PARTICELLE ELEMENTARI E ANTIPARTICELLE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

PARTICELLE ELEMENTARI E ANTIPARTICELLE (App. III, 11, p. 369)

Edoardo Amaldi

ANTIPARTICELLE Riprendendo brevemente quanto detto nell'articolo della precedente App., cominciamo col ricordare che con l'espressione "particelle elementari" s'indica una serie di oltre un centinaio di particelle di dimensioni subnucleari i cui esempi noti da più lunga data sono l'elettrone (e), il fotone (γ), il protone (p), i neutrini (νe, νμ), e il neutrone (n). Le prime cinque sono le sole p. e. stabili; il neutrone, preso isolatamente, è instabile come del resto sono instabili tutte le altre p. e. oggi note. Esse si disintegrano spontaneamente e attraverso uno o più processi di decadimento successivi si trasformano nelle p. e. stabili sopra elencate. L'instabilità del neutrone viene però inibita quando esso fa parte di certi aggregati di N neutroni e Z protoni che costituiscono i nuclei degli atomi stabili degli elementi chimici. E poiché la materia presente nell'Universo è per la quasi totalità costituita da atomi (eventualmente ionizzati) e poiché l'atomo è costituito da un nucleo di carica +Ze(+e = carica elettrica del protone) attorno a cui si muovono Z elettroni (ciascuno di carica − e), si può dire che quasi tutta la materia presente nell'Universo è costituita da elettroni, protoni e neutroni. Fanno eccezione le parti più interne di certe stelle (per es. stelle di neutroni) ove si ritiene che esistano in percentuale non trascurabile anche altre p. elementari. I fotoni e i neutrini, poi, pervadono l'Universo: la luce, i raggi X, e i raggi γ sono costituiti da fotoni irraggiati da tutti i corpi celesti caldi o da qualsiasi particella carica a cui venga impressa un'accelerazione. I neutrini vengono emessi in certi processi che hanno luogo nella parte centrale delle stelle come anche nel decadimento di varie p. elementari. Queste vengono prodotte nell'urto contro un nucleo (o altra p. e. stabile) di una p. e. stabile dotata di elevata energia quali si trovano in natura nella radiazione cosmica, o meglio, quali vengono prodotte dall'uomo a mezzo di macchine acceleratrici costruite proprio per studiare questi fenomeni (fisica delle alte energie).

Com'è noto, e come è stato chiarito nell'App. III, loc. cit., le p. e. non sono affatto oggetti semplici come potrebbe far ritenere il nome: molto meglio sarebbe chiamarle "particelle subnucleari". Esse sono oggetti assai complessi ciascuno dei quali è individuato dai valori numerici di almeno sei parametri (massa, carica, spin, numero barionico, numero leptonico, ecc.). La maggior parte di esse, secondo le vedute attuali, sono aggregati talvolta di due, talaltra di tre, oggetti più semplici detti quark, che si trovano in stati quantici più o meno eccitati. Negli ultimi anni il problema capitale è diventato quello di determinare le proprietà e il numero dei quark, tutti i possibili aggregati di due o tre quark e i numeri quantici che caratterizzano i singoli stati di questi aggregati. Il cammino seguito in tale studio è però quello inverso: si cerca cioè d'individuare quali siano i valori dei numeri quantici che caratterizzano le singole p. e. e da questi si cerca di risalire alle proprietà dei quark e al minimo numero di quark indispensabile per descrivere tutti i fenomeni osservati.

Richiamo delle principali proprietà delle particelle elementari. - Sono riassunte nella tab.1, ove è indicata anche l'unità di misura usata più correntemente. Le seguenti osservazioni, o complemento di altre già fatte, sono di particolare interesse.

