SARDEGNA

Federiciana (2005)

SARDEGNA

GGraziano Fois

Scrivere della Sardegna all'epoca di Federico II equivale, consequenzialmente, a parlare di Enzo, figlio naturale dell'imperatore e da lui stesso nominato RexSardiniae. Si cercherà di approfondire il quadro in cui venne a crearsi il contatto tra la Sardegna e la figura di Federico e la sua politica, rimandando, per tutti gli approfondimenti su Enzo, alla voce a lui dedicata in quest'opera.

Cronologicamente si individua nel 1232 la scintilla che prepara l'esplosione della già intricata situazione sarda.

Nel giudicato di Torres (o Logudoro, come veniva anche chiamato) muore il giudice regnante Mariano II, della casata dei Lacon-Gunale (discendente di quel Gonario II che nel 1154, dopo aver conosciuto s. Bernardo, era uscito dal saeculum abdicando e facendosi monaco cistercense). Gli succede, per volontà testamentaria (Dessì, 1905, pp. 49-50) concorde col diritto consuetudinario giudicale (Oliva, 1986, pp. 19-21), l'unico figlio maschio Barisone III di circa dodici anni, il quale venne affiancato da un tutore e judike de factu, suo zio Orzocco de Serra ("Marianus iudex […] Parasonum filium suum in minori constitutum etate cuidam suo fratri naturali […] dimiserit"; Dessì, 1905, doc. IV, p. 48). La situazione politica, all'interno del Regno, era tesa: le pressioni politiche e militari di Genova e Pisa crescevano; la famiglia Doria, grazie a progressive concessioni territoriali, era diventata sempre più influente nella politica del giudicato; la città di Sassari premeva sui sovrani di Torres per avere concessioni di attività commerciali e poteri che andavano configurandosi come il preludio a una vera e propria secessione dal Regno (Tangheroni, 1986, p. 50). Barisone III, il suo tutore e i maiorales (la classe sociale formata dai grandi proprietari terrieri del Regno) scelsero ‒ o furono costretti a scegliere ‒ la via dura, soprattutto con Sassari dove il confronto andava configurandosi come scontro tra aristocrazia terriera e nuova oligarchia della città in espansione. Nello stesso 1233 Barisone III aveva rinnovato la convenzione col comune di Genova, già stipulata a suo tempo dal padre Mariano II e dal nonno Comita II (Codex Diplomaticus Sardiniae, 1861, doc. 52, pp. 343-345), ma l'anno seguente aveva esiliato gli oppositori sassaresi, confiscandone i beni (come risulta da una richiesta di annullamento del provvedimento e di perdono, da fare con publicum instrumentum munito di sigillo del giudice, inoltrata con la mediazione di Manuele e Percivalle Doria, a Genova, dove gli esuli ‒ non casualmente ‒ si erano rifugiati; Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana, 1901, p. XIX; Ferretto, 1906-1907, fasc. I, doc. V, p. 120). La linea dura colpì anche i beni della Chiesa e il papa Gregorio IX non mancò di lamentarsene (Codice diplomatico delle relazioni tra la Santa Sede e la Sardegna, 1940, doc. 104, pp. 69-70). Questo è però, in verità, un segno dell'estrema mancanza di liquidità da parte del giudice. È possibile che in quei mesi frenetici vi sia stato un riavvicinamento a Pisa, favorito dal fatto che la sorella maggiore del giudice era sposata ‒ dal 1219 ‒ col nobile pisano Ubaldo Visconti, diventato nel 1232 giudice di Gallura. La riconciliazione dei fuorusciti fallì e si coagulò un blocco anti-Barisone, formato dall'oligarchia sassarese, dalle famiglie Doria e Malaspina e dalla repubblica genovese stessa.

