PAULUCCI DI CALBOLI BARONE, Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PAULUCCI DI CALBOLI BARONE, Giacomo

Giovanni Tassani

PAULUCCI DI CALBOLI BARONE, Giacomo. – Nacque a Caltagirone (Catania) il 12 ottobre 1887 da Rosario Barone, piccolo proprietario terriero, e da Anna Maria Russo, il cui cognome egli aggiunse a quello paterno per distinguersi dai molti omonimi.

Figlio unico, rimasto orfano di madre a due anni e di padre a quattro, visse sotto la tutela dei nonni paterni fino alla loro morte, per essere poi allevato e aiutato dai giovani zii. Compiuti gli studi classici, nel 1905 si trasferì a Roma, laureandosi nel 1909 in giurisprudenza a pieni voti con lode. Dopo periodi di perfezionamento trascorsi nella facoltà di filosofia a Berlino e presso l’Università di Oxford fra 1909 e 1910, conseguì, nel luglio 1911, la laurea in scienze sociali all’Ecole libre des sciences politiques di Parigi, che promosse la pubblicazione della sua tesi sugli effetti dell’emigrazione sul Mezzogiorno d’Italia (L’émigration et ses effets dans le Midi de l’Italie, Paris 1912).

Fin da prima della laurea Barone Russo aveva frequentato a Roma il costituzionalista Giorgio Arcoleo, già deputato di Caltagirone, poi senatore, divenendone stretto collaboratore dal 1912.

Diversi anni dopo curò con Antonio Casulli – insieme al quale aveva scritto Il pensiero di Giorgio Arcoleo (Milano 1927) – l’edizione mondadoriana delle Opere di Arcoleo in tre volumi (1929-35): del primo volle come prefatore Giuseppe Antonio Borgese, già inviso ai fascisti milanesi.

Fu anche segretario di Luigi Luzzatti e presidente di un comitato per le onoranze in suo nome, presieduto da Antonio Salandra e Pasquale Villari, che dovette lasciare nel maggio 1915 dopo l’esito positivo del concorso diplomatico svoltosi nel marzo, l’ultimo indetto prima della mobilitazione bellica.

Inviato quale addetto alla legazione di Berna, creò subito un positivo rapporto con il ministro plenipotenziario, il conte Raniero Paulucci di Calboli, collaborando inoltre con l’Agenzia italiana di stampa, cui afferivano tra gli altri Borgese, Gaetano Paternò e Giulio Caprin. Nominato, nel gennaio 1918, segretario di legazione, dal luglio 1919 fu destinato dal ministro degli Affari esteri, Tommaso Tittoni, alla delegazione italiana impegnata alla Conferenza della pace di Parigi. Qui resse per alcuni mesi la segreteria della delegazione italiana e di Tittoni, poi quella del nuovo ministro Vittorio Scialoja al Consiglio supremo dei cinque.

Nel gennaio 1920 sposò Camilla, figlia di Raniero Paulucci di Calboli, infermiera volontaria della Croce rossa italiana, pluridecorata durante la Grande Guerra. Nominato il suocero ambasciatore in Giappone, Barone Russo lo seguì come consigliere d’ambasciata. A Tokyo nacque la primogenita, Virginia. Richiamato al ministero il 2 novembre 1920 dal ministro degli Affari esteri Carlo Sforza, divenne segretario particolare dei suoi due successori, Pietro Tomasi della Torretta, nel luglio 1921, e Carlo Schanzer, nel marzo 1922.

Fu confermato anche da Benito Mussolini che lo nominò suo capo di gabinetto per gli Affari esteri nello stesso mese di novembre 1922 in cui volle inviare Raniero ambasciatore in Spagna. In accordo con il segretario generale del ministero, Salvatore Contarini, Barone Russo si sforzò, in contrasto con le tendenze prevalenti nel Partito nazionale fascista, di mantenere la politica estera italiana in raccordo con le potenze alleate, su una linea che culminò negli accordi di Locarno (1925).

