RICAMO

Enciclopedia Italiana (1936)

RICAMO (dall'arabo raqm "disegno, segno"; fr. broderie; sp. bordado; ted. Stickerei; ingl. embroidery)

Elisa RICCI
Giovanni BARDELLI
Li. Mor.

È l'ornamento che l'ago opera più generalmente sul tessuto, qualche volta sul cuoio, sulla paglia e simili, con filo, che può essere di lana, di lino, di seta, ecc. Nei tessuti e nei ricami in Cina, si usò, forse prima della seta anche carta dorata o argentata od oro avvolto intorno a un filo di cotone; e in Occidente per tutto il Medioevo molto si ricamò d'oro e di perle. I punti di ricamo si possono dire innumerevoli.

Il Garzoni nella sua Piazza Universale, dopo averne nominato quaranta, aggiunge: "e mille altri". I punti più antichi sono: la catenella che ha l'aspetto di treccia, più specialmente propria dei ricami orientali, e il punto passato, che passa, come dice il nome, da un punto all'altro del disegno coprendo il fondo al diritto e al rovescio. Con l'apparire, nel sec. XII, dei punti più fini, come il serrato e il diviso, il punto a catenella è quasi abbandonato, per essere ripreso nel Settecento; mentre il punto passato non scompare mai; anzi dalla fine del '500 in poi, si usa molto nei lavori in oro e seta a due diritti; paramenti a due facce e stendardi. Punto diviso (point fendu) è detto quello in cui l'ago entra nel mezzo del punto che sta sopra spartendone il filo. Dal 1200 al 1400 è usato a figurare architetture, animali, fiori e soprattutto personaggi, giacché con la sua diversa direzione esso si presta a rendere il modellato dei volti e dei nudi, come nessun altro punto. Può andar confuso con un punto a catenella di estrema finezza.

Il punto steso (couchure, or clair) è fatto stendendo prima i fili d'oro, d'argento o di seta da un capo all'altro, per fermarli con un punto di seta appena visibile. La diversa disposizione dei punti di seta può dare un diverso aspetto al fondo: a stuoia, a onde, a soli, ecc. (a soli è frequente nelle opere tedesche del sec. XVI). Un modo più solido, più ricco, più raro d'oro steso è quello usato fino alla metà del Quattrocento, che chiameremo rientrato: qui il filo d'oro o d'argento attraversa la stoffa per tornar ad uscire nello stesso punto, passando a rovescio intorno a un filo che lo ferma.

Altre volte l'oro è steso sopra un grosso filo che lo rileva (or gaufré) segnando così le sporgenze e gli aggetti nelle architetture, il modellato nelle figure e, più tardi, il gonfiarsi degli ornati. È già in uso nel sec. XIV. Col punto serrato (così chiamato dal Vasari) regolare, fitto e verticale, si ottiene l'effetto di un tessuto o di un arazzo. L'oro velato (or nué) è fra tutti il più prezioso. L'oro applicato sul fondo, come per l'oro steso, è ricoperto quasi interamente coi punti di seta, che dipingono ornati, figure, architetture, paesaggi, lasciando trasparire or qua or là, l'oro del fondo come negli smalti e nelle miniature. Dell'oro velato si disse che è il punto "che domanda più di pazienza e di intelligenza". Si comincia ad usare a mezzo il Trecento, fiorisce nel '500 e scompare nel '600. Esso crea veri capolavori in Fiandra e in Italia: i più famosi verranno da Firenze. Il punto in croce, che, come dice il nome, s'incrocia sui fili di fondo, si trova fin nella remota antichità, e rifiorirà nel Cinquecento. Ebbe allora rapida e grande fortuna fra le donne, prima a Venezia, poi dovunque. Sul fondo di tela bianca, si ricamarono, contando i fili, scene di caccia, ornati, allegorie, paesaggi, storie intere, e si ornò così la biancheria da letto, da tavola e le tovaglie d'altare. Sotto Luigi XIV il punto in croce cambia natura e prende valore d'arte. Il punto che ricopre interamente il fondo di seta e d'oro e d'argento disegnando ricchissimi motivi di figure prende il nome famoso di petit-point, "piccolo punto".

Dell'antichità del ricamo si hanno prove sicure. Ma nulla, quasi, si sa intorno alla qualità del ricamo nell'antichità; i testi e le opere d'arte non lasciano neppure distinguere con sicurezza se quello di cui parlano o che riproducono sia tessuto o ricamo. Certo è però che le sculture, i graffiti, le antichissime ceramiche dipinte della Siria, della Persia, dell'Egitto, riproducono stoffe ornate a stelle, a greche, a onde, a tondi, che possono essere tessute o ricamate ad ago, o ad applicazione, o su fondo di tela sfilata. Nella Bibbia si parla spesso di vele ricamate; l'Esodo (XXVIII, 6) ricorda "le tende di bisso torto ricamate di giacinto e di scarlatto" ed Ezechiele (XXVII, 24) parlando delle dovizie di Tiro dice che Saba, Assur e Chelmad vi recavano balle di giacinto e di lavori di punto. Virgilio nell'Eneide, racconta che Anchise donò a Cleante un mantello tramato d'oro con doppio fregio di porpora, sul quale era ricamata la figura di un cavaliere che spinge alla corsa due cervi; e Omero che Paride portò abili ricamatrici da Sidone e da Tiro. Nel museo di Torino si conserva una benda egiziana anteriore al sec. XII a. C., che servì, probabilmente, a ornamento del capo: in tela di lino, con strisce tessute a giorno, è ricamata a piccoli tondi con filo di lino di un verde intenso. Lo stesso museo nella tomba di Kha, conserva la biancheria marcata, con segni o iniziali ricamate in grosso filo bruno (sec. XVI a. C.). Dato il carattere tenacemente conservatore del popolo egizio, è lecito pensare che tale lavoro risalga, in quel paese, a epoche anche più remote. Secondo E. Schiaparelli gli Egizî ornavano i tessuti con marocchino di vario colore: rosso, verde, giallo, e di immagini di dei, di amuleti intessuti di perline di vetro e applicate sul fondo di tela di lino. In Grecia l'arte del ricamo fu portata dai Frigi. Non è sicuro che il peplo d'Atena (che si rinnovava ogni cinque anni) fosse ricamato; secondo alcuni era un tessuto istoriato: ma i frammenti di lana color porpora del sec. IV a. C. (ora all'Ermitage di Leningrado), su uno dei quali è ricamato in lana di varî colori un cavaliere fra i fogliami, mostra che l'arte dell'ago era già praticata allora. A Roma il ricamo prende nome dai Frigi, più commercianti che produttori; dice Plinio: "Acu facere id Phryges invenerunt ideoque phrygiones appellati sunt" (donde sembra derivata la parola francese orfroi e l'italiana fregio per significare gallone ricamato o dorato); ricamati erano nelle tuniche i clavî o fasce che servivano di distintivo ai funzionarî, donde forse la frequente disposizione a zone, nei ricami antichi. Nella Cina, fin dall'inizio di quella civiltà millenaria si ricamarono sulle vesti dei grandi della corte i motivi simbolici esprimenti l'universo: il sole, la luna, le stelle, la montagna, il drago, il fagiano, ecc., in un caratteristico ondeggiare di tutte le linee. I colori nel ricamo cinese, vivacissimi, hanno una loro infallibile armonia. Il simbolo più frequente è il drago, insieme al fiore prediletto, la peonia, che con la fenice, il pavone, i vasi coi fiori copiati dal vero o fantastici, ricamati di punto steso o di punto passato, ornano vesti, tende, coperte, drappi funebri, orifiamme. Il Giappone apprenderà l'arte dalla Cina solo nel sec. VII d. C. e la condurrà alla perfezione solo nel sec. XVI. Meno tradizionalisti dei Cinesi, i Giapponesi anche nel ricamo mettono a servizio della loro inesauribile fantasia il fine spirito d'osservazione, l'ironica grazia, e la vivacità che è loro propria, sempre cercando la massima semplificazione delle forme. L'oro papirifero adoperato largamente col discreto suo splendore si associa ai punti di seta, lisci e piani come pennellate. Il lavoro è quasi sempre individuale, o eseguito in piccoli laboratorî, dove ogni oggetto è l'opera di uno solo. L'arte del ricamo serberà lungamente il segno della sua origine orientale, benché presto vi si manifesti l'influenza dell'arte classica. Col sec. VI d. C. i ricami copti a vivaci figurazioni diventano vere pitture con l'ago. Nel Medioevo più che le crociate furono i continui commerci a diffondere i ricami di Oriente per tutta Europa; e le notizie di opere d'ago nel Liber pontificalis mostrano quanto in Italia fossero ricercate le opere di ricamo.

