti idoli disposti in cerchio.

Degna di particolare nota è l'ampliata conoscenza di quell'aspetto del Bronzo Antico, denominato cultura di Rodì-Vallelunga, che in questi ultimi anni è abbondantemente testimoniato non solo nella S. orientale (nuovi ritrovamenti nell'abitato di Messina, v., e nel territorio di Lentini, v.), ma anche nella S. occidentale, dalla necropoli di Valle Oscura presso Marianopoli e dal deposito del Ciavolaro presso Ribera, entrambi nel comprensorio del Platani, riproponendo problemi di passaggio da tale cultura a quella del Bronzo Medio thapsiano (v. thapsos).

Per quanto riguarda quest'ultimo orizzonte culturale, dall'Agrigentino provengono ancora le più recenti e talora sensazionali scoperte. Così, nel territorio di Licata (v.), sulle pendici collinari dominanti la piana di Gaffe non lungi dalla costa, i resti di un villaggio di capanne circolari di uso domestico associate a grandi recinti ellittici di probabile destinazione sacra hanno restituito ceramica indigena di Thapsos, tra cui grandi vasi lebetiformi e qualche frammento ceramico Tardo Elladico IIIA; grande quantità di ceramica del Tardo Elladico IIIA2 e IIIB, associata alla tipica ceramica thapsiana, proviene da un villaggio del Bronzo Medio sulla costa agrigentina, in località Cannatello, avente carattere di «emporio» cipro-miceneo del XIII sec. a.C., lungo la rotta dall'Egeo verso l'Occidente.

Periodo greco. - Il problema della colonizzazione greca in S. ha ricevuto nuovi apporti archeologici, utili per delineare il configurarsi degli insediamenti sia primari sia secondari. Il più antico insediamento di Megara Hyblaea (v.) è definito da ceramiche della fine dell'VIII sec. a.C., notoriamente da coppe del tipo Thapsos, in tutta l'area del plateau settentrionale, con particolare individuazione nella zona interessata dagli scavi, mentre il plateau meridionale non sembra essere stato compreso nell'abitato prima del VII sec. a.C. Il quartiere dell'agorà fornisce il maggior numero di dati circa la collocazione e la sistemazione delle case dei primi coloni, consistenti in piccole costruzioni di pietra costituite da una sola stanza quadrata; già allineate su due assi stradali divergenti, mostrano una tendenza a ingrandirsi aprendosi su un cortile, a partire dalla metà del VII sec. a.C., al momento cioè della prima sistemazione urbanistica con isolati di c.a 25 m e con una cintura funeraria, sviluppata perimetralmente all'area occupata dall'abitato, che non è fortificato fino alla fine del VI sec. a.C. Fortificata già nel VII sec. a.C. con un muro di cinta era a Leontini (v.) la città protoarcaica, verosimilmente limitata alla sola sommità del colle San Mauro, l'altura a O della valle, dominata a E dal colle di Metapiccola; poche tracce del più antico insediamento calcidese indirizzano verso un abitato con edifici incassati nella roccia, i cui materiali in un complesso di tre ambienti sul versante S del colle si collocano nell'VIII e nel VII sec. a.C. (ceramica locale e coppe protocorinzie del tipo Thapsos), mentre nell'ambiente circostante gli indigeni del colle di S. Eligio, con i vasi della necropoli di chiara influenza euboica, mostrano di intrattenere rapporti con il primo nucleo della greca Leontini.

Il tipo di rapporto fra le più antiche genti greche e gli indigeni in S. investe oggi, nella ricerca, la fase precoloniale. Un'interessante scoperta nel retroterra megarese, nella valle del Marcellino presso Villasmundo, ha portato al ritrovamento di materiali di data anteriore non solo alla fondazione di quelle antiche colonie siciliane, ma di Pithecusa stessa, facendo cambiare radicalmente il punto di vista sulla S. precoloniale, regione che ormai appare chiaramente non ignorata dai mercanti greci. Infatti, la necropoli di Villasmundo insieme a materiale indigeno imitante forme e decorazioni del Medio Geometrico greco, ha restituito coppe a semicerchi penduli di produzione euboica databili agli inizi dell'VIII sec. a.C., coppe à chevrons, la kotyle del tipo detto Aetos 666, databile nel secondo quarto dell'VIII sec. a.C., mentre la coppa detta di Thapsos, pur presente, protrae la frequentazione più antica della necropoli sino al terzo quarto dell'VIII sec. a.C.

Come a Megara, anche per Siracusa (v.), pur ipotizzando che l'impianto protoarcaico di Ortigia nel VII sec. a.C. sia alla base delle successive fasi edilizie, almeno per quanto attiene il tracciato delle strade E-0 comprendente isolati larghi 23-25 m, le strutture della prima fase coloniale dell'VIII-VII sec. a.C. nell'area del tempio ionico consistono in poche case monocellulari di m 4 ÷ 4 con muri nella tecnica a ortostati, datate dalle ceramiche del Geometrico Corinzio Tardo, tra cui la presenza di coppe del tipo é di Megara Hyblaea documenta per Siracusa pari antichità, escludendo una asserita priorità di Megara.

Anche per il retroterra di Siracusa, recenti dati convergono per l'esistenza di scambi, almeno per i decenni che accompagnano l'insediamento dei coloni (il tipo più antico della serie delle coppe di Thapsos è presente a Modica e nella zona di Cassibile).

Certamente collegata con il più antico insediamento siracusano è la bassa collina di Eloro (v.), a S, in prossimità della costa, che nel movimento di espansione della colonia corinzia deve aver rappresentato un avamposto presso la foce del Tellaro, tra la fine dell'VIII e i primi del VII sec. a.C., a cui si possono far risalire alcune case monocellulari di c.a 4 m di lato, simili a quelle di Ortigia e di Megara.