Nel dicembre 1922 era divenuto padre di un figlio al quale volle dare il nome di Fulcieri, fratello della moglie, medaglia d’oro, poi consumatosi nella propaganda per il fronte interno e morto nel febbraio 1919. Nel gennaio 1924, assunse il cognome Paulucci di Calboli e il titolo di marchese su desiderio di Raniero, che intese così far proseguire il casato altrimenti destinato a estinguersi. Il cognome Barone fu posposto per non ingenerare equivoci sul titolo nobiliare. Il 27 febbraio 1925 nacque il terzogenito Rinieri.

Diversi gli incarichi assunti da Paulucci fra 1924 e 1926. Fu dall’inizio vicepresidente dell’organo denominato L’unione cinematografica educativa (l’Istituto Luce), ideato con Luciano De Feo, a suo tempo conosciuto nella segreteria di Luzzatti; attivo presidente della Corporazione forestale italiana nonché della Fondazione sir Walter Becker per la silvicoltura. Fu anche vicepresidente dell’Istituto Cristoforo Colombo, per i rapporti con il mondo iberico e latino-americano, e membro sia dell’Istituto per l’Europa orientale, sia del Consiglio superiore dell’economia nazionale.

Uomo della ‘carriera’, ossia di formazione diplomatica classica e tecnica, non ideologica, Paulucci dovette lasciare spazio a uomini emergenti più interni al fascismo. Il 28 marzo 1927, pochi mesi dopo le dimissioni di Contarini, fu collocato fuori ruolo e destinato alla Società delle Nazioni a Ginevra, succedendo a Bernardo Attolico quale sottosegretario generale per l’Italia. Fu nominato dal consiglio della Società responsabile per l’amministrazione interna. Convinto ‘societario’ in partenza, a Ginevra sperimentò la difficoltà di condizionare l’egemonia di francesi e inglesi; inutilmente si espose per la riforma del segretariato ginevrino, obiettivo irraggiungibile dati i consolidati rapporti di forza. Contribuì invece ad accreditare a Roma l’Istituto internazionale di cinematografia educativa in un momento in cui il cinema assumeva crescente importanza. Nel 1932, nell’ambito della Conferenza per il disarmo, Paulucci entrò in dissenso con la posizione – disarmista e machiavellica al contempo – del ministro Dino Grandi, poi sconfessato da Mussolini, che riassunse gli Affari esteri. Grandi fu inviato come ambasciatore a Londra, ma volle che Paulucci fosse richiamato a Roma.

A disposizione del ministero, la sua situazione si sbloccò dopo quasi un anno d’attesa con la scelta di Mussolini di nominarlo presidente e direttore generale dell’Istituto Luce, stanti le sue capacità manageriali e la conoscenza dell’ente, che viveva un periodo di dissesto. Quasi contemporaneamente, per rimarcare la sua appartenenza agli Esteri, fu nominato inviato straordinario e ministro di prima classe, nonché consigliere dell’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO).

Paulucci, che sapeva di godere della stima del re, oltre che di Mussolini, non volle stipendi e gratifiche, impegnandosi a fondo non solo nel risanamento del Luce, ma, più in generale, dell’industria cinematografica italiana, attraverso l’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), con l’Ente nazionale industrie cinematografiche (ENIC). Il doppio successo ottenuto avrebbe dovuto preludere al suo pieno rientro diplomatico, e invece lo fissò a quel ruolo, cui fu anzi aggiunto, nel 1938, il compito di presiedere il comitato per lo scambio cinematografico con l’estero in condizione di monopolio, misura adottata con successo per non indebitare l’erario con eccessiva importazione di film.

Nel 1938 Paulucci fu nominato ambasciatore straordinario presso il mikado, in ragione della sua conoscenza del Giappone, con il compito di guidare una delegazione d’amicizia che si recò anche in Manciukuò, nuovo Stato filonipponico costituito fra Manciuria e Mongolia e riconosciuto per primo dall’Italia, in Corea e nella Cina occupata.