Dal principio del secolo XIII il mondo occidentale si appassiona sempre più alle arti tessili in generale, e più specialmente alle opere di ricamo. Nei castelli le ampie sale sono ornate alle pareti e ai soffitti, di tappeti, di ricami, di stoffe d'oro e d'argento; a dividere una sala dall'altra si appendono le pesanti impuntite di seta a due facce con gli episodî sacri e le leggende cavalleresche e le scene di caccia. Frequentissime nei primi tre secoli dopo il mille le figurazioni che narrano le vicende di Tristano e Isotta. Per le orifiamme e gli stendardi si usa l'applicazione del ricamo fatto a parte e cucito o incollato sul fondo: ricamo menzionato negl'inventarî col nome di "opus consutum". Si ricamano le borse, i berretti, le scarpe, i guanti. Si sceglie il materiale più perfetto e prezioso, le tinture più smaglianti e durevoli, come se si lavorasse per la lontana posterità. Fra i più antichi ricami bizantini conservati è da mettere il parato di S. Cesario (501-542) che si conserva ad Arles nella chiesa di Notre-Dame de la Maior. Del sec. IX è il velo di Classe (museo di Ravenna) che copriva in origine il sepolcro dei Ss. Fermo e Rustico di Verona ed è di evidente influenza romana. La singolarità di questo ricamo consiste nel fondo coperto di laminelle d'oro che il punto di seta lascia molleggiare qua e là, così da formare certe asolette che hanno fatto credere che si trattasse di pagliette d'oro. Un altro saggio importante, d'arte bizantina, che si conserva nella Basilica Vaticana, è la dalmatica detta di Carlomagno. Il fondo è di seta di un azzurro cupo: il seminato di crocette incluse in circoli ha qualche affinità col ricamo del Paleologo che si conserva a Genova (Palazzo Rosso). In una delle facce della dalmatica è la figura solenne del Redentore in trono, nell'altra la Trasfigurazione. Questo studiatissimo cimelio attribuito da qualcuno ai secoli VIII e IX, è di epoca assai più tarda, forse del sec. XV.

Intorno al Mille l'arte del ricamo ebbe un centro in Italia a Palermo dove i Saraceni fondarono, come era uso costante delle corti sassanide, bizantina e di ogni principe maomettano, il laboratorio di stoffe e ricami detto con parola araba ṭirāz; laboratorio che sotto i Normanni continuò a prosperare anche per l'interessamento di Ruggiero II che nel 1250 condusse a Palermo da Tebe e Corinto esperti ricamatori. Dal ṭirāz di Palermo, divenuto centro importantissimo di tali lavori, uscirono i manti imperiali e gli arredi sacri ricercati dai pontefici e dai principi di tutta Europa. Il manto imperiale, che si conserva a Vienna, porta in lettere cufiche la data che corrisponde al nostro 1133 e il luogo di provenienza: la capitale della Sicilia. Sulla serica stoffa rossa, il ricamo di oro steso disegna due leoni che abbattono due cammelli in gruppi affrontati dinnanzi a una palma alta e diritta. Ma nel sec. XIII si lavorò mirabilmente di ricamo anche in altre parti d'Italia. Se la tovaglia del Sancta Sanctorum (Museo cristiano del Vaticano) può essere di origine siciliana, in un paliotto del tesoro di Anagni è stato riconosciuto il riflesso della pittura romana della fine di quel secolo.

Intanto l'Inghilterra primeggiava nel mondo coi suoi prodigiosi ricami chiesastici. Insieme coi lavori di orificeria, gli avorî, le miniature, anche il ricamo doveva fiorire nei conventi delle Isole Britanniche già assai prima: nella cattedrale di Durham si conservano frammenti di ricamo di carattere bizantino eseguito su lino in seta rossa, turchina e in oro con figurazioni sacre e immagini di santi: l'iscrizione porta il nome della regina Elfleda (sec. IX). Nel Duecento e nel Trecento l'opus anglicanum o anglicum sarà ricercato da per tutto. Nelle cattedrali di Spagna, di Germania; a Roma, ad Anagni, ad Ascoli Piceno, a Bologna, a Pienza si conservano anche oggi capolavori di opera trecentesca anglicana. Nell'inventario del Tesoro Vaticano pubblicato dal Molinier sono descritti 21 oggetti di opera anglicana.

Nel Duecento, nel periodo dello stile gotico, vediamo nelle opere inglesi le figure austere stranamente colorate con gli occhi sbarrati, capelli e barbe lunghe e arruffate, animali fantastici in funzione di capitelli; fogliame di edera, più spesso di vite e cherubini e serafini. Il piviale di Sionne, del sec. XIII (Victoria and Albert Museum di Londra), è di lino interamente coperto di sete colorate, argento e oro. Nei quadrilobi intrecciati reca, dipinti con l'ago, episodî del Vangelo e immagini di Santi. Simile a questo è il piviale di Daroca, al Museo di Madrid. Lo scomparto a quadrilobi tangenti o intrecciati insieme a quello a circoli che troviamo nei ricami di Anagni, è caratteristico dei lavori inglesi del '200. Seguiranno, sul finire di quel secolo, gli scompartimenti architettonici ad archi acuti (piviali di Pienza, di Bologna, di Toledo, di Roma in San Giovanni in Laterano); nel Trecento una ricca flora si sostituirà ai motivi geometrici e architettonici dando alle figure sacre rimaste rigide e accigliate, un fondo vivacemente mosso e arruffato, che ricorda i geroglifici calligrafici dei codici inglesi. Un esempio tipico di questo, che è considerato il terzo stile inglese, è il piviale rosso con l'Albero di Jesse, che si conserva nel Victoria and Albert Museum di Londra: e quello donato da Pio II alla cattedrale di Pienza, opera trecentesca, a fondo d'oro steso e rientrato. La guerra dei Cent'anni e la Riforma conducono alla decadenza. Ancora si lavora nel XVe nel XVI secolo in Inghilterra, per la chiesa e per i palazzi, ma ad opere più facili e sollecite: più frequenti gli angeli e i cherubini sparsi nel fondo (motivo che dura a lungo nei ricami inglesi) eseguiti a parte e applicati sul velluto e sul raso. Con un ricamo d'oro o a colori, di fronde e di ornati, eseguito direttamente sul fondo, si legano quei motivi isolati, con un effetto piacevole. Ma la gloria dell'opus anglicanum è tramontata, anche se al tempo dei Tudor si ricameranno fastosamente le vesti, come mostrano i ritratti di quei sovrani e dei loro cortigiani.

Più comunemente, sul lino bianco si fanno ricami di seta nera, e di lane e sete colorate, sul canovaccio, a punto in croce; dal Seicento in poi continua ridotta a piccola arte femminile e domestica, come dimostrano i numerosi campionarî mglesi che si conservano tuttora.

