SATURNO

Enciclopedia Italiana (1936)

SATURNO (Saturnus)

Nicola Turchi

È il dio della semente, com'è attestato dalla tradizione erudita dell'antichità latina: Saturnus a satu (Varr., De lingua lat., V, 64); a sationibus (Fest., p. 325); praeses sationis (Arnob., IV, 9), tam frugum quam fructuum repertor (Macr., Sat., I, 10, 19), penes quem sationum omnium dominatus est (Agost., De civ. Dei, VII, 13). Detta tradizione erudita ha adottato unanime l'etimologia da serere "seminare", rispondente in verità alla fisionomia indigena e al culto del dio: per questo è raffigurato con il falcetto in mano. La grafia più antica del suo nome è Săĕturnus, come è attestato dall'orcio votivo con su scritto Saeturni pocolom (sec. III a. C.; Corp. Inscr. Lat., I, 2ª ed., 449). Gli studî recenti di etruscologia applicata alle origini romane tendono tuttavia ad escludere questa etimologia qualificata "popolare" e a far venire Saturnus (cfr. Voltur-nus) dal dio etrusco Satre, attestato dal fegato bronzeo di Piacenza, che sarebbe l'eponimo della gens etrusca dei Satre o Satria: tesi che in sé stessa non è da escludere a priori, sebbene sia più probabile che Satre sia il rendimento etrusco di Saturnus: essa merita ad ogni modo conferma in quanto non spiega l'arcaicità latina di questo culto in Roma. Questa arcaicità è attestata dall'epiteto di pater dato a Saturno: Saturnus pater in Lucilio (framm. 21 Marx) e in talune iscrizioni; dal carme della vetusta corporazione latina dei Salî (qui deus in Saliaribus Saturnus nominatur, Fest., p. 432); dal calendario detto numano che registra a grandi caratteri al 17 dicembre la festa del dio (Saturnalia).

È innegabile tuttavia che la figura di questo dio è rimasta nell'ombra e che egli fuori di Roma non ebbe diffusione. In Roma stessa ebbe un solo tempio, la cui dedicazione (17 dicembre) coincide tuttavia con la festa più popolare del calendario latino.

La figura indigena di Saturno, assai semplice e priva di netti contorni, fu completamente obliterata quando si fuse con quella del greco Crono (v.), che arricchì il suo mito di nuovi elementi e lo fece rifugiare nel Lazio (falsa etimologia di Latium da latere) per scampare all'ira del figlio Giove. Saturno vi sarebbe giunto per mare, risalendo il Tevere fino al Gianicolo dove si sarebbe incontrato con Giano, da cui fu bene accolto, per andare infine a stabilirsi sulla sinistra del fiume, alle radici del Campidoglio (Saturnia) là dove poi sorse il suo tempio. La sua epoca fu analoga all'età aurea di Crono in Grecia ed è difatti chiamata saturnia, come saturnia è detta la razza agricola rimasta fedele ai campi, la cui coltivazione fu insegnata agli uomini dal dio che li tolse alla pastorizia vagante (Varr., De re rust., III, 1, 1,5) e saturnio (v.) fu detto l'antico metro indigeno latino.

In quanto dio del benessere agricolo gli viene data per paredra Ops; ma Gellio menziona anche una Lua (Lua Saturni, XIII, 23), divinità cui si sacrificano e distruggono dopo la vittoria le armi tolte al nemico.

Il tempio di Saturno, secondo per antichità dopo quello capitolino, era situato ai piedi del Campidoglio sul lato occidentale del Foro, dove avrebbe sostituito l'ara antichissima innalzata da Ercole (Dion. Hal., I, 38; VI, 1). Di esso restano tuttora in piedi otto colonne di granito del portico, che si levano sopra un alto basamento di travertino. Fu dedicato dal console T. Larcio il 17 dicembre 498 a. C. e restaurato nel 42 a. C. da Munazio Planco, cui si deve l'alta costruzione in travertino internamente scompartita in celle che serviva a contenere l'erario dello stato (aerarium Saturni, Varr., De lingua lat., V, 183) e le insegne delle legioni in tempo di riposo (Liv., III, 69). L'ingresso all'erario era dalla parte posteriore del tempio verso l'attuale Via della Consolazione, mentre l'accesso al santuario era per una grande scalinata che saliva dal clivo Capitolino. L'attuale portico è il residuo di un restauro compiuto nel sec. IV, come si ricava dalla paleografia dell'iscrizione, in seguito a un incendio.

