FEBBRAIO, Rivoluzione di

Enciclopedia Italiana (1932)

FEBBRAIO, Rivoluzione di

Pietro SILVA

S'intende con questo nome la rivoluzione che, nel febbraio 1848, rovesciò in Francia la dinastia degli Orléans e proclamò la seconda repubblica. Fu la prima rivoluzione socialista nel senso moderno della parola ed ebbe ripercussione immensa in tutta Europa, specialmente in Italia.

Scoppiò a Parigi il 24 febbraio 1848, determinando la caduta della monarchia di luglio e l'inizio d'una serie di convulsioni politiche e sociali che dalla Francia si propagarono oltre le Alpi e oltre il Reno, agitando l'Italia e gran parte dell'Europa centrale. Causa ultima dello scoppio rivoluzionario fu l'irriducibile opposizione che il governo conservatore di Luigi Filippo, guidato da F. Guizot, manteneva contro l'agitazione per la riforma elettorale, a base di abbassamento del censo e di conseguente allargamento del corpo degli elettori, sostenuta dalla borghesia liberale. Ma in realtà altre cause profonde avevano preparato l'ambiente all'esplosione del movimento e minato alle basi il regime sorto dalla rivoluzione del luglio 1830. Luigi Filippo, specialmente nel periodo successivo al 1840, aveva orientato l'indirizzo di governo in senso decisamente conservatore, sia in politica interna sia in politica estera, mirando ad accaparrarsi il favore e l'appoggio delle correnti conservatrici. Ma il tentativo non era riuscito, perché quelle correnti erano rimaste nella loro grande maggioranza fedeli alla dinastia legittima di Carlo X. L'orientamento verso destra, mentre non procurava nuovi appoggi al regime orleanista, gli faceva perdere la simpatia delle correnti monarchiche di sinistra; e intanto altre forze di opposizione si formavano accanto alle vecchie, sempre in armi. Era in sviluppo un movimento socialista, che trovava seguito in gruppi d'intellettuali e nelle masse operaie crescenti per l'incremento delle grandi industrie, e sosteneva una migliore organizzazione del lavoro e l'abolizione delle ineguaglianze sociali. Si sviluppava anche un notevole movimento cattolico-liberale, che prendeva nettamente posizione contro l'indirizzo conservatore. E i bonapartisti non abbandonavano le loro rivendicazioni, come non le abbandonavano i repubblicani, mentre i legittimisti guardavano verso gli esuli Borboni del ramo primogenito.

In questa situazione la campagna per la riforma elettorale, condotta con intenso ardore dai capi dell'opposizione monarchica di sinistra, costituì il mezzo per l'azione a fondo contro il governo personale del re e contro la politica autoritaria del Guizot. La campagna per la riforma elettorale, vana entro le mura del parlamento dove la maggioranza governativa rimaneva incrollabile, venne intensamente esplicata nel paese, secondo l'esempio inglese, fra il 1816 e il 1830, con manifestazioni pubbliche sempre più imponenti e clamorose (banchetti per la riforma), cui aderivano anche le altre forze di opposizione, pronte ad associarsi ad ogni azione che potesse indebolire il governo. All'inizio del 1848, la campagna per la riforma elettorale divenne più ardente che mai; la guardia nazionale, che rappresentava la massa della media borghesia, dimostrava con l'atteggiamento passivo di fronte alle manifestazioni pubbliche il proprio favore per la campagna dell'opposizione; il Guizot, logoro dopo quasi otto anni di esercizio ininterrotto del potere, si trovava circondato e come sommerso da una sempre più vasta impopolarità. La crisi si delineò il 21 febbraio, quando il governo volle proibire una grande manifestazione per la riforma. La manifestazione, proibita il giorno 21, si fece il 22 e si risolse in un'enorme adunata, soprattutto di operai e di studenti, riversatasi nel centro di Parigi davanti alle Tuileries ad acclamare la riforma. Il successo della manifestazione, che il governo non riuscì a sciogliere, diede agli oppositori il senso della propria forza e li incoraggiò a riprendere il giorno successivo l'azione per abbattere il governo coi movimenti di piazza. Infatti, il mattino del 23 la sommossa cominciò nei quartieri operai dell'est di Parigi, e si allargò rapidamente verso i quartieri occidentali, senza che la guardia nazionale, chiamata alle armi dal governo, mostrasse volontà di reprimerla. L'atteggiamento della guardia nazionale aprì gli occhi al re che cercò, la sera del 23, di salvare la dinastia licenziando il Guizot, e annunciando la formazione di un ministero presieduto da L.-M. Molé, favorevole alla riforma. Ma era troppo tardi. Gli elementi repubblicani, fortissimi a Parigi, decisero di trasformare il movimento a favore della riforma in un movimento a favore della repubblica, e a tale fine poterono profittare di un incidente avvenuto la sera stessa del 23, durante una dimostrazione davanti al Ministero degli esteri, dove risiedeva il Guizot: la fucileria che i soldati messi a guardia del ministero fecero contro i dimostranti, uccidendone parecchi. Il massacro diede ai repubblicani il motivo per sommuovere, nella notte stessa tra il 23 e il 24, le masse popolari: i quartieri orientali si coprirono di barricate e di armati, che la mattina del 24 iniziarono l'azione, non più al grido di "viva la riforma", ma a quello di "Viva la repubblica".