Un famoso ricamo che si stacca completamente dalle magnificenze bizantine e bizantineggianti esaminate fin qui, è la cosiddetta Tappezzeria del Museo di Bayeux. Su 63 metri di rozza tela, larga mezzo metro, è figurata la storia della conquista dell'Inghilterra per opera dei Normanni. Benché nell'inventario della cattedrale del 1476 non se ne faccia menzione, pure, l'antica tradizionei vuole che il ricamo sia opera di Matilde, sposa di Guglielmo il Conquistatore (secondo altri della nipote Matilde vedova nel 1125 di Enrico V), che avrebbe così raccontato in un'opera d'ago, che vale un'epopea, la gesta del marito. Sono 1250 figure tracciate con un semplice punto di grossa lana a vivaci colori. Il disegno di stile romanico, benché sommario, non manca di vivacità e di espressione, e di un suo ingenuo realismo.

In Germania l'opera del ricamo in seta e oro, comincia intorno al 1000 con una forma caratteristica che ricorda, nel contorno segnato fortemente in nero, le vetrate; e si distingue per l'abuso delle iscrizioni dedicatorie o esplicative sui lunghi nastri ondeggianti. Presto ha diversi centri di produzione distinti.

Del 1031 si conserva, nel Tesoro di Buda, il gran piviale di seta color di porpora uscito, secondo i più, dal laboratorio che S. Stefano con la moglie Gisella, sovrani d'Ungheria, avevano fondato nel loro palazzo; altri la giudicano opera arabo-sicula, che Gisella avrebbe fatto venire da Palermo. Destinato alle cerimonie dell'incoronazione fu poi donato da Enrico II alla chiesa di Alba Iulia. Il ricamo è in doppio filo d'oro steso, con qualche punto di catenella di seta colorata; le figure, in bella disposizione, convergono tutte verso l'immagine del Redentore tra architetture, ornati, fogliami, accessorî di schietto sapore bizantino. Il piviale del 1014 conservato nella cattedrale di Bamberga e detto "manto di S. Enrico", si stacca completamente dalle altre opere del Mille, tedesche e inglesi, e potrebbe essere lavoro siciliano: fu lavorato da un Ismaele. Ratisbona fu centro importante dell'arte del ricamo che comincia a liberarsi dalle influenze bizantine. Nel paliotto di Rupesberg appare uno stile pregotico, dal disegno più angoloso, rigido, preciso e però schietto e originale.

Caratteristici di questo tipo sono il paliotto del Tesoro di Halberstadt (sec. XIII) di punto serrato in lana bianca, con qualche tocco di colore; e il paramento dell'Albero della Vita che si conserva ad Anagni e di cui fa menzione l'inventario di Bonifacio VIII come di opera "theotonica". Qui gli ornati, le scritte, gli angeli turiferarî sembrano tolti a un codice miniato. In Sassonia i conventi di Linne e di Wienhausen possiedono preziosi ricami che datano dal secolo XIII fino al XVI, operati quasi certamente sul luogo da quelle monache. Il canovaccio del fondo è nei tappeti da parete interamente coperto con fitti punti di lana a vivaci colori sul fondo turchino. Le storie del ciclo cavalleresco di Tristano e Isotta, gli episodî della storia sacra e del Vangelo sono narrati nelle lunghe scritte che illustrano le figurazioni vivaci ed espressive. Nelle tovaglie d'altare, che ancora si conservano in buonissimo stato in quei conventi, il ricamo di seta su tela di lino è più accurato e più fine ma meno espressivo. Molto si lavorò anche a Praga: da Colonia venne quell'opera detta "coloniense", nota specialmente per i galloni ricamati secondo l'uso antichissimo di lavorar d'ago e di spola nel medesimo tempo. In qualche ricamo coloniense (come il paliotto che è a Praga) cominciano ad apparire influenze italiane (di Tomaso da Modena, e di Iacopo Campi). Una singolarità che spesso si riscontra nei ricami tedeschi è l'abbondanza di minuti ornamenti: stellei tondi, quadratini, foglie, fiorellini, nelle vesti, nelle aureole, nelle bardature, fin nelle ali degli uccelli. Questa minuzia eccessiva derivò forse dal ricamo bianco su bianco che fu in gran favore fra i tedeschi fin dal Duecento, come mostrano i ricami su fondo di rete, con applicazione di finissima tela riccamente ricamata che si conservano nel convento di Lüne. Negli antichi inventarî si menzionano spesso mantili e tovaglie di opera teutonica figurati e certamente ricamati. A Cividale si conserva una tovaglia d'altare amplissima, nella quale, pur seguendo i modelli venuti da oltre il confine, una o più monache del luogo crearono una squisita opera d'arte italiana. Il ricamo bianco su bianco durò fin nel tardo Settecento nelle ricche gale di camice di tela sottilissima ricamate di cento punti variati, che portarono sempre il nome di "ricami di Sassonia".

Questo ricorrere ai molteplici motivi minuti, necessario al ricamo bianco per dare all'opera qualche vivacità e varietà, nei ricami colorati tedeschi diventa spesso bizzarria e tritume, come mostrano i ricami del duomo di Halberstadt.

V'è chi afferma che il più antico ricamo medievale arrivato a noi sia francese. Nel Tesoro della Cattedrale di Sens si conserva un'Assunzione ricamata di grosso filo su tela fine, con la Vergine in attitudine orante fra gli apostoli, la cui iscrizione i paleografi giudicano dell'epoca merovingia: ma tale data non è accettata da tutti. In ogni modo anche in Francia il periodo glorioso del ricamo è il Duecento e il Trecento. Fin dal Duecento infatti fra le corporazioni delle arti figura quella dei "broudeurs et broudoresses" che bandisce leggi e regolamenti in difesa dell'onestà e bellezza del lavoro d'ago. Speciale alla Francia, e più fiorente a Tours e a Caen, pare che fosse fin da allora la produzione delle borse ricamate, dette "tasques"; i documenti che parlano di "faiseuses d'aumonières sarrasinoises" lasciano credere che fosse lavoro riserbato alle donne. Una grazia squisita caratterizza anche quest'arte in Francia. Gli ornati elegantissimi ricordano le decorazioni in ferro dei portali, mentre nella composizione delle scene si sente l'influenza delle vetrate; e nelle figure isolate incluse in archi trilobati si ritrovano quelle che ornavano l'estradosso dei portali. Frequenti i soggetti cavallereschi: anche fra i santi, preferiti i santi guerrieri: S. Giorgio, S. Maurizio, S. Martino, e, su tutti, S. Michele.