Nel 1235 si scatenò una rivolta a Sassari ‒ città dove Barisone risiedeva ‒, durante la quale il giudice quindicenne fu ucciso ("Iudex Sardiniae Baresonas Mariani filius, puer quindecim annorum a suis crudeliter occisus est"; Chronica Alberici, 1874, p. 937) fatto a pezzi e dato in pasto "brutis animalibus" (Dessì, 1905, doc. IV, pp. 47-48). Si è parlato di regicidio legalizzato (Casula, 1992, pp. 136, 171, 567), ma la procedura e il diritto su cui sarebbe basato non sono stati ancora chiariti fino in fondo. Sassari era diventata un comune indipendente dal resto del giudicato. Per la successione alla carica di judike, il titolo passava ad Adelasia, sorella maggiore di Barisone. Ma le donne, come sopra accennato, erano ‒ secondo il diritto consuetudinario giudicale ‒ portatrici di titolo che però veniva trasmesso al marito, se sposate, o al primogenito maschio se avevano prole. Adelasia non aveva figli e suo marito Ubaldo Visconti assunse il titolo di Iudex Turrium et Gallurae, riunendo in sé i due Regni. La situazione si placò momentaneamente, anche se l'indipendenza di Sassari dovette essere accettata come fatto compiuto.

Infatti quando, nel 1236, Adelasia cercò di prendere possesso di Sassari, ciò le venne impedito da circa ottocento uomini armati del comune, dei Doria, degli Spinola, dei Malaspina (Dessì, 1905, doc. III, p. 46). Tra l'altro, la sovranità di Ubaldo Visconti, la cui casata era pisana, non doveva essere ben accetta perché nel giudicato di Torres avrebbe potuto riprendere forza la stessa Pisa. Ma al principio del 1238 accadde un altro imprevisto: all'età di trent'anni Ubaldo moriva. Nel suo testamento redatto vicino a Sassari, "in curia sancti Petri de Silchi", nel gennaio 1238, lasciava il Regno di Gallura al nipote Giovanni, poiché non aveva eredi diretti (Casini, 1913, pp. 135-136). Tale mancanza di eredi diretti fece sì che la nobiltà turritana ritenesse la giudicessa Adelasia portatrice di titolo più diretta ‒ nella discendenza dei titoli ‒ del nipote. D'altronde in un documento del 1235 Adelasia aveva il titolo di "Regina Gallurensis et Turritana" (Dessì, 1905, doc. II, p. 42; Cristiani, 1962, p. 52 n. 92) e ciò poteva anche significare che era diventata portatrice di titolo per la Gallura, o almeno così fu interpretato.

Giovanni Visconti cercò da subito di far valere i suoi diritti e invase il giudicato di Gallura nel luglio 1238, invasione che venne respinta dal giudice d'Arborea Pietro, su istruzioni del legato papale Rolando, poiché il papa all'epoca teneva ancora sotto la sua protezione Adelasia (Codice diplomatico delle relazioni tra la Santa Sede e la Sardegna, 1940, doc. 147, pp. 93-94; Cristiani, 1962, p. 53 n. 99). In mezzo a questa 'tempesta' Adelasia era vedova e il giudicato senza un sovrano. Vista la precarietà e il pericolo verso cui andavano incontro le istituzioni giudicali turritane era urgente un nuovo matrimonio. Le opzioni erano varie e scegliere quella sbagliata poteva significare la fine del piccolo Regno. Gregorio IX, che considerava tutti i giudicati Patrimonium Sancti Petri, propose un uomo a lui fedele, Guelfo de' Porcari. Ma la nobiltà del Regno di Torres ‒ che dagli scritti di molti storici sembra solo una parte passiva ‒ aveva la necessità di un matrimonio che garantisse la sopravvivenza del giudicato. La scelta papale poteva essere perdente. Di fronte agli occhi di Adelasia e della nobiltà turritana c'erano i fatti del Regno di Càlari, dove la zia materna di Adelasia, Benedetta di Lacon-Massa, nonostante avesse affidato al papato la sua persona e il suo Regno, aveva comunque subito prima le pressioni e poi la fattuale invasione dei Visconti e di Pisa stessa, dal 1215 fino al 1231, e a nulla erano valse le censure papali e le scomuniche. Far sposare Adelasia con un membro delle famiglie genovesi sarebbe equivalso a consegnarsi a Genova. Farla sposare con un nobile pisano avrebbe minacciato gli interessi di Genova e di conseguenza riattizzato i contrasti e le rivolte interne. Si arrivò ad una soluzione di mediazione, proposta forse dagli stessi Doria (Anonimo del XIII secolo, 1993, p. 52) che agirono da mediatori. La persona scelta era Enzo, figlio naturale dell'imperatore Federico II.

