Bagnoli, quale rinascita dopo l'incendio

Il Libro dell'Anno 2013

Giuseppe Pellegrini

Bagnoli, quale rinascita dopo l’incendio

Un’occasione per riflettere sul ruolo e la sostenibilità dei musei della scienza e della tecnologia: essere al passo con i tempi sotto il profilo ambientale ed economico. In Italia sono 439 e, pur con limitate risorse economiche, cercano di coinvolgere attivamente i visitatori, proponendo attività con finanziamenti privati.

Esperimento

La notte del 4 marzo 2013, un incendio di chiara natura dolosa ha distrutto gran parte delle strutture espositive della Città della Scienza di Napoli. Si è trattato di un evento catastrofico per varie ragioni.

La Città della Scienza è il primo Science Center italiano, uno spazio espositivo di più di 12.000 mq che da 12 anni propone iniziative di divulgazione scientifica a livello internazionale, coinvolgendo un vasto pubblico di 350.000 visitatori all’anno con strumenti interattivi legati ai più importanti temi di ricerca.

L’esempio di Bagnoli si colloca nel solco delle esperienze di comunicazione e divulgazione della scienza sviluppatesi a partire dagli anni Sessanta in tutto il mondo, con l’intento di far vivere ai visitatori delle vere e proprie esperienze scientifiche e in molti casi di costruire con essi attività di comunicazione e coinvolgimento via qualificato come interfaccia tra il mondo della ricerca e il pubblico. Per questi motivi l’incendio è sembrato a tutti particolarmente dannoso. Per chi conosce la storia e le attività della Città della Scienza, gli innumerevoli sforzi per potersi affermare nel panorama nazionale e per diventare progressivamente una struttura credibile e sostenibile sotto il profilo economico e gestionale è sembrato subito che il rogo fosse un evento più che indesiderabile. L’incendio ha sollevato non poche polemiche sulla cattiva gestione della struttura, attivo. In questa prospettiva, la Città della Scienza ha seguito le tendenze internazionali più innovative che oggi propongono modalità di coinvolgimento e costruzione dei saperi. Ne è un esempio la New York Hall of Science dove si possono esplorare i contenuti scientifici realizzando piccoli progetti concreti che valorizzano l’inventiva e la creatività dei visitatori.

Nonostante la difficile collocazione urbanistica in una ex area industriale come Bagnoli e i collegamenti limitati, la Città della Scienza è riuscita in questi anni ad attrarre finanziamenti privati, a ospitare incubatori di impresa e a dialogare con il territorio in modo innovativo, proponendo iniziative culturali di vario tipo (teatro, musica, dibattiti, ecc.). In questa direzione lo Science Center si è via via qualificato come interfaccia tra il mondo della ricerca e il pubblico. Per questi motivi l’incendio è sembrato a tutti particolarmente dannoso. Per chi conosce la storia e le attività della Città della Scienza, gli innumerevoli sforzi per potersi affermare nel panorama nazionale e per diventare progressivamente una struttura credibile e sostenibile sotto il profilo economico e gestionale è sembrato subito che il rogo fosse un evento più che indesiderabile. L’incendio ha sollevato non poche polemiche sulla cattiva gestione della struttura, colpevole secondo alcuni organi di stampa di non aver pagato per vari mesi stipendi e fornitori, gettando ulteriore discredito sulla gestione dei finanziamenti pubblici a Napoli. Queste criticità hanno fatto temere il peggio: la fine di un’esperienza di riconversione di una ex area industriale e la chiusura di un luogo simbolo del nuovo modo di comunicare la scienza e la tecnologia.

Sin da subito, però, si è assistito a una reazione forte da parte della città, del personale, delle istituzioni e dei governi politici, nonché dell’Unione Europea.