Un ricamo tipico, francese, del sec. XIII è i l paliotto dell'Hôtel-Dieu di Château-Thierry: i volti e le mani sono dipinti su seta bianca e applicati; i vestiti sono di punto diviso e oro rientrato, con le pieghe segnate da un filo di seta oscuro. Sul finire del Trecento e nei primi del '400 sappiamo che i ricamatori Clémens, Jean di Laon, Ogier di Gand, lavorano per il marchese d'Artois. Nel '400 Renato d'Angiò ordina a Pierre da Vaillant di Avignone "pittore del re di Sicilia" il grande ricamo con le storie di S. Maurizio che paga 50.000 scudi, e regala alla cattedrale di Angers. Luigi XI fa lavorare Jean de Monty a Tours e ad Avignone dove, dopo il soggiorno dei papi, più viva che mai è l'influenza italiana. Nel 1410 Jean le Bègue va a Bologna per imparare a tingere le sete; ricamatori italiani reca con sé Carlo VIII (fra i quali un Napoleone Conte con la moglie). Altri sono chiamati da Milano, Venezia, Firenze. Fra i soggetti mitologici e classici che hanno preso il posto dei religiosi, si fanno sempre più frequenti i motivi floreali (copiati dal vero), specialmente nelle vesti maschili e femminili. Per fornire modelli ai tessitori e ai ricamatori Jean Robin fa arrivare le piante esotiche e i fiori più rari da paesi lontani (l'orto di Jean Robin si trasformerà poi nel Jardin des Plantes), che Pierre Vallet d'Orléans, ricamatore di Enrico IV e di Luigi XIII, copiò dal vero, con l'ago. Lo stesso Pierre Vallet pubblica nel 1608 una raccolta di 73 tavole in rame con modelli di fiori, ad uso dei ricamatori, e lo intitola Le Jardin du roi très chrétien Henri IV. Soggetti profani, fiorami, cineserie dovunque; anche negli arredi sacri le immagini religiose sembrano rifugiarsi e quasi nascondersi nel folto dei ricchi ornamenti. Quando Luigi XIII vorrà porre un freno a tanto lusso e tenterà di proibire la superfluità negli abiti, il ricamo tornerà per poco alla chiesa: si conserva infatti di questo tempo, in S. Remigio di Reims una pianeta ricamata di quel preziosissimo punto velato che fino dal Cinquecento (da quando cioè il sapore "mistico" degli antichi ricami non fu più compreso) era caduto in disuso. Durante il regno di Luigi XIV, nella manifattura dei Gobelins s'insediano anche i ricamatori. Sappiamo che Simon Fayette e Philibert Balland lavorano alle stesse opere, il primo ricamando le figure, il secondo i paesaggi. Sempre più viva si fa l'influenza cinese; l'apparizione del merletto invita a finire anche i ricami in punta. Caterina de' Medici salendo al trono di Francia porta un solo italiano nel lavoro d'ago, chiamando a Parigi quel Federico Vinciolo, veneziano, che vi pubblica famosi libretti di modelli. Ma a partire dalla seconda metà del '600 la Francia prende il posto dell'Italia e anche in Italia si ricama al modo di Parigi. Alla monumentalità del barocco italiano succedono in ogni campo e più specialmente nelle arti tessili, le grazie minute del rococò. Sovrani, monache e dame domandano agli artisti i cartoni per il petit-point e il gros-point per ornare mobili, letti e pareti. Lavorano a suggerire e dare modelli i migliori artisti della scuola di Boucher, e Lebmn, e Daniele Marot, e Jean Berain, e Lepautre italianizzanti tutti e lietamente paganeggianti. Fra i più famosi e preziosi sono i petits points usciti dai laboratorî di Saint-Cyr, fondati da Madame de Maintenon. Il fondo di canovaccio sarà interamente coperto di punto in croce o di mezzo punto su un filo solo (petit-point) o di punto in croce su due o quattro fili (gros-point) fatti con lana, seta, argento, oro. Filippo de la Salle a mezzo il sec. XVIII disegnerà fiori e nastri, frecce, faretre, colombe, coroncine d'alloro, scimmiette, da ricamare di punto a catenella sui panciotti e le giubbe di raso. Fra i capricci settecenteschi vedremo il ricamo sablé, fatto con finissime perline di vetro: sotto Luigi XV le conchiglie, le ghirlande, i minuti fiorellini saranno fatti anche con nastri strettissimi di seta dei più delicati colori: con Luigi XVI i nodi e i medaglioni saranno ornati di perle e lustrini. La perizia dei ricamatori arriva a riprodurre non solo le più fini cineserie ma i ritratti di grandi personaggi. Poi, con l'Impero, si tornerà ai motivi classici ricamati, rilevati, ombreggiati, con filo d'oro e d'argento di diversa sorte, di una esecuzione impeccabile: ai soggetti alquanto frivoli di prima succedono le aquile romane, gli scudi, i trofei, le foglie d'alloro e d'acanto.

La Fiandra, nel Tre e nel Quattrocento, sta, per finezza d'esecuzione e nobiltà di stile, a pari dell'Italia; i suoi ricami s'ispirano all'arte dei fratelli Van Eyck; il piviale di Vienna si dice anzi eseguito sul disegno di quei sommi.

Alla fine del sec. XIII il conte di Fiandra in occasione della nascita del figlio spende in ricami 480.000 lire. Ordinazioni di sontuosi lavori manda la casa di Borgogna ai laboratorî di Bruges, e di opere fiamminghe importanti Carlo V fa dono alla Spagna. Nel 1430 Filippo il Buono ordina i ricami squisiti, di punto velato e di complicato punto steso conservati nel Tesoro di Vienna. Del sec. XVI è il paramento di Grünbergen ora nel Museo di Bruxelles, dove sono figurate le quattro Cene ricamate di punto velato. Le doti proprie ai ricamatori antichi: precisione, pazienza, finezza, passarono alle ricamatrici fiamminghe che anche oggi sono tra le più perfette esecutrici di ricami bianchi e di trine che siano in Europa.

In Spagna l'occupazione dei Mori e gli scambî con l'Africa favorivano l'arte del ricamo conservandole anche più viva ed evidente che altrove l'impronta orientale.

In Almeria si fonda anche un ṭrāz, e a Siviglia, a Toledo, a Valenza e a Rodrigo si lavora a ricami di singolare magnificenza. Nell'inventario del Tesoro Vaticano del 1291 i panni hispani sono descritti come ornati di stemmi e ricamati "ad spinam piscis" o "cum operibus minutis". Nella cattedrale di Gerona si conserva un ricamo di lana su tela di lino che data dal 1000. Nel 1400 giungono in Spagna numerosi ricami dall'Italia e dalla Germania a esercitare nuove influenze e a ravvivare la produzione locale. Nei documenti leggiamo i nomi di ricamatori, e nelle cattedrali si conservano ricami preziosi del '400 e del '500: come la pianeta ricamata da Isabella la Cattolica e donata alla cattedrale di Granata da re Ferdinando nel 1492, e quella donata dal cardinale Ximenez; il paliotto ricamato di coralli che si conserva a Toledo; e, famoso fra tutti, il Manto della Vergine del Sagrario interamente ricamato d'oro, di perle, di gemme, smeraldi, rubini e di smalti. Anche nel ricamo, l'arte spagnola si abbandonò alle intemperanze dello stile barocco. Il lavoro di controtaglio e di applicazione di velluto su raso a colori vivaci e contrastanti; la profusione di lustrini d'oro, d'argento d'acciaio insieme con i rilievi molto sentiti e i motivi larghi e largamente dorati che ricordano i cuoi di Cordova, dànno alle opere spagnole un'apparenza fastosa assai caratteristica.

In Italia, come si disse, l'arte del ricamo che doveva essere stata largamente rappresentata nei primi secoli del Medioevo dalle importazioni bizantine e da loro imitazioni, fu poi più che altrove esercitata dai Saraceni. Nella seconda metà del 1200, in seguito agli eventi politici, le maestranze dei ricamatori si dispersero nel continente fermandosi probabilmente a Napoli; certo a Genova, a Pisa, a Venezia, dove i rapporti con Costantinopoli, Antiochia, Damasco, avevano alimentato la passione per ogni lusso, e particolarmente per quello dei tessuti (tappeti, stoffe, ricami) e a Milano, già famosa per l'industria delle stoffe, del filo d'oro e d'argento e dei suoi aghi che si preferivano a quelli di Damasco. Si continuano a imitare, nei punti e nel disegno, le opere orientali: si copiano anche le iscrizioni arabe errate e fraintese che, perduto ogni significato (come lo hanno perduto o mutato i motivi simbolici), si trasformano in motivi ornamentali. Come sempre, però, e in tutti i campi dell'arte, nella diversa disposizione e interpretazione di quei motivi, in gran parte persiani, si fa strada quello scambio d'influenze tra Oriente e Occidente che nelle arti tessili durerà fino ai nostri giorni.