A Naxos (v.) l'insediamento dell'VIII sec. a.C. sembra concentrato intorno alla baia, dove frequenti sono i materiali del Tardo Geometrico, per un'area certamente inferiore ai c.a 40-50 ha ipotizzabili per Ortigia e per Megara; mentre per il VII sec. a.C. è possibile riconoscere almeno due allineamenti stradali, N-S ed E-O, da cui divergono quelli della città del V sec. a.C., meglio conosciuti. Della città del VII sec. a.C. è stata riconosciuta la necropoli con 60 sepolture, di cui 40 entro recipienti (hydrìai del tipo c.d. cicladico, anfore attiche del tipo SOS, corinzie di tipo A, chiote, etrusche).

Per Zankle i frammenti ceramici di fine Vili-VII sec. a.C. presso l'area della stazione ferroviaria confermano il concentrarsi del più antico insediamento nell'area falcata del porto, e si rivela un persistere degli orientamenti dalla fine VIII-VII al V sec. a.C. dall'area del porto sino alla foce del Camaro per c.a 1 km di lunghezza N-S e una larghezza massima di m 500, con assi stradali paralleli al corso dei torrenti.

Per Gela (v.) vi sono tracce di un arcaicissimo insediamento greco nella seconda metà-fine Vili sec. a.C. distribuito su una lunga fascia che dal Dirillo giunge ai limiti del settore occidentale della collina di Gela (aryballos panciuto di Spinasanta, frammenti protocorinzì geometrici sulla collina dell'acropoli, vaso tardo geometrico della Villa Garibaldi), probabilmente da mettere in relazione con il primo insediamento di alcuni nuclei di coloni rodio-cretesi, anteriormente alla ktìsis della città (il che spiegherebbe anche il nome di Lìndioi tramandatoci da Thuc., vi, 4, 3). La colonia del VII sec. risulta già stabilmente insediata e articolata sulla collina di Gela, con l'acropoli nella parte orientale a carattere preminentemente sacro, sede dell'arcaicissimo culto di Atena, a cui si accompagna, verosimilmente nell'area della città, l'altro culto di Hera, entrambi risalenti all'origine lindia dei coloni.

Meglio articolati nel loro pieno impianto sono evidentemente, data l'età più avanzata, gli insediamenti delle colonie secondarie.

A Imera (v.) i risultati dello scavo dell'abitato e quelli della stipe del tempio A concordano nell'indicare l'occupazione del Piano di Imera sin dall'ultimo quarto del VII sec. a.C., con la contemporanea sistemazione dell'area sacra, mentre nulla si riconosce anteriore al Corinzio Antico e conciliabile con la datazione diodorea intorno alla metà del VII sec. a.C. Gli edifici sul Piano di Imera alla fine del VII sec. furono costruiti con l'impiego di ciottoli, e sembrano risultare di due ambienti aperti su cortile, con uguale orientamento NE-SO e NO-SE, a cui si allinea anche il tempio A.

Agrigento (v.), colonia geloa sulla linea espansionistica verso occidente, con nuovo apporto rodio, doveva avere il primo insediamento entro la metà del VI sec. a.C. concentrato sulla Rupe Atenea, dove la tradizione letteraria ricorda un tempio ecistico di Zeus Athabìrios e Atena, mentre materiale mesocorinzio da tombe sul versante occidentale della città arcaica e classica indurrebbe a ritenere, malgrado la carenza di ritrovamenti, l'esistenza di un primo abitato sparso per tutta l'area della città nei periodi successivi, tra i corsi dei fiumi Akragas e Hypsas a oriente e occidente, e il limite meridionale costituito dalla collina dei templi, il cui estremo lembo occidentale può aver ricevuto un antichissimo santuario di cui sopravvive testimonianza in una pregevole testina fittile di statuetta di divinità con alto pòlos, i cui singolari caratteri geometrico- protodedalici si combinano con stilemi di tradizione subminoica cretese. D'altra parte la ceramica mesocorinzia e i piatti rodi provenienti da tombe presso la foce del fiume Akragas denunciano l'esistenza di un insediamento portuale che negli anni 582-575 a.C. si era attestato sulla costa a controllo degli interessi rodi lungo la rotta mediterranea.

Camarina (v.), che rappresenta nel quadrante sud-orientale dell'isola la punta sul mare della direttrice di espansione siracusana che passa per le fondazioni di Akrai e Casmene, presenta, come Agrigento, fissati sin dalla fondazione nei primi anni del VI sec., lo schema urbano e gli allineamenti, successivamente realizzati, anche se, come hanno dimostrato le sepolture più antiche della necropoli orientale, l'occupazione iniziale dovette essere concentrata nella parte occidentale della collina (all'incirca nell'area compresa tra il Tempio di Atena e il mare).

Circa un secolo dopo la fondazione delle colonie primarie e appena una generazione dopo quella delle sottocolonie, l'impianto urbano si definisce su base di estesa regolarità, passando talora da una situazione con forte componente agraria al tipo di «città volontaria» (di cui parla R. Martin) e di cui il primo atto è la costruzione di una cinta muraria.

A Megara nel VII sec. a.C. dallo spazio libero trapezoidale dell'agorà si dipartono gruppi di strade delimitanti isolati allungati di larghezza costante (m 25 c.a); e anche alla fine del VI sec. l'agorà non cambia fisionomia e conserva i monumenti del VII sec., mentre le mura includono il plateau Ν e il plateau S con l'interposta depressione.

Anche a Naxos le mura poligonali della fine del VI sec. a.C. includono un abitato organizzato in ima rete stradale risalente al VII sec. a.C., il cui orientamento fu modificato dal nuovo tracciato del V sec., che comportò una ridistribuzione degli spazi occupati, in verosimile collegamento con la politica di Ierone I e con forzosi spostamenti di popolazione. Fu allora che il nuovo impianto, rigidamente regolare nella sua ortogonalità, si impernia su tre platèiai E- O che tagliano orizzontalmente la penisoletta, e su una serie di stenopòi N-S con isolati lunghi 156-158 m e larghi 39.

A Gela, contemporaneamente alla ricostruzione dell',4- thenàion intorno alla metà del VI sec. a.C., si ha un rinnovamento urbanistico della piattaforma dell'acropoli, per cui si regolarizza il tracciato della platèia, antico asse naturale della collina, e si impostano i primi stenopòi anch'essi ortogonali; e fra questi, regolarmente inseriti, sorgono i primi sacelli a pianta longitudinale con area di pertinenza all'intorno.

