RUGGIERO II re di Sicilia

Enciclopedia Italiana (1936)

RUGGIERO II re di Sicilia

Ernesto Pontieri

Figlio del precedente; perduto, a sei anni, il padre, crebbe sotto la reggenza della madre Adelaide, fin quando questa non sposò, nel 1113, Baldovino di Fiandra, re di Gerusalemme. Tra i patti di quell'infausto connubio egli volle contemplarvi che a lui dovesse toccare la corona gerosolimitana ove mai la madre, attempata, restasse sterile: primissimo indizio di quali ambizioni si nutrisse l'animo suo, nato per dominare. In esso un certo spirito d'avventura, che, ereditato dai Normanni della generazione a lui anteriore, lo rendeva intraprendente e audace, ben si disposava al vivo senso realistico e alla non comune perspicacia nel calcolo delle possibilità e nella visione lucida delle situazioni politiche. E il colore dell'avventura porta la sua prima impresa contro Mehdia (al-Mahdiyyah), nella quale si cimentava, nel 1123, la flotta siciliana, oggetto, come l'esercito, di sue premurose cure. La spedizione miseramente fallisce; ma ciò non fa recedere R. dai suoi progetti africani, parte integrante di quel grandioso disegno politico che voleva fare della Sicilia il centro d'un potente stato mediterraneo. L'impresa viene soltanto rimandata, anche perché l'attenzione di R. è urgentemente richiamata dalle vicende del limitrofo ducato di Puglia.

La crisi da cui questo era stato travagliato fin dal tempo del duca Ruggiero, s'era perpetuata col figlio e successore di lui, Guglielmo. Frattanto il vassallaggio inconsideratamente accordato a signori calabresi ribelli al gran conte Ruggiero durante la di lui minorità, come ai primi doveva costare l'inevitabile confisca dei feudi, così al secondo la rinuncia a ogni diritto sulla Calabria. Più tardi, morto Guglielmo senza eredi (28 luglio 1127), il conte di Sicilia accampava diritti di successione al ducato di Puglia, mostrandosi pronto a farli valere non solo per la promessa che gliene avrebbe fatto il defunto duca, ma soprattutto con le armi, che il sogno di marciare all'unificazione dell'Italia meridionale gli aveva fatto già affilare. Un mese dopo, indotti i Salernitani a cedergli la città, capitale del ducato, vi entrava e vi si faceva incoronare duca.

L'equilibrio meridionale che il papato aveva fin lì creduto di conservare fra i diversi stati normanni era così rotto. Onorio II intervenne e raccolse in una vasta lega città e conti ribelli al nuovo duca; vi si aggiunse anche il principe di Capua, Roberto II, successo allora al padre Giordano II. Ma la forza delle armi di R. prevalse dapprima in Calabria e nella Lucania, poi a Benevento sul papa, che fu costretto a investirlo del ducato il 23 agosto 1128, poi, ancora una volta, sui ribelli in Puglia l'anno successivo. Non gli restava che accingersi alla pacificazione dello stato: le sue intenzioni, ferme e prudenti, manifestò ai grandi vassalli, convocati a Melfi nel settembre 1129.

Quand'ecco, alla morte di Onorio II, lo scisma. R. non sentì scrupolo di schierarsi, contro Innocenzo II, per l'antipapa Anacleto II, che, della famiglia romana dei Pierleoni, sua amica, gli aveva chiesto aiuti. Le trattative di alleanza portarono alla bolla sottoscritta ad Avellino il 27 settembre 1130, mediante la quale R. era investito della corona regia di Sicilia, Calabria, Puglia, del principato di Capua, "onore" di Napoli e "difesa" di Benevento, con l'obbligo di pagare ogni anno 600 schifati alla S. Sede e di prestarle omaggio e fedeltà. All'investitura pontificia si aggiungeva l'acclamazione dei potenti delle sue terre, che, convocati a Salerno, sanciscono la regia promotio del loro principe. Il quale, cingendo col più fastoso cerimoniale, nel duomo di Palermo, nel Natale dello stesso anno, la corona del nuovo regno, vedeva così avverarsi l'ardente sua aspirazione.