Pochi saggi sono rimasti, di quegli antichi ricami italiani; la parola ricamo si legge nell'inventario del Tesoro di S. Pietro dei primi anni del 1300, dove di una stoffa è detto: "auro et serico acupictae ut vulgo dicitur ricamo". Alla fine del Duecento sappiamo che i cisterciensi furono costretti a vietare negli stessi arredi sacri i ricami di seta. Il ricamo italiano del Trecento differì dall'anglico e dal fiammingo e dal teutonico per una sua larghezza e limpidità di disegno, e per la maggior sobrietà negli ornamenti sovrapposti: perle e gemme. Gli ornati vegetali o in forma di animali hanno, come nelle altre arti, un repertorio e uno sviluppo ornamentale distintamente italiano, in cui presto si affermano le varietà regionali. Nell'inventario vaticano si parla di opera lucana, napolitana, veneta, ecc. Certo è che nel Trecento si lavora in tutta Italia, e che negli ultimi anni del Duecento si trovano negl'inventarî nomi di ricamatori italiani. Nell'inventario di Bonifacio VIII è descritta una pianeta ricamata sotto cui si leggeva: "Penne fecit me"; italiano è il gonfalone di Santa Fosca di Torcello (1361); dello stesso momento è "l'aparamento con la Passione di Cristo" tutto di punto e ricamo di seta, oro e perle che si conservava nella chiesa di S. Alvise a Venezia. "Opera fiorentina" si legge a ogni pagina negl'inventarî degli arredi sacri delle principali cattedrali di Europa. Giovanni duca di Berry nel 1387 ordina a Firenze un paliotto a rilievo che paga 10.000 scudi (fu distrutto nel 1725 per trarne l'oro) e il gran quadro ricamato coi ritratti della famiglia reale da regalare alla cattedrale di Chartres. Nell'inventario delle cose preziose di Filippo il Buono si legge di un gran piviale ricamato d'oro operato a Firenze "con istorie". Nel 1393 un Michele de Passe di Firenze, mercante che vive in Avignone, riceve dal duca di Borgogna una somma per tre schienali "di panno d'oro ricamato di immagini e due piviali". Geri di Lapo da Firenze ci è noto specialmente per un suo paliotto ricamato, opera di singolare bellezza che basta a rivelare in lui un artista compiuto: è conservato nella sacrestia del duomo di Manresa in Catalogna. Dal '400 in poi si domandano per le stoffe e per i ricami cartoni e modelli ai maggiori pittori italiani. Nel libro di disegni di Iacopo Bellini (Parigi, Louvre) si trova un disegno per stoffa o ricamo, orientalizzante, con fiori di loto a palmette e col leone di San Marco, insieme con scritte in caratteri orientali. ll Baldinucci, parla nel suo vocabolario del lavoro di "commesso", come di "una sorta di pittura, ritrovata circa nel 1470 dal Botticelli, e messa in uso da altri pittori in Firenze per fare stendardi e bandiere commettendo insieme pezzi di drappi di varî colori e formando con quei pezzi figure o altro; facendo apparire il colore del drappo dall'una e dall'altra parte". Opera questa da non confondersi col lavoro d'"applicazione" per questa particolarità dell'essere a due diritti. A rivelare l'importanza artistica che ha in Italia il ricamo nel '300 e nel '400, basta il Libro dell'Arte del Cennini, dove sono date norme e notizie sul procedimento tecnico, e come "si diee disegnare in tela o zendalo per servigio dei ricamatori". Disegnarono per i ricamatori anche il Pollaiolo, Pierin del Vaga, Raffaellin del Garbo, Andrea Feltrini, Nicolò dell'Abate, altri molti e lo stesso Raffaello al quale Francesco I domanda per i ricami sul mobilio di una camera da letto quaranta cartoni con le storie della Sacra Scrittura. Di Francesco Bachiacca, il Vasari scrive: "fece i disegni per un letto che fu fatto di ricami tutto pieno di storie e di figure piccole, ricamato di perle e di altre cose di pregio da Antonio Bachiacca fratello di Francesco il quale è ottimo ricamatore". La gloria del ricamo italiano dura per tutto il '400. A mostrare a che altezza giungesse allora l'arte dell'ago in Italia basterebbero i frammenti del parato di S. Giovanni che si conservano al museo dell'Opera del Duomo a Firenze. Antonio Pollaiolo ne aveva dato i disegni; e il parato fu eseguito in 26 anni, sotto la direzione di Paolo da Verona, da otto ricamatori, tra i quali erano un Antonio di Giovanni fiorentino, un Piero di Giovanni, veneziano, due fiamminghi e quattro francesi. Questo scambio di ricamatori tra i varî paesi era frequentissimo. Agli scambî di tecniche e di disegni servirono anche i libri di modelli come quello di Vinciolo (Singuliers et nouveaux pourtraits). Le tavole, per lo più intagliate in legno o incise in rame, davano disegni per tessitura o per ricamo, e formavano eleganti volumetti che l'artista o lo stampatore dedicavano a regine, principesse e dame illustri. Ed ecco la donna comparire in Italia, quasi per la prima volta con un'opera tutta sua, completamente diversa da quella contemplata fin qui. Coi punti a fili contati (punto in croce, punto scritto, punto riccio, punto reale) e con un'opera paziente e precisa orna i lini della chiesa, della casa e della persona (senza coprirli interamente) di fregi bianchi su bianco, o a un solo colore nero, turchino, rosso, ruggine, bruno. Questi disegni rimangono sempre, anche nel 600, corretti e sobrî; ma non perdono mai, pure attraverso le tendenze classiche fatte più vive, i segni dell'origine orientale. Fra i primi libretti di modelli per tessitura e ricamo che annunciano quelli più tardi, più noti e in parte ristampati ai giorni nostri, con disegni per merletti, ricorderemo i principali: Il Buratto di Alessandro Paganino, senz'anno (Toscolano intorno al 1527), L'Esemplario di Nicolò d'Aristotile detto lo Zoppino (Venezia 1528), Esempio di racammi di Tagliente (ivi 1527); Esemplario di lavori di G. G. A. Vavassore detto Guadagnino (ivi 1530), finché intorno alla metà del secolo, Mattio Pagan e Giovanni Ostaus, cominceranno a inserire, fra i modelli per ricami, disegni per merletto. Libretti di tal genere si pubblicarono, nello stesso momento, a Colonia, Francoforte, Augusta, Lione, Strasburgo, Parigi; ma lo stile italianeggiante dei disegni lascia pensare che fossero derivazione o imitazione dei nostri. Né a questo si limita l'interessamento degli artisti, all'opera del ricamo. I pittori, anche i maggiori, riproducono con cura gli stoloni figurati di cui si adornano i piviali dei sacerdoti, le vesti e i veli della Madonna e delle sante; come mostrano i dipinti dell'Orcagna, di Spinello Aretino, di Gentile da Fabriano, dell'Angelico, dei Crivelli, di Cima da Conegliano, ecc. Intanto, col Cinquecento, anche il sontuoso ricamo d'oro e di seta dalle chiese e dalle reggie è passato alle case private. I soggetti profani, gli episodî pagani, le decorazioni floreali soffocano le immagini sacre anche sui paliotti e sulle vesti sacre. Il ricamo italiano trionferà per tutto il Seicento. L'ago degli artisti disegna, colorisce motivi architettonici, ampie volute e fiori e frutti in ricche ghirlande o sorgenti da ampi vasi; sui fondi sparsi di "ornati" si muovono figure irrequiete e formose, in una festa di mille colori, e di oro e d'argento. La tecnica ricorre a mille espedienti quasi sempre felici: variano i punti e il materiale: al lento e devoto punto velato succede lo svariare dell'oro lucido con l'oro opaco, oro a cannettiglia, a bouillon; il semplice filo di seta diventa ciniglia, cordoncino, nastrino. Per ombreggiare, per miniare i volti, l'ago domanda spesso l'aiuto del pennello. Tutti gli sforzi tendono a ottenere l'effetto immediato a meravigliare e a ingannare chi guarda. Il ricamo vuol parere graffito, vuol gareggiare con la policromia delle ceramiche, si gonfia in rilievi sculturali a mezzo d'imbottiture con cotone, cartone, cuoio, legno. Gli artisti maggiori continuano a interessarsi a questa forma d'arte. Lo stesso Bernini disegna per Alessandro VII un piviale con la quercia incorniciata di motivi geometrici; G. B. Crespi detto il Cerano disegna per la canonizzazione del Beato Carlo i paramenti che Pompeo Berluscone ricamerà. Le monache orsoline, carmelitane, visitandine, benedettine lavorano nei grandi "lavorerî", che il pittore Alessandro Magnasco ha più volte riprodotti. A Milano, nella seconda metà del '500, è famosa la nobildonna Caterina Cantona che "cuce con tale arte che il punto appare dall'una come dall'altra parte" (scrive il Lomazzo); di un'altra ricamatrice milanese, Antonia Peregrina, un viaggiatore del tempo vide nella Certosa di Pavia quadri con l'Adorazione dei Magi, la Manna nel deserto e San Bruno. A Genova, dove la venerabile Tomasina Fieschi fino dai primi del '500 era arrivata a creare capolavori, Domenico Piola disegna pianete e paliotti per la chiesa di Sant'Ambrogio, e il paliotto donato dalla repubblica alla chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Si sa che Andrea Doria chiamò a Genova oltre a Nicola Veneziano anche altri ricamatori: Gerolamo Pelati, Giacomo Langetti da Voltri, Niccolò da Carpi, e Giovanni Antonio di Bara milanese. Gerolamo Delfinon ricamò per il principe una tenda di gala. Il ricamo barocco, coi suoi fiori prodigiosi, le sue architetture rilevate e fastose, d'oro e d'argento, fiorisce specialmente a Genova dove si trova come in casa sua. Nel '700, anche in Italia, di ricamo si ricoprono le vesti femminili, e più le maschili, e la Francia, che detta le leggi della moda, impone punti e disegni. Gli scambî con l'Oriente, che la Compagnia delle Indie ha reso più diretti e solleciti, risospingono il ricamo alle antiche origini: pagode, palanchini, ventagli, paramenti ornano tessuti e ricami; non solo: le sete da ricamo, i cordoncini vengono di là; e da Parigi si mandano in Cina i panciotti e le giubbe perché gli squisiti artisti di là li ornino di ghirlandette, di nocche e di panierini. La supremazia francese dura ancora durante l'Impero, finché dopo un periodo generale di decadenza e d'abbandono il ricamo, nelle forme più pratiche e modeste torna a fiorire per virtù delle donne d'Italia. E sarà ancora il ricamo femminile bianco su bianco o monocromo che abbiamo visto nascere e fiorire in mano alle donne veneziane nel '500 che rinascerà fra le mani delle dame italiane in tutte le provincie d'Italia. Le umili donne della campagna, presso le quali l'arte antica non era mai morta, insegnano il segreto di quei punti, ormai abbandonati dalla fortuna e dalla moda, alle signore della città, che ridanno valore d'arte a quelle opere semplici e rozze e a quei disegni deformati, creando un'industria fiorente che trova clienti e imitatori in Europa, nelle Americhe, dovunque. L'esempio primo di tale collaborazione partì da Venezia, quando nel 1872 la contessa A. Marcello (v. merletto, XXII, p. 914) seppe far rinascere a nuova fortuna le antiche trine di Burano. Poi, con Bologna, le maggiori città e, anche più, i piccoli paesi del Veneto, della Lombardia, dell'Umbria, della Toscana, delle Puglie, dell'Abruzzo, della Sicilia, della Sardegna, portarono nel particolare tipo di lavoro il segno del loro carattere regionale, dando luogo a una produzione che nella sua varietà serba evidenti i comuni caratteri nazionali: come diversi dialetti di un'unica lingua. Nei primi anni del Novecento una provvida istituzione che prese nome di "Cooperativa delle industrie femminili italiane", valse ad avviare il commercio dei ricami, delle trine, dei tessuti, operati dalle donne italiane, in tutto il mondo.