Al principio del V sec. a.C. avviene una organica strutturazione dell'impianto urbano con regolari isolati definiti da stenopòi, larghi m 4 e distanti tra loro m 30-50, con una scansione, pertanto, quasi raddoppiata rispetto ai larghi intervalli del tracciato di VI sec.; tale maglia stradale viene mantenuta fino alla metà del IV sec. a.C., allorché in periodo timoleonteo, diradatesi le strutture, alcune strade vengono abbandonate o modificate.

A Selinunte (v.), se già dalla fine del VII sec. a.C. l'insediamento appare esteso per tutta l'area dalle colline dell'acropoli e della Manuzza a quella orientale, il sorgere della città organizzata si colloca sulle prime due alture nel decennio 580-570 a.C., con due assi naturali N-S ed E-O, quest'ultimo corrente alla base dell'acropoli tra i due quartieri portuali, con l'area sacra al centro della collina medesima e con una trama urbana di dodici isolati di m 29 di larghezza, estesa oltre la sella dell'agorà sulla più interna collina di Manuzza, il cui tracciato, tuttavia, risulta essere indipendente.

Tra il 560 e il 460 a.C. si colloca la fase urbanistico- monumentale, che ebbe per protagonista la costruzione dei templi C e D e quella della grande terrazza sulle balze orientali del témenos, sostenuta dal gigantesco muraglione a gradoni; tra il VI e il V sec. a.C. un'incisiva trasformazione dell'acropoli porta alla ricostruzione dell'abitato in bello apparecchio isodomo, con l'area sacra arricchita dei templi A e O nel settore SE, mentre sulla collina orientale i templi G, F, E sorgono al di fuori delle costrizioni di una regolare maglia viaria.

Ad Agrigento la maglia viaria, già nota nella sua tessitura della «Valle», è risultata estesa nel VI-V sec. a.C. sino al margine della collina meridionale (c.d. dei Templi), dove nel settore occidentale - tra il Tempio di Zeus e il santuario delle divinità ctonie - è stato messo in luce un assetto urbanistico con tre stenopòi S-N i quali incrociano la platèia che dalla Porta V, marginando a Í il grande Tempio di Zeus, perviene alla zona dell'agorà; vi si individuano sacelli, thesauròi, una lèsche, una stoà e un gruppo di abitazioni collegate con i servizi del santuario. In questi ultimi tempi l'interesse della ricerca, indirizzata verso i monumenti dell'architettura civile, ha permesso di definire una configurazione terrazzata della città, particolarmente monumentalizzata in senso scenografico nel periodo ellenistico, con l'agorà inferiore, l'agorà superiore comprendente il ginnasio, e il sovrastante terrazzo degli edifici politico-amministrativi, quali l'ekklesiastèrion e il bouleutèrion.

A Camarina, come è norma, la linea di cresta di promontorio e collina diventerà l'asse vertebrale di tutto l'assetto urbano che, ben conosciuto nel periodo timoleonteo con isolati delineati da assi fra loro ortogonali, si fa ragionevolmente risalire alla rifondazione geloa del 461 a.C., nonostante le perplessità connesse all'orientamento divergente del Tempio di Atena.

Anche Imera, come Naxos, subisce nel corso della prima metà del V sec. a.C. una trasformazione radicale del suo impianto, per cui da un orientamento NE-SO passa a un orientamento quasi esclusivamente E-O, con assenza di vie ortogonali, sulla base di un piano unitario che delimitava aree quadrate di m 16 di lato.

Non v'è dubbio che il movimento espansionistico delle colonie greche in S., che si avvia appena due-tre generazioni dopo l'insediamento, là dove sono condizioni geografiche ed economiche favorevoli, segue due direttrici, l'una lungo la costa, l'altra verso l'interno.

Già alla fine dell'VIII sec. a.C., Siracusa si assicura con l'occupazione di Eloro la piazzaforte a difesa della chòra costiera verso S, e a partire dalla metà del VII sec. il rapporto con i Siculi della potente Ibla porta alla fondazione di Casmene, intesa al dominio della pianura fra il Dirillo e gli Iblei e a preparare lo sbocco sul mare Mediterraneo con la successiva fondazione di Camarina.

Sull'esteso pianoro di Monte Casale, in cui si identifica Casmene, a m 830 s.l.m. - che sappiamo fortificato e percorso da una fitta serie di 40 strade parallele N-S - dalle recenti ricerche si sono meglio definite le caratteristiche organizzative urbane, con isolati longitudinali larghi m 25 divisi in due parti eguali da un ambitus, articolati in 16 blocchi di quattro case ciascuno: case semplici di m 12,50 di lato con accesso dalla strada e cortile, su cui si aprono da Ν i tre vani abitativi, mentre i locali di servizio o di lavoro sono disposti lateralmente.

Se Monte Casale-Casmene adatta l'impianto regolare alle esigenze di una colonia militare, gli indigeni dei Monti Iblei appaiono organizzati in phroùria, quali quello di Monte Casasia, tra Camarina e Licodia Eubea, con il villaggio occupante il pianoro sommitale e le sepolture a camera ricavate nei fianchi rocciosi della montagna (fine VIII-VI sec. a.C.); quello di Castiglione (VII-VI sec. a.C.), arroccato sugli ultimi contrafforti iblei, il cui impianto ad aggregazioni irregolari estranee ai modelli greci si impernia sull'asse di una strada N-S; le balze del colle accolgono centinaia di tombe a cameretta con deposizioni singole e plurime.

