Repertorio delle culture dell'Europa preistorica. Neolitico

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Repertorio delle culture dell'Europa preistorica. Neolitico

Enrico Atzeni
Leone Fasani
Bernardino Bagolini
Muzafer Korkuti
Arturo Palma di Cesnola
Giovanna Radi
Paolo Biagi
Jean-Paul Thevenot
Alain Gallay
Šime Batovic
Anna Maria Bietti Sestieri
Evangelia Skafida
Luca Bachechi
Enrico Pellegrini
Renata Grifoni Cremonesi
Sebastiano Tusa

Arzachena

di Enrico Atzeni

Facies culturale del Neolitico recente sardo, così denominata dalla località di maggiore concentrazione e detta anche “corso-gallurese” dall’area di diffusione nella Gallura e nella Corsica meridionale, inquadrabile, come la parallela cultura di Ozieri, tra la fine del IV e gli inizi del III millennio a.C.

Si attesta soprattutto sulle emergenze di una peculiare architettura funeraria megalitica rappresentata nel territorio da una cinquantina di tombe a circolo (tipo A, con diametro da 5 a 9 m), talora, come a Li Muri, tra loro tangenti e costituite da cerchi concentrici di lastroni ortostatici, di sostegno a un tumulo che ricopriva ciste litiche rettangolari, semi-infossate, della lunghezza massima di 2 m. Le strutture di tipo dolmenico, affiancate da fossette votive rivestite da lastre e da stele recinte o menhir, lasciano ancora dubbi sui rituali funerari, che pare prevedessero inumazioni distese ricoperte d’ocra rossa. Per altri circoli (tipo B), risalenti almeno in parte allo stesso tipo di società a preminente organizzazione economica pastorale, si avanza l’ipotesi di luoghi di culto adibiti forse alla scarnificazione dei cadaveri. Tali luoghi presentano anelli con doppio paramento murario, del diametro da 4 a 9 m con ingressi aperti a sud-est, come presso la necropoli ipogea e megalitica di Pranu Mutteddu di Goni, nel Gerrei.

Le testimonianze di cultura materiale sinora acquisite richiamano invece, con lame di selce, ma soprattutto con ricchi elementi di corredo funebre di steatite verde importata, quali una raffinata coppetta carenata con prese piene a rocchetto, pomi sferoidi a foro cilindrico, numerosissimi vaghi di collana anulari, cilindroidi, a olivella, analoghe produzioni di civiltà mediterranea e orientale che hanno confronti peninsulari meridionali, maltesi, cretesi ed egei.

Bibliografia

E. Atzeni, Aspetti e sviluppi culturali del neolitico e della prima età dei metalli in Sardegna, in Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’età classica, Milano 1981, pp. 21-60.

G. Guilaine, The Megalithic in Sardinia, Southern France and Catalonia, in R.H. Tykot - T.K. Andrews (edd.), Studies in Sardinian Archaeology Presented to Miriam S. Balmuth, Sheffield 1992, pp. 128-36.

Bicchiere imbutiforme

di Leone Fasani

Termine sotto il quale sono raggruppati alcuni aspetti culturali che interessano la regione scandinava (Svezia meridionale e Danimarca) e l’Europa settentrionale (Schleswig-Holstein, Meclemburgo settentrionale, Polonia, Boemia, Bassa Sassonia e Paesi Bassi) tra il 4500 e il 3500 a.C.

Un tempo la cultura del B.I. era suddivisa nelle fasi A, B e C, ma la revisione dei materiali e nuove ricerche hanno messo in evidenza l’inconsistenza della fase B. La successione stratigrafica delle fasi A e C è ben documentata nelle aree settentrionali di diffusione della cultura del B.I. La fase A è quella meno differenziata a livello locale e gli elementi che la caratterizzano sono il “bicchiere imbutiforme”, decorato da una semplice linea orizzontale punteggiata sotto l’orlo e le anfore globulari inornate.

Nella fase seguente C si riconoscono numerosi gruppi regionali, il cui principale legame è rappresentato dalle forme ceramiche. Nel Gruppo Orientale (Germania nord-occidentale, Polonia e Ucraina) la ceramica della fase C è decorata dapprima con motivi a incisioni verticali e piccole bugne e, successivamente, con una decorazione più ricca soprattutto nella parte superiore del vaso. Le sepolture sono all’inizio di tipo individuale, alcune in tumuli. Si conoscono resti di abitazioni rettangolari, con villaggi costituiti da piccole capanne circolari seminterrate del diametro di 2-3 m. L’economia era fondata essenzialmente sull’agricoltura e l’allevamento (bovini). Tra i manufatti sono particolarmente frequenti le asce levigate di selce provenienti dallo sfruttamento di miniere sotterranee, tra le quali particolarmente importanti quelle di Krzemionkach Opatowskick (Opatow) in Polonia; molto caratteristiche sono anche le asce martello e quelle “da combattimento” di pietra dura. L’ambra del Baltico era utilizzata per la produzione di perle e sono noti anche vari oggetti di rame.

Il Gruppo Meridionale (Germania centrale, Boemia, Moravia, Slesia, Polonia meridionale) succede alla ceramica a decorazione lineare e a quella di Lengyel; è invece in parte contemporaneo alle ceramiche di Tiszapolgár e di Bodrogkeresztúr da un canto e di Aichbül, di Schüssenried e Jordanow dall’altro. Rari sono i ritrovamenti relativi alla fase A, mentre la fase C, di Baalberge, è ben rappresentata soprattutto nella valle della Saale. Le forme ceramiche della fase C del Gruppo Meridionale sono le anfore a corpo biconico o arrotondato con collo cilindrico munito di quattro piccole anse, brocche, tazze monoansate e rari bicchieri imbutiformi; rari sono gli esempi di decorazione, a punzone o incisa. La fase di Baalberge è nota soprattutto dalle sepolture. Nella valle dell’Elba è presente un gruppo di ceramiche con decorazione a impressioni profonde (Tiefstich) e, più a sud, con caratteri simili, il gruppo cosiddetto “di Walternienburg”; quest’ultimo si afferma anche nella zona orientale del Gruppo Meridionale, lungo la riva destra della Saale e in Boemia. Gli utensili sono ancora, per lo più, asce di selce levigata e “asce da combattimento”, anche miniaturizzate; rari sono gli oggetti di ornamento di ambra e i manufatti di rame. Nel Gruppo Occidentale (Paesi Bassi e Germania nord-orientale) e nel Gruppo Settentrionale (Scandinavia) la fase A è scarsamente rappresentata. L’arrivo delle popolazioni scandinave della cultura del B.I. nei Paesi Bassi e nella penisola scandinava, come nella Germania nord-occidentale, segna il passaggio di queste regioni dal Mesolitico al Neolitico. La ceramica dei nuovi arrivati è di tipo grossolano e l’introduzione dell’allevamento non cambia significativamente l’economia di quelle regioni, che resta fondamentalmente mesolitica. Della fase C sono noti molti abitati spesso costituiti da grandi case rettangolari allungate (a Barkaer, nello Jutland, la maggiore raggiungeva le dimensioni di 80 x 3 m), costituite da pali affiancati e internamente suddivise in camere lunghe circa 3 m.

Nella cultura materiale, accanto alle asce di selce e a quelle “da combattimento”, si trovano il bicchiere imbutiforme, bottiglie a collaretto e anfore con piccole anse sopra la spalla. Nel Gruppo Settentrionale sono presenti principalmente incisioni verticali sui bicchieri imbutiformi e, sulle anfore e le bottiglie, strette bande verticali rilevate decorate a incisioni. Nel Gruppo Occidentale, oltre che i motivi ora ricordati, sono presenti decorazioni eseguite a impressioni profonde. I riti funebri sono ancora rappresentati da tombe individuali, ma si trovano pure tombe in ciste litiche ricoperte da piccoli tumuli. Durante la fase C della cultura del B.I. la Germania nord-occidentale (Meclemburgo, Pomerania) e la Scandinavia sono raggiunte dal grande fenomeno megalitico. Con il megalitismo compaiono anche costruzioni interpretate come edifici di culto: a Tustrup e a Ferselv, in Danimarca, sono stati individuati edifici rettangolari chiusi su tre lati da muri a secco. Nelle fasi più recenti della cultura del B.I. si hanno abitazioni rettangolari allungate, come pure villaggi di capanne rettangolari talora costituiti da alcune decine di abitazioni in legno (a Dummerlohausen vi era una quarantina di capanne in legno di 4 x 5 m).

La cultura del B.I. C si evolve direttamente dalla cultura del B.I. A e, poiché questa non sembra avere precedenti nelle varie aree di diffusione, si è supposta sia una genesi autoctona, sia un’immigrazione di popolazioni. Mentre la prima ipotesi sembra difficilmente dimostrabile, a favore dell’arrivo di influenze esterne vi è una certa similarità strutturale, principalmente a livello funerario, tra le culture di Dnepr-Donec e di Srednij Stog II dell’Ucraina e le fasi arcaiche della cultura del B.I., soprattutto nelle regioni orientali (fase di Sarnowo in Polonia). È quindi possibile pensare a una migrazione di popolazioni dall’Ucraina verso occidente che si sarebbero amalgamate con quelle indigene preesistenti, apportando nuovi elementi e assumendone, a loro volta, altri; ciò spiegherebbe le diversificazioni della cultura del B.I. a livello regionale.

Bibliografia

H. Knöll, Die Nordwestdeutsche Tiefstichkeramik und ihre Stellung im nord- und mitteleuropäischen Neolithikum, Münster 1959.

J. Lichardus, Rössen - Gatersleben - Baalberge. Ein Beitrag zur Chronologie des mitteldeutschen Neolithikums und zur Entstehung der Trichterbecher-kulturen, Bonn 1976.

J.A. Bakker, The TRB West Group. Studies in the Chronology and Geography of the Makers of Hunebeds and Tiefstich Pottery, Amsterdam 1979.

T. Wislanski (ed.), The Funnel Beaker Culture in Poland, Poznan 1981.

J. Lichardus et al., La protohistoire de l’Europe. Le Néolithique et le Calcolithique, Paris 1985, pp. 325-515.

Boian

di Bernardino Bagolini

Cultura del Neolitico medio e recente della Romania e della Bulgaria nord-orientale, che prende il nome dal sito scoperto nel 1925 su un’isola del lago di Boian.

Gli elementi formativi della cultura di B. sembrano derivati dalla tradizione autoctona integrata da influenze esterne diverse, in particolare della Ceramica Lineare. È possibile distinguere quattro fasi: Bolintineau, Giuleşti, Vidra, e un ultimo aspetto che presenta diverse varietà regionali designate come Petru Rareş, Spanţov, Tangîru o Fintinele. La ceramica della fase B. Bolintineau associa motivi a tratteggio, a metope o incisi a spina di pesce, caratteristici di Dudesti II, con decorazioni a “note musicali” tipiche della Ceramica Lineare e vasi neri e grigi a superficie lucida scanalata distintivi di Vinča-Turdaş. Nel successivo momento di B. Giuleşti si aggiungono larghe e profonde incisioni riempite di pasta bianca e decorazioni excise, successivamente riempite di pasta bianca o rossa, che formano motivi in negativo; anche i motivi a scacchiera sono frequenti, inoltre sono sempre presenti linee, spirali, zig-zag e impressioni, accanto a una ceramica scura e scanalata.

L’aspetto di B. Vidra si caratterizza per la prevalenza di motivi excisi riempiti di pasta bianca e rossa. I recipienti decorati con la grafite sono particolarmente tipici del B. tardo. A forme emisferiche e leggermente biconiche si aggiungono, nel corso dell’evoluzione della cultura di B., recipienti a spalla e vasi a profilo angolato; coperchi, coppe su piede e coppe cilindriche su alto piede molto stretto (Steckdose) appaiono a partire da B. Giuleşti. Nella prima fase questa cultura si estende su un territorio ancora relativamente ristretto, che interessa le aree precedentemente occupate da Dudeóti II e dalla Ceramica Lineare. Il successivo aspetto di Giuleşti si caratterizza per una maggiore estensione territoriale in direzione della Moldavia e della Transilvania. Durante la fase di Vidra, la cultura di B. si riduce alla Muntenia meridionale, mentre negli aspetti finali si espande nuovamente, questa volta in direzione della costa occidentale dove sostituisce la cultura di Hamangia.

Anche le modalità insediative della cultura di B. si differenziano nel tempo; durante il primo B., in continuità con Dudeşti, i luoghi di insediamento privilegiati sono terrazzi fluviali che vengono in seguito abbandonati. A partire da B. Vidra parecchi insediamenti occupano nuovi terrazzi o rive fluviali e lacustri. Gli insediamenti di B. sono costituiti da piccole abitazioni a pianta quadrangolare, spesso allineate. Per il tardo B. sono documentati modellini in terracotta di case con tetto spiovente. Con B. Vidra i villaggi sono circondati da un sistema di fossati con profilo a V o U, accompagnati talvolta da una palizzata. La modalità sepolcrale prevalente nella cultura di B. è l’inumazione in posizione contratta. Molte sepolture non possiedono alcun corredo, mentre in alcune è stata rinvenuta ceramica e qualche raro ornamento. Sono documentate grandi necropoli come a Cernica, mentre piccoli raggruppamenti di sepolture datate B. Vidra sono invece noti a Radovan, nel sito eponimo e ad Andolina; in quest’ultimo sito alcune tombe contenevano ornamenti in rame. I dati sull’economia, ancora piuttosto scarsi, attestano attività agricole e di allevamento.

Bibliografia

G. Cantacuzino - S. Morintz, Die jungsteinzeitlichen Funde in Cernica (Bukarest), in Dacia, n.s. 7 (1963), pp. 27-89.

J. Lichardus et al., La Protohistoire de l’Europe. Le Néolithique et le Calcolithique, Paris 1985.

Boyne

di Bernardo Bagolini

Aspetto archeologico del Neolitico che prende il nome da uno dei quattro principali gruppi di tombe megalitiche dell’Irlanda, interpretato da alcuni autori come una facies sepolcrale, dal momento che mancano completamente tracce di abitati.

I monumenti, che si configurano come tombe a corridoio (passage tombs), sono distribuiti principalmente nelle zone centrali dell’Irlanda, ma un piccolo gruppo è stato individuato anche nell’isola di Anglesey a ridosso delle coste del Galles del Nord. In pochi casi si hanno raggruppamenti di sepolture che possono contenere fino a 65 tombe, come nel cimitero di Carrowmore. Il sito sepolcrale più spettacolare è quello eponimo, posto su un’ansa del fiume Boyne detta The Bend of the Boyne, dove è presente quello che si potrebbe definire un paesaggio rituale (ritual landscape), simile ad altri sparsi altrove in Britannia; in questi siti le tombe, generalmente datate al Neolitico tardo, sono associate ad altri tipi di monumenti.