Bibl.: G. de S. Aubin, Description des arts et métiers, VI: L'art du brodeur, Parigi 1769; M. Barber, Some drawings of ancient embroidery, Londra 1880; M.M. Cust, Needlework as Art, Londra 1886; E. Lefèbure, Broderie et dentelles, Parigi 1887; De Farcy, La broderie du XIe siècle jusqu'à nos jours., Angers 1890; M. Huish, Samplers and Tapestry Embroideries, Londra 1900; M. Dreger, Künstlerische Entwicklung der Weberei und Stickerei, Vienna 1904; A. F. Kendrick, English embroideries, Londra 1904; I. Errera, Catalogue de broderies anciennes, Bruxelles 1905; G. Migeon, Les arts du tissu, Parigi 1909; A. Christie, Samplers and stitches, Londra 1920; M. Schuette, Geschichte der Bildteppiche und Decken des Mittelalters, Lipsia 1927; Ashton Leigh, Samplers: selected and described, Londra 1926; G. Saville Saligman e Talbot-Hughes, La Broderie somptuaire, Parigi 1927; E. Ricci, Ricami italiani antichi e moderni, Firenze s.a.

Il ricamo odierno.

Ricamo a mano. - Dopo un periodo, sul finire dell'Ottocento, in cui regna nel ricamo quella che Elisa Ricci chiama "l'industria del brutto", col sorgere dell'Aemilia Ars e di altre iniziative d'importanza nazionale, il lavoro femminile torna a illuminarsi di una luce d'arte. Alfonso Rubbiani crea i disegni per quei ricami e per quelle trine che dovevano trovare ammirazione e fortuna in Italia e all'estero. Lo stile del Rubbiani è in prevalenza il floreale. E i tralci sinuosi, le dolci corolle, i melograni doviziosi e i roteanti pavoni eseguiti a perfezione col "punto reale", col "punto riccio", col "reticello"- rapidamente imparati dalle contadine bolognesi - ricevono una fattura equilibrata di pieni e di vuoti, un rilievo, una plasticità, una ricchezza di rado raggiunti. Ma lo stile floreale, alterato da mediocri imitatori e immiserito dall'abuso che ne venne poi fatto anche nel ricamo, doveva trovare nell'abuso stesso la sua condanna. Bisognava cercare altro; si venivano delineando, urgevano dall'estero altre espressioni d'arte. Un movimento di reazione tendeva a sopprimere il sovraccarico, il falso d'una decorazione decadente. E l'attenzione degli artisti si veniva ora orientando verso la casa, per tanti anni trascurata, o affidata al gusto non sempre controllato della massaia.

La prima ondata di nuovo fu la caricatura del romantico, dello schubertiano. Lo stile Biedermeier (v.) entrò anche in Italia, e trovò Giulio Rosso che, oltre a decorazioni murali fra lo spiritoso e il buffo, eseguì disegni del genere per i ricami della Valmarana e le trine della ditta veneziana Jesurum.