Nuovi dati sui modi e i tempi della ellenizzazione calcidese nella S. orientale si sono recentemente aggiunti al quadro già acquisito della espansione coloniale calcidese, con gli scavi dell'abitato della montagna di Ramacca ai margini della piana di Catania, a dominio del tratto finale della valle del fiume Gornalunga. Centro indigeno del X-IX sec. a.C. nel periodo della cultura di Cassibile e di Pantalica Sud e nell'VIII-VI sec. a.C. nel periodo della cultura del Finocchito, subì già nel VII sec. il processo di ellenizzazione dalle calcidesi Leontini (v.) e Catania (v.), processo che si accentuò nel corso del VI sec. a.C., come dimostrano l'abbondante ceramica importata rinvenuta nell'abitato e la cinta muraria in tecnica isodoma che cinge l'acropoli.

In tale sistema rientra, nella zona più interna dei campi leontini, il centro di Monte San Basilio, fortificato al cadere del VI sec. a.C..

Nella S. centro-meridionale, la conoscenza del rapporto tra le colonie di Gela e di Agrigento e l'hinterland indigeno si è arricchita di nuovi dati.

Monte Bubbonia, 20 km a NE di Gela, sede di un centro indigeno ellenizzato a dominio dei campi geloi, già indagato da P. Orsi agli inizi del secolo e da D. Adamesteanu negli anni '50, ha ricevuto una nuova esplorazione negli anni '70 e '80, intesa a chiarire i problemi topografico-architettonici dell'acropoli e ad acquisire nuovi dati sulle culture indigene con lo scavo della necropoli. L'acropoli sacra, frequentata nel VII sec. da una popolazione indigena già in contatto commerciale con le colonie greche, riceve intorno alla metà del VI sec. a.C. un tempietto alla maniera greca, mentre nel IV sec. a.C., nel clima della rinascita timoleontea, assume una caratterizzazione militare, di cui è testimonianza il noto edificio allungato, già ritenuto anàktoron e oggi riconosciuto caserma con torre di avvistamento; la necropoli N, con le oltre sessanta tombe a inumazione scavate, databili al VI sec. a.C., rivela nell'adozione di tipi tombali e nella presenza accanto a materiali indigeni di oggetti di importazione, il buon grado di ellenizzazione raggiunto.

Per quanto riguarda il retroterra acragantino, la ricerca ha continuato a svilupparsi sulle due direttrici del fiume Salso (antico Himera) e del fiume Platani (antico Halykos).

Quanto alla prima direttrice, capisaldi della ricerca hanno rappresentato i siti di Monte Saraceno presso Ravanusa, di Vassallaggi presso S. Cataldo, di Sabucina (v.) e Caltanissetta, distribuiti nella bassa e media valle dell'Himera.

Monte Saraceno, a 20 km dall'attuale Licata, sulla sponda occidentale dell'Himera meridionale, costituisce il secondo sistema di sbarramento di questa via fluviale dopo quello costituito dalle colline di Monte Canticaglione, Casalicchio, Poggio Marcato di Agnone, Monte Pizzuto e Monte Pitrulla. Dai dati archeologici più recentemente acquisiti sull'acropoli, sui terrazzi dell'abitato e nelle necropoli le vicende di questo centro possono così sintetizzarsi: a) momento protostorico della cultura di Sant'Angelo Muxaro- Polizzello, relativo a una borgata indigena, di cui rimangono tracce di capanne sull'acropoli; b) con la metà del VII sec. a.C. si stabilisce un insediamento greco articolato in un'acropoli sulla sommità del monte, un'area sacra e un abitato disposto sulle pendici meridionali sino alla metà del VI sec. a.C., rispecchiante la fase di influenza geloa; c) dalla metà del VI alla metà del V sec. a.C. il centro conosce il suo periodo di maggiore floridezza con la costruzione di tre templi sull'acropoli, il riassetto urbanistico dell'abitato del terrazzo superiore riorganizzato su nuove basi regolari, e il suo ampliamento con la costruzione di un nuovo quartiere regolarmente sistemato sul terrazzo inferiore; questa fase si ascrive all'occupazione agrigentina; d) con la metà del V sec. a.C. il quartiere del terrazzo inferiore viene abbandonato, mentre sul terrazzo superiore gli edifici vengono riutilizzati sino alla fine del IV sec. a.C. La necropoli orientale è documentata dalla seconda metà del VI ai primi decenni del V sec. a.C.; la necropoli occidentale dalla fine del V alla fine del IV sec. a.C.

Anche a Vassallaggi, il sito della media valle dell'Himera distribuito su cinque alture, identificato con l'antica Motyon distrutta da Ducezio nel 451 a.C. (Diod. Sic., XI, 91), alla fortificazione ad aggere del VI sec. a.C. si aggiunse, dopo quell'evento, la costruzione sulla terza collina di un nuovo muro di cinta in ben diversa tecnica con paramento a conci squadrati, èmplekton e sovrastruttura in mattoni crudi, di cui sono stati scoperti nelle campagne di scavo degli anni 1983-86 cospicui tratti, che rappresentano, per impegno tecnico, un unicum nell'abitato dei centri indigeni ellenizzati.

Risalendo il Salso, i siti di Caltanissetta (antica Nissa) e Sabucina hanno portato nelle recenti ricerche nuovi importanti elementi di conoscenza delle forme di contatto e dei processi di acculturazione dei centri indigeni. Nel primo sito, Monte S. Giuliano presenta i resti di un villaggio capannicolo dell'Età del Ferro (Vili-VII sec. a.C.), in cui la capanna ellissoidale si associa all'ambiente rettangolare, così come nel complesso sacro di Sabucina. In quest'ultimo sito la prosecuzione dell'indagine archeologica negli anni '70 e '80 ha portato alla larga conoscenza di un villaggio capannicolo del Bronzo Recente e Finale (XIII-XII sec. a.C.), con un'organizzazione interna, per cui le capanne circolari presentano talora strutture annesse differenziate con appendici semicircolari o rettangolari, come pure locali minori di servizio a monte, in funzione di attività primarie di sussistenza di tipo agro-pastorale affiancate ad attività artigianale. Rioccupato il sito nell'VIII- VII sec. a.C., sorge un agglomerato indigeno a carattere sparso, con nuclei abitativi di modulo diverso, nel cui ambito si collocano anche le sedi di culto, sacelli circolari nella cui forma persistono e si conservano tradizioni religiose e ideologiche di ascendenza preistorica.

