RUSTICHELLO da Pisa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUSTICHELLO da Pisa

Fabrizio Cigni

RUSTICHELLO da Pisa. – Ne sono ignoti sia la data sia il luogo di nascita, e vi sono incertezze sullo stesso nome.

Per quanto riguarda il nome, Rusticiaus (de Pise), preceduto da maistre (= magister) è la forma riportata dal codice Fr. 1463 della Bibliothèque nationale de France di Parigi (contenente la Compilazione arturiana, nota anche con il titolo di Meliadus, iniziata negli anni 1270-74 circa) e sembra essere il corrispettivo di un nome diffuso in Italia, dove si nota una presenza di Rusticellus e Rustigellus, per esempio in Toscana, dove però sembra più – o esclusivamente – attestata la forma Rustikelli, Rustichello ecc. La forma Rustaciaus, preceduta stavolta da messire, compare un’unica volta in un codice del Devisement dou monde (del quale Rustichello è coautore con Marco Polo; l’opera è nota anche con il titolo di Milione, e fu iniziata nel 1298 nelle carceri genovesi): si tratta del ms. Fr. 1116 della Bibliothèque nationale de France di Parigi. Rustaciaus può esserne una trascrizione erronea, da correggere (Marco Polo..., a cura di L.F. Benedetto, 1928) in Rusticiaus sulla base del testo arturiano.

Rustikelli era inoltre il nome di famiglia di notai medievali provenienti da Vicopisano: l’esistenza di un documento del 1289, in cui si nomina in contumacia un Rustichello detto Chello, che occupava una dimora «ante quam esset in carcerem», farebbe pensare a un esponente della famiglia che poi fu anche pubblico giudice negli anni 1309-22 (Del Guerra, 1955, p. 21).

Un’ipotesi d’identificazione recente (Joris, 1994) propone di identificare il nostro con un «Rustike de societate Maççis», chierico contabile al servizio dell’imperatore Enrico VII all’epoca della sua discesa in Italia.

Ma questa traccia, oltre a essere generica, non rientra negli anni dell’attività letteraria di Rustichello, né lo aggancia a una delle due personalità legate allo scrittore. La restante tradizione delle due opere varia la forma del nome in modo condizionato a tratti lontano dall’antroponimia medievale: Rusticians e Rusticiens, forma che poi si fissa nella storia letteraria francese e nel tardo italiano Rusticiano, Rustico, Ristazo, Rustaccio, Reustregielo e Rustichelum latino (memore forse della vera forma dei documenti), fino a vere e proprie invenzioni come Rusta Pisan (Benedetto, 1953). Singolare anche il ‘ritratto’ a figura intera (un maistre seduto su uno sgabello) che il manoscritto Fr. 1463 inserisce prima dell’inizio del testo, e al quale rimanda un’insolita precisazione nel prologo (li quelz est imaginés desovre) che non ha precedenti nella tradizione arturiana in prosa.

La fama del pisano dunque, potrebbe essersi riverberata dalla sua collaborazione con Marco Polo su una copia del suo romanzo arturiano, e l’ordine cronologico delle due opere sarebbe da ribaltare. Tale suggestiva ipotesi (Trachsler, 2007) viene tuttavia contrastata da una serie di fattori di ordine storico e linguistico-stilistico, anche se non si può negare, allo stato attuale delle conoscenze, la possibilità di più opere avviate e mai veramente concluse (come di fatto sono) da Rustichello nel carcere genovese. L’indicazione esplicita «da Pisa» farebbe supporre invece almeno l’inizio di un’attività letteraria comunque in un luogo lontano dalla città natale: Acri, o Genova.

Alcune coordinate cronologiche a proposito dell’attività di Rustichello, in mancanza di una documentazione che ne accerti l’effettiva consistenza biografica, si ricavano da quanto egli stesso riferisce a proposito dei due personaggi storici da lui menzionati, il re Edoardo I d’Inghilterra (1274-1307) e Marco Polo, rispettivamente nella compilazione arturiana e nel Milione.

A proposito di re Edoardo, Rustichello dichiara di aver «tradotto le sue storie ai tempi in cui egli era passato oltremare per conquistare il santo Sepolcro» (Il romanzo arturiano..., a cura di F. Cigni, 1994, par. 1) da un suo libro. La partecipazione di Edoardo d’Inghilterra alla crociata indetta da Luigi IX il Santo avvenne fra gli anni Sessanta e Settanta, anni cruciali per il predominio commerciale dei pisani e dei genovesi nel Mediterraneo.

La passione del principe (divenuto re nel 1274) per l’arturianismo è del resto nota (Loomis, 1953): una prima manifestazione è la stessa dedica che Mastre Richart appose a una traduzione in francese del De re militari di Vegezio effettuata ad Acri. Anche la moglie Eleonora di Castiglia fu coinvolta in committenze e dediche letterarie: la più nota è quella dell’Escanor di Girart d’Amiens (1280 ca.).