Sennonché codesto regno era tutto da conquistare. Innocenzo II, Lotario di Supplimburgo, imperatore d'Occidente, Giovanni Comneno, imperatore d'Oriente, il re di Francia, Pisa, Venezia, danneggiata nei suoi commerci dai navigli siciliani e preoccupata dalla nuova potenza che si affacciava nell'Adriatico, si strinsero in lega, a cui la rovente parola di S. Bernardo da Chiaravalle dava il colore d'una crociata contro un usurpatore. Né meno grave la situazione interna: conti e città in perpetua ribellione, invoglianti e invogliati alle ostilità; in capo a tutto il principe di Capua, che procurò l'intervento pisano e sollecitò la discesa d'un esercito tedesco nel regno. E nove anni durarono guerra e anarchia, non senza momenti davvero tenebrosi per il re normanno. Ma la fede, il valore e soprattutto il talento diplomatico di lui finirono col trionfare sulle insidie e le coalizioni dei varî nemici. Nel 1139 si riproduceva la stessa situazione del 1127. Morto l'anno innanzi Anacleto II, fallita la spedizione pisana, ripartitosene senza successi Lotario, a R. non restava che volgersi contro Innocenzo II, il più vigoroso nemico. Sconfittolo il 22 luglio 1139 presso Galluccio sul Garigliano, si riconciliava tre giorni dopo con lui a Mignano e ne veniva riconosciuto re. Frattanto gli eserciti normanni s'erano inoltrati nella Marsica e nell'Abruzzo fino al Tronto; Roberto di Capua abbandonava il suo principato, il quale, connesso col vecchio ducato di Napoli, passava in dominio di R., divenendo il Garigliano l'altro confine con lo stato pontificio. Insomma, il regno di Sicilia, entro i confini che, presso che inalterati, conservò nei sette secoli della sua esistenza, era formato. Non minore valentia il fondatore di esso dimostrò nella complessa opera organizzatrice, cui pose subito mano.

Già questo regno, vero ponte nel Mediterraneo tra l'Occidente e l'Oriente, esuberante di vita, cupido di ricchezze, sentì lo stimolo all'espansione verso l'Oriente e l'Africa settentrionale musulmana, mete già presenti alla coscienza del Guiscardo, di Ruggiero I, dello stesso R. Le condizioni politiche, abilmente sfruttate, dell'impero bizantino e degli stati costieri dell'Africa settentrionale, agevolarono i piani del re normanno; ne fu intelligente interprete ed esecutore l'ammiraglio Giorgio d'Antiochia, l'organizzatore della flotta siciliana. L'isola di Gerba, preziosa base d'operazione per le ulteriori campagne africane, è conquistata nel 1135; Tripoli, tentata nel 1142, cade nel 1146; poi vien la volta di Mehdia, di Susa, di Sfax, di Gabes; nel 1148 il dominio normanno in Africa va da Tripoli al Capo Bon e, nell'interno, tocca il deserto di Barca da un lato Kaīrouan (al-Qairawān) dall'altro. Non meno fortunate le spedizioni contro i Bizantini, in cui difesa si trovarono Corrado III, imperatore germanico e i Veneziani: Corfù è conquistata nel 1147, si penetra nel golfo di Corinto, si sfida la stessa Costantinopoli e come questa rinunzia a ogni fantasia di rivendicazione dei perduti territorî nell'Italia meridionale, così l'avanzata dell'Islām trova un valido baluardo nel giovane regno di Sicilia.

Tale ardita politica mediterranea sta anche in funzione della vigoria che R. seppe infondere nel suo stato. Feudale ne è l'organismo costituzionale; ma il diritto romano, ond'è stato fortemente influenzato il codice rogeriano, le Assise, promulgate nell'assemblea di Ariano, ha dato altresì modo, insieme con la legislazione bizantina, di creare un potere regio robusto e accentratore. Una celebre tavola musiva della chiesa della Martorana a Palermo raffigura R. in atto di ricevere, diritto nella maestosa persona, rivestito dello sfarzoso paludamento d'imperatore bizantino e della ricca stola di legato apostolico, il diadema reale, per "divina dispositio", dallo stesso Cristo Pantocratore, che s'erge in piedi dinnanzi a lui: in ciò, la rappresentazione plastica del concetto che il primo monarca siciliano aveva della potestà regia. E di qui i suoi conflitti can la curia romana, volendo R. dare, in materia ecclesiastica, la più larga estensione alle prerogative derivantegli dall'apostolica legazia in Sicilia.