Nel 1237 la vittoria di Cortenuova (v.) aveva ridato forza a Federico, che intravide nella proposta un duplice esito positivo: avere una sponda geografica che gli garantisse ulteriormente i collegamenti marittimi col Norditalia e, allo stesso tempo, estendere il suo disegno di instaurazione-restaurazione di una monarchia universale, monarchia di cui la Sardegna aveva fatto parte ("Imperator [scil. Fridericus] vero ipsam [scil. Sardiniam] ad imperium spectare ab antiquo asseruit et per occupationes et alia ardua negotia imperalia imperatores eam amisisse, et ipsum ideo ad corpus imperii revocasse. Ego vero iuravi, ait, ut iam novit mundus, dispersa imperii revocare"; Matteo Paris, 1874-1877, l. III, 527, ad a. 1239, cit. da Solmi, 1909, p. 294 n. 2). La questione dei diritti imperiali e di quelli papali sulla Sardegna è rimasta negli ultimi anni poco studiata nei dettagli (resta tuttora valido, anche se invecchiato, lo studio di Alfred Dove, De Sardinia insula, 1866; vedi anche Enrico Besta, La Sardegna medievale, 1908, pp. 35-38. Un passo avanti nello studio della costruzione teorica dei diritti papali, a partire da Innocenzo III, è stato fatto da Othmar Hageneder, Il sole e la luna, 2000).

Un'ambasciata imperiale si recò nel giudicato per avanzare la proposta di matrimonio. Di essa faceva sicuramente parte anche il notaro Giacomo da Lentini, che nell'occasione dedicò il sonetto Angelica figura ad Adelasia (Roncaglia, 1995, in partic. p. 54). Nell'ottobre del 1238 Enzo sposò Adelasia e prese il titolo di Iudex Turrium et Gallurae. Dal padre ebbe poi l'investitura di Rex Sardiniae. Erano passati appena dieci mesi dalla morte di Ubaldo Visconti. Con questa mossa, Federico II di fatto rompeva con Pisa, poiché andava a contrastare gli interessi di quella città nell'isola e acuiva maggiormente le tensioni già forti con Gregorio IX. Lo stesso Federico II avrebbe in seguito affermato che il motivo primario della scomunica del 1239 era il fatto che Gregorio avrebbe voluto far sposare Enzo con una delle sue nipoti (Kantorowicz, 19812, p. 468).

Non è facile dire cosa Enzo fece in Sardegna nel poco tempo che vi rimase. Se focalizziamo le scarse e scarne notizie a disposizione, possiamo sicuramente affermare che riprese possesso e piena giurisdizione nella città di Sassari, a scapito della nobiltà cittadina. Si ricordano alcuni documenti rogati "sub porticu domus regis Henrichi" (Petrucci, 1988, p. 54 n. 193) e da un documento più tardo (1305) risulta che requisì alcune abitazioni (ibid.). Tra esse una fu, in seguito, la sede suprema del governo cittadino (Cioppi, 1995, p. 33), ma forse lo era già nel momento in cui Enzo la requisì. Se l'ipotesi fosse confermabile, la requisizione avrebbe anche un simbolico valore di affermazione del proprio potere. Il doppio titolo di Iudex Turrium et Gallurae, sicuramente contestato nella stessa Gallura (che ruotava nell'orbita di Pisa), gli derivava probabilmente da una sofistica interpretazione del diritto consuetudinario da parte della corona delogu (l'assemblea dei nobili e dell'alto clero del Regno) del giudicato di Torres. Tuttavia non sembra che Enzo abbia cercato di esercitare un effettivo potere nel giudicato di Gallura, forse per non urtare troppo gli interessi di Pisa. È probabile però che gli eccessi di ribellione venissero puniti, come sembra di desumere da una condanna sentenziata da legati di Federico II in nome di Enzo e di sua moglie Adelasia ed emanata in contumacia verso alcuni esponenti della famiglia pisana Grassi, per la quale questi ultimi chiesero l'annullamento (Cristiani, 1962, p. 54 n. 101). Nonostante ciò, Enzo rassicurò gli altri giudici dell'isola sulle sue intenzioni di non far valere integralmente il titolo di Rex Sardiniae.