Ma il gusto si trasformò; già la guerra mondiale aveva contribuito a ridurre nella casa il superfluo; e le tendenze utilitarie, accentuatesi nel dopoguerra, portarono al tipo di casa machine à habiter, arredata dello stretto indispensabile, dove il ricamo è pressoché abolito. Sennonché, dopo un certo tempo, l'aridità non soddisfa più. Di nuovo si sente il bisogno che qualcosa di decorativo scaldi e popoli l'ambiente. Gli artisti vengono al ricamo dapprima con disegni di una scheletrica geometria, poi con altri di un infantilismo non accettabile che come divario o come tentativo di nuovo; ma a poco a poco la grazia rientra. Oggi l'arte del ricamo ci appare come riveduta e corretta. Non è leziosa, ma ha curve e volute; non è romantica, ma ha fregi di foglie e fiori; non ostenta eccessi coloristici, ma studia armoniose fusioni. Giovanni Guerrini è l'animatore d'ogni mostra con i suoi disegni eleganti e originali; Vittorio Zecchin sfoggia per i lavori della Valmarana tutta una fantasia di fauna e di flora; Tomaso Buzzi crea motivi subacquei per i ricami e le trine di Mario Zennaro; Giovanni Ponti ritrova per il gonfalone dell'Ospedale Maggiore di Milano la grazia ingenua dei primitivi.

Simili guide artistiche valorizzano altamente il ricamo: ma è da notare come questo passi quasi tutto, dalle mani di esecutrici singole, a scuole: ciascuna delle quali si specializza in un punto e vi si perfeziona. Alcune hanno vita effimera; altre datano il loro successo ormai da anni, e provvedono di lavoro migliaia di operaie.

Nominare tutte le scuole d'Italia porterebbe a un elenco indefinito; si fa tramite provvidenziale fra esecutore e acquirente, raccolti i fili sparsi delle industrie femminili, il "Faro" torinese. Tali scuole non si valgono di "punti" nuovi: quelli antichi vengono ingegnosamente applicati a disegni moderni e acquistano sapore di novità.

I principali punti e lavori sono i seguenti:

Punto risparmiato. - Offre una superficie liscia e compatta come il raso, dove nessun punto è individuabile: si tratta d'una serie di file aderentissime di "punto erba", il cui secondo punto smezza verso l'estremità lo stame del precedente. Divide col "punto passato" e col "punto a catenella" l'esecuzione del "Bandera".

Lavoro Bandera. - Eminentemente settecentesco, non consente un ammodernamento senza l'alterazione della sua caratteristica antica. Valendosi dei punti sopracitati, riproduce con lane lievemente ritorte, su un tessuto di cotone a righe in rilievo o "a occhio di pernice", i trionfi di fiori, le frutta, i nastri dei damaschi e degli arazzi di Aubusson (vedi Aubusson, arazzo), tesi su mobili lussuosi dell'epoca, e sui quali il Bandera aveva modesta funzione di fodera (housse). Il ricamo superò poi il valore del tessuto sottostante.

Punto di figura o di Palestrina. - Antichissimo. Consiste nel tendere un filo da contorno a contorno d'un motivo, e nel tornarvi sopra fermandolo con due o più incroci a seconda della lunghezza del punto. Se il ricamo è d'un solo colore, il filo copre l'intera distanza; se a più colori o scalature, con una tinta si copre una sola parte del percorso; l'altra parte viene coperta con un tratto di tinta diversa, leggermente rientrante verso l'estremità del primo. L'effetto è del ben noto "punto raso" o "passato" ma è più plastico, più animato, e offre il vantaggio di poter essere eseguito senza telaio.

Imbottito o trapunto. - Già lo troviamo nelle coltri Guicciardini del '300. Consente di creare opere magnifiche. Si segue dal rovescio d'un telo esattamente foderato - e disegnato - un contorno a "punto filza"; e negli spazî limitati dal disegno si passa uno stame tante volte quante occorre per formare dal diritto un rilievo. Notevoli i trapunti col fondo arricchito d'infiniti nodini, che lo fanno simile al "granulato" degli orafi greci antichi. Meno lavorato, d'effetto piacevole, è l'imbottito che si vale della trasparenza d'un tessuto e di stami variamente colorati, per ottenere tinte sobrie diverse a rilievo.

Applicazioni. - oltre a quelle a colori, sono di modernissimo gusto le applicazioni di organdis colorato su bianco; altre di batista su tulle; altre fatte con diversi spessori di stoffe velate, sì da creare opacità e trasparenze di diverso valore. Il procedimento richiede per tutte una meticolosa esattezza.

Punto Valmarana. - Col più semplice dei mezzi, Pia di Valmarana dà vita a opere pregevolissime: una serie di punti a filza scambiati, aderentissimi, di cotone da ricamo su tessuto velato, e spezzati secondo le esigenze del disegno. Contrasto bellissimo di fitto e di lieve.

Punto ombra. - Su tessuto lieve il disegno viene rafforzato dal rovescio con un semplice "punto spina", che produce dal diritto un contorno a fitta impuntura. Lievità, grazia, rilievo sono le doti del lavoro, che si eseguisce con perfezione nei laboratorî dell'ideatrice contessa C. Maraini e in altri.

Nel Veneto viene aggiunto a questo lavoro un fondo a traforo con l'ago grosso: il che lo anima e gli toglie uniformità. Di solito, riproduce deliziosi intagli in legno del Brustolon (v.).

Sfilato siciliano o punto tagliato. - Esige pazienza ed esattezza. Si contano i fili del tessuto seguendo a cordoncino i contorni d'un disegno. Il pieno del motivo resta intatto, mentre il fondo viene sfilato in quadro, e i fili sono a fascetti ripresi e ritorti.

Punto di Deruta. - Viene eseguito su tela rada; tutto il motivo è ritessuto con una serie di punti a tela, che rendono questa più fitta assai del fondo. Fra il siciliano e il Deruta sta il prezioso "Buratto".

Punto in croce. Punto scritto. - Di esecuzione infantile; ma alcuni laboratorî innalzano questi punti, eseguiti con meticolosa cura del rovescio, alla riproduzione di nobili motivi generalmente tratti dall'antico.

Punto Pisa. - Grazioso, ma sazievole, per esserne stato fatto abuso: è un punto a intaglio di piccoli motivi formanti insieme, in leggiera variante del vecchio "ricamo inglese". Con maggiore ingegnosità, altri si è valso del consimile "punto intagliatela", riempiendo con ricami varî il tessuto contornato da "punto a smerlo", e formando un lavoro ricco che sta fra il ricamo e la trina.

Punto di Parma. - Si vale anche questo del "punto a smerlo", ma ripreso, sopraelevato, ed eseguito con grosso refe, sì da fare un ricamo di forte rilievo, adatto a riprodurre sia i fregi romanici del duomo, sia moderni disegni.

Punto Cavandoli. - È il lavoro a macramé ingegnosamente modificato: viene eseguito con fili di due colori, in modo che scambiandosi l'annodare dell'uno sull'altro ne risulta scoperta, in fittissimo tessuto, ora l'una ora l'altra tinta.

Lavoro Lampugnani. - Si vale d'una primordiale "filza" a lunghi punti, ma interrotta, infittita o diradata secondo le nervature e i chiaroscuri del disegno, riprodotto così con bella efficacia.

Lavoro di Lanzo. - Non è vero ricamo se non in quanto fiori, fogliami e volute, eseguiti all'uncinetto con varî stami di colore, sono variamente disposti e cuciti su tela grezza, da contadine dotate d'un vero senso artistico del colore e della composizione.