Questa sua stessa autorità è vigile e presente in tutti i settori della vita e dell'attività statale, attraverso un sistema di funzioni e di uffici che avvincono le provincie alla capitale sia nel campo amministrativo sia in quello finanziario. All'apice di tutto il sistema burocratico, la Curia regis, o Magna curia, coi suoi varî dicasteri: la Cancelleria, il Tesoro e la Corte dei Conti (le due dohane dall'arabo dīwān). Influenza araba negli uffici finanziarî, romano-bizantina in quelli di carattere politico-amministrativo, franco-normanna in materia feudale: gli è che R., in virtù di quell'intelligente eclettismo innato nei Normanni, come, negli ordinamenti del nuovo regno, mise a profitto quanto di buono trovava nelle preesistenti organizzazioni statali del mezzogiorno d'Italia, così, nella pratica, chiamò a collaborare con lui le peculiari competenze che scorgeva nelle varie stirpi, senza distinzione né di confessioni religiose, di lingue e di costumi, né di vinti e vincitori. Un eclettismo, insomma, che ben si armonizzava con lo spirito d'illuminata tolleranza che rifulse in R. e che, avviando all'amalgamazione etnica e morale, favorì la rinascita del paese.

Doti eccezionali R. ebbe nel seguirne il risveglio delle energie, nel promuoverne la ricchezza, nell'avvincere alla sua persona tutta la vita di esso, sì che, come con la legge del 1144, De resignandis privilegiis, volle che lo stato fosse scrupolosamente edotto del suo patrimonio feudalmente alienato, e si ebbe così il famoso catasto (defetarii), uno dei monumenti amministrativi più insigni del regno di R., oggi purtroppo in gran parte perduto - così egli affidò al geografo Edrisi (al-Idrīsī) il difficile compito di descrivergli esattamente le condizioni del regno e di tutto l'orbe allora conosciuto.

Mecenate delle arti, delle scienze, delle lettere, R. sentì il fascino della bellezza, si circondò d'una magnificenza quasi orientale, volle gustare le gioie della vita; e i poeti e gli artisti lo celebrarono con entusiasmo. Ancora oggi i mirabili monumenti di Palermo, quali la cappella palatina, il castello della Favara, la chiesa della Martorana, ovvero il duomo di Cefalù, rendono eloquente testimonianza e onore, coi loro inarrivabili musaici, alla grandezza politica di questo costruttore d'un regno, che precorse da lontano lo stato moderno. Un'arca di porfido nel duomo di Palermo, ov'egli moriva, a cinquantanove anni, il 26 febbraio 1154, serba i resti di R.

Bibl.: Delle fonti contemporanee cfr. le Cronache di Romualdo Salernitano (ed. C.A. Garufi nella ristampa dei Rer. Ital. Script. del Muratori, VII, p. i), dell'Abate Telesino e di Falcone Beneventano (nella Raccolta di G. Del Re, I). Per la bibliografia v. oltre alle note opere dell'Amari (vol. III, Firenze 1872) e dello Chalandon (Pavia 1907), E. Caspar, Roger II. (1101-1154) und die Gründung der normannisch-sicilischen Monarchie, Innsbruck 1904; Il Regno normanno (scritti di E. Pontieri, P.S. Leicht, E. Beta, A. Solmi, G. M. Monti, A. De Stefano, F. Valenti per l'VIII° centenario dell'incoronazione di Ruggiero a re di Sicilia), Messina-Milano 1932; C.A. Garufi, R. II e la fondazione della monarchia in Sicilia, in Arch. stor. sic., LII (1931); W. Cohn, Die Geschichte der sizilischen Flotte unter der Regierung Rogers I. und Rogers II. (1060-1154), Breslavia 1910; id., Das Zeitalter der Normannen in Sizilien, Bonn e Lipsia 1920; E. Jamison, The Norman Administration of Apulia and Capua, more especially under Roger II and William I (1127-66), ecc., Roma 1913; E. Besta, Il diritto pubblico nell'Italia meridionale dai Normanni agli Aragonesi, Padova 1929; F. Cerone, L'opera politica militare di R. II in Africa e in Oriente, Napoli 1933.