La controffensiva diplomatica di Gregorio IX all'avvenuto matrimonio non tardò: le pressioni su Genova riuscirono a staccarla dallo schieramento dell'imperatore e ‒ nel dicembre 1238 ‒ a farla avvicinare a Venezia. Poi, la domenica delle Palme del 1239, il papa scomunicò per la seconda volta Federico II. A questo punto la sponda sarda a poco poteva servire se non trovava uno sbocco portuale sulla terraferma. Federico II dovette riallacciare i rapporti con Pisa e dare anche prova della volontà di non contrastare la repubblica e le sue più importanti famiglie che avevano interessi nell'isola, i Visconti e i della Gherardesca (Braidi-Trombetti Budriesi, 2002, pp. 23-25). Così, nel luglio 1239, Enzo venne richiamato in Italia, anche perché la guerra di Federico II entrava in una congiuntura più impegnativa. Ma il 'sogno' di Federico di tenere in suo potere l'isola non venne accantonato, venne solo congelato in attesa di momenti migliori.

Lo dimostra la nomina, da parte di Enzo, di propri vicari. Uno dei primi fu un suo connazionale, Corrado Trinkis, di cui si conserva memoria in una scheda del Condaghe (registro del patrimonio fondiario) del monastero di Sardegna S. Pietro di Silki, "in corona de messer Conradu Trinchis, qui fuit vicariu prossu Regem inssu rennu de Locudore" ('nella corona di messer Corrado Trinkis, che fu vicario per il Re nel regno di Logudoro'; Il Condaghe, 1997, p. 294), databile, con approssimazione, a pochi anni dopo il 1240. Segno che comunque in alcune zone del giudicato di Torres o Logudoro, se non in tutte, i vicari di Enzo esercitavano un potere effettivo. Nel 1248 il 'partito' di Enzo e i suoi ufficiali scacciarono dalla sua sede il vescovo di Ploaghe (Codex Diplomaticus Sardiniae, 1861, doc. 80, p. 360). Altri vicari vennero nominati fino alla sua morte e fra loro, nel 1252, vi fu anche Ugolino conte della Gherardesca, di dantesca memoria. La volontà dell'imperatore di non chiudere l'affaire non è dimostrata solo da questo. Vennero inviate truppe e funzionari, più volte, per esercitare effettivamente il potere imperiale. Nel gennaio 1240 Federico II ordinò al funzionario addetto alla giustizia di Terra di Lavoro di ingiungere a Parisio Latro "fidelis noster" di recarsi immediatamente in Sardegna "ad servitia ipsius [scil. Hentii] […] sine mora" (Historia diplomatica, V, p. 674). A maggio dello stesso anno, sempre allo stesso justitiarius di Terra di Lavoro, ordinò l'invio in Sardegna di venti cavalieri, venti balestrieri e venti fanti "pro bono et pacifico statu regni Turrium et Gallure pertinentis H[entio] dilecto filio nostro", bene equipaggiati e con la paga anticipata di due mesi. I cavalli li avrebbero ricevuti in Sardegna, dal vicario (ibid., pp. 945-946). Il tutto non senza difficoltà, causate dai genovesi e dai Doria. Nel 1241 Ansaldo dei Mari (v.), dopo vari scontri nel Mar Ligure ‒ tipici di una guerra di corsa ‒ si diresse a Pisa "ubi male […] receptus fuit et visus". Successivamente si recò in Sardegna per verificare se poteva "ad terram reginee Sardinee munire". Fu scacciato ‒ forse perché era approdato, per la facilità della rotta, in Gallura, dove Enzo non aveva il controllo totale (Bartholomaeus Scriba, 1863, pp. 200-201). Nel giugno 1242 Berardo conte di Manuspello si trasferì in Sardegna, forse con l'incarico di vicario ("Mense Iunii [scil. 1242] […] Berardus comes Manuplelli iussu principis in Sardiniam vadit"; Riccardo di San Germano, 1866, p. 383). Adelasia e la nobiltà a lei fedele probabilmente compresero che non era più in gioco la sopravvivenza del giudicato, ma che il Regno di Logudoro era diventato un altro fronte della lotta fra papato e Impero. Così da due lettere di Innocenzo IV dell'ottobre 1243, indirizzate al priore di S. Maria di Budelli (isola dell'arcipelago della Maddalena), veniamo a sapere che coloro che avevano appoggiato, sia in Sardegna che in Corsica, Enzo, desideravano che gli fosse tolta la scomunica, e poiché non era per loro sicuro recarsi a Roma, il papa aveva incaricato il priore di S. Maria. Una lettera con la stessa data ci fa sapere che anche Adelasia aveva inviato una supplica, per sé e per gli altri che l'avevano seguita, affinché fosse tolta la scomunica. Innocenzo IV acconsentiva e dava mandato all'arcivescovo di Arborea (M.G.H., Epistolae saec. XIII, 1887, pp. 27-28, nrr. 34-35). Era il segnale che per Adelasia e i suoi la lotta era finita, che il giudicato di Torres stava per esaurire la sua forza.