Se il sito di Sabucina mostra una forma di resistenza al processo di ellenizzazione con persistenze indigene sin nelle forme di impianto urbano, l'esempio di un centro indigeno che sembra affermare la sua autonomia fino alla sua estinzione intorno alla metà del V sec. a.C., con forte sensibilità di ancestrali influenze culturali egee viene da Monte Polizzello, nella media valle del Platani, al centro della regione definita come Sikania. Il sito ê topograficamente articolato con il terrazzo dell'acropoli su cui insistono sacelli circolari compresi entro un grosso muro di témenos lungo il margine, con il terrazzo sottostante dell'abitato capannicolo fatto di edifici prima circolari e poi rettangolari, e con le necropoli rupestri ricavate nei fianchi della montagna.

Associando i ritrovamenti dell'acropoli sacra con quelli della necropoli si profila l'immagine di una società indigena aperta, tuttavia, agli apporti egei e greco-orientali, specie negli oggetti di ornamento e cerimoniali; e la vitalità egea protrae nella produzione ceramica, pur nella riproposizione del geometrico, gusto e motivi decorativi dell'area cretese e cipriota in particolare.

Nello stesso territorio culturale della Sikania, ancora ben dentro il VI sec. a.C., si colgono manifestazioni di tale componente egea, in particolare nella ceramica proveniente da altro centro indigeno, con evidenza dipendente dal centro egemone della vicina montagna di Polizzello (v.), Valle Oscura di Marianopoli, la cui necropoli, tra l'altro, ha restituito un significativo cratere indigeno con decorazione a spirali pendenti, dove, irrigidita, persiste la tradizione micenea della decorazione a spirali.

I centri punid. - In ambito punico ricerche recenti hanno portato nuovi dati di ordine topografico, storico e monumentale. A Palermo (v.), l'antica Panormos dei Greci, l'esplorazione archeologica a partire dal 1985 ha rivelato sotto l'ala occidentale del Palazzo Reale normanno cospicui tratti della fortificazione della παλαιά πόλις punica, di cui si sono riconosciute tre fasi edilizie, la più antica delle quali, di fine V sec. a.C., presenta una cortina di filari isodomi di blocchi calcarei squadrati e una porta urbica, larga m 5,20, fiancheggiata da due torri, con la quale ultima doveva essere in corrispondenza un asse viario (con andamento parallelo all'attuale Corso Vittorio Emanuele).

Al di fuori della cinta muraria del Cassaro, a O di Porta Nuova, nell'area del complesso attuale della Caserma Tukory e dell'Albergo dei Poveri, è venuta alla luce nel 1989 l'area di maggiore addensamento della necropoli punica, che si estendeva lungo la principale via di accesso della città, sfruttando la piattaforma calcarenitica che collegava la città al suo entroterra. Si tratta di tombe di varia tipologia (incinerazione in fossa terragna con corredo di fine VI sec. a.C.; incinerazione entro sarcofago litico per bambini; incinerazione entro fossa con copertura in terracotta e, degli inizi del V sec. a.C., tombe a camera, che costituiscono il tipo di sepoltura collettiva più noto e meglio documentato con camera funeraria contenente il sarcofago, preceduto da una ripida rampa di scale pure scavata nella roccia, databile alla fine del VI sec. a.C.). Dell'antica Erice (v.), scavi condotti nel 1987 hanno fatto conoscere il lato occidentale della fortificazione elima (VII sec. a.C.), cartaginese (VI-IV sec. a.C.), medievale.

A Mozia (v.), l'isolotto fenicio distrutto dai Siracusani nel 397 a.C., una ricerca accurata delle fortificazioni ha consentito di riconoscere quattro fasi, di cui la prima di età arcaica è di impianto unitario e presenta tecniche difensive correnti nel Vicino Oriente antico e insolite nel mondo greco prima del periodo ellenistico (torri a distanza regolare, copertura ogivale). La fase 2a, di IV sec. a.C., ha un elevato in mattoni crudi su zoccolo di pietra.

Non distante dalla Porta Ν sono continuati gli scavi nel santuario di «Capiddazzu» e soprattutto nella zona «industriale» area K/Est, dove nel 1979 fu scoperta la statua marmorea nota come «il giovane di Mozia». Qui le ricerche hanno consentito di seguire tre periodi di frequentazione dell'intero complesso, dal primo utilizzato dall'officina ceramica nel VI sec. a.C. alla sua ristrutturazione nel V sec. a.C.; alla distruzione nel 397 a.C. Anche a Lilibeo (v.) - la città sorta su un promontorio dell'estremo limite occidentale della S., raccogliendo l'eredità della distrutta Mozia - gli scavi recenti hanno fornito notevoli dati sulle fortificazioni puniche (torrioni nell'area di Porta Trapani; muro a doppia cortina larga m 7; camminamento sotterraneo scavato nella roccia - per cui cfr. Pol., ι, 42, 12 - e torrione nell'area del lungomare Boeo) e consentito di precisare alcune caratteristiche del poderoso sistema difensivo nel IV sec. a.C. (fossato largo m 28 scavato nella roccia, passaggi obbligati, cunicoli per sortite, ancoraggio della cortina muraria al banco calcarenitico sul lato volto verso la terraferma, destinato a sostenere l'urto maggiore dell'offensiva nemica).

Il problema della identificazione dei porti di Lilibeo ha ricevuto nuovi dati dalle esplorazioni effettuate tra il 1982 e il 1983 nell'area dell'odierno Circolo dei Canottieri, tra Capo Boeo e Punta d'Alga, dove sono stati riconosciuti i resti di un antico molo, lungo oltre 10 m.

