Metastàsio, Pietro

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Poeta (Roma 1698 - Vienna 1782). Figlio di Felice Trapassi, soldato dell'esercito pontificio e poi salumiere. A 12 anni, nella bottega di un orefice, dove era stato messo per imparare l'arte, fu udito improvvisare da G. V. Gravina, che lo prese in casa sua, lo adottò come figlio, gli grecizzò il nome in Metastasio. Gravina gli fece abbandonare l'abitudine dell'improvvisazione, gli diede una solida istruzione classica e, condottolo in Calabria (a Scalea) dal cugino Gregorio Caloprese, gli fece insegnare la filosofia cartesiana. Tornato a Roma, M. vestì l'abito talare e prese gli ordini minori. Nel 1717 pubblicò le prime Poesie, raccolta che comprende Il Convito degli Dei, idillio epico in ottava rima; Il ratto d'Europa, idillio mitologico in endecasillabi sdruccioli, l'ode Sopra il santissimo Natale, due capitoli sulla Morte di Catone e sull'Origine delle leggi e, più notevole di tutti, la tragedia Giustino, scritta a quattordici anni, in cinque atti, con un coro finale, per molti aspetti già vicina al M. maturo. Morto nel 1718 Gravina (alla cui memoria M. dedicò l'elegia La strada della gloria, letta per l'ammissione in Arcadia) e dissipata presto la cospicua eredità lasciatagli dal protettore, passò a Napoli, sistemandosi nello studio di un avvocato. Qui nel 1721 scrisse, per incarico del viceré di Napoli, gli Orti Esperidi per il natalizio di Elisabetta Cristina, moglie di Carlo VI. Sosteneva, in questo dramma, la parte di Venere una cantante famosa, Marianna Benti Bulgarelli, detta la Romanina, che, innamoratasi del giovane poeta, prese a proteggerlo, lo fece istruire nella musica da N. Porpora e lo indusse a comporre il suo primo vero melodramma, la Didone abbandonata (1723), che, subito rappresentato (1724), ebbe accoglienze trionfali, malgrado la mediocre musica di D. Sarro, e fu poi musicato da circa 40 altri maestri. Per un decennio la Bulgarelli fu l'ispiratrice di M.; dopo l'andata di lui a Vienna ne amministrò la rendita; morendo (1734) lo lasciò erede universale (ma M. rinunciò all'eredità in favore del marito di lei). L'invito a recarsi a Vienna per sostituire Apostolo Zeno nell'ufficio di poeta cesareo gli era stato rivolto per suggerimento dello stesso Zeno e per raccomandazione di Marianna Pignatelli, dama di corte dell'imperatrice, vedova del conte d'Althan, alla quale M. nel 1720 aveva dedicato una serenata, Endimione, e con la quale a Vienna si legò intimamente (si disse, ma non è certo, che la sposasse segretamente). Onorato da Carlo VI e da Maria Teresa, dopo la morte di M. Pignatelli (1755) fu consolato negli ultimi anni dall'affetto di Giuseppe e Marianna Martinez, figli del cerimoniere della nunziatura pontificia, nella casa del quale aveva abitato fin dal primo giorno della sua dimora viennese. Il compianto per la sua morte fu universale, come universale era stata l'ammirazione per il poeta vivente: in suo onore fu coniata una medaglia d'oro con la scritta Sophocli italico. ▭ M. fu un temperamento idillico, scarso di volontà, amante del viver quieto, ordinato, alieno da odio e invidia, equilibrato e sostanzialmente ottimista. Pertanto, il mondo tranquillo e decoroso, idillico e galante dell'Arcadia (in Arcadia era entrato nel 1718 col nome di Artino Corasio) e le facili e superficiali commozioni sentimentali della vita mondana del Settecento trovarono in lui l'espressione più felice e genuina. Fu perciò il poeta più rappresentativo e più fortunato del Settecento italiano. Le sue canzonette A Nice e La partenza sono tra le cose migliori della lirica arcadica. Ma la gloria piuttosto che dalla lirica gli venne dal melodramma, che egli portò a vera opera d'arte, indipendentemente dalla musica; alcuni suoi melodrammi, infatti, furono spesso recitati come tragedie. M. aspirò alla semplicità e alla potenza drammatica della tragedia greca, di cui considerava il melodramma come legittimo erede, ma si accostò di più, per la qualità del suo temperamento, alla tragedia francese, nella fusione dell'eroico col galante e nella grazia e nel decoro del dialogo. E sebbene altamente drammatiche nella sua opera siano le situazioni, congegnate con grande abilità, tuttavia il dramma resta solo nella superficie mobilissima e agitata, non scaturisce dall'anima dei personaggi, nei quali i più gagliardi sentimenti si ammorbidiscono nel patetico, quando non assumono toni oratorî e si risolvono in musica; e l'acme della passione si esala in un'arietta (le famose ariette, vive ancor oggi nel patrimonio culturale del popolo, per la precisione, chiarezza, semplicità con cui esprimono una sentenza o un atteggiamento dell'animo). I suoi melodrammi più famosi, oltre alla Didone, sono il Siroe, il Catone in Utica (a proposito del quale si ricordi, come significativo del gusto del tempo, che la 1ª redazione del dramma, in cui era rappresentato il suicidio del protagonista sulla scena, sollevò tali critiche, che M. riscrisse il 3° atto, facendo narrare da Marzia il suicidio del padre), l'Artaserse, l'Olimpiade, che fu particolarmente cara ai contemporanei e ai posteri e fu musicata da oltre 30 maestri, la Clemenza di Tito, l'Attilio Regolo, che è il più solenne dei suoi melodrammi eroici, sebbene lo stesso protagonista non sfugga al carattere manierato che hanno tutti gli eroi dei drammi metastasiani. Solo negli ultimi anni della sua vita o postumi furono pubblicati i suoi scritti di critica letteraria (versione e commento della Poetica di Orazio; Estratto dell'Arte poetica d'Aristotile e considerazioni su la medesima; Osservazioni sul teatro greco), nei quali tratta con indipendenza di giudizio parecchie questioni che saranno pienamente risolte più tardi, quali la classificazione dei generi letterarî e le cosiddette unità aristoteliche di tempo e di luogo, nella critica delle quali precorse A. Manzoni. Ci restano inoltre più di 2000 lettere, argute e colorite, in una prosa molto nitida.

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