Nel 1246, forse per opera di convincimento dello stesso Innocenzo IV, Adelasia chiese che il suo matrimonio con Enzo venisse sciolto per adulterio (ibid., p. 149, nr. 196). L'assoluzione dalla scomunica per tutti gli ex fautori di Enzo giunse nell'aprile 1247 (ibid., p. 248, nr. 331). Per Adelasia il riavvicinamento al papato significava conformarsi a ciò che lei stessa aveva già sottoscritto anni prima, nel 1237: il giudicato era parte del Patrimonium Sancti Petri e Adelasia lo reggeva come feudataria del papa. Di fatto si disinteressò di governare quello che rimaneva del Regno in suo potere, tant'è che nel giugno 1249, dopo che nel maggio Enzo era stato catturato dai bolognesi nella battaglia della Fossalta (v.), il papa nominò l'eletto di Torres come suo legato in tutta la Sardegna. Aver nominato proprio l'eletto alla sede di Torres aveva anche il significato di affiancare Adelasia nell'amministrazione. Tanto è vero che, nel 1252, sempre Innocenzo IV incaricava Stefano, arcivescovo di Torres, di "committendi terram et temporalem jurisdictionem judicatuum Turrium et Gallure personis idoneis ac devotis Ecclesie Romane" (Les registres d'Innocent IV, 1887, nr. 5959, p. 107), anche se poi non venne nominato nessuno (Scano, 1982, p. 109). Adelasia si disinteressava sempre più dell'amministrazione. La sua ultima menzione nei documenti è del 1255, quando papa Alessandro IV, dando comunicazione della nomina dell'arcivescovo di Cagliari quale suo legato, le riconosceva i diritti nominali su Torres e Gallura. Il fatto è che la stessa comunicazione era indirizzata anche a "Iohanni [scil. Vicecomiti] iudici Gallurensi" (ibid.). Una modalità giuridicamente equivoca e che denota ancora di più la 'nominalità' dei titoli della giudicessa. Nel 1263 Adelasia risulta già morta.

Non si conosce l'anno preciso della morte, ma solo il luogo, il castello di Goceano (presso l'attuale Burgos; Anonimo del XIII secolo, 1993, pp. 53-54), e il Regno, senza eredi diretti, passò sotto l'amministrazione ‒ in certi periodi effettiva, in altri solo nominale ‒ della Chiesa. Finiva così il giudicato di Torres, ma non il titolo di Rex Sardiniae, per il quale ancora molto si combatté (Sanna, 2001, p. 207 e ss.). Rimase l'idea imperiale che un Regnum Sardiniae potesse esistere, idea che fu poi paradossalmente mutuata dal papato, che concepì il Regno in un rapporto di sottomissione feudale alla S. Sede. Nel 1297 il Regnum Sardiniae et Corsicae fu infeudato, da papa Bonifacio VIII, a Giacomo II d'Aragona. La strada iniziata da un imperatore veniva conclusa da un papa.