Quello di ‘compilazione arturiana’ è un titolo moderno promosso da Eilhart Löseth (1891, passim), che designa un’opera dove variamente è impiegato in senso tecnico-romanzesco il verbo compiler, «mettere insieme attingendo a varie fonti simili tra loro, per creare qualcosa di nuovo», secondo una tecnica improntata alla brevitas e alla maneggevolezza. Essa nasce strettamente a ridosso della prima diffusione del romanzo arturiano in prosa fuori di Francia e dell’adozione del francese letterario da parte di autori italiani (si ricordano i casi di Daniel Deloc da Cremona, Brunetto Latini, Martino da Canal).

Dopo il prologo, che si apre con un invito all’ascolto rivolto a un amplissimo pubblico e che verrà ripreso con quasi identico schema espositivo da Rustichello nel «libro delle meraviglie del mondo», la Compilazione inizia con il celebre episodio dell’arrivo a corte in incognito del Vecchio Cavaliere Branor li Brun, che sfida i presenti e lo stesso re Artù impartendo una lezione esemplare sulla superiorità del valore degli ‘antichi’ sui ‘nuovi’. Segue un’antologia di materia ‘tristaniana’, che include però anche una rielaborazione dell’episodio della sottomissione di Galehout ad Artù ispirato alla Vulgata, fino a un punto di biforcazione dopo la quale il manoscritto Fr. 1463 inserisce la fine del Roman de Tristan in prosa, e che lascia pensare a un lavoro incompiuto o piuttosto aperto (la questione è riassunta in Cigni, 2014). Per quanto concerne le differenze con i modelli, non si può negare che la Compilazione esalti maggiormente il valore cristiano delle imprese dei cavalieri, anche attraverso la puntuale osservanza delle funzioni religiose da parte dei cavalieri, dell’ospitalità presso i conventi, della preghiera rivolta a Dio e alla Vergine (Lathuillère, 1966). L’enfasi data a questi dettagli, certamente non nuovi ma qui preponderanti rispetto ad altri topoi narrativi ridotti all’essenziale, potrebbe essere legata all’Ordine dei domenicani, così presente nella realizzazione di molti manoscritti realizzati a Genova (Gousset, 1988). Parimenti, lo spazio accordato al momento militare-guerresco delle avventure sembra ricondurre al gradimento di un ambiente crociato.

È tuttavia importante osservare che Rustichello si avvale di un frasario la cui codificazione appare concentrata soprattutto nel duello singolare, attraverso stilemi che si ripetono sempre uguali da episodio a episodio, tanto da ipotizzare l’esistenza di più compilazioni rustichelliane realizzate all’interno dell’atelier pisano-genovese (Lagomarsini, 2012). Più problematico resta il rapporto col ciclo di Guiron le Courtois che, eccetto l’episodio di Branor, non compare nella redazione ‘antica’ del manoscritto Fr. 1463, mentre tende a presentarsi nella tradizione più tarda dell’opera, recante anche una sorta di ultima parte, conclusa da un epilogo dalla critica ritenuto spurio, in cui effettivamente Rustichello (o chi per lui) dichiara di aver effettuato il lavoro su richiesta del re Edoardo e di volerlo intitolare Meliadus (Les aventures des Bruns..., a cura di C. Lagomarsini, 2014).

Quanto all’incontro di Rustichello con Marco Polo, la detenzione di veneziani nel carcere genovese è probabilmente conseguente alla sconfitta di qualche battaglia navale di quegli anni, e quella dell’isola di Curzola (settembre 1298) rimane la più probabile. Ma Rustichello era verosimilmente, a quell’epoca, già da 14 anni incarcerato nella città ligure. Un evento sicuramente determinante per la sua vita era stato infatti la battaglia della Meloria, combattuta il 6 agosto 1284 al largo delle acque antistanti il porto pisano.

Questo non fu certo l’unico episodio che segnò la rivalità tra Pisa e Genova, causata sia dai contrasti nelle colonie di Acri (1282) sia dalla lotta per il predominio sulla Sardegna, né l’unica occasione che portò alla cattività di esponenti delle classi più illustri e potenti. Tuttavia fu sconvolgente per violenza, peso della sconfitta e dell’umiliazione subite, numero dei prigionieri segregati a Genova, molti dei quali lasciati lì a morire, e risonanza nella memoria storica della città. La prigionia dei circa novemila pisani si concluse definitivamente nell’estate del 1299, e fu contrassegnata da trattative (1288) e scambi di individui affidati a famiglie dell’una e dell’altra città (un destino che toccò per esempio a Bindo Guascappa, al servizio come copista della famiglia Spinola negli anni 1296-98). Questo può spiegare anche una vita culturale dei prigionieri, in particolare dei notai o mercanti che potevano conoscere il francese e il latino.

Pochi dubbi restano che Rustichello fosse uno dei prigionieri del 1284, e del resto altri casi meno eclatanti di prigionieri-scrittori sono stati nel tempo raccolti dagli studiosi.