Ricami a macchina. - Le prime macchine da ricamo sono apparse verso il 1830 a S. Gallo in Svizzera e i primi ricami a macchina creati furono strisce bianche di cotone di metri 3,60, ricamate a punto pieno alternato da punti a giorno, da fori e intagli. Quelle terminanti a smerli, anche festonate, si chiamano comunemente "punte" (fr. bandes), le altre dritte "tramezzi" (fr. entre-deux) e quelle a grande altezza sono detti "volanti".

L'accentuarsi dell'uso della biancheria e la moda hanno favorito questo genere di guarnizione per quasi un secolo, durante il quale, con il perfezionarsi delle macchine, vennero creati altri articoli ricamati: il pizzo chimico detto comunemente macramé e il pizzo bretone che ha il fondo di tulle. Il ricamo a macchina si applicò poi ai tessuti in svariate combinazioni, creando una serie di articoli come leize (tessuti ricamati a fondo pieno, generalmente forati), plumetis (mussoline ricamate a motivi sparsi), stoffe uso damascati, colletti, scialli, cuscini, servizî di tovaglie e tovagliette in genere. Recentissima poi è l'applicazione della macchina da ricamo alle stoffe imbottite, l'uso delle quali è stato accolto favorevolmente dal commercio interno e di esportazione: la stoffa, col relativo tessuto di rovescio, è imbottita di ovatta e la macchina esegue la trapuntatura e, volendo, anche il ricamo. Da indagini fatte si può asserire che è una creazione italiana, almeno per la parte volta all'abbigliamento.

Nel campo delle applicazioni il ricamo a macchina ha fatto notevoli progressi essendosi raggiunta la possibilità di ricamare con fantasia a motivi larghi e spaziosi (grandi rapporti) e con oltre cinque colori comprendenti contemporaneamente diverse qualità di filati e fili d'oro e d'argento, nonché eseguire linee dolcemente curvate, sottili o grevi, in rilievo o con striature di effetto meraviglioso. Tutto ciò è stato possibile dato il continuo perfezionamento delle macchine da ricamo.

Le prime macchine da ricamo erano mosse a mano e schematicamente si componevano di tre organi essenziali: un telaio verticale sul quale era steso il tessuto da ricamare; un doppio sistema di pinze che, da una parte e dall'altra del tessuto, comandavano un dispositivo di aghi attraverso il tessuto teso, con un movimento di chiusura e di apertura; un pantografo speciale che comandava i movimenti del telaio, guidato dall'operaio, in modo da riprodurre, in proporzione ridotta, il disegno che l'operaio stesso seguiva con la punta del pantografo. In diversi paesi e anche in Italia funzionano ancora alcune di queste macchine, che hanno il pregio di eseguire il ricamo a "punto passato" come viene fatto a mano.

Un maggiore sviluppo ai ricami a macchina fu dato dalla macchina a navetta schiffli a pantografo, inventata dallo svizzero I. Groebli verso il 1860, nella quale il movimento è meccanico. La grande innovazione era costituita dal fatto che, mentre prima, nella macchina a mano, gli aghi venivano presi da un carrello all'altro passando attraverso il tessuto, gli aghi della macchina a navetta prendono il filo del rocchetto, passano attraverso il tessuto, giungendo dall'altra parte a una navetta contenente una bobina; la bobina tiene fermo il punto e gli aghi rimangono per ciò sempre dalla medesima parte del tessuto.

Nel 1878 la ditta Saurer uscì con una nuova macchina che faceva 32 battute al minuto e aveva un movimento traversale per il tiraggio del filato. Nel 1887 uscì la Dietrich di Plauen (Germania) con 85 battute al minuto. Gli sforzi tendevano nel frattempo alla ricerca di un dispositivo che sostituisse il pantografo e il movimento dell'operaio ricamatore. Fu Arnold Groebli, figlio dell'inventore della macchina a navetta, che poté applicare nel 1896 il primo apparecchio automatico. In questa macchina il disegno fu sostituito, che è poi il sistema tuttora in uso, da cartoni forati, in cui corrisponde a ogni foro un movimento, che prima veniva eseguito dal pantografo. Per la foratura dei cartoni fu creata una macchina speciale, la "Punch" la quale funziona con un pantografo.

Anche a questa macchina automatica furono apportate modifiche e perfezionamenti giungendo dopo il 1905 alla lunghezza della macchina di m. 13,60 (15 yards). Con la macchina automatica viene eliminato anche l'operaio ricamatore, dal momento che tutti gli apparecchi funzionano automaticamente secondo il sistema dei telai Jacquard, cioè con rotoli di cartone forato.

Notevole sviluppo ha preso nell'artigianato il ricamo eseguito con macchine da cucire. Il tipo di macchina che si presta meglio è quello a navetta oscillante con bobina centrale. Poiché il lavoro deve essere guidato con la mano, in tali macchine si è provveduto con speciali dispositivi alla possibilità di annullare la funzione del trasportatore. Inoltre si deve poter variare notevolmente la tensione dei fili superiori e inferiori, secondo il genere di lavoro che si compie.

Macchine speciali si costruiscono anche per il punto a zig zag e altri punti speciali.

L'industria del ricamo ha trovato maggiore sviluppo in Svizzera e Germania, dove esistevano nel 1922 funzionanti circa 28 mila macchine fra macchine a mano, schiffli, e automatiche divise quasi in parti uguali. Seguivano poi: Austria (Vorarlberg) con oltre 1200 macchine, Italia con più di 1000 macchine e Francia con 800 macchine.

In Italia le prime macchine furono impiantate a Milano nel 1872 dallo svizzero F. Reiser. Nei 1905 fu introdotta la prima macchina automatica da 10 yards. Le imprese si trovano tutte nell'Italia settentrionale e specialmente nel Gallaratese.

Dal 1922, però, in seguito al diminuire della biancheria, dovuto all'accentuarsi della moda delle vesti corte e attillate, l'industria dei ricami a macchina subì di anno in anno una discesa precipitosa e in ogni paese non poche imprese ricamiere furono costrette a chiudere.

Le 13.000 macchine di ricamo esistenti in Svizzera nel 1922 si sono attualmente ridotte a 600-700. In Germania funzionano circa 1000 macchine e 400 in Austria (Vorarlberg). La Francia, a differenza degli altri paesi, ha aumentato i suoi impianti da 800 macchine a 1500, che oltre ai ricami bianchi producono pizzi bretonne e ricami di grande fantasia per stoffe di ogni genere. Nell'Inghilterra vi sono impianti non bene precisati a Nottingham, zona industriale dei pizzi (laces), che producono pizzi chimici e pizzi su tulle. Impianti esistono anche in Cecoslovacchia, in Russia e negli Stati Uniti. Recentemente l'industria del ricamo a macchina è sorta nel Giappone con un centinaio di macchine. Anche nelle Indie Inglesi, ad Amritsar, da poco vi è un impianto di una decina di macchine con personale dirigente italiano, capitali italiani e indiani.

L'Italia ha ridotto il numero delle macchine in funzione a circa 300. La maggior parte della produzione italiana di ricami a macchina è destinata all'esportazione: nel 1932 si sono esportati 2010 q. di ricami, corrispondenti a un valore di 7,441 milioni di lire; nel 1933 q. 1986, per un valore di 6,278 milioni; nel 1934 q. 2394, per un valore di 7,082 milioni.

Notevole l'esportazinne in Argentina di lenzuola e federe di cotone ricamate a macchina nel Gallaratese.

Molto diffuso è, in Italia, l'uso delle macchine da cucire per, il ricamo, particolarmente nelle zone rurali.

Speciali corsi d'insegnamento del ricamo con queste macchine sono stati iniziati dall'Opera Nazionale Dopolavoro.

La costruzione delle macchine è un'assoluta esclusività dei paesi che furono la culla di questa industria: Svizzera e Germania.

V. tavv. XLV-LII.