Anche negli anni in cui fu presidente del Luce, non abbandonò l’attenzione per i fatti politici internazionali, scrivendo per varie riviste e soprattutto su quella che codiresse con Alberto De Marinis e Pietro De Francisci: Echi e commenti, ereditata dal suocero Raniero che l’aveva diretta fino alla morte nel 1931. Su invito di Giovanni Gentile scrisse poi la voce dedicata alla Società delle Nazioni nel XXIV volume della Enciclopedia Italiana.

Come presidente di Luce ed ENIC, Paulucci svolse un ruolo di promozione di nuove energie in campo registico, documentaristico e tecnico, che si rivelarono alle mostre del cinema di Venezia e con la produzione, tramite consorzi, di pellicole storiche di successo come Scipione l’africano di Carmine Gallone (1937), e Condottieri di Luigi Trenker (1937). Nel 1935 fu inviato in Africa orientale a presiedere i servizi fotocinematografici sulla conquista dell’Etiopia. Sulla politica cinematografica si scontrò frequentemente con Luigi Freddi, uomo di Galeazzo Ciano e direttore generale per la cinematografia, che mirava a togliere autonomia al Luce, assorbendolo nell’ambito del ministero della Cultura popolare.

Nel gennaio 1940 Paulucci fu inviato come ambasciatore a Bruxelles, dove regnava Leopoldo III, fratello di Maria José di Savoia: ebbe, fra l’altro, l’incarico di rassicurare, a nome di Mussolini, il sovrano sulla non invasione tedesca, che invece avvenne due mesi dopo. Con l’entrata in guerra dell’Italia, fu infine richiamato in patria da Ciano, ma nei mesi precedenti la sua partenza, d’accordo con Leopoldo III, il cardinale primate e il borgomastro di Bruxelles, riuscì – senza istruzioni da Roma – a svolgere un ruolo attivo di protezione della popolazione e dei connazionali, insieme con i diplomatici neutrali che non vollero lasciare Bruxelles occupata: il nunzio apostolico, l’ambasciatore degli Stati Uniti e i ministri plenipotenziari di Unione Sovietica, Ungheria e Svezia.

Tale azione, vista come antitedesca, fruttò a Paulucci una quarantena diplomatica lunga tre anni, fino a quando, nella primavera 1943, Mussolini riassunse gli Affari esteri, con Giuseppe Bastianini sottosegretario. Paulucci fu allora inviato ambasciatore a Madrid, Raffaele Guariglia ambasciatore ad Ankara, Renato Prunas ministro a Lisbona: tre uomini della ‘carriera’ in capitali neutrali e sensibili, dove provare a stabilire contatti anche con gli alleati. Ma, ormai vigente la tesi alleata della «resa incondizionata», ogni tentativo fu inutile.

Dopo il 25 luglio, e poi con l’armistizio dell’8 settembre 1943, la missione di Paulucci presso Francisco Franco mutò di segno e aumentò d’importanza. Occorreva salvaguardare gli interessi e i crediti italiani in sospeso, tutelare navi ed equipaggi italiani rifugiatisi in Spagna, assistere i rifugiati italiani che attraversavano i Pirenei, mantenere la tutela spagnola sugli interessi italiani in quindici Stati che avevano rotto le relazioni con l’Italia, e infine neutralizzare l’influsso tedesco e quello della Falange dissuadendo i connazionali dall’aderire a iniziative della neocostituita Repubblica sociale italiana (RSI).

Fin dai primi giorni successivi all’Armistizio, Paulucci iniziò colloqui con gli alleati, per poi collegarsi con il re e il presidente del Consiglio Pietro Badoglio, facendo dell’ambasciata a Madrid un organo di raccordo con le sedi diplomatiche italiane nei paesi neutrali. Il 18 settembre Mussolini da Berlino chiamò Paulucci offrendogli il ministero degli Affari esteri della RSI, ricevendone un rifiuto, deciso anche se umanamente sofferto, e motivato in ragione del suo giuramento di fedeltà al re, sovrano legittimo, il quale tramite Badoglio incaricò lo stesso Paulucci di recapitare all’ambasciatore tedesco a Madrid la dichiarazione di guerra del Regno d’Italia alla Germania nazista. La consegna, affidata al consigliere Pierluigi La Terza, avvenne alle ore 13.45 del 13 ottobre 1943.