A fronteggiare la rivolta cercò di provvedere il nuovo ministero, che la mattina stessa del 24, dopo il fallimento del tentativo fatto dal conte Molé, era stato costituito con alla testa gli uomini più rappresentativi della sinistra monarchica: A. Thiers e O. Barrot. Ma né l'annunzio di questo nuovo governo, che si presentava con carattere spiccatamente riformatore e progressista, né l'azione delle forze regolari, messe sotto il comando del gen. Bugeaud, eroe della guerra algerina, valsero ad arrestare il movimento delle masse repubblicane. Queste, infatti, s'impadronivano del Palais Royal e delle stesse Tuileries, mentre gli uomini della guardia nazionale rimanevano inerti anche di fronte all'appello diretto del vecchio re Luigi Filippo, sceso a cavallo in mezzo a loro. Il re allora per il salvataggio della dinastia tentò la via che diciotto anni prima aveva tentata Carlo X: l'abdicazione a favore del piccolo nipote, conte di Parigi. La Camera dei deputati, in cui la grande maggioranza era orleanista, si associò al tentativo, accogliendo nelle sale delle proprie sedute il conte di Parigi con la madre duchessa d'Orléans, e proclamandolo re sotto la reggenza materna. Ma la deliberazione venne subito virtualmente annullata dalla folla armata, che irruppe nella Camera, inneggiando alla repubblica e incoraggiando gli scarsi deputati repubblicani a procedere alla formazione di un governo provvisorio.

Il gesto audace ebbe pieno successo: sotto la pressione della folla eccitata, il governo provvisorio fu subito costituito coi sette deputati repubblicani più in vista: Lamartine, Ledru-Rollin, Dupont, Arago, Crémieux, Marie, Garnier-Pagès. Intanto negli uffici del giornale socialista La Réforme altri capi del movimento rivoluzionario vittorioso si erano riuniti, per sostenere l'inclusione nel governo provvisorio di elementi rappresentanti l'estremismo socialista, fra i quali L. Blanc e il meccanico Albert. Gli uomini designati alla Camera dei deputati e quelli designati negli uffici del giornale socialista si incontrarono e si riunirono all'Hôtel-de-Ville, dove tra l'entusiasmo e anche un po' sotto la sorveglianza della folla, pronta a impedire qualsiasi tentativo di soffocamento della repubblica, procedettero all'organizzazione del governo e alla ripartizione delle cariche.