Paul Meyer segnala nel manoscritto n. 886 della Bibliothèque municipale di Lione (Vite di Santi in francese) un colophon anonimo di prigioniero, e nel manoscritto n. 43 della Biblioteca Cateriniana di Pisa (trattati francesi e latini) l’explicit Taddeus me scripsit in carcere Ianuentium, con data 1288. A questi ne vanno aggiunti almeno due: un Bondìe ‘testario’ (dunque notaio), traduttore pisano in carcere a Genova del Trésor di Brunetto Latini (manoscritto Plut. XLII, 23 della Biblioteca Laurenziana di Firenze), e Nerius Sanpantis, pisanus carceratus Ianue, trascrittore della Legenda Aurea (manoscritto M 76 Sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano). Degna di nota anche una sottoscrizione anonima di traduttore prigioniero dal latino al francese in un manoscritto (Fr. 1142 della Bibliothèque nationale de France di Parigi) contenente i trattati di Albertano da Brescia. Ulteriore conferma giunge poi da numerose note per il miniatore rinvenute nei margini dei manoscritti cavallereschi attribuiti dalla critica prima a Napoli e successivamente a Genova (Degenhart - Schmitt, 1977; Avril - Gousset - Rabel, 1984; Gousset, 1988), che rivelano indubbi tratti pisani (Benedetti, 1990).

La chiusa del capitoletto esordiale del Milione dice chiaramente che Marco Polo «demorant en le chartre de Jene, fist retraire toutes cestes chouses à messire Rustaciens de Pise, qui en celle meisme chartre estoit», in data 1298. È curioso tuttavia constatare che se nella tradizione arturiana a questo autore si tende ad attribuire più materiale di quanto effettivamente egli abbia scritto, all’opposto la grandezza del veneziano Marco tende a oscurare se non a eclissare la figura del pisano.

La questione testuale del Milione è resa del resto molto complessa sia dallo status linguistico della versione originaria, dove interagiscono componenti di diversa provenienza (francese, veneziano, pisano e idiomi orientali), sia dal repentino successo di traduzioni-adattamenti in toscano (ed. Bertolucci Pizzorusso, 1975), veneto-emiliano, latino (ed. Barbieri, 1998) e in francese corretto (ed. Ménard, 2001-2009), che possono arricchire il materiale, offrire una veste linguistica più accettabile, ma pongono spesso anche un problema di autenticità. Altrettanto problematico il confronto di contenuto (specie nell’ultima parte della narrazione, che nel manoscritto Fr. 1116 sembra rimanere in sospeso) con la versione latina Z (Barbieri, 2004).

In ogni modo, il testo del manoscritto Fr. 1116 rimane per il momento quello che meglio riflette la collaborazione di Rustichello attraverso l’impiego delle formule narrative di trapasso e di ripresa, delle descrizioni delle battaglie, e che più conserva quell’effetto di immediatezza che ben si attaglia al gioco delle voci narranti e del confronto con il diverso (Bertolucci Pizzorusso, 1977; Gaunt, 2013). Indagini recenti mirano inoltre a valorizzare la componente toscana nord-occidentale della copia in questione, e a precisare il ruolo di nuovi frammenti (Andreose - Concina, 2016), che arricchiscono il fugace ed esiguo momento franco-italiano della tradizione. Senza contare che ad ambienti simili possono rimandare altri manoscritti di origine italiana, come il Fr. 12599 di Parigi (Limentani, 1962), che per stile e lingua risulta simile ai testi di Rustichello. Questa predilezione per soluzioni più semplificate, impostate sul sunto e su situazioni topiche (quando non stereotipate), poté convogliare anche generi diversi dal romanzo, come il trattato enciclopedico, e dare una forma e una lingua a un’esperienza personale eccezionale come quella di Marco Polo.

Nulla è noto di Rustichello dopo il 1298, e si ignora la data della sua morte.

Fonti e Bibl.: E. Löseth, Le Roman en prose de Tristan, le Roman de Palamède et la Compilation de Rusticien de Pise. Analyse critique d’après les manuscrits de Paris, Paris 1891 (rist. New York 1970); Marco Polo, Il Milione. Prima edizione integrale, a cura di L.F. Benedetto sotto il patronato della città di Venezia, Firenze 1928 (rist. a cura di G. Ronchi, con introduzione di C. Segre, Milano 1982); Milione: versione toscana del Trecento, a cura di V. Bertolucci Pizzorusso, con indice ragionato di G.R. Cardona, Milano 1975; Marco Polo, Milione. Redazione latina del manoscritto Z, a cura di A. Barbieri, Parma 1998; Il romanzo arturiano di R. da Pisa, edizione critica, traduzione e commento a cura di F. Cigni, premessa di V. Bertolucci Pizzorusso, Pisa 1994; Marco Polo, Il «Milione» veneto, ms. CM 211 della Biblioteca civica di Padova, a cura di A. Barbieri - A. Andreose - M. Mauro, Venezia 1999; Marco Polo. Le Devisement du monde, ed. diretta da Ph. Ménard, I-VI, Genève 2001-2009; M. Eusebi, Il manoscritto della Bibliothèque nationale de France Fr. 1116, Testo, I, Roma-Padova 2010; Les aventures des Bruns. Compilazione guironiana del secolo XIII attribuibile a R. da Pisa, a cura di C. Lagomarsini, Firenze 2014.

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