I megaliti nella necropoli di Boyne sono costituiti da cerchi di pietre e strutture di legno. Le stesse tombe variano da piccole strutture con un diametro di pochi metri, fino alle enormi architetture poste sotto tumuli di terra alti decine di metri. La necropoli di Boyne è caratterizzata da tre tumuli eccezionalmente vasti, New Grange, Knowth e Dowth, attorno ai quali si raggruppano tombe satelliti molto più piccole. La maggior parte delle tombe è munita di una sola camera e presenta un lungo corridoio d’ingresso. Parecchi tumuli sono comunque provvisti di camere laterali opposte e anche di una camera terminale, così da creare una pianta cruciforme. La tomba di Bryn Celli Ddu nell’isola di Anglesey sembra essere stata edificata sopra un più antico monumento a henge. Nel corso della loro esistenza le gallerie di questi monumenti vennero a volte sigillate utilizzando grandi lastre calcaree orizzontali. In alcune delle tombe di Boyne sono presenti elaborate decorazioni cromatiche e scultoree realizzate a martellina con motivi a triangoli, losanghe, croci, archi, zig-zag e spirali; fatta eccezione per i simboli solari, il resto è di difficile interpretazione. Il rito sepolcrale più comune è la cremazione; tra i pochi oggetti tombali specifici della cultura sono presenti spille in osso con la testa a forma di papavero, perline litiche e pendenti. I recipienti fittili sono di forma emisferica, generalmente decorati con motivi stab and drag (Carrowkeel Ware) e sembrano specifici delle tombe. Le datazioni radiometriche attestano che alcune delle tombe a corridoio risalgono all’inizio del Neolitico (Carrowmore) mentre il resto della documentazione suggerisce il perdurare di questa tradizione per buona parte del Neolitico. La tomba di New Grange costituisce un punto focale dell’antropizzazione della Britannia durante la Cultura del Bicchiere Campaniforme, mentre The Mound of the Hostages venne utilizzato come sepolcreto nella sua parte sommitale durante la prima età del Bronzo.

Bibliografia

M. O’Kelly, New Grange, London 1982.

G. Eogan, Knowth and the Passage Graves of Ireland, London 1986.

Čakran

di Muzafer Korkuti

Cultura del Neolitico medio albanese caratterizzata da abitati all’aperto (Č., Dunavec II, Kolsh II, ecc.) e frequentazioni in grotta (Katundas, Blaz, Konispol, ecc.).

Le abitazioni erano costituite da capanne generalmente costruite al livello del suolo, talvolta parzialmente scavate nel terreno; il pavimento era formato da un lastricato di ciottoli o da uno strato di pali orizzontali coperti da uno strato di terra battuta; le pareti erano realizzate in legno e anch’esse rivestite in terra battuta. Nello strato più antico dell’abitato di Čakran sono stati scoperti due scheletri di adolescenti in posizione rannicchiata, senza corredo, interpretabili come sacrifici offerti per la fondazione e la conservazione dell’abitato. Questo rituale si trova anche nella cultura neolitica di Podgori I e in quella eneolitica di Maliq II in Albania. Nell’ambito del Neolitico medio si colloca anche l’insediamento di Dunavec I, il più antico abitato su palafitte dei Balcani datato, sulla base del 14C, a 4830±20 anni a.C.

La cultura di Č. condivide alcuni elementi con la fase di Dunavec I, immediatamente precedente: la ceramica grigia e grigio-nera, la ceramica nera a superficie liscia, lucida od opaca, la ceramica a barbotine e quella impressa, queste ultime ereditate dal Neolitico antico, numerosissime forme di recipienti, decorati con ornamenti in rilievo, a incisione, pittura grigia, ecc. L’introduzione dei rhytà a quattro piedi, diffusi ampiamente nella zona adriatico-egea, si può collegare alla sfera del mondo spirituale. È documentata anche la presenza delle terrecotte antropomorfe di tipo steatopigio che si collegano al culto della Dea Madre.

La fase di Č. rappresenta il periodo della completa formazione e fioritura della cultura del Neolitico medio albanese, quando si sviluppano e si arricchiscono le forme e gli ornamenti tipici della fase precedente: la decorazione in rilievo conosce il suo massimo sviluppo, diventano caratteristiche le incisioni di tipo adriatico, migliora la qualità di esecuzione della decorazione a scanalature, aumenta la ceramica dipinta in grigio; appare inoltre la ceramica dipinta con colore rossastro e si manifesta per la prima volta la ceramica Black Topped. I frammenti a superficie nera lucidata e decorata con motivi dentellati sono simili a quelli dello stile di Guadone nella Daunia (Italia); si arricchisce la decorazione dei rhytà, ora dipinti in rosso. Nella plastica antropomorfa, accanto alle terrecotte steatopigie, diventano caratteristiche quelle a gambe incrociate, simili alle realizzazioni dell’Egeo.

La fase di Blaz III rappresenta il momento finale del Neolitico medio ed è caratterizzata dalla ceramica di colore grigio, grigio-nero e marrone, con predominio delle forme di vasellame caratteristiche di Č. Si sviluppa ulteriormente la ceramica decorata a incisione, in cui prevalgono i motivi geometrici (triangoli, rombi); si usa anche dipingere in rosso e incrostare in bianco o in rosso. Scompaiono invece alcuni elementi documentati nelle fasi precedenti: la decorazione à la barbotine, quella impressa e i rhytà.

Bibliografia

M. Korkuti - Zh. Andrea, La station du néolithique moyen à Cakran de Fieri, in Iliria, 3 (1974), pp. 49-107.

Id., Neolithikum und Chalkolithikum in Albanien, Mainz a.Rh. 1995, pp. 134-49.

Campignano

di Arturo Palma di Cesnola

Termine derivante da Campigny, località francese situata nel comune di Blangy-sur-Bresle, nel dipartimento della Senna Inferiore, introdotto alla fine dell’Ottocento per designare una cultura caratterizzata da manufatti macrolitici a scheggiatura bifacciale.

In Italia, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, la scuola paletnologica romana di L. Pigorini interpretò il C. come un “protoneolitico”. A questo evidente anacronismo reagì A. Mochi, che collocò il C. nel Neolitico medio, facendolo provenire da aree del Mediterraneo orientale, quali quelle siro-egiziane e balcaniche.

All’ipotesi di un’origine balcanica del C. non molto tempo dopo si dichiarò favorevole G. Patroni. Ma l’interesse maggiore per il C. si ebbe in Francia, con E. Octobon e G. Goury e soprattutto, in epoca successiva, con L.R. Nougier (1950). Comune a tutti questi autori era l’idea di un C. come cultura a sé stante. Sotto gli influssi di G. Goury e in concomitanza con l’opera di L.R. Nougier, il C. italiano ebbe anch’esso una periodizzazione, prima da parte di C. Maviglia, poco dopo di F. Zorzi. C. Maviglia distinse un “C. arcaico” di età eneolitica da un “C. evoluto”, assegnabile alla fine dell’Eneolitico e all’età del Bronzo. Dagli inizi degli anni Sessanta del XX secolo a oggi le idee sul C. sono molto mutate. Non si parla più di una cultura, ma semplicemente di una tecnologia campignana a scheggiatura bifacciale, legata alla produzione di particolari strumenti (le accette, i picconi, i tranchets). La frequenza, talvolta cospicua, di questo tipo di manufatti in certe aree geografiche, tuttavia, costituisce pur sempre un particolare aspetto culturale ed economico (estrazione della selce e lavorazione di essa in grandi officine, sfruttamento della foresta) che non può essere sottovalutato. Attualmente si è propensi a ricercare nel Medio Oriente mediterraneo le origini della tecnica e della tipologia campignane. È infatti soprattutto nella Palestina che verso la fine del Mesolitico (Natufiano del Monte Carmelo) si annunciano i prototipi dei bifacciali campignani, che vedremo poi moltiplicarsi, precisandosi nelle forme dei tranchets, delle accette, degli scalpelli nel Preceramico di Gerico, nel Neolitico ceramico palestinese e libanese, fino al locale Eneolitico.

È possibile pensare che gli strumenti bifacciali di tipo campignano siano stati introdotti in Italia da quelle stesse correnti culturali che dal Mediterraneo orientale diffusero le prime ceramiche del Neolitico. A proposito del fenomeno campignano italiano, sembra assodato che ne è interessata la sola fascia adriatica (dalla Puglia al Veneto) e in particolar modo il Gargano e i Monti Lessini. Lungo il medio e basso versante adriatico (Puglia, Abruzzo) l’apparizione dei primi manufatti campignani coincide col Neolitico a ceramiche impresse della facies del Guadone e con quello a ceramiche dipinte nello stile di Masseria La Quercia e di Passo di Corvo della Daunia. Lo strumentario campignano scompare agli inizi dell’età del Bronzo.

Bibliografia

L.R. Nougier, Les civilisations campigniennes en Europe occidentale, Toulouse 1950.

A. Palma di Cesnola, Il Campignano del Gargano. Tipologia e cronologia, in Il Campignano e l’età del Bronzo. Atti della IV Esposizione Archeologica (Vico del Gargano, maggio 1979), Lucera 1980, pp. 23-49.

Ceramica impressa

di Giovanna Radi

Termine che viene riferito all’orizzonte nel quale il processo di neolitizzazione dal Vicino Oriente si diffonde nel Mediterraneo occidentale.

Deriva dalla tecnica utilizzata per la decorazione dei vasi, ottenuta premendo sulle pareti, prima della cottura, con punzoni di vario tipo: sono riconoscibili le impressioni con conchiglie (il cardium in particolare, da cui la definizione di ceramica cardiale), con strumenti vegetali (a cerchielli o trascinate), le impressioni digitali (pizzicato, unghiate) e più raramente le impressioni con stampi in argilla. Per quanto riguarda le ceramiche, sono riconoscibili diversi gruppi culturali con caratteristiche distintive, mentre la discussione in merito all’industria litica è più complessa e deve tener conto del ruolo svolto dai substrati locali o dalle tradizioni del Mesolitico.

Nell’area occidentale della Penisola Balcanica si sviluppa la cultura di Starčevo, cui fanno capo numerose varianti regionali: di Anzabegovo in Macedonia, di Kolsh in Albania, di Körös in Ungheria, di Criş in Romania. In quest’area geografica la ceramica comprende una categoria grossolana decorata a impressioni e una classe fine con ornati dipinti, in base alla quale è stata proposta una periodizzazione. Una ceramica decorata a impressioni compare nel più antico Neolitico della Tessaglia, in particolare nella fase di mezzo o pre-Sesklo, benché alcuni autori propendano nel considerarla una classe di vasellame grezzo che si associa alla ceramica liscia e dipinta del proto-Sesklo e Sesklo.

Nelle regioni che si affacciano sul Mare Adriatico e sullo Ionio, dalla Dalmazia alle regioni meridionali e centro-orientali della Penisola Italiana, si individua una cerchia a ceramica impressa relativamente omogenea. Le ceramiche caratteristiche sono globulari e del tipo a fiasco, con decorazione a impressioni coprenti digitali, a conchiglia e con punzone.

Un’evoluzione individuata nell’area apulo-lucana avviene attraverso l’acquisizione in fasi successive delle decorazioni impresse di tipo evoluto (Guadone), delle decorazioni graffite a linea sottile o a linea dentellata e della pittura su impasti depurati (Lagnano da Piede, Masseria La Quercia). In molti siti la fase finale rivela contatti con l’orizzonte della ceramica dipinta bicromica. La diffusione verso il medio e alto Adriatico fino alla Romagna si verifica con un aspetto già evoluto, che viene a contatto con la ceramica a linee incise e nella fase finale presenta alcuni tipi che saranno peculiari degli impasti fini della ceramica dipinta di Catignano.

Un momento più arcaico con ornati semplici coprenti si sta individuando in alcune aree: in Sicilia, precedente la cultura di Stentinello, in siti costieri della Francia meridionale, nei livelli sottoposti a quelli con ceramiche cardiali. L’evoluzione dell’orizzonte cardiale si realizza attraverso una perdita della decorazione, verso ceramiche fini inornate. Nelle industrie litiche si osservano differenti tradizioni, una maggiormente caratterizzata presenta elementi tecnologici e tipologici della tradizione del Mesolitico recente a trapezi.

Le date più antiche, attualmente accettate, indicano come momento di diffusione la metà del VI millennio, in cronologia non calibrata, per le aree orientali, fino alla metà del V per le regioni occidentali e un periodo di evoluzione che copre tutto il V millennio. Per quanto riguarda gli abitati, un po’ dovunque sono noti insediamenti all’aperto, ma le strutture proprie del villaggio sono conosciute solo in alcune aree e raramente con ricchezza di resti. Nell’area orientale si conoscono insediamenti complessi con palizzate di recinzione, strade, case rettangolari con pareti in intonaco o mattoni crudi e pavimenti in piccoli tronchi.

Nella penisola italiana elemento ricorrente è il fossato di recinzione dei terreni di proprietà della comunità; sono noti inoltre recinti costruiti con muri di pietre, perimetri di abitazioni subrettangolari indicati da buchi di palo o muretti e con pareti e/o pavimento in intonaco ed elementi vegetali, strutture di combustione. Sono poche le notizie riguardanti l’area occidentale: si conoscono abitati all’aperto, ma sono frequenti gli insediamenti in grotta; è da segnalare la presenza di abitati su palafitte (La Marmotta sul Lago di Bracciano nel Lazio; La Draga a Pla de l’Estany in Catalogna).

È attestata un’attività agricola ben sviluppata nell’ambito dell’area adriatica, dove sono coltivati orzo e farro con progressivo aumento di frumento e leguminose. L’allevamento dominante è quasi ovunque di caprovini, ma si diffondono abbastanza presto i bovini e i suini, soprattutto in base alla documentazione dei siti all’aperto, che rispecchiano più fedelmente lo spettro delle varie attività. È attestato il commercio di materie prime direttamente connesse con le nuove attività e tecnologie: l’ossidiana per l’industria litica, le pietre verdi per le accette e in genere per gli oggetti di pietra levigata, le arenarie e le rocce vulcaniche per le macine. Le sepolture sono scarsamente testimoniate: si tratta di inumazioni in posizione rannicchiata spesso all’interno dei villaggi; si conoscono rarissime documentazioni di pratiche cultuali con resti di incinerati.

Bibliografia

J. Guilaine, Premiers bergers et paysans de l’Occident méditerranéen, Paris 1976.

M.V. Garasanin, Neolitisko Doba, Sarajevo 1979.

J. Guilaine, La mer partagée. La Méditerranée avant l’écriture, Baume-les-Dames 1994.

Ceramica lineare

di Paolo Biagi

Cultura che compare intorno alla metà del V millennio, lungo i confini occidentali di diffusione della cultura di Körös e dell’aspetto più antico di Vinča. Prende il nome dalla decorazione a linee incise che orna buona parte dei reperti vascolari di ceramica fine (Linearbandkeramik).

La sua distribuzione raggiunge, verso occidente, il bacino di Parigi e tocca, con le sue espressioni più meridionali, l’area ai piedi delle Alpi, mentre verso est la sua massima diffusione tocca la Moldavia e l’Ucraina. La comparsa quasi improvvisa di questa cultura in Europa ha spinto gli studiosi a considerarla come quella che più di ogni altra rappresenta la colonizzazione neolitica. Le seriazioni dei momenti di sviluppo della cultura sono state stabilite principalmente in base alla tipologia dei reperti, alle varianti decorative delle ceramiche e in base ai confronti fra sito e sito.