Fonti e Bibl.: Historia diplomatica Friderici secundi, V-VI; Codex Diplomaticus Sardiniae, a cura di P. Tola, I, 1, Torino 1861; Bartholomaeus Scriba, Annales, in M.G.H., Scriptores, XVIII, a cura di G.H. Pertz, 1863; Riccardo di San Germano, Annales, ibid., XIX, a cura di G.H. Pertz, 1866; Chronica Alberici monachi Trium Fontium, ibid., XXIII, a cura di G.H. Pertz, 1874; Matteo Paris, Magna Cronica, a cura di H.R. Luard, London 1874-1877 (riprod. anast. Vaduz 1964); M.G.H., Epistolae saec. XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, II, a cura di C. Rodenberg, 1887; Les registres d'Innocent IV publiésou analysés d'après les manuscrits originaux du Vatican et de la Bibliothèque Nationale, a cura di É. Berger, I, Paris 1887; Les registres de Grégoire IX: recueil des bulles de ce pape publiéesou analysées d'après les manuscrits originaux du Vatican, I-II, 1227-1239, a cura di L. Auvray, ivi 1896; Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), a cura di A. Ferretto, I, Roma 1901; Il Condaghe di San Pietro di Silki. Testo logudorese inedito dei secoli XI-XIII, a cura di G. Bonazzi, Sassari 1901; A. Ferretto, Documenti intorno ai trovatori Percivalle e Simone Doria, "Studi Medievali", 2, vol. I, 1906-1907, fasc. I, pp. 113-234; fasc. II, pp. 274-302; Codice diplomatico delle relazioni tra la Santa Sede e la Sardegna, I, Da Innocenzo III a Bonifacio IX, a cura di D. Scano, Cagliari 1940; Libellus Judicum Turritanorum, a cura di A. Sanna-A. Boscolo, ivi 1957; Anonimo del XIII secolo, Cronaca medioevale sarda. I sovrani di Torres, a cura di A. Orunesu-V. Pusceddu, Quartu Sant'Elena 1993 (nuova edizione critica del Libellus Judicum Turritanorum); Il Condaghe di San Pietro di Silki. Testo logudorese inedito dei secoli XI-XIII, a cura di I. Delogu, Sassari 1997. A. Dove, De Sardinia insula contentioni inter pontifices romanos atque imperatores materiam praebenti, Berolini 1866; E. Besta, Appunti cronologici sul condaghe di San Pietro in Silchis, "Archivio Storico Sardo", 1, 1905, pp. 53-61; V. Dessì, Ricerche sull'origine dello stemma di Sassari e sugli stemmi dei giudicati sardi, Sassari 1905 (rist. a cura di A. Dessì, ivi 1979); E. Besta, La Sardegna medievale, I, Palermo 1908 (riprod. anast. Bologna s.a.); A. Solmi, Il sigillo del re Enzo, "Archivio Storico Sardo", 5, 1909, pp. 293-305; T. Casini, Scritti danteschi, Città di Castello 1913; D. Scano, Castello di Bonifacio e Logudoro nella prima metà del XIII secolo, "Archivio Storico Sardo", 20, 1936, pp. 13-49; A. Boscolo, La figura di re Enzo, "Annali della Facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero dell'Università di Cagliari", 17, 1950, pp. 146-189; Id., Michele Zanche nella storia e nella leggenda, "Studi Sardi", 10-11, 1950, pp. 337-388; E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli 1962; E. Cortese, Il problema della sovranità nel pensiero giuridico medievale, Roma 1966; E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano 19812; D. Scano, Ricordi di Sardegna nella 'Divina Commedia', con scritti di A. Boscolo-M. Brigaglia-G. Pistarino-M. Tangheroni, ivi 1982; F.C. Casula-L.L. Brook et al., Genealogie medioevali di Sardegna, Cagliari-Sassari 1984; A. Oliva, La successione dinastica femminile nei giudicati sardi, in P. Mameli et al., Miscellanea di studi medioevali sardo-catalani, Cagliari 1986, pp. 11-43; M. Tangheroni, Nascita ed affermazione di una città: Sassari dal XII al XIV secolo, in Gli statuti sassaresi. Economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell'Età Moderna, a cura di A. Mattone-M. Tangheroni, ivi 1986, pp. 45-63; S. Petrucci, Re in Sardegna, a Pisa cittadini, Bologna 1988; F.C. Casula, La storia di Sardegna, Pisa-Sassari 1992; A. Cioppi, Enzo re di Sardegna, Sassari 1995; A. Roncaglia, 'Angelica figura', "Cultura Neolatina", 1995, fascc. 1-2, pp. 41-65; O. Hageneder, Il sole e la luna. Papato, impero e regni nella teoria e nella prassi dei secoli XII e XIII, Milano 2000; M.G. Sanna, Enzo rex Sardinie, in Bologna, re Enzo e il suo mito, "Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna. Documenti e Studi", 30, 2001 (dagli Atti della giornata di studio, Bologna, 11 giugno 2000, a cura di A.I. Pini-A.L. Trombetti Budriesi), pp. 201-212; V. Braidi-A.L. Trombetti Budriesi, Il figlio dell'imperatore, in Bologna, re Enzo e il suo mito, a cura di A.L. Trombetti Budriesi-V. Braidi-R. Pini-F. Roversi Monaco, Bologna 2002, pp. 14-34; A.L. Trombetti Budriesi, Le ultime volontà del re. Il testamento, ibid., pp. 106-110.

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