La sera del 24 la rivoluzione a Parigi era finita. La dinastia degli Orléans prendeva le malinconiche vie dell'esilio verso l'Inghilterra, come già nel 1830 la dinastia dei Borboni. E come già nel 1830 la Francia accettava rapidamente il nuovo regime instaurato nella capitale, così da un movimento tumultuoso di popolo nasceva la seconda repubblica. Le conseguenze dell'origine tumultuosa si fecero subito profondamente sentire. La massa rivoluzionaria parigina premette sul nuovo governo per imporgli le misure più estreme, tra le quali quella, a stento evitata dall'eloquenza del Lamartine, della sostituzione della bandiera rossa al tricolore glorioso. E nel seno stesso del governo fu visibile il contrasto e l'urto tra la corrente repubblicano-democratica, rappresentata dai deputati, e la corrente repubblicano-socialista, impersonata dagli uomini della Réforme. Quest'ultima da principio prevalse, come rivelarono alcuni provvedimenti significativi, quali l'istituzione degli opifici nazionali e l'introduzione del suffragio popolare. Gli opifici nazionali, attuati dal Blanc, mirarono ad applicare il principio che ogni uomo ha diritto di trovare da lavorare per vivere e che lo stato deve coi proprî mezzi dare ai cittadini il modo di esercitare tale diritto, quando l'iniziativa privata non vi provveda o non sia sufficiente. Erano, insomma, un mezzo di lotta contro la disoccupazione, imperversante tra la massa operaia in quell'epoca in cui l'industria si stava attrezzando sulla base delle macchine, e anche per effetto della paralisi economica provocata dalla rivoluzione. Il suffragio universale portava all'estremo limite il principio della sovranità popolare, ridando vita alla decisione votata e non applicata dalla Convenzione nel 1793, al momento del massimo sviluppo rivoluzionario. L'istituzione del suffragio universale si accompagnò con la completa libertà di stampa e con la completa libertà di associazione, praticamente attuate prima ancora che il governo le deliberasse, per modo che si crearono le condizioni d'intense lotte politiche, attraverso una fioritura di giornali, di opuscoli politici, di associazioni, di club d'ogni genere. In siffatto ambiente infocato venne decisa la convocazione di un'assemblea costituente da eleggersi a suffragio universale e investita del compito di preparare la nuova costituzione della Francia. Ma gli eccessi degli estremisti socialisti, insieme col malcontento provocato nella borghesia e nelle classi rurali dal funzionamento degli opifici nazionali, rivelatisi illusorî riguardo ai fini cui miravano, mentre avevano creato la necessità di un'imposta straordinaria, condussero a determinare un'atmosfera di reazione contro l'estremismo, preparando lo scacco e la severa repressione con cui nel maggio e soprattutto nel giugno (24-26) vennero stroncati i tentativi delle masse socialiste per abbattere il governo e l'assemblea costituente e impadronirsi di tutto il potere. Dopo gli avvenimenti di giugno, le tendenze conservatrici, imperniate sulla borghesia cittadina spaventata dal pericolo rosso e sulle masse rurali irritate per le nuove tasse rese necessarie dagli esperimenti socialisti, cominciarono a prevalere nella politica della seconda repubblica, preparando la via alla dittatura di Luigi Napoleone (v. francia).

Bibl.: C. Marx e F. Engels, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (trad. it.), Milano 1896 (uno dei primi esempî di applicazione storiografica del materialismo storico); G. Renard, La République de 1848, Parigi 1905; A. Crémieux, La Révolution de février, Parigi 1912; Ch. Seignobos, La Révolution de 1848, in Hist. contemp., VI, Parigi 1912; P. de La Gorce, Louis-Philippe, Parigi 1931; A. Stern, Geschichte Europas, VI, 2ª ed., Stoccarda-Berlino 1924, cap. XI (per le ripercussioni europee della rivoluz. di febbraio); E. Spuller, Hist. parlamentaire de la 2ème République, Parigi 1891; Daniel Stern (contessa d'Agout), Hist. de la Révolution de 1848, voll. 3, Bruxelles 1850; L. Stern, Geschichte der sozialen Bewegung in Frankreich, Monaco 1850; L.-A. Garnier-Pagès, Hist. de la Révolution de 1848, voll. 10, Parigi 1861-72; V. Pierre, Hist. de la République de 1848, voll. 2, Parigi 1873-1878; P. de La Gorce, Hist. de la 2ème République franåaise, voll. 2, Parigi 1878; P. Thureau-Dangin, Hist. de la Monarchie de Juillet, VII, Parigi 1892.

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