Ma al di fuori di questi centri notoriamente punici, novità significative sono venute dalla ricerca, in corso, nel sito di Monte Adranone (v.), nella valle del Belice. Questo sito, a 1.000 m s.l.m. a dominio del fertile territorio selinuntino e alla confluenza dei versanti culturali elimo, greco e punico, fu centro indigeno ellenizzato nel VI sec. a.C. dalla colonia megarese, e nel IV sec. rientra nell'ambito cartaginese, la cui cultura si sovrappone e giustappone a quella greca. La dipendenza politica cartaginese si manifesta più nella ristrutturazione urbanistica e nelle architetture che nella cultura materiale. Per il primo aspetto, l'impianto greco a terrazze con acropoli, città bassa e necropoli viene interessato da un sistematico potenziamento delle opere fortificate rendendo autonoma la fortificazione dell'acropoli e aggiungendo al resto del percorso bastioni, contrafforti e propugnacoli.

Sull'acropoli viene eretto un edificio sacro a pianta rettangolare orientato per gli angoli, diviso in tre vani affiancati e non comunicanti, di cui quello centrale a cielo aperto conteneva due basi per simboli cultuali, riferibili a una coppia divina. Nella proposta di restituzione dell'alzato si evidenzia una originale commistione di elementi architettonici greci e punici, con colonne doriche all'ingresso monumentale e frontone triangolare con cornice a gola egizia. Altro tempio di minori dimensioni è sulla terrazza sottostante, dove si trova il vano maggiore a cielo aperto con due pilastri cultuali. Quanto alla cultura materiale, a eccezione delle monete di zecca cartaginese e di anfore da trasporto puniche, per il resto nella ceramica e nelle terrecotte figurate la cultura greca della città non sembra avere molto risentito della influenza punica connessa alla occupazione cartaginese. Solo un'interessante testa in pietra di Demetra rivela la commistione di elementi elimi, punici e greci.

Ellenismo. - Nel IV sec. a.C., segnato dal nome del nuovo ecista, il condottiero corinzio Timoleonte, e nel periodo ellenistico per quasi tutto il III sec. a.C., segnato dal potere di Ierone II fino al primo riassetto amministrativo romano, la S. ci appare passare dalla situazione rinnovata delle vecchie pòleis e di una grecità diffusa nel territorio, alla concentrazione della cultura greca in pochi determinati centri produttori di ricchezza, primo fra tutti Siracusa.

Per il periodo timoleonteo, ridimensionata da nuovi scavi l'incidenza monumentale dell'acropoli di Gela, è a Camarina che attingiamo i dati più estesi e significativi. L'impianto del V sec. a.C. viene ripreso e ingrandito, con rigida razionalizzazione, comprendente isolati N-S di m 34,50 ÷ 135 di lunghezza, divisi in due in senso longitudinale da un ambitus, attestati su cinque platèiai, e limitati da stenopòi larghi m 4-5 c.a; ogni isolato comprendeva venti case di tre o quattro vani aperti a S su un cortile.

Alcune interessanti laminette iscritte ci informano che i nuovi coloni portati da Timoleonte a Camarina erano divisi nelle tre antiche tribù doriche e ognuna di queste occupava un'area della città. Gli scavi recenti, inoltre, portano a individuare il quartiere dei contadini nel settore NE prossimo alla campagna.

Siracusa ellenistica, pur muovendo dalla rifondazione timoleontea, fiorisce nel periodo del regno di Ierone II, allorché la città si ingrandì sulla terraferma con i nuovi quartieri di Akradina e Neapolis, animata dalla grande

arteria che, continuando l'asse di Ortigia, piegava dal porto Lakkios a O, sino a raggiungere in lunghissima linea dritta l'arcaica necropoli del Fusco (via lata perpetua in Cic., Verr., iv, 53), asse portante di un quartiere regolarmente ordinato in isolati rettangolari, e ricco di edifici e monumenti pubblici.

Morgantina (ν. serra orlando), città non greca ma di originaria influenza calcidese, nel periodo ellenistico, dall'età di Agatocle alla fine della seconda punica, si rivela strettamente dipendente dalla cultura architettonica siracusana. Scoperte recenti hanno confermato ancora una volta tale rapporto con la ricca metropoli. Una fontana monumentale, situata all'angolo NE dell'agorà, nel punto in cui la platèia principale sbocca nello spazio pubblico, allineata con la pianta ortogonale della città, comprendeva due grandi bacini al centro, un prospetto architettonico con colonnato ligneo e una terrazza rettangolare antistante. Questo singolare monumento, costruito nella seconda metà del III sec. a.C. per raccogliere le acque di una sorgente (non priva di testimonianze cultuali), rimase in uso per più di due secoli, con modifiche architettoniche che nel I sec. a.C. videro la costruzione di un'edicola con colonnato dorico.

Ad Agrigento la ricerca recente si è indirizzata verso i monumenti dell'architettura civile, con particolare riguardo sia all'area tradizionalmente indicata come sito dell'agorà, al margine Í della Collina dei Templi, sia a quota più alta, nel cuore della «Valle», dove sono stati messi in luce l’ekklesiastèrion e il bouleutèrion di età ellenistica; nello stesso tempo si sono chiarite le zonizzazioni monumentali dell'urbanistica secondo una sistemazione a terrazze da quota 70 m a S a quota 190 m a N, dominati dall'acropoli della Rupe Atenea.

I cinque terrazzamenti in cui risulta articolata la città ellenistica e romana sono segnati dall'agorà inferiore (primo terrazzo), dal ginnasio (secondo terrazzo), dall’ekklesiastèrion e dal bouleutèrion e dal ricco quartiere residenziale (terzo terrazzo), mentre il quarto e il quinto terrazzo, di natura più accidentata, sono riservati ai quartieri popolari e artigianali.

Certamente tra i monumenti ellenistici più significativi, senza escludere una preesistenza più antica, si pongono l'edificio dell'assemblea popolare e quello della boulè. L'ekklesiastèrion, scavato in gran parte nel banco di roccia sulle pendici meridionali di un poggetto, presenta una gradinata a forma di 3/4 di una circonferenza, con un diametro massimo di m 48.

I bouleutèrion, ai piedi delle pendici Í del medesimo poggetto, consta di una struttura rettangolare di m 20,50 X 12,50, comprendente una cavea di sei ordini di sedili in pietra arenaria con proedrìa, il tutto sostenuto da poderosi muri di terrazzamento in tecnica isodoma.