Come si sa, la vita media τ di un corpuscolo è definita come nel caso dei nuclei radioattivi: essa è l'intervallo di tempo (misurato nel sistema di riferimento in cui il corpuscolo è in quiete) trascorso il quale la probabilità di sopravvivenza è ridotta a exp (−1) ≈ 0,37. In accordo con il principio d'indeterminazione, essa è legata all'indeterminazione Γ con cui si può misurare la energia di quiete W del corpuscolo, dalla relazione

dove h è la costante di Planck, τ è espresso in sec e Γ in MeV. Il valore di Mc2 che viene dato per un corpuscolo instabile è il valore più probabile di W. Ma se si fa una serie di misurazioni di questa importante grandezza con un dispositivo ad altissimo potere risolutivo, si trova che i singoli valori W sono distribuiti attorno al valore Mc2 secondo la formula

che è massima per W = Mc2 e si riduce alla metà per W = Mc2 Γ/2 (fig. 1). L'energia di quiete è dunque rigorosamente determinata solo nel caso di corpuscoli stabili (τ = ∞ e quindi, per la [1], Γ = 0).

a) Tipi d'interazione. - Una caratteristica fondamentale di ogni p. e. è costituita dalla natura delle forze con cui essa interagisce con le altre particelle. Uno studio sistematico di questo problema ha portato a riconoscere che le interazioni che si esercitano fra di esse sono riconducibili ai quattro tipi fondamentali, già descritti, elencati nella tab. 2, ove sono indicati anche i valori delle corrispondenti costanti di accoppiamento poste in forma adimensionale. Cogliamo l'occasione per ricordare che le interazioni di gran lunga più note sono le interazioni elettromagnetiche (IE), che si esercitano fra tutti i corpi (macroscopici, microscopici, submicroscopici) dotati di carica elettrica; che l'esempio più noto di interazioni forti (IF) è costituito dalle forze nucleari che, esercitandosi fra i protoni e i neutroni, determinano l'esistenza dei nuclei atomici (ma tali interazioni si esercitano anche fra altre coppie di particelle, come un Λ o un Σ e un neutrone o un protone, oppure fra due Λ oppure fra un mesone e un protone); che le interazioni deboli (ID) sono quelle che determinano i processi di disintegrazione dei nuclei radioattivi beta, in particolare il decadimento del neutrone, ma anche il decadimento del muone e del mesone π±, ecc., e che esse, in particolare, sono le sole forze che agiscono sui neutrini; infine, che le interazioni gravitazionali non dànno luogo ad alcun fenomeno osservabile alla scala delle p. subnucleari.

b) Classificazione delle particelle elementari. - Una volta individuata l'esistenza di solo 4 (in pratica solo 3) tipi d'interazione fra le p. e., queste possono essere divise in tre grandi famiglie (tab. 3) a seconda delle interazioni che esse esercitano su altre p. (e che subiscono da parte di queste). La prima famiglia è costituita dal solo fotone: questo è un bosone che pur essendo neutro possiede solo la IE. La seconda famiglia è quella dei leptoni, costituita da quattro fermioni: l'elettrone e il neutrino νe che viene emesso (o assorbito) in associazione con l'elettrone, il muone (μ) e il neutrino νμ che viene emesso (o assorbito) in associazione con il muone. Oltre alle ID i leptoni, se sono carichi (come l'elettrone e il muone) posseggono anche le IE. Allo stato attuale delle nostre conoscenze essi sono particelle puntiformi, ossia prive di una struttura interna. Infine, con recente denominazione, vi è la grande famiglia degli adroni, cioè di tutte le p. e. che posseggono le IF (oltre alle ID e, se carichi, alle IE). Questa famiglia è divisa in due sottofamiglie: i mesoni, che ubbidiscono alla statistica di Bose-Einstein, come i barioni alla statistica di Fermi-Dirac.