L’evento del 4 marzo ha riportato alla ribalta il dibattito sui musei della scienza e della tecnologia, sulla loro diffusione e sulla capacità di essere al passo con i tempi in modo sostenibile sotto il profilo ambientale ed economico. I musei della scienza e le istituzioni a essi assimilabili, secondo la definizione ISTAT coerente con la classificazione internazionale ICOM, sono 439, il 12,8% del totale delle istituzioni museali non statali (ISTAT, 2010). Nel panorama della vasta offerta museale italiana, dunque, i musei della scienza rappresentano una piccola parte anche se dal punto di vista qualitativo custodiscono importanti collezioni della tradizione scientifica italiana. Nonostante gli investimenti pubblici non siano stati consistenti negli ultimi anni – normalmente di gran lunga inferiori a quanto altri paesi europei dedicano al settore –, si può dire che i musei italiani hanno comunque sviluppato un cambiamento che li colloca nella direzione intrapresa in modo deciso da altri paesi europei ed extraeuropei, cercando di coinvolgere attivamente i visitatori e proponendo attività con il contributo di finanziamenti privati. Le istituzioni che hanno saputo attirare più visitatori negli ultimi anni sono i musei che hanno scelto di dialogare con il pubblico offrendo spazi di interazione e comunicando in modo più efficace. Oltre alla Città della Scienza si possono ricordare il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano e il Museo della Scienza di Trento, che ha inaugurato a luglio lo Science Center MUSE. Questi risultati confermano l’importanza di ampliare il rapporto con il pubblico, offrendo situazioni di coinvolgimento e limitando l’allestimento di strutture permanenti troppo onerose per proporre esposizioni al passo con i tempi in modo flessibile.

L’espansione territoriale deve essere dunque migliorata mediante la diffusione di iniziative all’esterno dei musei, evitando le concentrazioni in strutture singole regionali e offrendo maggiori opportunità nelle province. È quanto si è fatto in altri contesti europei (si pensi alla rete degli Science Center del Regno Unito ASDC), dove, con risorse contenute e in forma coordinata, si propongono attività di forte coinvolgimento pubblico.

Per ridare vita all’esperienza di Napoli è stato aperto un fondo di solidarietà, a cui hanno contribuito moltissime organizzazioni, enti pubblici e semplici cittadini; sono stati attivati i necessari ammortizzatori sociali per il personale e si sono svolti in Italia numerosi incontri per poter studiare soluzioni e progetti di ripresa. Le stime più ottimiste prevedono che nel 2014 potranno riaprire gli spazi espositivi e sarà possibile rivedere le scolaresche popolare gli spazi di aggregazione, i gruppi organizzati dialogare con il personale di fronte ai prodotti della ricerca scientifica e ai risultati di vari progetti europei. Se questo percorso sarà caratterizzato da una gestione attenta alle domande del pubblico, alla diffusione nel territorio regionale e alla sostenibilità economica fondata sull’equilibrio tra fondi pubblici e privati, la Città della Scienza avrà ancora una volta vinto la sfida di innovare, rimanendo al passo con le più autorevoli esperienze internazionali.

Foto dell'incendio

Numeri della Città della Scienza

anno di inaugurazione 2001

dipendenti 160

visitatori all’anno 350.000

mq devastati dall’incendio 10.000 ca.

L’esempio di Milano

I musei tecnico-scientifici contemporanei sono strumenti di comunicazione, luoghi della memoria di parti fondamentali delle nostre radici e delle tradizioni scientifiche e tecnologiche: oggi luoghi imprescindibili per comprendere l’innovazione sociale.

Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia ‘Leonardo da Vinci’, il maggio- re museo scientifico italiano, ha una missione condivisa con la comunità internazionale: dare comprensione (la conoscenza afferisce con diverse metodologie a scuola e università) ai cittadini della valenza della scienza e della tecnologia nella nostra vita e della sua evoluzione sostenibile nonché, in parallelo, fornire strumenti di orientamento per le giovani generazioni nella libera scelta del proprio percorso formativo, e un domani professionale, in collaborazione con il mondo adulto. Al MUST questo avviene con un lavoro dinamico e continuo dedicato alle famiglie e alle scuole e con il sostegno di istituzioni e sistema d’impresa: oltre 100 professionisti (60% donne, età media 38 anni, 8 lingue parlate), 90 volontari, in 50.000 mq di superficie, 15.000 beni museali, 14 laboratori (genetica, biotecnologie, alimentazione, robotica, energia e ambiente, materiali, chimica, telecomunicazioni, con oltre 200 percorsi educativi), sezioni sempre più interattive, un Centro di ricerca per l’educazione informale (CREI).

I 400.000 visitatori l’anno – e oltre 1 milione su web e social media – sono i migliori testimoni di questo sforzo, vincente a oggi nonostante l’imbarazzante differenza di finanziamento che ci separa dai colleghi europei.

È quindi una struttura educativa dedicata a condividere un nuovo sense of community per affrontare la rivoluzione dell’Antropocene – il periodo attuale del pianeta in cui il ‘genere umano’ è ora in condizione di mutarne i ritmi naturali – cercando un difficile equilibrio di sostenibilità anche economica e tutela dell’ambiente.

Una sfida culturale, innanzitutto, perché cultura è l’organizzazione che ci diamo per vivere meglio.

di Fiorenzo Galli, direttore del museo

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