Come già Morgantina nella S. orientale, la più recente archeologia dell'isola annovera un sito interno della S. occidentale, Monte Iato (v.), in area elimo-punica, che pur vissuto ai margini della storia politica, in periodo ellenistico rivela un apprezzabile rinnovamento nei termini di una città di tipo greco, ai cui canoni rispondono la pianta urbanistica, le fortificazioni, la rete viaria, nonché edifici pubblici di rilievo. Questi ultimi comprendono il teatro, costruito nella seconda metà del IV sec. a.C. e rimasto in vita sino al I sec. a.C.; l'agorà con la piazza circondata da portici su tre lati; la sala del consiglio (bouleutèriorì), con annesso un tempietto su podio di tipo architettonico medio italico, che fa datare il complesso nel II sec. a.C., presumibilmente dopo le riforme di Rupilio a seguito delle guerre servili. La presenza della cultura ellenistica si rivela nei raffinati quartieri residenziali, dove l'attenzione si incentra su una grande residenza signorile con cortile a colonnato dorico nel pianoterra e ionico in quello superiore, ambienti di rappresentanza (esedra tra due andrònes), la cui dislocazione caratteristica ha posto problemi di contatti con il mondo macedone, disponendo anche di un bagno fornito di un raffinato sistema di riscaldamento.

Periodo romano e tardoantico (v. anche Provincie romane). - La continuità di vita nel periodo imperiale assicurata solo in alcune delle grandi città monumentali della costa (Messina, Catania, Siracusa, Agrigento, Lilibeo, Palermo, Solunto, Cefalù), con diversa durata; la scomparsa accanto ad altri in declino di numerosi centri dell'interno specie in collina, già in auge nel periodo ellenistico; una maggiore dispersione degli insediamenti a carattere agricolo nel territorio e nelle pianure, fattorie e ville nell'ambito di vasti latifundia con forme miste di agricoltura, costituiscono il quadro entro cui si è mossa la ricerca archeologica della S. in età romana.

Architettura, spazi pubblici e costruzioni domestiche si sono arricchiti di nuovi dati nei centri costieri e subcostieri. L'agorà di Halaesa è stata meglio definita lungo la fascia N-S, delimitata da una monumentale stoà che, costruita verosimilmente nella prima metà del III sec. a.C., subì varie modifiche e abbellimenti nei primi due secoli dell'impero, allorché alcuni degli ambienti furono destinati a sacella e a luogo riservato al culto dell'imperatore.

Ad Agrigento, nel foro, il ginnasio di prima età imperiale si monumentalizza e, mentre l'ekklesiastèrion viene abbandonato, rimane in vita l'edificio del bouleutèrion, verosimilmente modificato in odèion, arricchito a partire dal II sec. d.C. da una pregevole cornice architettonica in marmo e da una pavimentazione a mosaico policromo.

In un'altra colonia augustea, Taormina (v.), recenti scavi hanno portato alla luce, nel moderno centro cittadino, parti del foro, pavimentato a lastre di pietra grigia. Nei pressi e a N, parzialmente scavato (il resto, nascosto sotto l'abitato medievale e moderno) è un edificio termale, con tre calidaria e praefurnia.

Nella capitale della provincia, Siracusa, al grande foro, tradizionalmente riconosciuto nell'area dei giardini, si è aggiunta l'identificazione di un piccolo foro triangolare, fiancheggiato da una strada larga m 6,50, con un portico lungo il lato O e mosaico geometrico, della prima metà imperiale.

A Tindari si sono recuperati elementi di scavo per una corretta datazione di quel monumento straordinario che va noto sotto il nome di «Basilica», la cui costruzione, già posta nella prima età imperiale, si collocherebbe alla fine del IV sec. d.C., sovrapponendosi ai resti di case distrutte da un terremoto dei primi di quel secolo.

Nell'architettura domestica, agli esempì noti di Agrigento, Lilibeo, Solunto, Taormina, Centuripe, scavi recenti hanno aggiunto cospicue testimonianze a Catania, sulla collina che fu dell'acropoli greca, nell'area del monastero dei Benedettini. Sono venute alla luce stanze affrescate e pavimentate con signino tessellato di almeno una grande casa, in vita dalla prima alla tarda età imperiale, nell'ambito di un quartiere residenziale, a cui appartengono anche l'impianto termale e il bacino di fontana rinvenuti più a E, in Piazza Dante.

La ripresa degli scavi nelle aree delle necropoli romane ha consentito l'acquisizione di una notevole messe di dati scientifici e ampliato la conoscenza delle tipologie architettoniche nei diversi centri.

A Messina, in area adiacente alla riva destra del torrente Boccetta, un settore della necropoli romana presenta, dalla prima età imperiale al II-III sec. d.C., peculiarità che l'hanno fatto ritenere riservato agli schiavi: affollamento delle sepolture sia in senso orizzontale che verticale, assoluta prevalenza sulle pochissime tombe in muratura delle fosse terragne già contenenti feretri lignei sovrapposti; pressoché costante assenza di corredi, e, ove presenti, assai modesti e poveri (ad eccezione di una tomba che ha restituito una decina di ampolle di vetro).

Un ben differente quadro emerge dalla S. occidentale. A Lilibeo, tra la fine del III e il II sec. a.C. si assiste al passaggio dal rito dell'inumazione a quello della cremazione, perdurante sino al II sec. d.C., probabilmente dovuto più che al nuovo assetto della provincia romana, all'allontanamento dalla tradizione culturale punica. Si tratta di tombe costruite con blocchi di tufo e con copertura piatta o «a baule»; talora sui resti cremati erano erette monumentali piramidi gradinate (epitymbia), alcune delle quali possono aver portato in cima le note aediculae dipinte (ritrovate a Marsala alla fine del XIX sec. e ora al museo di Palermo).