Le forme ceramiche sono generalmente molto semplici e comprendono scodelle emisferiche, fiaschi, vasi su piede (specialmente nei momenti più antichi). I prodotti vascolari sono di norma privi di decorazione dipinta, benché alcune facies locali, come quella di Zeli e di Szakálhát in Ungheria rechino fasce di ornato in rosso. La maggior parte degli insediamenti della C.L. sono localizzati su terrazzi fluviali in posizione tale da restare emersi anche in caso di piene stagionali. È questo il caso dei grandi insediamenti scavati in modo estensivo a Olszanica (Polonia), Bylany (Repubblica Ceca), Langweiler e Hienheim (Germania) e Elsloo (Olanda). Gli insediamenti sono caratterizzati da lunghe case rettangolari, ai lati delle quali si trovano lunghi pozzi scavati per ottenere l’argilla per intonacare le pareti, pozzi di rifiuto e silos.

Sono noti svariati casi in cui l’abitato era fornito di fossati o palizzate, distribuiti su più linee concentriche. Le case, suddivise in scomparti e caratterizzate dalla presenza di allineamenti di buche di palo, hanno una larghezza piuttosto standardizzata che oscilla dai 6 ai 7 m, mentre la loro lunghezza è molto più variabile, dai 7 ai 45 m.

In rari casi sono state eseguite stime riguardanti il numero di abitanti dei villaggi della C.L. A Elsloo si ritiene siano stati presenti da 6 a 10 individui per abitazione, più o meno corrispondenti a un singolo nucleo famigliare. Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che non tutte le strutture abitative portate alla luce nei grandi insediamenti, quali Bylany, Elsloo o Hienheim, siano contemporanee. Quasi tutti stimano fra i 15 e i 30 anni circa la durata dell’impiego di ciascuna abitazione.

L’economia di sussistenza delle popolazioni della C.L. era basata essenzialmente sull’agricoltura e sull’allevamento. Frumento monococco e dicocco erano comuni e venivano coltivati anche il pisello, la lenticchia e il lino. Documentata è anche la raccolta di frutti spontanei, fra i quali le nocciole, com’è indicato dal rinvenimento di molti resti di gusci carbonizzati. Per quanto concerne i resti faunistici, questi mancano in molti dei siti, a causa dell’acidità del terreno che ne ha eliminato completamente ogni traccia. Nei casi contrari è quasi sempre l’allevamento dei bovini e dei suini a dominare su quello dei caprovini per quanto, in alcuni insediamenti della Sassonia e della Turingia, l’attività di pastorizia fosse largamente dominante. La percentuale degli animali selvatici si aggira, di regola, intorno al 10%.

La presenza di sepolcreti e di inumazioni isolate è abbastanza comune in tutto l’areale di diffusione della cultura. Gli inumati sono deposti, di solito, entro fosse tombali e, più raramente, all’interno di pozzetti. Le offerte consistono in asce e accette di pietra levigata e recipienti o talvolta solo frammenti ceramici decorati, lame di selce e punte di freccia, ornamenti di conchiglia e macine per cereali. Il corredo è differenziato a seconda del sesso del defunto: asce di pietra verde, oggetti in conchiglia di Spondylus e punte di freccia sono caratteristiche delle sepolture maschili; le macine e i perforatori in osso di quelle femminili. Sono note anche aree cimiteriali in cui la presenza di incinerati è molto elevata, sino a toccare punte intorno al 45%, come, ad esempio, a Elsloo. Durante la cultura della C.L. il commercio di materiali diversi viene svolto anche su grandi distanze. La circolazione degli oggetti finiti riguardava principalmente bracciali e vaghi di collana di Spondylus, recipienti ceramici, manufatti di selce e ossidiana oltre che asce e scalpelli di pietra levigata. L’origine della cultura della C.L. è oggetto di dibattiti fra gli studiosi. L’opinione più accettata è quella della sua derivazione dagli aspetti recenti della cultura di Körös-Starčevo, così come si presenta in Ungheria orientale.

Bibliografia

W. Meier-Arendt, Die ältere und mittlere Linienbandkeramik im westlichen Mitteleuropa, ein Überblick, in Fundamenta, A/3 (1972), pp. 66-75.

N. Kalicz - J. Makkay, Die Linienbandkeramik in der Großen Ungarischen Tiefebene, Budapest 1977, p. 385.

J. Pavuk (ed.), Siedlungen der Kultur mit Linearkeramik in Europa, Nitra 1982, p. 323.

D. Cahen M. Otte (edd.), Rubané et Cardial. Actes du colloque international de Liège, 11-13 décembre 1988, Bruxelles 1990, p. 464.

Chasseano

di Jean-Paul Thevenot

Cultura che occupa un posto importante nel Neolitico francese a causa della lunga durata, che supera il millennio (4400-3300 a.C. in datazioni al 14C calibrate), della grande espansione in Francia e della sua influenza su vasti territori che vanno dalla Catalogna alla Liguria e dalla Bretagna alla valle del Reno. Si sviluppa intorno al 4400 a.C., nel Sud della Francia, a partire dai substrati indigeni.

Su queste basi si forma assai rapidamente nella Francia meridionale un complesso culturale omogeneo, lo Ch. classico, caratterizzato da uno stile ceramico uniforme (vasi dalle forme segmentate, anse con più fori, piatti con orlo a tesa, coppe su piede, decorazione geometrica incisa, ecc.), una industria litica variata (selce bionda, taglio lamellare, armature taglienti, punteruoli, ecc.), un sistema economico agro-pastorale elaborato (cultura diversificata di cereali e di leguminose, allevamento privilegiato di bovini e, localmente, di caprovini), un’organizzazione del territorio strutturata in grandi complessi complementari legati socialmente (grandi villaggi nelle vallate alluvionali, piccoli villaggi nelle terrazze alluvionali, insediamenti in grotte e in ripari sulle colline), una rete complessa di scambi di materie prime (selce bionda, ossidiana, rocce eruttive).

Pochissimo tempo dopo la sua formazione, lo Ch. classico meridionale conosce una fase di espansione di una ampiezza particolare. Verso nord entra in relazione con i gruppi insediati nella valle media del Rodano (facies di Saint-Uze), di cui assimila alcuni elementi (forme ceramiche lisce), che veicolerà in direzione del Giura francese e svizzero e della Borgogna (sito di Chassey). Nella valle della Saona, si trova contrapposto alla cultura di Rössen della quale adotta numerosi tratti caratteristici (decorazione con punzone, armature penetranti) e, in grado assai minore, alla cultura di Cerny. A ovest del Massiccio centrale, lo Ch., venuto dalla valle della Garonna o dalla Linguadoca attraverso i Causses e la valle del Lot, si insedia nell’avamposto di Quercy e, di là, si propaga sul fronte atlantico fino alla Bretagna, dove compare, all’interno delle culture locali (gruppo di Chambon, gruppo di Castellic, ecc.), sotto forma di influenze che si materializzano soprattutto negli stili ceramici (adozione delle coppe decorate su piede). Oltre al Sud del Massiccio Centrale, a partire dai Limagnes e dai piccoli bacini e valli alluvionali del Velay, dove sviluppa caratteristiche proprie (dischi di cottura, coppe su piede, statuette muliebri in terracotta), lo Ch. colonizza le alte terre del Cantal e dei Monti Dore e si estende nel Borbonese e nella valle della Loira in direzione del bacino parigino, dove conosce uno sviluppo notevole. Qui adotta nella loro totalità gli utensili litici della cultura di Cerny, assottigliando il loro repertorio ceramico (le forme lisce si fanno più numerose, i piatti con orlo a tesa scompaiono, si conservano soltanto le coppe su piede); inoltre lo Ch. diversifica i tipi di insediamento (villaggi di piccola o di grande estensione, aperti oppure circondati da palizzate e da fossati interrotti, situati su altipiani o in siti collocati su speroni e in valli alluvionali) e adatta la sua economia alle condizioni regionali (predominante allevamento di bovini).

Prendendo le mosse da questa molteplicità di elementi base, lo Ch. del nord della Francia si evolve in maniera originale. Diverrà un elemento predominante, insieme al Michelsberg in particolare, nella formazione dei gruppi della seconda fase del Neolitico medio francese, come il gruppo di Noyen e il gruppo detto del Neolitico medio borgognone. Altrove, specialmente nel mezzogiorno della Francia, le modalità di scomparsa, intorno al 3300 a.C., delle caratteristiche culturali della cultura di Chassey devono essere ancora chiarite.

Bibliografia

J.-P. Thevenot, Eléments chasséens de la céramique de Chassey, in RAE, 20 (1969), pp. 7-95.

J.-C. Blancher - R. Martinez, Vers une chronologie du Chasséen dans le Nord du bassin parisien, in J.-P. Demoule (ed.), Le Néolithique de la France. Hommage à G. Bailloud, Paris 1986, pp. 331-42.

Cortaillod

di Alain Gallay

Cultura neolitica della Svizzera occidentale, così chiamata nel 1934 da E. Vogt dal nome della palafitta litorale di Cortaillod (cantone di Neuchâtel), identificata per la prima volta nel 1929 da P. Vouga con il nome di “Neolitico lacustre antico”. L’area di diffusione della cultura di C. comprende l’Altopiano svizzero fino a Zurigo e il Vallese; in territorio francese giunge in Savoia e nel Giura.

Il C. (4600-3200 a.C.) è la più antica cultura neolitica della Svizzera occidentale, a eccezione del Vallese dove è preceduto da un Neolitico antico mal conosciuto. La periodizzazione di questa cultura di origine mediterranea è basata essenzialmente sull’evoluzione della ceramica. Il C. antico (4600-3900 a.C.) è caratterizzato da forme arrotondate semplici ornate con anse opposte (facies di Egolzwil 3, Proto-C.); verso la fine dell’evoluzione è riconoscibile un’influenza chasseana con alcune decorazioni incise dopo la cottura (Vallon des Vaux). Il C. classico (3900-3600 a.C.) presenta un repertorio di forme molto più ricco. A partire dal 3600 a.C. la ceramica dell’Altopiano svizzero si semplifica (C. tardo), mentre nel Vallese compare una ceramica riccamente decorata con scanalature (C. di tipo Saint-Léonard). I complessi più tardi (C. tipo Port Conty) annunciano già il repertorio formale della cultura di Horgen.

Le caratteristiche degli abitati sono note essenzialmente attraverso i numerosi villaggi palustri e lacustri. Gli agglomerati, limitati da palizzate, sono di piccole dimensioni e comprendono da 3 a 15 case rettangolari. Le capanne rettangolari di piccoli pali di quercia possono essere costruite sia direttamente sul terreno che su tavolati sopraelevati o poggianti sul suolo. Capanne costruite con pali associate a fosse-silos si trovano nei siti all’aperto su terreni morenici (Rances), coni di alluvioni torrentizie (Sion-Petit Chasseur) o colline rocciose (Saint Léonard, Rarogne). Si conoscono anche alcune occupazioni in ripari sotto roccia (Vallon des Vaux). L’economia comprende la coltivazione dei cereali, raccolta, allevamento e caccia.

Le diverse tecnologie sono ben conosciute grazie alle scoperte fatte in ambiente umido. L’industria litica presenta essenzialmente una tecnica di scheggiatura di larghe lame; le punte di freccia sono di forma triangolare. L’industria su corno di cervo è abbondante e molto diversificata. La metallurgia era sconosciuta, ma sono da segnalare alcuni oggetti di rame importati.

Sono note numerose necropoli (Pully-Chamblandes, Collombey-Barmaz, ecc.), nelle quali i corpi sono inumati in posizione flessa o fortemente rannicchiati nelle ciste costruite con grandi lastre di pietra, dette ciste di Chamblandes. Si conoscono anche alcuni luoghi di culto segnalati da rocce incise (Saint-Léonard) e allineamenti di menhir (Yverdon, Sion-Chemin des Collines).

Bibliografia

F. Schifferdecker, La céramique du Néolithique moyen d’Auvergnier dans son cadre régional, Lausanne 1982.

J.-L. Voruz (ed.), Chronologies néolithiques. De 6000 à 2000 avant notre ère dans le Bassin Rhodanien. Actes du Colloque (Ambérie-en Bugey, 19-20 septembre 1992), Ambérie-en-Bugey 1995.

Danilo

di Šime Batović

Cultura che si sviluppò nel Neolitico medio sul litorale adriatico orientale, così denominata dal nome dell’omonimo villaggio, a est di Šibenik, dove fu scoperto il primo abitato di questa cultura.

Tra i più importanti abitati si ricordano, oltre a Danilo, Smilčić, Bribir e Gudnja. Erano abitate le grotte e le aree vicino ai terreni coltivabili. Finora sono noti circa 50 abitati a forma circolare o a semicerchio, generalmente circondati da un fossato con capanne interrate (Danilo) oppure sopraelevate dal terreno, a forma circolare (Smilčić) o rettangolare (Bribir), costruite di pali di legno e intrecci vegetali, talvolta con fondazioni di pietra (Pokrovnik presso Drniš). La cultura di D. si distingue per la straordinaria ricchezza della ceramica, la molteplicità di forme, il rigoroso sistema della decorazione geometrica, il particolare tipo di vasi a quattro piedi e la plastica campaniforme. Si sviluppò attraverso tre fasi ben rappresentate nella sequenza di Smilčić. I primi sondaggi a Danilo furono effettuati da D. Rendić-Miočević e I. Marović nel 1951, mentre ricerche più approfondite furono condotte da J. Korošec nel 1953 e nel 1955 su una superficie di 2400 m2. Il villaggio di capanne si estendeva su una superficie da 2,4 a 2,8 ha. Il villaggio di Smilčić fu esplorato da Š. Batović dal 1956 al 1959 e nel 1962, su un’estensione di 1148 m2 di superficie, con una stratigrafia dello spessore di oltre 3 m che riflette la sequenza culturale di Danilo e dell’intero Neolitico.

La prima fase (D. I) comprende una piccola quantità di forme e motivi decorativi della ceramica: scodelle emisferiche e biconiche, bicchieri e vasi campaniformi, ovali e sferici, privi di piede o con diversi piedi ad anello o cilindrici, vasi a quattro piedi. Si distingue la ceramica grossolana decorata con incisioni e intagli, con incrostazioni rosse, con motivi triangolari e spirali, dalla ceramica figulina dipinta con i motivi rettilinei di tipo Ripoli.

La seconda fase (D. II) contiene gli elementi della prima, accanto ai quali compaiono nuovi motivi, per lo più meandriformi.

Nella terza fase (D. III) si osservano nuove forme e motivi decorativi che raggiungono l’apice della fase di D. Sono presenti punte di freccia di selce, bracciali, lame di ossidiana, oggetti cilindrici di osso, spatole-punteruoli e ami; la ceramica è caratterizzata da piatti, vasi sferici con collo conico, plastica antropomorfa e teriomorfa, vari motivi meandrici e a zig-zag con triangoli, rombi, ecc.

Le caratteristiche principali della cultura di D., tra cui la decorazione a triangoli e spirali e i vasi a quattro piedi, si affermarono alla fine del Neolitico inferiore e si diffusero lentamente fino alla Bosnia, nella cultura di Kakanj e Butmir, poi fino al Kosovo e alla Macedonia occidentale, all’Albania e alla Grecia centrale, infine nell’Italia meridionale e centrale. Attraverso l’Italia meridionale e centrale penetrò nella cultura di D. la ceramica dipinta, soprattutto quella della prima fase della cultura di Ripoli. La cultura di D. è contemporanea a quella di Kakanj in Bosnia, Čakran in Albania, Sesklo in Grecia, Scaloria Bassa, Matera-Capri e Ripoli I in Italia e secondo alcune datazioni 14C risale agli anni 5500-4500 a.C.

