PITT, William, conte di Chatham

Enciclopedia Italiana (1935)

PITT, William, conte di Chatham

Pietro SILVA

Uomo politico inglese, nato a Westminster il 15 novembre 1708, morto a Hayes (Kent) l'11 maggio 1778. La sua attività politica e la sua ascesa accompagnarono, si può dire, la formazione e il progressivo sviluppo del sistema costituzionale-parlamentare inglese sotto i sovrani della dinastia di Hannover. Il suo periodo più fulgido di statista e di uomo di governo coincise con gli anni decisivi della guerra dei Sette anni, e cioè col momento dello sforzo supremo compiuto dall'Inghilterra per schiantare la potenza navale e coloniale della Francia e consolidare il proprio primato (1757-1761). Singolare nella storia dell'attività politica e parlamentare del vecchio P. è la circostanza che quest'uomo, la cui opera ebbe influenza essenziale nella formazione dell'impero britannico, fu al governo per periodi relativamente brevi, e fu primo ministro soltanto una volta per due anni, dal 1766 al 1768; e come primo ministro non fece prova del tutto buona, sollevando contro di sé un forte movimento di opinione pubblica.

Esordì in modo brillante alla Camera dei comuni nel 1735, a 28 anni, dopo un'accurata preparazione di studî classici e giuridici compiuti a Eton e a Oxford. Era il periodo in cui la Camera dei comuni, e tutta la vita pubblica inglese, era dominata dalla dittatura di R. Walpole, accusato dall'opinione pubblica di sistemi di corruzione, ma padrone della maggioranza in parlamento e sostenuto dal re, che trovava nell'onnipotente ministro una valida difesa contro il pericolo stuardista. Era anche il periodo della cosiddetta politica di raccoglimento nelle riforme interne e di abbandono dei grandi obiettivi di espansione navale e coloniale in contrasto con la Francia e la Spagna, politica che il Walpole aveva portato fino all'intesa cordiale con le due potenze borboniche. Contro tutto ciò si levò il P. fin dal suo primo ingresso in parlamento attaccando in pieno il Walpole, i suoi sistemi, le sue concezioni, e sostenendo la tesi della necessità del risanamento della vita pubblica. Lo fece con un'oratoria veemente, appoggiata da gesti teatrali, maggiormente impressionante dato l'aspetto imponente e l'abbigliamento ricercato dell'oratore, in completo contrasto con le usanze dimesse e la pacata eloquenza dominanti nel parlamento.

La lotta senza quartiere contro il Walpole, accusato di tradire col suo pacifismo a oltranza e con la sua politica del piede di casa i supremi interessi britannici, giunse al risultato voluto nel 1742 dopo lo scoppio della guerra di successione d'Austria, quando il già onnipotente dittatore si trovò abbandonato dalla maggioranza, spaventata per il malcontento dell'opinione pubblica contro i progressi della potenza francese e spagnola (v. inghilterra). Ma il P. non poté avvantaggiarsi di tale successo, al quale pure aveva potentemente contribuito. La sua inclusione nel nuovo ministero venne impedita dal re, che nutriva contro di lui rancore per un suo audace discorso intorno alla questione del matrimonio del principe di Galles. Il veto regio, se sbarrò sul momento al P. l'accesso al governo, giovò alla sua popolarità nell'opinione pubblica, dove già erano molto forti le correnti irritate per gli eccessivi interventi regi nel giuoco e nei contrasti dei partiti e degli uomini politici. La personalità del P. acquistò così maggiore importanza: non passarono quattro anni, e il re dovette piegare al desiderio del primo ministro, duca di Newcastle, di chiamare a un posto di governo il potente e popolare uomo politico.

Da allora il P., ormai quarantenne, s'impose non solo come oratore e parlamentare, ma anche come statista. Con la sua concezione della necessità di una lotta a fondo contro la potenza coloniale e navale delle due monarchie borboniche, interpretò le aspirazioni e le tendenze delle correnti nazionali britanniche, che lo vollero al governo, al posto di maggiore responsabilità e cioè al Ministero della guerra, nel 1757, quando la guerra dei Sette anni, iniziatasi l'anno prima, sembrava volgere a favore della Francia. Infatti, l'alleato continentale dell'Inghilterra, Federico II di Prussia sembrava serrato e quasi soffocato da una formidabile coalizione franco-austro-russa; e i Francesi avevano tolto all'Inghilterra Minorca, e si apprestavano a tentare l'invasione delle Isole Britanniche. L'avvento del P. al potere nell'ora tragica e pericolosa segnò l'inizio del mutamento della situazione. Dalla sua personalità sembrò emanare una suggestione eccitatrice di tutte le energie; dalla sua azione molteplice e instancabile uscirono i provvedimenti che ridiedero all'Inghilterra il sopravvento non solo nelle acque europee, ma in India, dove lord Clive schiantò la potenza francese, e in America, dove le forze britanniche tolsero alla Francia il Canada. Nel 1761 la Francia era soccombente su tutti i campi; il P. prevedeva che Luigi XV avrebbe chiesto e ottenuto l'entrata in lotta della Spagna, e in previsione di ciò voleva eliminare subito il pericolo dell'intervento spagnolo con un'azione preventiva. Combattuto in tale idea dai colleghi del governo, ormai gelosi di lui, e dal nuovo re Giorgio III, dovette lasciare il potere.

Mai caduta di ministro fu seguita da più splendida apoteosi. L'opinione pubblica unanime si volse plaudente a lui, tanto più quando l'intervento della Spagna, da lui preveduto, venne a dare ragione alla sua tesi. I sentimenti dell'opinione pubblica trovarono eloquente espressione in un caloroso indirizzo che la città di Londra rivolse al ministro dimissionario, riconoscendo a lui il merito essenziale del risollevamento in tutti i campi. L'esito trionfale della guerra, conclusasi nel 1763 con le paci di Hubertusburg e di Parigi, fece ancor più emergere la personalità del Pitt, che il re dovette richiamare al potere nel 1766 come primo ministro, dopo averlo elevato alla nobiltà col titolo di conte di Chatham. Ma la prova di P. come primo ministro non fu felice. Gli si fece carico della composizione del ministero, in cui egli chiamò elementi eterogenei, il cui solo vincolo comune era di essere suoi fedeli. Gli si fece carico di lunghi periodi d'inazione e di effettiva assenza da Londra. Rapidamente abbandonato dalla grande ondata di popolarità e di consenso, dovette dimettersi nell'ottobre 1768, e ritirarsi a vita appartata. Tornò a far sentire la sua voce due anni dopo, quando si addensava la bufera tra l'Inghilterra e le sue colonie americane; e la fece sentire per muovere critiche acute e assennate all'opera del governo, ma invano. Anche questa volta la giustezza delle sue tesi fu dimostrata dagli eventi, che, specialmente per colpa del governo e del re, volsero male per l'Inghilterra, dopo la proclamazione dell'indipendenza americana (1778). Colpito da questo gravissimo evento, che sembrava far crollare la sua concezione imperiale britannica, il P., per quanto vecchio e malato, volle tornare all'attività parlamentare; ma mentre pronunciava alla Camera dei lord un grande discorso, in cui rifulgevano tutte le sue famose doti di oratore, si accasciò colpito da un attacco apoplettico. Trasportato nella sua dimora, vi morì qualche giorno dopo.

Bibl.: W. D. Green, W. P., Earl of Chatham, Londra 1901; A. v. Ruville, W. P., Graf von Chatham, voll. 3, Stoccarda 1905; trad. inglese, New York 1907; B. Williams, The life of W. P., Earl of Chatham, voll. 2, Londra 1913.