La cella conteneva il simulacro del dio che - secondo l'affermazione di Macrobio (dipendente da Verrio Flacco) - era legata con bende, certamente espediente magico per impedire al dio d'abbandonare il luogo ("cur autem Saturnus ipse in compedibus visatur Verrius Flaccus causam se ignorare dicit", Macr., Sat., I, 8, 4): queste bende si scioglievano nei giorni dei Saturnali. Plinio il Vecchio poi afferma che detto simulacro era pieno di olio ("certe simulacrum Saturni Romae intus oleo repletum est", Plin., Nat. Hist., XV, 7, 32) senza dubbio con significato di abbondanza, conforme alla fisionomia sia indigena sia greca del dio.

A Saturno si sacrificava graeco ritu, cioè a capo scoperto e coronato (il che si diceva lucem facere), e ciò dimostra che il culto aveva subito un completo processo di ellenizzazione. Anzi la data di questa ellenizzazione si può fissare con il lettisternio del 217 a. C. durante la seconda punica (Liv., XXII, 1, 19). Non si ha notizia delle forme originarie del culto e della festa (v. saturnali), perché tutto quanto ci è stato tramandato è posteriore all'influsso greco.

Fuori di Roma il culto di Saturno non ebbe diffusione, salvo che nell'Africa romana, dove tuttavia il suo nome latino sostituisce quello di un Ba‛al punico concepito come signore della sua città e del suo popolo, come si ricava dagli epiteti o locali (Balcaranensis - Ba‛al Qarnaim, Sobarensis, Umbubalius) o generici (dominus, deus sanctus, numen sanctum, frugifer, deus frugum). La scelta del nome di Saturno si spiega sia in virtù della duplice equivalenza, ormai stabilita nel mondo ellenistico: Baal = Crono e Crono = Saturno, sia perché la figura del Saturno latino accentuava quel significato agricolo caro anche agli Africani, che perciò lo dissero fruttifero e tra i simboli con cui adornarono le sue stele votive misero, oltre a quelli celesti del sole, della luna, dei Gemelli (Castori), delle stelle, anche quelli agricoli del favo di miele, delle palme, della pigna, della cornucopia, della falce.

La diffusione dell'astrologia babilonese nel mondo mediterraneo durante l'epoca imperiale, come a tutti gli altri dei, diede anche a Saturno un aspetto astrale identificandolo con il pianeta omonimo e anche con il sole notturno, e facendogli assumere caratteristiche diverse da quelle originarie.

Secondo questa nuova interpretazione astrologica si spiega perché Servio (Ad Aen., I, 729) afferma che presso gli Assiri Bel sia detto Saturno e Sole e che nello Zervanismo il Tempo indeterminato (Zervan Akarana) sia detto saeculum e Saturnus. Una rappresentazione di Saturno come dio del sole notturno si ha nell'ara dedicata agli dei solari palmireni che si trova nel Museo capitolino, e nel lato posteriore di detta ara il dio è rappresentato a testa velata con accanto il falcetto.

Bibl.: G. Wissowa, Saturnus, in Roscher, Lexikon, IV, col. 427 segg.; J. Toutain, De Saturni Dei in Africa Romana cultu, Parigi 1895; id., Le sanctuaire de Saturnus Balcaranensis, in Études de mythol. et d'histoire des religions antiques, Parigi 1909, p. 246 e segg.; G. Wissowa, Interpretatio Romana. Römische Götter im Barbarenlande, in Archiv für Religionswiss., XIX (1918), p. 37; F. Cumont, in Syria, IX (1928), p. 101 seg.