Bibliografia

J. Korošec, Nova neolitska kulturna grupa na području Jugoslavije [Un nuovo gruppo culturale neolitico in territorio iugoslavo], in Vjesnik za arheologiju i historiju dalmatinsku, 54 (1952), pp. 91-119.

Š. Batović, Pokapanje pokojnika u Smilčiću i kult mrtvih u neolitu Dalmacije [La sepoltura dei defunti a Smilčić e il culto dei morti nel neolitico della Dalmazia], in Arheološki radovi i rasprave, 4-5 (1967), pp. 263-98.

Š. Batović, Le relazioni tra i Balcani e l’Italia meridionale in età neolitica, in Rapporti tra i Balcani e l’Italia meridionale nell’età neolitica. Incontro di studio (Lipari, 10-13 maggio 1978), Roma 1984, pp. 5-27.

Diana

di Anna Maria Bietti Sestieri

Facies archeologica che, almeno in alcuni contesti, è identificabile semplicemente come uno stile ceramico riferibile al Neolitico tardo. È documentata nelle isole Eolie, soprattutto a Lipari dove si trova il sito eponimo, in Sicilia e in Italia meridionale (dove viene a volte indicata come facies di D.-Bellavista, da una località presso Taranto).

Ceramiche tipo D. si trovano in contesti tardoneolitici dell’Italia centrale (Lazio, Toscana e Umbria) fino all’Emilia (Cesena). La datazione assoluta (date al 14C calibrate) è compresa fra la fine del V e la seconda metà del IV millennio a.C. (Acropoli di Lipari: 4135-3375 a.C.; grotta della Madonna a Praia a Mare: 4110-3680 a.C.; Lipari contrada Diana: 3875-3395 a.C.). Il rapporto di cronologia relativa della facies di D. con le facies contigue del Neolitico è in parte controverso: nella sequenza dell’acropoli di Lipari la facies a ceramica dipinta di Serra d’Alto precede quella di D., dalla quale è distinta stratigraficamente; in molte località dell’Italia meridionale, invece, i due aspetti sono spesso associati, ad esempio nei giacimenti di Cala Colombo, Cala Scizzo, grotta Pacelli, S. Martino di Matera; nella Calabria meridionale tirrenica mancano, tranne sporadiche presenze di ceramica tipo Serra d’Alto, gli aspetti a ceramica dipinta del Neolitico medio classico e la facies di D. compare in molti casi a diretto contatto con gli strati a ceramica impressa tipo Stentinello. In generale, il rapporto cronologico fra gli aspetti di Serra d’Alto e D. sembra ricostruibile nel modo seguente: la fase iniziale di Serra d’Alto precede la comparsa dell’aspetto D.; le fasi avanzate e finali di Serra d’Alto corrispondono a quelle iniziali di D.; la fase finale di D. si sviluppa dopo la fine di Serra d’Alto.

La facies è stata identificata essenzialmente in base ad alcune caratteristiche della ceramica: colore rosso vivo (presente soprattutto nelle Eolie nella fase più antica), superficie lucidata, assenza di decorazioni (tranne alcuni motivi incisi, graffiti e plastici che compaiono nella fase finale), anse orizzontali a rocchetto insellato con estremi più o meno espansi.

L’industria litica associata, su selce e, soprattutto, su ossidiana, comprende una grande quantità di nuclei e scarti di lavorazione (a Lipari), lame, punte di freccia a base concava. Frequente anche l’industria su osso, mentre a Lipari negli strati della fase finale dell’aspetto D. dell’Acropoli sono presenti scorie di fusione del rame.

In Italia meridionale, strutture associate con l’aspetto D. “puro” sono rare e mal conservate: sono noti insediamenti in grotta (grotta del Romito, livello F; grotta della Madonna a Praia a Mare) e all’aperto (Mulino S. Antonio, presso Avella); un acciottolato riferibile a una struttura abitativa è stato messo in luce a Scaramella S. Vito, nel Tavoliere. Si conoscono anche alcune sepolture con solo materiale tipo D., probabilmente riferibili al momento successivo alla fine dell’aspetto Serra d’Alto, a Scoglio del Tonno, Le Conche e Masseria Bellavista (Taranto), Fontanarosa Uliveto nel Tavoliere, Rutigliano (Bari), Arnesano (Lecce), Cala Tramontana a S. Domino nelle isole Tremiti, Girifalco (Catanzaro). Si tratta in genere di sepolture individuali in pozzetti o ciste litiche, ma anche di strutture megalitiche con deposizione collettiva (Rutigliano) e di grotticelle artificiali con pozzetto di accesso (Arnesano).

È attestata la deposizione secondaria mentre la presenza di più deposizioni è rara. Nella tomba di Arnesano la deposizione era accompagnata da una figura antropomorfa, forse maschile, scolpita in un blocco di calcare. Nelle Eolie gli abitati più importanti sono quelli di Lipari (gli strati D. nella sequenza dell’Acropoli e l’abitato più vasto, esteso su circa 10 ha, nella contrada Diana). I siti conosciuti nelle altre isole (Panarea, Filicudi e Stromboli) potrebbero essere stati frequentati solo in determinati periodi dell’anno per attività specializzate come la caccia agli uccelli di passo.

L’estrazione, la lavorazione e la circolazione dell’ossidiana è l’attività di produzione e scambio più significativa e meglio riconoscibile archeologicamente. L’ossidiana è costantemente associata con ceramiche tipo D. in tutta l’Italia meridionale.

Bibliografia

M. Cavalier, Ricerche preistoriche nell’arcipelago eoliano, in RScPreist, 34 (1979), pp. 45-136.

L. Allegri - C. Cortesi - A.M. Radmilli, La cronologia neolitica in base al radiocarbonio, in Atti della XXVI Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze 1987, pp. 67-77.

L. Bernabò Brea, Il neolitico nelle isole Eolie, ibid., pp. 351-359.

M. Moscoloni, Sviluppi culturali neolitici nella penisola italiana, in A. Cazzella - M. Moscoloni (edd.), Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, X. Neolitico ed Eneolitico, Bologna 1992, pp. 262-81.

M. Cipolloni Sampò, Il Neolitico nell’Italia meridionale e in Sicilia, in A. Guidi - M. Piperno (edd.), Italia preistorica, Bari 1992, pp. 334-65.

Dimini

di Evangelia Skafida

Sito preistorico presso l’attuale villaggio omonimo a 5 km a sud-ovest di Volos, nella Tessaglia orientale, scavato agli inizi del Novecento da V. Stais e Ch. Tsountas e, più recentemente (dal 1973 al 1977), da G. Chourmousiadis.

Si tratta del principale insediamento che ha dato il nome a una importante cultura del Neolitico medio e recente della Grecia settentrionale, suddivisa, come dimostrano anche gli scavi in altre località come Arapi, Otzaki e Haghia Sofia, in 5 fasi. La prima fase, di Tsangli, presenta una ceramica nera lucida, talvolta dipinta di bianco, o grigia con pittura grigia o dipinta di nero su fondo rosso. La seconda fase, che prende il nome dal villaggio di Arapi, presenta una ceramica con pittura policroma o vernice opaca. Le prime due fasi sono anche chiamate D. antico; le tre successive sono note con i nomi di Haghia Sofia o Otzaki A, Otzaki B e Otzaki C o D. classico, e sono caratterizzate da una ceramica decorata con motivi a spirali e meandri distinti in metope.

Nel sito di Dimini le forme vascolari sono costituite da ciotole emisferiche e troncoconiche, giare globulari, fruttiere e tazze. Nell’industria litica sono presenti lame e altri manufatti di selce o di ossidiana di Melos. Sono frequenti figurine antropomorfe e zoomorfe di argilla e di pietra. Una necropoli a incinerazione della fase D. antico è nota a Plateia Magula, mentre i rituali funerari sono sconosciuti per quanto riguarda il D. classico.

Bibliografia

D.R. Teocharis, Neolithic Greece, Athens 1973.

P. Halstead, Dimini and the “D.M.P.”: Faunal Remains and Animal Exploitation in Late Neolithic Thessaly, in BSA, 87 (1992), pp. 29-59.

J. Lichardus et al., La Protohistoire de l’Europe, Paris 1985.

Egolzwil

di Luca Bachechi

Facies culturale del Neolitico medio elvetico definita nel 1951 da E. Vogt sulla base dei rinvenimenti provenienti dall’insediamento lacustre di Egolzwil 3, localizzato a nord-est dell’antico lago di Wauwil (Lucerna, Svizzera).

Diffusa limitatamente alla Svizzera centro-orientale e al versante occidentale del Giura francese, questa cultura è collocata cronologicamente nella prima metà del IV millennio a.C. (datazioni ottenute con il metodo del 14C comprese tra il 4300 e il 3500 a.C. ca.); in alcuni siti francesi gli elementi di E. si trovano sotto i livelli Grossgartach-Rössen (Baume de Gonvillars, Haute Sâone) e Protocortaillod (Les Planches près Arbois, Giura), mentre in Svizzera (Vallon des Vaux, Vaud) le ultime manifestazioni di E. risultano contemporanee alla fase più antica di Cortaillod.

I reperti rinvenuti ci suggeriscono gruppi umani orientati verso lo sfruttamento di piante coltivate (principalmente grano e orzo) e di animali domestici (soprattutto capre e pecore, ma anche maiali e Bovidi), anche se l’attività venatoria doveva rivestire ancora una parte rilevante nella composizione dell’alimentazione. Le abitazioni, di legno, generalmente a pianta rettangolare, erano situate sulle sponde dei laghi e venivano isolate dall’umidità del suolo mediante uno strato formato da grandi placche di corteccia di quercia.

I prodotti ceramici della cultura di E. sono di buona qualità, ma poveri di forme e decorazioni: si tratta soprattutto di grandi vasi con fondo emisferico, sul corpo dei quali si trovano 2, 3 o anche 4 anse; quando presenti, le decorazioni sono costituite da gruppi di tre bugnette poste sotto l’orlo, da cordoni lisci o con intaccature a spatola. I manufatti in legno si configurano come una parte importante dello strumentario e comprendono, oltre a recipienti di buona fattura, punte di freccia a testa claviforme, manici di falcetto e manici di asce in legno di frassino. L’industria litica è composta da elementi di falcetto e cuspidi di freccia a base rettilinea o incavata.

L’origine della cultura di E. non è ancora chiara: se da una parte si è proposto, in base agli stili ceramici, di cercarne la provenienza in ambito meridionale, tra le culture a ceramica impressa, un’altra ipotesi sostiene che la cultura di E. altro non sia che il risultato della neolitizzazione di un gruppo mesolitico locale sul quale avrebbero agito influenze dell’ambito della cultura di Rössen.

Bibliografia

I. Wiss, Die Egolzwiler Kultur, Bern 1971.

P. Crotti - G. Pignat, La transition méso-néolitique en Suisse occidentale, in Mésolitique et Néolithisation en France et dans les regions limitrophes. Actes du 113e Congrès National des Societés Savantes, Paris 1991, pp. 269-80.

Hamangia

di Enrico Pellegrini

Cultura del Neolitico medio e recente attestata sul litorale occidentale del Mar Nero (Bulgaria nord-orientale, Romania sud-orientale, antica Dobrugia). Si tratta della prima testimonianza di gruppi neolitici nella regione deltizia del Danubio, i quali praticavano un’economia mista comprendente l’agricoltura, la pesca (anche di delfini), l’allevamento di bovini, di caprovini e di maiali e la caccia ai grandi mammiferi.

Sulla base della ceramica sono state individuate cinque fasi (I-V): la prima fase comprende ceramica a impressioni riempite di pasta bianca, l’ultima è caratterizzata dall’uso di grafite; caratteristica delle fasi intermedie è una ceramica fine a superficie lisciata con incisioni a bande spiraliformi (III) e vasi biconici di colore rosso decorati con triangoli (IV). Gli insediamenti sono all’aperto, situati sulle rive di bassi terrazzi fluviali e sulle rive dei laghi nelle fasi più antiche. Nella fase finale sono attestati insediamenti fortificati con abitazioni rettangolari, talvolta con fondazioni in pietra.

L’aspetto meglio conosciuto è quello funerario, indagato soprattutto nella necropoli di Cernavodă (Romania), che ospitava oltre 400 sepolture. Nella vasta necropoli il rituale funerario comprende la deposizione di oggetti, di crani di Bovidi e la copertura delle sepolture con pietre; sono attestati anche cenotafi. Tra gli oggetti depositati sono presenti piccoli vasi quadrangolari con scanalature, ornamenti (elementi di collana, braccialetti) di rame martellato, su conchiglia (Spondylus e Dentalium) e di marmo, i quali attestano commerci su lunga distanza con le aree più meridionali, infine le celebri figurine a tutto tondo di terracotta o di marmo. Queste ultime, che rappresentano individui stilizzati maschili e, in misura minore femminili, in posizione stante o seduta, costituiscono uno degli esiti artistici più pregevoli del Neolitico europeo.

Alcune date 14C consentono di istituire correlazioni con culture coeve: Ceamurlia de Jos (fase III, 6150-5800 B.P.), appare contemporanea di Boian-Vidra; Mangalia Durankulak (fase IV, 5800-5500 B.P.) appare contemporanea a Precucuteni III.

Bibliografia

D. Berciu, Cultura Hamangia. Noi contributii, I, Bucureşti 1966.

P. Hasotti, La Culture néolithique Hamangia: quelques remarques sur le stade actuel des recherches, in V. Chirica - D. Monah (edd.), Le Paléolithique et le Néolithique de la Roumanie en contexte européen, Iasi 1991, pp. 250-65.

Karanovo i-iii

di Enrico Pellegrini

La cultura di K. costituisce la più antica cultura neolitica della Bulgaria meridionale (fine VII-VI millennio) e prende nome dal sito omonimo.

La sequenza di K. è stata identificata negli strati da I a III di questo insediamento pluristratificato, la cui sequenza stratigrafica (12, 40 m) è di riferimento per il Neolitico e l’Eneolitico. Particolarmente ricca e interessante appare la documentazione relativa agli abitati (Karanovo, Azmak, Kazanlăk), collocati in fertili pianure alluvionali e nei terrazzi fluviali. A Karanovo le case, lunghe dai 5 agli 8 m, sono realizzate con tronchi ricoperti da un impasto di argilla e paglia, talvolta dipinto con motivi curvilinei in rosso e bianco. Le strutture più recenti (K. III) mostrano un’articolazione in tre ambienti e una organizzazione pianificata dello spazio con le case divise da viottoli. Le abitazioni contengono all’interno uno o più focolari, recipienti di terracotta per la conservazione degli alimenti interrati lungo le pareti, pietre da macina e una sorta di sedile di argilla cotta situato, spesso in coppia, ai lati delle porte. In questa fase l’abitato è munito di un fossato difeso con pietre e da una palizzata.