Nonostante il ruolo strategicamente importante svolto in quella fase a Madrid, dopo l’Armistizio Paulucci fu incriminato dall’Alto commissariato per l’epurazione, costituitosi nell’ambito del secondo governo presieduto da Ivanoe Bonomi e composto dai partiti antifascisti del Comitato di liberazione nazionale (CLN). Considerato un gerarca fascista, Paulucci venne dimesso e sostituito, nel settembre 1944, da un incaricato d’affari.

Tale decisione, considerata ingiusta da Paulucci, lo abbatté moralmente e aggravò il suo stato di salute già minato dal superlavoro, ritardando il suo ritorno in Italia e impedendogli così il rientro in carriera. Nel gennaio 1950 fu riabilitato, ma non volle a quel punto tornare nei ranghi, sia perché ormai sessantenne sia per devozione monarchica e vicinanza all’ex re in esilio Umberto II.

Fu tra i fondatori, insieme al collega Pompeo Aloisi, del Centro italiano di studi per la riconciliazione internazionale, di segno filoatlantico. In buoni rapporti con don Luigi Sturzo, vicino a politici come Mario Scelba, Giuseppe Pella e Gaetano Martino, svolse compiti di rappresentanza in simposi e convegni euroatlantici.

Giacomo Paulucci di Calboli Barone morì improvvisamente nella sua casa di Roma il 22 febbraio 1961.

Opere. Oltre ai testi citati si segnalano: Per le foreste d’Italia. Scritti e discorsi, Roma 1927; Cristoforo Colombo. Discorso tenuto a Savona il 12 ottobre 1938, Urbino 1938; Giorgio Arcoleo. Commemorazione tenuta al Politeama Ingrassia di Caltagirone il 16 gennaio 1939, Caltagirone 1939; Estremo Oriente, Roma 1939; Il marchese di San Giuliano, Roma 1940; Il patto tripartito e il nuovo ordine mondiale nel pensiero e nell’azione di Mussolini, Roma 1940; Rapporti fra Italia e Giappone, Milano 1942; Primi segni del nuovo ordine nell’Asia orientale: il Manciucuò, Roma 1942; Amicizia italo-nipponica. Conferenza pronunciata domenica 22 febbraio 1942 nel Teatro comunale di Forlì, Forlì 1942.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Forlì, Archivio Paulucci di Calboli, Giacomo Paulucci di Calboli Barone. Inoltre: In occasione delle faustissime nozze di donna Camilla dei marchesi Paulucci de’ Calboli col cav. Giacomo Barone Russo celebrate nella chiesa della SS. Trinità di Forlì, discorso pronunciato dal sac. prof. Angiolo Gambaro, Forlì 1920; I documenti diplomatici italiani, s. 7, 1922-1935, I-XII; s. 9, 1939-1943, III-V, X; s. 10, 1943-1948, I; R. Guariglia, Ricordi 1922-1946, Napoli 1949, ad indicem.

V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, p. 121; A. Berio, Dalle Ande all’Himalaya. Ricordi di un diplomatico, Napoli 1961, ad ind.; P. La Terza, 13 ottobre 1943, Milano 1963; R. De Felice, Mussolini l’alleato, I, L’Italia in guerra 1940-1943, Torino 1990, ad ind.; B. Di Porto, Politica, economia e cultura in una rivista tra le due guerre. “Echi e Commenti” 1920-1943, 1995, pp. 123 s., 148, 152; E.G. Laura, Le stagioni dell’aquila. Storia dell’Istituto Luce, Roma 2000, ad ind.; G. Tassani, Madrid 1943: tre colloqui col Caudillo, in Nuova storia contemporanea, VI (2002), 1, pp. 93-130; Id., Dopo l’8 settembre, L’Italia continua a Madrid, ibid., VII (2003), 5, pp. 97-132; M. Luciolli, Mussolini e l’Europa. La politica estera fascista, Firenze 2009 (I ed. Roma 1945), pp. 6, 29 s.; G. Tassani, Diplomatico tra due guerre. Vita di G. P. d. C. B., Firenze 2012.

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