Ad Agrigento, ai dati monumentali già noti dalla necropoli romana detta «Fragapane» sul pendio sottostante il Tempio della Concordia, si sono aggiunti quelli recenti dello scavo nella attigua area di S. Gregorio, databile dalla età augustea alla seconda metà del II sec. d.C. Oltre a un buon numero di tombe a fossa con pareti e copertura in arenaria, talora fornite di cippo segnacolare, notevole è una serie allineata di recinti sepolcrali, alcuni di grandi dimensioni, all'interno dei quali sono tombe a fossa, a sarcofago, e, in taluni casi, anche edicole e veri e propri mausolei; questi ultimi sia a forma di tempietto prostilo e frontone sul prospetto sia a forma parallelepipeda a più piani con camera chiusa, cella e obelisco terminale, del tipo della vicina «Tomba di Terone».

La situazione di popolamento della campagna varia durante il periodo romano. Villae maritimae erano sparse sulle coste dell'isola sin dal periodo augusteo, e a quelle già note presso Halaesa sulla costa settentrionale e a Giardini presso Naxos sulla costa orientale, si aggiungono quella di Borgellusa presso Avola, dalla lunga vita sino al V sec. d.C., con le stanze disposte sui lati di un peristilio, e probabilmente anche centro di una proprietà agricola estesa. La villa di Durrueli presso Realmonte sulla costa meridionale agrigentina, di I-II sec. d.C., comprende un gruppo di ambienti mosaicati disposti su tre lati di un peristilio quadrato di m 12,50, con cinque colonne doriche per lato, fornito di bacino semicircolare: la villa vanta un complesso anche termale, con prefurnio, tepidario e frigidario e una piccola necropoli sull'altra sponda del torrente che margina il complesso.

Sono ben diverse le ville situate nell'interno, con funzione di centro residenziale e direzionale di attive proprietà agricole. Così la villa-fattoria in località Saraceno di Favara, nell'agrigentino, scandita da più fasi di vita dalla metà del II sec. d.C., sino al periodo bizantino con una interruzione per distruzione attribuita al terremoto del 365 d.C.

La villa di Castroreale San Biagio (Messina) (I sec. a.C.-V d.C.), complesso residenziale che fa centro su un peristilio e comprende un notevole impianto termale, è un significativo esempio di una grande villa di campagna con maggiore fioritura nel I e II sec. d.C.

La villa di Patti Marina (v.), 6 km a O di Tindari, scoperta nel 1973, è una costruzione del IV sec. d.C., su una estensione di 2 ha, con un blocco residenziale che fa centro su un peristilio di m 33,50 x 25, circondato da solidi pilastri di mattoni collegati con arcate; presenta, fra le stanze disposte intorno, una sala absidata e un'altra triabsidata. Quest'ultima è pavimentata, al pari del corridoio del peristilio, con mosaici policromi ben conservati, la cui officina mostra di prediligere il disegno ornamentale al posto di quello figurato, di officina africana. Quest'ultimo è presente nell'altra villa di recente scoperta, presso il fiume Tellaro, a O dell'antica Eloro, a km 5 dalla moderna Noto.

Anche questo complesso, databile alla metà del IV sec. d.C., presenta al centro un grande peristilio quadrato di c.a 27 m di lato, e fra le stanze si distingue una sala absidata a S in posizione assiale; mosaici figurati policromi, come quello della Stanza 3 con Odisseo, Achille e Diomede che consegnano a Priamo, dietro riscatto, il corpo di Ettore, e quello della Stanza 1 con scena di caccia richiamante paralleli con analoga scena del mosaico di Piazza Armerina (v.), denunciano l'apporto di maestranze africane.

La scoperta delle ville di Patti e di Tellaro dimostrano che la Villa del Casale di Piazza Armerina non era un fenomeno isolato nel territorio siciliano del IV sec. d.C., rimanendo il cuore di estese proprietà agricole attive nell'ambito dei latifundia, come del resto hanno chiarito recenti scavi nella stessa Villa del Casale.

Il periodo paleocristiano e bizantino è stato presente nella ricerca più recente sulla Sicilia antica.

Nella parte centro-meridionale dell'isola nuovi dati sono venuti dalla ripresa delle indagini nel territorio di Agrigento e di Gela.

Ad Agrigento alle tombe sub divo, già note ai lati del lungo dròmos di accesso alla Grotta Fragapane sottostante alla Collina dei Templi, si è aggiunto lo scavo di un cospicuo numero di tombe a forma, il cui limite settentrionale è segnato da una serie di sarcofagi di pietra, nell'ambito di una necropoli del IV e V sec. d.C., nella quale non poche tracce rimangono della costumanza del pasto rituale e delle libagioni presso le sepolture dei definiti. La cronologia della necropoli all'aperto agrigentina trova corrispondenza in altri complessi in S., dalla necropoli di Via Dottor Consoli a Catania, caratterizzata da formae litiche fittamente disposte a reticolo, ai cimiteri paleocristiani di Sofiana (v.), a quello della Contrada Monumenti di Manfla presso Gela, alle aree della regione camarinese.

Due nuovi edifici di culto scoperti ad Agrigento, nell'area della Valle dei Templi, hanno segnato, talora con suggestive ipotesi, l'estrema propaggine della storia antica della città prima della conquista musulmana, e nello stesso tempo hanno fornito testimonianze monumentali sull'architettura della S. di età paleocristiana e bizantina.

Una basilichetta extraurbana sulle pendici orientali, in prossimità del corso del fiume San Biagio, costruita con grossi conci di arenaria locale, si presenta con ingresso a E preceduto da un piccolo nartece, il cui primo impianto risale a età costantiniana, inglobante due sepolture preesistenti del tipo a fossa trapezoidale, del III sec. d.C.

Una seconda basilica cristiana, che doveva essere più monumentale e ricca, è stata individuata ad alcune centinaia di metri a Í della Collina dei Templi, in un'area che in età greca e romana era interessata dall'abitato e dai monumenti pubblici; di essa è stato possibile sinora recuperare alcuni elementi architettonici e un pluteo di marmo decorato a rilievo con grande palma al centro e ai lati cerbiatti, leone e leonessa con leoncino; magnifico esempio di quella scultura didattico-decorativa che si protrae oltre il VI sec. d.C., con motivi iconografici derivati dai tessuti Orientali e bizantini.

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(E. De Miro)