La produzione ceramica di K. comprende vasi su alto piede cavo e si caratterizza, in particolare, per gli alti bicchieri a tulipano; è attestata una produzione monocroma a superficie rossa e grigia; la decorazione presenta motivi a triangolo, a spirale o a rete dipinti in bianco su fondo rosso (K. I); in K. II la decorazione dipinta lascia il posto a una decorazione a scanalature profonde. Lo spessore della stratigrafia dei siti e i continui rifacimenti delle abitazioni attestano una lunga continuità insediativa resa possibile da un’economia prevalentemente mirata alla produzione primaria. È documentata la coltivazione di cereali, tra i quali il farro e l’orzo, di lenticchie e piselli, la raccolta di piante e frutti selvatici, la caccia e la pesca e l’allevamento, nel quale predominano i caprovini, ma sono attestati anche bue, maiale e cane. Alcuni siti in grotta, nei quali è documentata in misura simile il consumo di animali domestici e selvatici, sono stati interpretati come insediamenti stagionali per la transumanza. Le scarse statuine antropomorfe e zoomorfe di terracotta conosciute attestano tra la gente di K. l’esistenza di una qualche forma di credenza e simbolismo ancora non sufficientemente conosciuta. K. mostra stretti legami con le altre culture del Neolitico antico dell’Europa meridionale, Körös, Criş e in particolare con Starčevo.

Bibliografia

S. Hiller - V. Nikolov (edd.), Karanovo. Die Ausgrabungen im Südsektor 1984-92, Horn 1997.

Körös

di Enrico Pellegrini

Cultura del Neolitico antico (VI millennio) diffusa nell’Ungheria orientale e sud-occidentale e in Romania con la denominazione di cultura di Criş (nome rumeno del fiume Körös).

Considerata a lungo come una variante locale nell’ambito delle prime manifestazioni neolitiche della regione balcano-carpatica, indicate complessivamente con il termine di First Temperate Neolithic (FTN), alla luce delle nuove ricerche si ritiene che la cultura di K. si sia evoluta parallelamente a quella di Starčevo (Penisola Balcanica) e che nella fase più antica (inizi del VI millennio) vi sia una componente di origine orientale (Transilvania).

Gli abitati conosciuti, relativi per lo più alle fasi avanzate, si dispongono in maggioranza lungo i percorsi fluviali, occupando i rilievi che si affacciano sulle valli. Si tratta prevalentemente di aree con vaste dispersioni di frammenti ceramici, grandi fosse di scarico e strati di bruciato; alcuni siti di minore estensione possono rappresentare insediamenti stagionali. Abbastanza raro è il rinvenimento di strutture di abitazione; il sito di Tiszajenö ha restituito i resti di una abitazione a pianta rettangolare realizzata con pali di legno e graticcio di 9,2 x 4,2 m; sono attestati anche insediamenti in grotta.

Non si hanno per ora dati relativi a vere e proprie necropoli della cultura di K.; si conoscono tuttavia alcune sepolture a inumazione isolate, per lo più prive di corredo, situate all’interno degli abitati.

Nella fase più antica la ceramica presenta una limitata produzione vascolare fine e dipinta accanto a quella più grossolana che contraddistingue tutto lo sviluppo della cultura di K. Caratteristici risultano i recipienti di forma chiusa decorati con rilievi irregolari (barbotine) o con figure antropomorfe e zoomorfe eseguite a rilievo; le basi delle scodelle sono talvolta munite di piede troncoconico o di peducci. La produzione ceramica comprende anche figurine femminili a tutto tondo e stampi (pintaderas); sono anche comuni pesi da rete decorati a impressioni.

L’economia era basata sulla coltivazione dei cereali e sull’allevamento, nel quale erano predominanti i caprovini, insieme alla pesca, alla raccolta di molluschi e alla caccia.

Sulla base delle date al 14C, lo sviluppo della cultura di K. si pone tra gli inizi del VI millennio e il 5300 a.C. circa.

Bibliografia

I. Kutzián, The Körös Culture, Budapest 1947.

N. Kalicz, Neuere Forschungen über die Entstehung des Neolithikums in Ungarn, in J.K. Kozłowski - J. Machnik (edd.) Problèmes de la Néolithisation dans certaines Régions de l’Europe, Wrocław 1990, pp. 97-122.

Kurgan

di Enrico Pellegrini

Con la denominazione di “cultura dei K.”, termine che indica in generale i tumuli funerari delle steppe ucraine e russe, è stato recentemente proposto di riunire i tre aspetti culturali eneolitici di Serednij Stog, delle Tombe a Fossa e delle Catacombe, quest’ultimo con uno sviluppo che comprende anche la prima età del Bronzo, nei quali alcuni studiosi hanno proposto di identificare gli Indoeuropei (M. Gimbutas).

L’aspetto culturale di Serednij Stog (IV millennio, Eneolitico antico), presente nell’area compresa tra Don e Dnepr insieme ad altri gruppi probabilmente a esso ricollegabili (Michajlovka, Mariupil), è conosciuto attraverso insediamenti fortificati e necropoli. Le abitazioni, costruite al livello del suolo, sono a pianta rettangolare con tetto a graticcio ricoperto di argilla. Le deposizioni, per lo più individuali ma anche plurime, presentano l’inumato in posizione rannicchiata sul dorso all’interno di semplici fosse sormontate, in alcuni casi, dai primi piccoli tumuli di terra (kurgan). La maggior parte delle sepolture non presenta corredo; in altre sono attestati piccoli oggetti d’ornamento su conchiglia e, più raramente, vasi di terracotta a fondo appuntito di rozza fattura. Non mancano tuttavia inumazioni che si distinguono per la ricchezza del corredo, il quale comprende oggetti di prestigio (teste di mazza in pietra), armi (asce di pietra levigata e lame di selce), bracciali e perle di rame, placchette zoomorfe su osso (Mariupil, S’esžee).

Nel gruppo di Michajlivka sono attestati i primi esempi di scultura monumentale, rappresentata da statue-stele antropomorfe, le quali costituiranno un segno distintivo della successiva cultura delle Tombe a Fossa. I riti funerari prevedono anche offerte di animali, tra i quali il cavallo, che costituisce oltre la metà dei resti animali rinvenuti. La presenza nei corredi funerari di morsi in osso attesta che questo animale era usato anche come cavalcatura. Per Serednij Stog sono attestati contatti con l’aspetto orientale di Cucuteni (Tripol´e). Nell’area a nord del Mar Nero, Serednij Stog è seguita dalla cultura delle Tombe a Fossa (Jamnaja Kul´tura) databile al III millennio (Eneolitico medio). In questo aspetto culturale, conosciuto principalmente attraverso lo studio delle numerose e ricche necropoli, l’esistenza di una stratificazione sociale è ormai pienamente attestata. Le aree cimiteriali conosciute (alcune migliaia) sono localizzate nelle valli fluviali e comprendono ciascuna decine di tumuli, i quali, a loro volta, contengono normalmente più sepolture. Le deposizioni, singole e in posizione flessa, avvenivano all’interno di fosse scavate nel terreno, talvolta ricoperte da legname o lastre di pietra. La fossa, che in alcuni casi raggiunge i 10 m2, era successivamente coperta da un tumulo di terra, talvolta circondato da pietre. L’economia primaria è basata, come in precedenza, sull’allevamento e sulla coltivazione dei cereali, per la quale è impiegato l’aratro a trazione animale (Bovidi). Sono inoltre attestati la lavorazione del rame e scambi con gli aspetti culturali di Usatovo e Tripol´e tardo. La fitta distribuzione di necropoli e di abitati, questi ultimi protetti da muri difensivi realizzati con pietre, insieme alle evidenze offerte dalle sepolture, indicano per questo aspetto culturale l’esistenza ormai stabile di gruppi guidati da personaggi eminenti. Tra la fine dell’Eneolitico e la fase iniziale dell’età del Bronzo, l’area steppica del Ponto è occupata dall’aspetto culturale delle Catacombe (2300-1800 a.C.), così definito dalla caratteristica struttura funeraria. In considerazione dell’elevato numero di oggetti in bronzo rinvenuti (sia armi sia utensili) è probabile che un certo numero di persone fosse impiegato a tempo pieno nell’attività metallurgica, come sembrerebbero testimoniare anche le deposizioni funerarie con strumenti per la lavorazione del bronzo; nell’economia primaria predomina l’allevamento. I riti funerari attestano il culto degli antenati e la pratica di particolari riti riservati a personaggi di rango, come l’uso di coprire il cranio del defunto con maschere di argilla dopo il distacco delle parti molli o di colorare lo scheletro con ocra; alcune ricche sepolture hanno restituito resti di carri a quattro ruote, già comparsi nella cultura delle Tombe a Fossa. La struttura sociale appare ormai altamente stratificata e il rango si trasmette per via ereditaria, come attestano le sepolture di bambini con ricco corredo e oggetti di prestigio.

Bibliografia

M. Gimbutas, The Prehistory of Eastern Europe, I, Cambridge 1956.

Ead., Bronze Age Cultures in Central and Eastern Europe, The Hague 1965.

D.J. Telegin, Storia e cultura delle popolazioni dell’Europa orientale nella fase iniziale dell’Età dei metalli, in J. Guilaine - S. Settis (edd.), Storia d’Europa, II. Preistoria e antichità, 1, Torino 1994, pp. 373-413.

N. Shishlina, Eurasian Steppe Nomad, in P.N. Peregrine - M. Ember (edd.), Encyclopaedia of Prehistory, IV. Europe, New York 2001, pp. 124-38.

Lagozza

di Paolo Biagi

Cultura definita da P. Laviosa nel 1939 che prende il nome dal sito eponimo, nei pressi di Besnate (Varese). Il piccolo bacino intermorenico della Lagozza ha una forma più o meno trapezoidale che interessa un’area di circa 15.000 m2.

Lo scavo del sito ebbe inizio nel 1880 a cura di I. Regazzoni, P. Castelfranco e F. Sordelli. In quell’occasione venne messo in luce un villaggio di tipo palafitticolo composto di strutture abitative lignee sorrette da pali infissi verticalmente nei limi lacustri, la cui estensione venne stimata circa 2400 m2. Durante le ricerche, non vennero riconosciute strutture abitative; i pali lignei, lunghi circa 1,5 m, ottenuti da tronchi di pino, larice, betulla, pioppo e abete, appuntiti a un’estremità, erano sparsi irregolarmente, con una concentrazione di 4-5 esemplari per metro quadrato.

Gli oggetti portati alla luce in quegli anni e nei successivi hanno permesso la definizione di un nuovo aspetto del Neolitico dell’Italia settentrionale, attribuito, in base alle datazioni radiometriche, all’inizio del III millennio a.C.

I reperti della cultura di L. sono estremamente caratteristici: nelle ceramiche di impasto fine, spesso di colore nero, con superfici ben trattate, sono comuni le ciotole carenate, gli orcioli e i piatti troncoconici non decorati provvisti di bugnette con fori pervi e rari coperchi con ornamentazioni geometriche incise e impresse a cannuccia; nelle ceramiche grossolane sono invece comuni i vasi profondi troncoconici, forniti di numerose bugnette plastiche sotto l’orlo e sul corpo. Nell’industria litica, prevalentemente su lama, sono tipiche le frecce a tagliente trasversale, mentre in quella su pietra ricorrono asce e accette di pietra verde con tagliente curvilineo, macine e ciottoli incisi con motivi a rete. Nell’industria su legno si è perfettamente conservato un pettine, identico a un esemplare rinvenuto nella stazione svizzera di Egolzwil. La presenza di fusarole, spesso decorate, e di pesi da telaio “reniformi” di ceramica ci informa sulle attività di filatura e tessitura che venivano praticate nel villaggio. Gli abbondanti resti di semi e frutti carbonizzati vennero identificati per la prima volta da Sordelli nel 1881, che riconobbe ben quattro specie di frumento domestico e una di orzo.

La cultura di L., che oggi sappiamo essere distribuita su buona parte del territorio dell’Italia settentrionale, deriva, con ogni probabilità, dalla cultura francese di Chassey. I siti attribuiti alla cultura di L. sono distribuiti in ambienti diversi: sono noti stanziamenti lungo le sponde di bacini lacustri, all’aperto e in grotta. La posizione stratigrafica della cultura in questione è stata ulteriormente chiarita dai risultati degli scavi condotti a Monte Covolo, presso Villanuova sul Clisi, in provincia di Brescia, dove il livello archeologico con materiali di tipo Lagozza si trovava al di sotto di un orizzonte Eneolitico con ceramiche tipo White Ware. La parziale contemporaneità della cultura di L. con l’aspetto a incisioni e impressioni della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata è dimostrata dalla presenza di frammenti fittili di importazione.

Bibliografia

L.H. Barfield - P. Biagi - M.A. Borrello, Scavi nella stazione di Monte Covolo (1972-1973). Parte I, in Annali del Museo Gavardo, 12 (1975-76), pp. 7-149.

M.A. Borrello, The Lagozza Culture (3rd Millennium b.C.) in Northern and Central Italy, Bergamo 1984, p. 190.

Lengyel

di Paolo Biagi

Cultura che prende il nome dal sito di Lengyel in Ungheria occidentale, dove M. Wosinszky condusse scavi fra il 1882 e il 1888.

La cultura si sviluppa durante tutto il IV millennio e si distribuisce su un territorio molto ampio che comprende, oltre all’Ungheria occidentale, anche la Slovacchia sud-occidentale, la Moravia, l’Austria orientale e la Piccola Polonia. Essa si articola, secondo gli studi più recenti condotti da J. Pavúk, in cinque diverse fasi. Secondo l’opinione corrente la cultura di L. ha origine dal Gruppo di Želiezovce della Ceramica Lineare (Bandkeramik), caratterizzata da forme vascolari con fasce dipinte in rosso. Il Gruppo di Želiezovce e l’aspetto culturale di Sopot avrebbero dato origine, in un secondo momento, a quello cosiddetto di Proto-L. Indipendentemente dalle sue suddivisioni tipologiche, la ceramica della cultura di L. è caratterizzata da ciotole carenate, orcioli, fiaschi e recipienti su alto piede, molto spesso forniti di decorazioni a bugnette plastiche sul ventre o sulla carena. Molto caratteristiche sono le decorazioni dipinte principalmente in rosso ma anche in giallo e in bianco. Particolarmente interessanti sono le rappresentazioni femminili fittili, tra cui abbondano piccole “veneri”, stilisticamente piuttosto uniformi, sedute o stanti, con le braccia protese in avanti. Sono noti anche vasi antropomorfi e numerose figurine zoomorfe. Nell’industria litica scheggiata, in cui vengono utilizzate selce, radiolarite e quarzite, assume importanza l’ossidiana carpatica.

I rituali funerari delle popolazioni della cultura di L. sono ben noti grazie a decine di ritrovamenti di aree cimiteriali e di sepolture isolate sia a inumazione che a incinerazione. Nelle tombe a inumazione i corpi sono deposti sul fianco in posizione più o meno contratta, senza un orientamento specifico. Il cranio e le estremità del defunto sono spesso coperti di ocra rossa. I corredi funerari comprendono recipienti fittili di uso ordinario, asce di pietra levigata, pendenti di zanna di cinghiale e monili di Spondylus comprendenti collane, bracciali e pendagli.

