Proletariato

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Genericamente, la massa delle classi con redditi bassi o minimi, in contrapposizione alle minoranze detentrici del potere economico.

Il termine ebbe origine in età romana. Esso indicava, nell’ambito della divisione della popolazione di Roma la classe inferiore, che seguiva alle 5 classi di possidenti dell’ordinamento centuriato attribuito dalla tradizione a Servio Tullio (6° sec. a.C.). Proletari erano i cittadini della sesta classe, privi di beni materiali, possessori unicamente di figli (proles), censiti per capo (capite censi) ed esclusi dal servizio militare (sarà Mario nel corso delle guerre civili a dare per primo le armi ai proletari).).

Scomparso in età medievale, il termine ricomparve nel 16° sec. in Inghilterra per designare la quarta e ultima classe, lo strato inferiore della società. Tradotto in volgare, ebbe una certa circolazione nel 18° sec., utilizzato per un verso in riferimento alla storia romana, per l’altro con un’accezione spregiativa, che assimilava i proletari ai plebei, agli emarginati senza arte né parte.

Con la Rivoluzione francese il termine acquisisce un nuovo significato: il proletario è l’appartenente a una classe di lavoratori disperati ma virtuosi, esclusi dai diritti, cui occorre riconoscere e dare uno ‘stato’. Questo significato ‘positivo’ continua però ad affiancarsi a quello ‘negativo’, tanto che nella stessa parola si trova già contenuta in nuce la successiva distinzione tra proletario e sottoproletario (➔ Lumpenproletariat).

La definizione del p. come classe dei lavoratori sfruttati nella società industriale compare nel linguaggio dei socialisti premarxiani nel primo ventennio dell’Ottocento: C.H. Saint-Simon con il termine proletari indica la massa di quanti vivono senza proprietà. Con L.-A. Blanqui proletario appare tanto nel senso generico e tradizionale di povero quanto in quello più specifico di operaio che si contrappone al capitalista. S. de Sismondi distingue il proletario antico, un non lavoratore che vive a spese della società, da quello moderno, un lavoratore sulla cui attività nell’era industriale vive la società. I proletari costituiscono il soggetto centrale di un celebre scritto polemico di F.R. de Lamennais, De l’esclavage moderne (1840). La condizione del p. e l’analisi dei mezzi per cambiarla sono il tema centrale dell’opera, destinata a esercitare grande influenza, di L. Blanc, Organisation du travail (1839).

Nel corso della seconda metà degli anni 1840 il concetto di p. è profondamente rielaborato dai comunisti e in particolare da F. Engels e da K. Marx, come elemento fondamentale della dottrina del socialismo e del comunismo. Il termine designa la classe lavoratrice in quanto composta di operai salariati, che partecipano alla produzione dei beni economici fornendo il lavoro, remunerato dagli imprenditori-capitalisti non per quel che effettivamente concorre alla formazione del valore del prodotto, ma in quanto merce il cui prezzo (salario) è soggetto alle leggi del mercato e dovrebbe progressivamente cadere, data la sovrabbondanza crescente dell’offerta di lavoro. Il p., sempre secondo la dottrina marxista, è elemento caratteristico della società capitalistica moderna: classe povera, sfruttata, privata di ogni dignità, degradata a merce umana, equiparata, nell’industria, alle macchine; al tempo stesso, nel risveglio del p. e nel suo progressivo affermarsi attraverso la lotta di classe (favorito proprio dalla concentrazione industriale che è la causa del suo sfruttamento), è il futuro dell’umanità. Il momento decisivo di questa lotta è la dittatura del p., che si realizzerà quando, assunto il potere politico, il p. procederà alla distruzione della struttura capitalistica della società, preparando l’avvento della società senza classi.

A partire dagli ultimi decenni del Novecento la riduzione progressiva del peso della grande fabbrica nel sistema produttivo, la drastica diminuzione del numero degli operai proprio nei paesi maggiormente sviluppati, la crescita dei servizi e dei processi di automazione nei luoghi di produzione, la riduzione in posizioni di crescente marginalità delle forze politiche che si ispirano al marxismo nei paesi capitalistici, e infine il crollo del sistema comunista nell’Unione Sovietica e nei paesi europei dell’Est hanno provocato prima la crisi e poi la scomparsa del p. come movimento politico e sociale autonomo e rivoluzionario.

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