Bibliografia

J. Kamienska - J.K. Kozłowski, The Lengyel and Tisza Cultures, in The Neolithic in Poland, Wrocław 1970, pp. 74-143.

P. Koštuřik, Die Lengyel Kultur in Mähren. Die jüngere mährische bemalte Keramik, Praha 1972, p. 75.

P. Koštuřik (ed.), Internationales Symposium über die Lengyel-Kultur 1888-1988, Brno - Łodz 1994.

Marica

di Enrico Pellegrini

Cultura del Neolitico recente (prima metà del VI millennio) diffusa in Bulgaria e nella Tracia greca, nella quale compaiono precocemente oggetti di ornamento e utensili di rame. Lo sfruttamento della miniera a cielo aperto di Aibunar (Stara Zagora, Bulgaria), che proseguirà in maniera più intensiva nell’Eneolitico antico con la cultura di Gumelniţa, costituisce, insieme a quella serba di Rudna Glava, la più antica attestazione di coltivazione mineraria del rame in Europa. L’incipiente formazione di un’élite è indiziata da una gerarchia delle abitazioni all’interno degli abitati e tra gli stessi abitati e dal controllo del commercio del rame esportato nell’area del basso Danubio e nel Ponto nord-occidentale (Pre-Cucuteni). Per questi aspetti alcuni studiosi inseriscono M. tra le culture dell’Eneolitico, anche se l’economia continua a essere basata su agricoltura, allevamento e caccia.

Nello sviluppo di M. sono state individuate quattro fasi (I-IV), durante le quali la produzione vascolare, che comprende all’inizio semplici coppe e vasi biconici, si arricchisce di coppe su piede (vasi a tulipano) e con imboccatura quadrilobata e di askòi. Per quanto riguarda la decorazione, dopo una prima fase nella quale predominano nastri incisi a tratteggio, si fa più frequente l’uso di motivi lineari dipinti a grafite. Gli abitati di M. sono costituiti principalmente da insediamenti di lunga durata: quelli indagati (Goljamo Delčevo, Poljanica, Karanovo fase V) hanno restituito abitazioni con uno o due vani, con pareti a graticcio ligneo ricoperto da uno spesso strato d’argilla e focolari; in alcuni casi gli insediamenti sono circondati da fossati pro-tetti da palizzate. Le pratiche funerarie vengono svolte in piccole aree cimiteriali con inumati in posizione ripiegata e prevedono la presenza di offerte. Figurine femminili in terracotta indicano il culto della fertilità. La cultura di M. riveste particolare importanza per la formazione del complesso culturale eneolitico di Gumelniţa (Karanovo VI).

Bibliografia

H. Todorova, The Eneolithic Period in Bulgaria in the Fifth Millennium B.C., Oxford 1978.

Michelsberg

di Enrico Pellegrini

Aspetto culturale del Neolitico tardo e dell’Eneolitico iniziale presente in un ampio territorio compreso tra la Svizzera occidentale, il Nord della Francia e il Belgio, la Boemia e l’Austria occidentale. M. si evolve dagli aspetti Rössen, con importanti contributi provenienti dai gruppi del Bicchiere Imbutiforme. Vi sono state individuate cinque fasi (M. I-V) e diversi aspetti regionali, tra i quali i più importanti sono quello Pfyn, diffuso nella Svizzera occidentale e quello di Altheim (Baviera meridionale), considerati da alcuni studiosi facies culturali autonome.

Sufficientemente noto appare l’aspetto insediativo, caratterizzato da due tipologie: abitati di pianura, generalmente impiantati in zone umide con tavolati lignei e palificazioni per contrastare l’umidità e siti di altura. Questi ultimi, tra i quali rientra anche il sito eponimo di Michelsberg (Baden-Württemberg), non conservano generalmente piante di abitazioni, ma soltanto i resti delle fortificazioni, costituite da fossati protetti da palizzate. Strutture abitative sono invece note dagli abitati di pianura.

Le abitazioni, diversamente da quelle precedenti di Rössen a pianta trapezoidale allungata, mostrano piccole strutture rettangolari con tetto a due falde e palizzata difensiva. Tra gli abitati di pianura si distingue anche una categoria denominata “campi” (Erdwerke) caratterizzata da larghi fossati, talvolta difesi da palizzate e da terrapieni, con numerose aperture. All’interno delle aree così delimitate, a volte assai ampie (Urmitz, Mayen), mancano per lo più evidenze di abitazioni, mentre sono presenti abbondanti materiali archeologici (ceramiche, oggetti di pietra e su osso), insieme a ossa di animali e resti umani, anche parziali (crani).

Per quanto riguarda i riti funerari, a M. era praticata sia la sepoltura individuale in semplice fossa, talvolta con il defunto in posizione seduta, all’interno degli abitati sia in aree esterne, dove erano raccolte più sepolture. In quest’ultimo caso le deposizioni erano in pozzi o in grotta (Furfooz-Trou du Frontal, Namur), talvolta protette da lastre di pietra. Nella fase finale sono attestate sepolture individuali e collettive in cista litica (Lenzburg, gruppo di Pfyn). La presenza di oggetti d’accompagno è rara e comprende qualche forma vascolare e pochi elementi ornamentali di pietra o su conchiglia. Nella produzione ceramica, per lo più priva di decorazione o con serie di bugne perforate, sono caratteristici i vasi a bottiglia, grandi bicchieri con fondo appuntito, le brocche e i cosiddetti piatti da focaccia.

Grande importanza riveste in M. lo sfruttamento delle miniere di selce. In quella di Spiennes (Belgio) la disposizione dei cunicoli e dei pozzi, all’interno dei quali sono stati rinvenuti picconi e accette di pietra o su corno di cervo insieme a vasellame, denota un’accurata organizzazione del lavoro, che fa supporre la presenza di “specialisti”. Scarse sono le testimonianze della lavorazione del metallo nella fase antica di M., attestate da qualche ascia piatta; nella fase recente e in particolare nell’ambito dell’aspetto Pfyn, è presente una maggiore quantità di oggetti, mentre l’attività metallurgica locale è testimoniata da crogioli per la fusione.

Bibliografia

J. Lüning, Die Michelsberger Kultur. Ihre Funde in zeitlicher und räumichler Gliederung, in BerRGK, 48 (1967), pp. 1-350.

J. Biel et al. (edd.), Die Michelsberger Kultur und ihre Randgebiete: Probleme der Entstehung, Chronologie und des Siedlungswesens. Kolloquium, (Hemmenhofen, 21-23.2. 1997): J. Lüning zum 60. Geburstag, Stuttgart 1998.

Ozieri

di Enrico Pellegrini

Aspetto culturale del Neolitico finale della Sardegna (III millennio), ampiamente diffuso su tutta l’isola, durante il quale si assiste alla realizzazione di importanti monumenti con tecnica megalitica.

La sua posizione stratigrafica e cronologica è definita dalle omogenee sequenze rilevate nelle grotte di Filiestru (date 14C non calibrate 3300±60 a.C. e 3000±50 a.C.), di Su Tintirriolu (date 14C non calibrate 3140±50 e 2980±50 a.C.) e Sa Korona di Monte Maiore, nelle quali i livelli della cultura di O. sono interposti tra quelli di Bonu Ighinu del Neolitico medio e quelli riferibili all’Eneolitico di Filigosa, Abealzu, Monte Claro.

Con l’aspetto O. la Sardegna mostra, tra la fine del IV e il III millennio, un deciso incremento degli insediamenti, un potenziamento delle esportazioni di ossidiana, un forte richiamo a esperienze egeoorientali nella produzione di vasi litici e di statuine fittili e litiche e nella realizzazione di complesse strutture funerarie. Tra gli insediamenti sono noti l’utilizzo di grotte e ripari sotto roccia, ma principalmente i villaggi all’aperto, per lo più con strutture lignee, i quali contano fino a sessanta abitazioni (San Gemiliano di Sestu, prov. di Cagliari). Un ulteriore elemento per la conoscenza delle strutture abitative si riscontra nelle tombe ipogeiche, caratteristiche di questa fase, le quali riproducono, talvolta, le forme delle abitazioni reali e le loro strutture architettoniche: stanze rotonde con tetti conici o ambienti rettangolari con copertura a doppio spiovente, nicchie, pilastri e colonne. Si tratta delle strutture che nella tradizione isolana sono state denominate domus de janas (“case delle fate”), tra le quali è celebre la cosiddetta Tomba del Capo di Sant’Andrea Priu. La maggior parte delle tombe a grotticella artificiale è stata rimaneggiata e riutilizzata nel corso delle epoche successive: possono essere a un solo ambiente o comprenderne oltre dieci; le sepolture sono multiple e ci sono evidenze di riti di deposizione secondaria. In alcune strutture funerarie sono presenti focolari, decorazioni dipinte e false porte per il trapasso nell’aldilà. Nella produzione vascolare la decorazione si presenta esuberante e include svariate tecniche, dalle impressioni cardiali, alle incisioni, al graffito, alla pittura; tra le forme predominano quelle emisferiche, i vasi biconici, le tazze carenate, ma in particolare alcune forme di ispirazione egea, quali la pisside cilindrica o troncoconica su piccoli piedi, il vaso a tripode e il kalathos. Nuovamente ad ambiente egeo riportano i tipi delle statuine fittili o di marmo, prodotte in grande quantità e i vasi di pietra. Ancora rara è invece la presenza di oggetti metallici (Cucurru Arrius). Tra le realizzazioni di monumenti megalitici emergono la struttura di Monte d’Accoddi (prov. di Sassari), una terrazza troncopiramidale con lunga rampa d’accesso obliqua contornata da grandi menhir con funzione rituale, costruita con grandi blocchi a filari sovrapposti e le tombe a cista litica racchiuse da circoli di pietre di Li Muri di Arzachena.

Bibliografia

E. Atzeni, Aspetti e sviluppi culturali del neolitico e della prima età dei metalli in Sardegna, in G. Pugliese Carratelli (ed.), Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’età classica, Milano, 1981, pp. XXI-LI.

L. Dettori-Campus (ed.), La cultura di Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni. Atti del I Convegno di studio (Ozieri, gennaio 1986 - aprile 1987), Ozieri 1989.

Ripoli

di Renata Grifoni Cremonesi

Cultura, così denominata da U. Rellini in un suo studio del 1934, che prende il nome dal villaggio eponimo, scoperto da C. Rosa presso Corropoli in Val Vibrata (Abruzzo). Sul versante adriatico subentra a quella di Catignano, con cui ha vari elementi in comune e si inserisce nel più vasto contesto delle ceramiche tricromiche meridionali, assumendo connotazioni e sviluppi autonomi.

Le sequenze stratigrafiche più significative sono quelle di Grotta dei Piccioni e Grotta S. Angelo, in cui la cultura di R. si colloca tra i livelli della cultura di Catignano e quelli eneolitici.

Le datazioni radiometriche definiscono un ampio arco cronologico, compreso tra 5630±80 B.P. e 4770±110 B.P., con un addensarsi di date tra i 5400/5100 B.P. L’areale di diffusione si accentra nella zona medio-adriatica corrispondente alle regioni Marche e Abruzzo ed elementi tipici della ceramica sono presenti in varie regioni italiane. Nella ceramica si distinguono tre classi principali: figulina di impasto molto depurato di colore giallo o rosato, fine nera o rossastra lisciata e lucidata, grossolana con grossi inclusi e granuli bianchi. Nella ceramica figulina si hanno vasi emisferici, boccali carenati con ansa ad anello sormontata da un’appendice antropomorfa e vasi a fiasco con quattro bugnette forate sotto l’orlo: sono dipinti con la tipica sintassi a bande rosse e fasce riempite con una fila di punti bruni che formano riquadri i quali racchiudono motivi geometrici a linee, triangoli, rombi. Nella ceramica fine predominano le ciotole troncoconiche spesso decorate all’interno, subito sotto l’orlo, con una linea incisa o una fila di triangolini intagliati. L’industria litica è costituita da grattatoi, rari bulini e strumenti a dorso, troncature, rombi, punte e punteruoli, lame e lamelle, grosse schegge ritoccate, denticolati, strumenti campignani. Compaiono le cuspidi di freccia di varie forme e, nel momento tardo, armature a tagliente trasversale. L’ossidiana, presente in discreta quantità fin dal primo momento della cultura, acquista maggiore importanza in quello recente. Nella pietra levigata sono ben rappresentate le asce e le accette, le teste di mazza sferoidali, gli anelloni, i dischetti con foro centrale, le macine e i macinelli.

L’industria ossea è molto varia e comprende punte di osso o corno cervino, zagaglie, punteruoli, aghi, spatole, scalpelli, ami, manici di zappe o accette, falcetti tratti da costole o mandibole di bue. Numerosi sono gli ornamenti, soprattutto pendagli tratti da piastrine litiche od ossee, denti, conchiglie, bottoni in osso, un pendaglio di corallo. La metallurgia appare nelle fasi tarde della cultura, con alcuni frustoli di rame da S. Maria in Selva e un frammento di punta a sezione quadrangolare di rame da Fossacesia.

Gli abitati sono noti da numerosi siti, generalmente su terrazzi fluviali o su colline prospicienti corsi d’acqua, su terreni favorevoli all’agricoltura. A Ripoli e a Città S. Angelo un grande fossato delimitava almeno in parte il villaggio.

L’economia è fondata sull’agricoltura e sull’allevamento; in molti casi è attestata la caccia, soprattutto al cervo e al capriolo, ed è documentata anche la pesca. L’agricoltura veniva largamente esercitata, come si desume dalla quantità di macine, macinelli e falcetti. Il gran numero di pesi da telaio e fusaiole indica un largo sviluppo della tessitura, soprattutto nei momenti recenti. La documentazione sulla sfera funeraria è data, oltre che da resti umani in varie grotte, dal sepolcreto al centro del villaggio di Ripoli, con tombe a inumazione in fossa, la più nota delle quali è quella di una donna col cane.

La cultura di R. ha sempre avuto una notevole capacità di espansione e di apertura a contatti con altre culture durante tutto il corso della sua evoluzione, con apporti che vengono dalla Ceramica Lineare, da Serra d’Alto e dalla cultura dalmata di Danilo. Ma è soprattutto nel momento tardo che le culture settentrionali di Chassey-Lagozza permeano profondamente l’aspetto di R., mentre contemporaneamente si ha un forte influsso della cultura di Diana, legato al diffondersi dell’ossidiana liparese.

Bibliografia

U. Rellini, La più antica ceramica dipinta in Italia, Roma 1934.

G. Cremonesi, Il villaggio di Ripoli alla luce dei recenti scavi, in RScPreist, 20 (1965), pp. 85-164.

R. Grifoni Cremonesi - G. Radi, Le Néolithique de l’Italie centrale adriatique. Le Néolithique du Nord-Ouest Méditerranéen, in XXIV Congrès Préhistorique de France (Carcassonne 1994), Carcassonne 1999, pp. 39-50.

Serra d’alto

di Enrico Pellegrini

Aspetto culturale del Neolitico medio presente in tutta l’Italia meridionale, in Sicilia e nelle Eolie, ma la cui produzione vascolare tipica si trova diffusa in un’area più ampia comprendente l’Italia centro-settentrionale, Malta e l’Adriatico orientale (Obre II).

La cultura di S.d’A. è caratterizzata da una produzione vascolare di alta qualità, con ceramiche figuline acrome o dipinte e anse a largo nastro, talvolta con protomi zoomorfe, da prese costituite da un nastro avvolto in più spirali e da prese a rocchetto. Le forme vascolari comprendono scodelle carenate a corpo profondo, tazze con collo cilindrico distinto, boccali. La decorazione dipinta, in colore scuro su fondo chiaro, si articola in meandri, spirali, triangoli e losanghe campiti con scacchiere, motivi a reticolo e scalariformi, ecc.

Particolarmente abbondante appare l’industria su osso con punte, punteruoli e spatole, mentre l’industria litica è costituita da manufatti su selce e su ossidiana. Gli abitati comprendono aree con situazioni e dimensioni assai diversificate mentre è comune l’assenza di fossati; frequente appare anche l’impianto su siti con precedenti testimonianze di età neolitica. Poco note sono le strutture abitative, all’aperto, in alcuni casi con pianta rettangolare e un lato absidato. Grotte e ambienti ipogeici, talvolta riadattati, appaiono molto frequentati a scopo cultuale (ipogeo Manfredi a Santa Barbara). A questo riguardo, l’uso della grotta di Porto Badisco (Otranto) appare di particolare interesse, anche per i numerosi dipinti parietali con raffigurazioni schematiche (che richiamano talvolta quelle presenti sulla produzione vascolare) o figurative, tra cui appare ricorrente quello della caccia al cervo. A un utilizzo in ambito cultuale vanno anche riferite, con molta probabilità, le testine femminili di terracotta. Le sepolture avvenivano in fosse circondate da pietre (Pulo di Molfetta), in grotta (Grotta Pacelli, Cala Colombo) o, come nel caso del sito eponimo, riutilizzando e adattando strutture precedenti quali fondi di capanna, pozzetti o, in altri casi, fossati abbandonati. Recenti scavi stratigrafici hanno permesso di accertare in maniera definitiva l’associazione di materiali S.d’A. tardo e Diana in diversi contesti. Tale situazione sembra in accordo con le datazioni 14C che delineano per S.d’A. l’occupazione durante gran parte del IV millennio e una parziale sovrapposizione con Diana-Bellavista nei primi secoli del III millennio.

Nel quadro di una cronologia interna, la produzione vascolare della cultura S.d’A. si evolve dall’iniziale “barocchismo” delle decorazioni e delle anse verso forme più stilizzate e verso la quasi totale scomparsa della decorazione.

Bibliografia

A. Geniola, La cultura di Serra d’Alto nella Puglia centrale, in Il Neolitico in Italia. Atti della XXVI Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze 1987, pp. 771-81.

M. Moscoloni, Sviluppi culturali neolitici nella penisola italiana, in A. Cazzella - M. Moscoloni (edd.), Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, X. Neolitico ed Eneolitico, Bologna 1992, pp. 262-81.

Sesklo

di Enrico Pellegrini

Aspetto culturale del Neolitico antico (Neolitico medio nella terminologia locale) della Grecia settentrionale, diffuso soprattutto in Tessaglia. Come hanno evidenziato gli scavi effettuati da C. Tsountas (1901-1902) e poi da D. Theocharis (1956-81) nel sito omonimo, un tell (magoula in lingua locale) tra i più antichi del Neolitico europeo di 100 x 45 m e 8,5 m circa d’altezza, la cultura di S. si evolve localmente da una cultura denominata Proto-S., risalente a 5800-5500 anni in cronologia convenzionale e 6700-6500 in cronologia calibrata.

L’aspetto culturale Proto-S., attestato, oltre che in Tessaglia, in Albania e parte della Macedonia, è caratterizzato sin dalla sua comparsa dalla presenza contemporanea in forma già evoluta dei diversi elementi che compongono il complesso neolitico: sedentarietà, allevamento, agricoltura. Gli abitati sono disposti su piccole colline, nei pressi di corsi d’acqua e di terreni fertili; le abitazioni, a pianta quadrangolare, sono ricostruite negli stessi luoghi per più generazioni. Per quanto riguarda la produzione ceramica, in diversi insediamenti (Sesklo, Nea Nikomedia, grotta Franchthi, Soufli Magoula) è stata accertata l’esistenza di una fase aceramica nei livelli più profondi, alla quale seguono in molti siti i primi orizzonti con ceramica già di ottima fattura (Frühkeramik) con forme emisferiche, a volte su piede, prive di decorazione.

Successivamente le superfici cominciano a essere ornate con decorazioni plastiche, impresse e dipinte in rosso su ingubbiatura biancastra con motivi geometrici; a volte sono presenti raffigurazioni umane schematizzate. Il rito funerario prevede l’inumazione all’interno degli abitati, per lo più senza corredo, ma sono note alcune sepolture per le quali è stato adottato il rito dell’incinerazione. Alcune statuine di terracotta con raffigurazioni umane di sesso femminile, talvolta incinte, o zoomorfe attestano l’esistenza di pratiche religiose. Nell’aspetto culturale Proto-S. la maggior parte degli studiosi vede stretti legami con l’Anatolia e l’area del Vicino Oriente. Con la comparsa della cultura di S. propriamente detta le strutture abitative segnalano un sostanziale cambiamento con l’uso di mattoni di fango cotti al sole e blocchetti d’impasto di argilla e paglia. Le planimetrie (circa 8,5 x 5,5 m in media) delle abitazioni mostrano l’esistenza di aree destinate ad attività diverse: focolari, piattaforme di pietra, aree con recipienti per la conservazione delle derrate alimentari e pietre da macina. Lo schema di alcune abitazioni, divise in due ambienti e dotate di portico, sembra precorrere il megaron; altre strutture erano dotate di un piano superiore ligneo; i tetti, di paglia o di terra, sono a doppio spiovente.

I villaggi di Sesklo, Prodromos, Argissa e Otzaki appaiono organizzati con spazi per le abitazioni e spazi liberi per qualche attività. La caratteristica ceramica S. presenta motivi scalariformi o a “fiamma” dipinti in rosso su ingubbiatura bianca; tra le forme vascolari sono presenti le “fruttiere”, tazze e bicchieri con grandi anse a nastro. Nella fase finale si diffonde una produzione ceramica con decorazione grigio su grigio, una decorazione “in negativo” (asportazione parziale dell’ingubbiatura) e la ceramica policroma. Mentre i riti funerari della fase S. non sono ancora conosciuti, la produzione di statuine antropomorfe fittili (femminili e più raramente maschili) attesta una continuità dei riti religiosi con la fase precedente. Diversi siti (Sesklo, Tsangli) mostrano un livello di incendio alla fine del periodo S.

Bibliografia

C. Tsountas, Αι προιστορικαι ακροπολις Διμινιου και Σεσκλον, Athinai 1908.

S. Andreu - M. Fotiadis - K. Kotsakis, Review of Aegean Prehistory V: The Neolithic and Bronze Age of Northern Greece, in AJA, 100 (1996), pp. 537-97.

Skorba

di Enrico Pellegrini

Il sito eponimo, oggetto di diverse campagne di scavo tra il 1961 e il 1963, ha fornito un’importante serie stratigrafica che copre tutte le fasi dello sviluppo culturale di Malta.

Questa stratigrafia è servita anche a determinare la successione cronologica della produzione vascolare maltese, precedentemente stabilita su basi stilistiche. Lo scavo ha restituito una grande quantità di materiale ceramico tra cui due produzioni riferibili al Neolitico medio e finale, individuate qui per la prima volta, denominate rispettivamente Grey Skorba e Red Skorba.

La fase Grey Skorba (4500-4000 a.C. in cronologia calibrata) costituisce la seconda fase del Neolitico maltese e segue quella di Ghar Dalam del Neolitico antico a ceramica impressa. La ceramica Grey Skorba è caratterizzata da un impasto grigio scuro con superficie lucidata. Le forme vascolari sono limitate e prevalentemente aperte: scodelle troncoconiche, talvolta munite di larga ansa verticale con funzione di attingitoio, ciotole con prese a rocchetto; tra le forme chiuse si segnala un tipo di olla con alto collo distinto. La decorazione incisa o graffita è assente, mentre è attestata la presenza di cordoni applicati a rilievo. Nell’industria litica sono attestati nuclei di ossidiana provenienti da Lipari e da Pantelleria.

La fase Red Skorba (4400-4100 a.C. in cronologia calibrata) continua la precedente produzione vascolare per quanto riguarda il tipo d’impasto e le forme principali, ma la superficie dei vasi è ora frequentemente ricoperta da una ingubbiatura rossa. Nuove forme di vasi sono le scodelle su alto piede e le ciotole carenate; numericamente più numerosa e articolata appare la classe delle olle; la decorazione presenta semplici motivi incisi prima della cottura (spirali, chevrons). Caratteristica di questa fase è un particolare tipo di ansa con perforazione verticale denominato “a trombetta”. Complessivamente, la produzione ceramica mostra correlazioni con la ceramica Diana di Lipari; stretti contatti con l’arcipelago eoliano sono inoltre attestati dalla presenza di ossidiana proveniente esclusivamente da Lipari. Alla fase Red Skorba sono associate alcune rappresentazioni plastiche di figure femminili, sia di terracotta che di arenaria, che costituiscono l’attestazione più antica della rappresentazione della figura umana a Malta.

Nel sito eponimo sono state identificate strutture di uso abitativo realizzate con mattoni di argilla essiccata al sole collocati su fondazioni di pietra; nella stessa area è stato rinvenuto un ambiente costruito con la stessa tecnica, ma adibito a pratiche rituali, come suggerisce la presenza delle figurine femminili e di sei crani di capra privi delle ossa facciali; la struttura è riferibile alla fase Grey Skorba. Durante le fasi del Neolitico di S. l’economia di sussistenza è basata sulla coltivazione di orzo, grano e lenticchia e sull’allevamento di pecora, bue e maiale.

Bibliografia

D.H. Trump, Skorba. Excavations Carried out on Behalf of the National Museum of Malta 1961-63, Oxford 1966.

J.D. Evans, Prehistoric Antiquities of the Maltese Islands: a Survey, London 1971.

Starčevo

di Enrico Pellegrini

Cultura che rappresenta l’aspetto più antico (fine VII-VI millennio) del Neolitico nella parte occidentale della Penisola Balcanica (Vinča, Grivac, Lepenski Vir, Porodin) e costituisce il punto di riferimento per la datazione degli aspetti ungheresi e rumeni del Neolitico antico (Körös - Criş).

Gli insediamenti occupano aree umide (paludi, acquitrini) o sono situati su terrazzi fluviali come nel caso del sito eponimo (Pančevo, Serbia); il loro aspetto più caratteristico, nelle fasi antiche, è rappresentato da larghe fosse irregolari, le quali fungevano da delimitazione per costruzioni leggere, realizzate con un’intelaiatura di pali lignei di piccole dimensioni ricoperti di argilla e fango; all’interno era presente un focolare realizzato con argilla e fango, poggiante su una base di pietra. Le strutture non mostrano di essere state in uso per molto tempo, dal momento che le stratigrafie non sono di grande spessore, mentre si notano dislocamenti delle abitazioni fino a 60 m tra una fase e l’altra. Nelle fasi recenti le abitazioni, a pianta rettangolare, sono costruite a livello del suolo (Divostin, fase Ic); le pareti sono realizzate ancora con un’intelaiatura di pali, rami e fango, ma collocate in una trincea di fondazione. All’interno è quasi sempre presente un focolare e si rinvengono anche strati di cenere e carboni. Sono anche attestate trincee e palizzate all’interno degli abitati (Divostin).

Pur in mancanza di concatenazioni stratigrafiche certe S. è stata suddivisa in tre (D. Arandjelovič-Garašanin) o quattro (V. Milojčic) fasi sulla base del confronto tipologico dei materiali ceramici provenienti dalle fosse d’abitazione del sito eponimo. Rispetto ai coevi aspetti culturali dell’area meridionale (Karanovo), la produzione vascolare di S. si caratterizza per un uso più moderato della decorazione dipinta, presente in maniera più frequente a partire dalla seconda fase, che mostra motivi lineari o curvilinei neri o bianchi.

Caratteristica della fase più antica, tra la produzione meno raffinata, appare la decorazione a barbotine, ma sono attestati anche recipienti con decorazione applicata, incisa e impressa; è comune anche una ceramica fine monocroma a superficie lucidata. Tra le forme vascolari sono tipiche le coppe emisferiche profonde su piede cavo, vasi biconici e scodelle. Oltre ai vasi, la produzione ceramica comprende rare figurine stilizzate femminili e zoomorfe.

Non sono note aree cimiteriali, ma soltanto alcune deposizioni all’interno di abitati con scarsi elementi di corredo. Anche l’economia primaria è poco conosciuta: è attestata la coltivazione di cereali e alcuni siti indicano la pratica dell’allevamento, del bue in particolare; non mancano insediamenti, specialmente nella regione montuosa, dove prevalgono i resti di animali selvatici. È stato proposto di vedere nelle genti di S. una popolazione ancora mobile, ma legata ad aree specifiche.

Bibliografia

V. Milojčic, Köröš-Starčevo-Vinča, in Festschrift Reinecke, Mainz a.Rh. 1950, pp. 108-18.

D. Arandjelovič-Garašanin, Starčevačka Kultura [La cultura di Starčevo], Ljubljana 1954.

A. McPherron - D. Srejovič (edd.), Divostin and the Neolithic of Central Serbia, Pittsburgh 1988.

Stentinello

di Sebastiano Tusa

Facies, dal sito eponimo sulla costa siracusana, identificata e scavata da P. Orsi e in seguito da V. Tiné, inquadrabile nell’ambito di una chiara evoluzione dal ceppo delle ceramiche impresse, ma già pertinente alla seconda fase di evoluzione del Neolitico peninsulare e siciliano (VI e V millennio a.C.).

Rispetto a quella prodotta durante la precedente fase del Neolitico a Ceramica Impressa, la ceramica muta nella forma acquisendo fogge più eleganti, come la ciotola carenata o l’olla con alto collo troncoconico rovesciato, che si aggiungono a una versione meno grossolana del diffuso vaso “a tacco” caratterizzato dal vistoso e alto piede. All’impressione e all’incisione si affianca l’excisione. Tra gli schemi decorativi più tipici compaiono quelli che ipoteticamente sono stati interpretati come “occhi apotropaici”, costituiti da rombi talvolta affiancati da tratti verticali, che chiaramente riproducono le ciglia. Insieme a questa produzione compaiono le prime ceramiche dipinte a fasce o fiamme rosse semplici o marginate in nero. In Sicilia, nei contesti stentinelliani, la presenza di ceramiche dipinte è limitata, mentre nella coeva e stilisticamente affine facies eoliana di Castellaro Vecchio, a Lipari, le ceramiche dipinte sono maggiormente presenti, così come sulle coste calabre.

È con la cultura stentinelliana e con la diffusione delle ceramiche bi- e tricromiche che il modello insediativo del villaggio trincerato si diffonde in tutta l’Italia peninsulare e Sicilia. A questa vasta e capillare diffusione dei fossati sfuggono pochi abitati, soprattutto quelli localizzati nelle Eolie e in Calabria, dove tale tipologia sembra assente.

Bibliografia

P. Orsi, Stazione neolitica da Stentinello (SR), in BPI, 16 (1890), pp. 177-200.

S. Tiné, Notizie preliminari su recenti scavi nel villaggio neolitico di Stentinello, in ArchStorSir, 7 (1961), pp. 113-17.

S. Tusa, La Sicilia nella preistoria, Palermo 1999, pp. 141-221.

Tisza

di Enrico Pellegrini

Aspetto culturale del Neolitico recente ungherese (IV millennio) diffuso principalmente nell’area orientale, lungo la valle del fiume Tisza (in italiano Tibisco, da cui in passato la denominazione di “cultura tibiscina”), dal quale prende nome.

Gli abitati, di ampie dimensioni (fino a 15 ha), occupano talvolta le stesse aree dei villaggi della precedente cultura del Neolitico medio di Szakálhát-Lebö. Le strutture abitative della cultura di T. erano costituite da ambienti rettangolari di 9-12 m di lunghezza e 3-6 m di larghezza comprendenti uno o due vani; i muri, di argilla, erano spessi e rinforzati con tronchi lignei; questo metodo di costruzione ha dato origine a tell che possono raggiungere lo spessore di qualche metro.

La produzione vascolare si caratterizza per la complicata decorazione incisa a superficie coprente, che richiama motivi disegnativi propri della tessitura e si riallaccia alla precedente tradizione di Szakálhát-Lebö; le incisioni erano messe in risalto mediante incrostazioni di pasta bianca o rossa applicate prima o dopo la cottura. Tra la produzione fittile si segnala la presenza di oggetti legati al culto, quali le cosiddette “tavole d’altare”, vasi antropomorfi e zoomorfi e un buon numero di figurine plastiche umane anche di grandi dimensioni (fino a 80 cm di altezza). Tra queste ultime sono attestate sia figure femminili sia figure maschili in posizione stante o seduta; eccezionale la figurina maschile seduta, probabilmente mascherata, con un oggetto ricurvo poggiato sulla spalla e decorazione dipinta e incisa rinvenuto nell’abitato di Szegvár-Tűzköves. Il rinvenimento di questi oggetti nell’ambito di strutture abitative lascia ipotizzare l’esistenza di una diffusa pratica cultuale domestica.

I cimiteri della cultura di T., situati nelle vicinanze degli abitati, sono ben conosciuti: le sepolture a inumazione comprendono adulti e bambini; il corredo funerario è costituito da oggetti d’ornamento (collane di conchiglie e denti di animali), vasellame fittile e manufatti liti-ci; in numerosi casi i corpi dei defunti sono cosparsi di ocra rossa. Nell’economia di sussistenza la caccia, a differenza delle fasi precedenti, sembra rivestire un ruolo importante; circa la metà della fauna rinvenuta negli abitati è costituita da animali selvatici. Tra gli animali d’allevamento sono attestati Suidi e caprovini, i Bovidi sono predominanti.

Bibliografia

Banner, Das Tisza-, Maros-, Körös-Gebiet bis zur Entwicklung der Bronzezeit, Leipzig 1942.

V.S. Titov - I. Érdeli (edd.), Archeologija Vengrii. Kamennyj vek [Archeologia dell’Ungheria. L’età della pietra], Moskva 1980.

A. Sherratt, The Development of Neolithic and Copper Age Settlement in the Great Hungarian Plain, in A. Sherratt (ed.), Economy and Society in Prehistoric Europe. Changing Perspectives, Edinburgh 1997, pp. 270-319.

Vasi a bocca quadrata

di Enrico Pellegrini

Aspetto culturale del pieno Neolitico (IV millennio), diffuso in tutta l’Italia del Nord con caratteri omogenei, che prende il nome dal tipico vaso biconico con collo svasato, terminante “a bocca quadrata”.

La caratteristica imboccatura compare anche su altre forme quali ciotole, scodelle, bicchieri; le fogge vascolari comprendono inoltre vasi su alto piede cavo, vasi con peduccio e vasi situliformi. La decorazione, insieme ad altri elementi dell’industria litica, ha consentito di individuare tre principali orizzonti stilistici all’interno della facies. Il più antico è caratterizzato da una decorazione in uno stile geometrico-lineare realizzata a graffito; intorno alla metà del IV millennio si afferma lo stile meandro-spiralico con decorazione excisa su olle e coperchi; nella fase finale è presente uno stile a incisioni e impressioni. Alla produzione vascolare si affiancano le numerose pintadere, realizzate nello stile meandro-spiralico e le figurine femminili, ricollegabili all’area balcanica.

Questa cultura appare dotata di un forte dinamismo, attestato da una vasta rete di contatti e scambi. Tra i materiali d’importazione sono presenti manufatti su ossidiana di provenienza liparota, ornamenti su conchiglia di Spondylus, mediati dall’area germanica, scalpelli dall’area subalpina, mentre influenze stilistiche provengono dalle facies di Ripoli, Serra d’Alto e dall’area balcanica.

Relativamente alle strategie insediamentali, non sembrano esistere tipologie preferenziali, ma viene sfruttato un ampio spettro di situazioni ambientali: da bonifiche di pianura in zone umide fino ad ambienti montani a oltre 1000 m di altitudine. Le strutture abitative conosciute mostrano l’esistenza di capanne munite di focolare insieme a strutture di terrazzamento, trincee, acciottolati e allineamenti di pali (La Vela di Trento).

Anche l’economia primaria mostra un forte adattamento alle singole situazioni ambientali, con l’integrazione dell’agricoltura e dell’allevamento di volta in volta con la pesca, la caccia e anche la raccolta. Il rito funerario prevede la deposizione del defunto, talvolta ricoperto di ocra, sul fianco sinistro in posizione flessa o contratta con il capo a nord e con gli oggetti d’ornamento e del corredo. Non sembra esserci alcuna distinzione nel rituale tra uomini e donne, mentre i bambini sono generalmente privi di corredo. Le strutture funerarie, raccolte in vasti sepolcreti (Chiozza di Scandiano, La Vela di Trento) comprendono semplici fosse, recinti di pietra e ciste litiche; i tre tipi sono documentati nello stesso ambito temporale nella necropoli della Vela di Trento.

Bibliografia

B. Bagolini, Il Neolitico nell’Italia settentrionale, in A. Guidi - M. Piperno (edd.), Italia preistorica, Bari 1992, pp. 274-305.

Id., Nuovi aspetti sepolcrali della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata e la Vela di Trento, in P. Biagi (ed.), The Neolithisation of the Alpine Region, Brescia 1990, pp. 227-35.

B. Bagolini - R. Grifoni Cremonesi, Il Neolitico italiano: facies culturali e manifestazioni funerarie, in BPI, 85 (1994), pp. 139-70.

Veluška-porodin

di Enrico Pellegrini

Gruppo culturale del Neolitico antico e medio (4300-4500 ca. in cronologia non calibrata) diffuso sul territorio della Repubblica della Macedonia, le cui origini sono per il momento sconosciute.

Il gruppo di V.-P. (o, più semplicemente, gruppo di Porodin), è noto sulla base di numerosi insediamenti, concentrati nella pianura di Pelagonija, nei pressi del centro di Bitola, la cui lunga occupazione ha dato origine a tell di 3-4 m di altezza. Nello sviluppo del gruppo di V.-P. sono state distinte quattro fasi (I-IV); le fasi I-II appartengono a un Neolitico antico evoluto; la fase finale può essere invece correlata con Anzabegovo-Vršnik IV e Dimini antico. Tra i siti principali, quello di Porodin e quello di Veluška Tumba, eponimi della facies, hanno fornito i dati più interessanti. Le abitazioni, a pianta trapezoidale e ripartite internamente, erano realizzate con tronchi lignei ricoperti da un impasto di argilla e paglia; una struttura di Veluška Tumba era decorata all’interno con pittura bianca; ulteriori elementi per la conoscenza delle strutture abitative provengono da modellini di terracotta di case, i quali si caratterizzano per i tetti a doppio spiovente sormontati da teste umane cilindriche.

Oltre ai modellini di abitazioni, tra la produzione plastica si segnalano le figurine antropomorfe steatopigiche del tipo seduto e un tipo caratterizzato dal corpo cilindrico e dal collo allungato.

La ceramica vascolare si distingue in una produzione fittile d’impasto grossolano con grandi recipienti sferici a collo cilindrico e una produzione d’impasto più fine tra cui, nella fase più recente, è caratteristica la ciotola carenata. La decorazione della ceramica d’impasto grossolano comprende motivi a rilievo e a impressione; la decorazione della ceramica d’impasto più fine è costituita da motivi geometrici dipinti in bianco su rosso. L’industria litica è poco rappresentata; tra la produzione in pietra levigata sono attestati vari tipi di ascia; l’industria su osso comprende lisciatoi, aghi e punte.

I dati relativi all’economia di sussistenza sono scarsi: tra i cereali coltivati predomina il frumento, l’allevamento comprendeva caprovini, bovini e suini, la caccia era scarsamente praticata.

Bibliografia

M. Grbić (ed.), Porodin. Kasno-neolitsko naselje na tūmbi kod Bitolja [Porodin. Un insediamento tardo-neolitico sulla Tumba presso Bitola], Bitolj 1960.

J. Kozłowski (ed.), Atlas du Néolithique Européen, I. L’Europe orientale, Liège 1993.

Vinča

di Enrico Pellegrini

Tell con oltre 9 m di stratigrafia situato in Serbia (Belgrado), che ha dato il nome a un aspetto culturale di lunga durata, che dal Neolitico medio giunge sino alla fase iniziale dell’Eneolitico (V e IV millennio a.C.) ed è diffuso in parte della Penisola Balcanica, dell’Ungheria e della Romania.

Sulla base della sequenza tipologica riscontrata nella stratigrafia del tell eponimo, integrata dai dati provenienti da altri insediamenti (Gradac, Supska), V. è stato suddiviso in due fasi principali, V.-Turdaş e V.-Pločnik, a loro volta ulteriormente articolate.

Nell’insediamento di Vinča, la fase V.-Turdaş, del Neolitico medio, si sovrappone direttamente ai livelli riferibili all’aspetto Starčevo del Neolitico antico. Nella produzione vascolare si nota un incremento di ceramiche a superfici scure e lisciate realizzate con ottima tecnica e un rapido declino delle ceramiche dipinte di tradizione più antica. Forma tra le più caratteristiche risulta una coppa carenata su alto piede; la decorazione è a motivi geometrici incisi o graffiti e riempiti di pasta bianca. Le strutture abitative, poco note, mostrano unità rettangolari composte da uno o due vani con pareti realizzate con un impasto di argilla e paglia.

Al di sopra di uno strato di bruciato, interpretato come livello di distruzione e datato in cronologia 14C non calibrata 4240±60 a.C., sono attestati gli strati di V.-Pločnik del Neolitico recente. In questa fase, la cui estensione sembra limitarsi al territorio della ex-Jugoslavia, la ceramica appare come una diretta evoluzione di quella del periodo precedente. Essa si caratterizza principalmente per la decorazione, che può essere sia impressa sulla superficie del vaso con uno strumento dentellato e riempita con pasta rossa sia dipinta in bianco o in rosso. Gli insediamenti, distribuiti ora in luoghi impervi, mostrano raggruppamenti di abitazioni su più file parallele e, talvolta, sistemi difensivi con fossati e palizzate. Gli aspetti funerari sono quasi sconosciuti; sono comunque attestate sepolture isolate all’interno di abitati come anche una piccola necropoli con 18 inumazioni in posizione ripiegata a Botoş (Voivodina). Caratteristiche di entrambe le fasi sono le statuette antropomorfe di argilla connesse con pratiche cultuali, le quali rappresentano sia individui femminili con volti allungati e occhi globulari, sia anche maschili, a partire dalla fase V.-Pločnik; ancora connessi con pratiche rituali sono i piccoli altari su quattro piedi in terracotta e una sorta di maschera di terracotta con decorazione incisa o dipinta.

Nei livelli più alti dell’insediamento di Vinča lo strato V (Vinča E, con materiali Baden dell’Eneolitico medio), è preceduto da uno strato con materiali riferibili all’Eneolitico antico (Vinča D), del quale sono ancora da chiarire la genesi e gli esiti successivi. Importante appare comunque in questa fase la testimonianza dello sfruttamento dei giacimenti cupriferi di Rudna Glava e la presenza nel sito di Pločnik di quattro depositi contenenti anche oggetti e utensili di rame.

Bibliografia

J. Chapman, The Vinča Culture of South-East Europe. Studies in Chronology, Economy and Society, Oxford 1981.

Id., Vinča Culture, its Role and Cultural Connections, in International Symposium on the Vinča Culture, its Role and Cultural Connections (Timisoara, Romania, 1995), Timisoara 1996.

Windmill hill

di Enrico Pellegrini

Aspetto culturale del Neolitico antico dell’Inghilterra meridionale (IV millennio a.C.), che prende nome dall’imponente causewayed camp (campo a strade rialzate) nell’Inghilterra meridionale.

La produzione vascolare fittile è caratterizzata principalmente da ciotole con corpo profondo e base arrotondata, sia a profilo continuo sia carenate; la decorazione, assente negli esemplari più antichi, è costituita in seguito da linee incise e punti impressi nella parte superiore del vaso. L’industria litica comprende grattatoi, coltelli e armature foliate di selce, più rare sono le asce di pietra dura, per alcune delle quali la materia prima risulta d’importazione. Sono attestate la pratica della coltivazione dei cereali e l’allevamento del bestiame; numerose ossa di animali recano le tracce derivate dall’estrazione del midollo.

L’elemento più caratteristico della cultura di W.H. è costituito dalle strutture denominate causewayed camp (campo a strade rialzate) o interrupted ditched enclosure (recinto a fossato interrotto), delle quali sono noti oltre 70 esempi. I recinti, a pianta ovale o circolare, differiscono tra loro sia in ampiezza (dai ca. 400 m di diametro di W.H. a meno di 200 m a Combe Hill) sia nel numero e nella struttura dei fossati, che possono essere costituiti da cerchi incompleti (interrupted ditched enclosure) o segmenti di lunghezza diversa separati da strade o passaggi rialzati (causewayed camp); il numero dei fossati può variare da due a quattro per ciascun sito.

Nel sito tipo di Windmill Hill sono presenti tre cerchi di fossati e fortificazioni con numerosi passaggi lunghi dai 2 ai 10 m; il fossato più esterno (365 m ca. di diametro) conteneva abbondante materiale archeologico (ceramica e industria litica) appartenente al Neolitico antico, medio e recente e la sepoltura di un uomo adulto. Nei fossati sono state rinvenute anche numerose ossa di animali, talvolta ammucchiate in strati di oltre 30 cm; rinvenimenti di scheletri di animali interi sono stati interpretati come offerte rituali. Una sola data 14C risalente al 2550 a.C., non calibrata, è disponibile per i fossati; alcune fosse rinvenute al di sotto delle fortificazioni e datate al 2900 a.C. circa attestano una frequentazione del sito anteriore all’impianto del recinto. All’interno dell’area recintata le tracce di occupazioni sono quasi assenti; è stato ipotizzato che W.H. e altri causewayed camps costituissero accampamenti stagionali e luoghi di riunioni per mercati e altre attività per le comunità sparse sul territorio.

Bibliografia

S. Piggott, The Neolithic Cultures of the British Isles, Cambridge 1954.

I. Smith, Windmill Hill and Avebury, Oxford 1965.

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