I bosoni (ossia il fotone e i mesoni) hanno un ruolo completamente diverso dai fermioni (leptoni e barioni). I bosoni sono i portatori delle interazioni e più precisamente i fotoni sono i portatori delle IE, i mesoni π, K, ... i portatori delle IF; finora non è mai stato osservato un bosone portatore delle ID. Si ritiene tuttavia che un simile portatore debba esistere e che non sia stato ancora osservato solo perché dotato di energia di quiete troppo elevata (oltre i 30 GeV). Esso viene chiamato bosone vettoriale intermedio ed è indicato con la lettera W quando è carico (± 1), con la lettera Z quando è neutro.

L'idea che ogni tipo d'interazione sia mediata da uno (o più portatori) è una generalizzazione di un risultato dell'elettrodinamica quantistica, secondo la quale il campo elettromagnetico è costituito da quanti di luce o fotoni, cioè corpuscoli di spin J =1, e massa rigorosamente nulla e che quindi si muovono sempre, in tutti i sistemi di riferimento, con velocità c. La IE fra due corpuscoli carichi in moto l'uno rispetto all'altro è il risultato del susseguirsi di processi di emissione di fotoni da parte dell'uno che vengono immediatamente assorbiti dall'altro.

Quanto alle IF, come fu suggerito da H. Yukawa nel 1936, quelle che si esercitano fra barioni sono dovute al fatto che ciascuna di queste p. genera nello spazio circostante un campo di forze (campo mesonico), il quale viene quantizzato in modo analogo a quanto si fa per il caso del campo elettromagnetico (i quanti del campo mesonico debbono però essere di massa non nulla se si vuole che le forze nucleari abbiano un breve raggio di azione, com'è mostrato dall'esperienza). Un'analoga interpretazione viene oggi adottata per le ID.

Si noti che i portatori di una qualsiasi interazione debbono necessariamente essere bosoni altrimenti lo spin della p. e. che li emette (o assorbe) cambierebbe da un valore intero a uno semintero, o viceversa, e di conseguenza cambierebbe di natura, trasformandosi da fermione in bosone, o viceversa. Simili trasformazioni non sono mai state osservate, cosicché si è giunti a enunciare, come una legge di validità generale, la legge della conservazione della statistica.

c) Leggi di conservazione generali. - A proposito delle "leggi di conservazione" relative alle p. e., converrà ricordare che lo studio sistematico dei processi aventi luogo fra p. e. ha permesso di riconoscere come essi si svolgano rispettando certe leggi di conservazione, alcune delle quali sono di validità generale, mentre altre sono rispettate nei processi in cui intervengono certi tipi d'interazione, ma non in altri.

Nella prima categoria figurano le stesse leggi che valgono anche per i sistemi macroscopici isolati (tab. 4); accanto a queste ve ne sono altre specifiche delle p. elementari. Va inoltre ricordato che ogni legge di conservazione è connessa a una corrispondente proprietà di simmetria, ossia al fatto che un sistema rimane eguale a sé stesso (cioè è invariante), quando a esso viene applicata quella operazione di simmetria.

Le prime tre leggi di conservazione che figurano nella tab. 4 vanno naturalmente intese in senso relativistico, cosicché l'energia comprende sempre anche l'energia di quiete dei corpuscoli. Questa è nulla solo nel caso del fotone e dei neutrini, i quali, di conseguenza, oltre a muoversi sempre con velocità c in qualsiasi sistema di riferimento, hanno due soli orientamenti possibili dello spin: parallelo o antiparallelo alla quantità di moto del corpuscolo.

La legge di conservazione del momento della quantità di moto, applicata a una singola particella (il cui baricentro viene scelto come centro di riduzione) dà luogo alla conservazione dello spin J, il quale, espresso in unità h/2π, (tab. 1) è uno dei numeri quantici caratteristici di ogni p. elementare.

Grandezze soggette a leggi di conservazione sono poi 3 numeri quantici caratteristici delle p. e.: il numero barionico B, il numero leptonico L e la stranezza S, che è stato necessario introdurre per poter spiegare, in termini di altrettante leggi di conservazione, perché certi processi hanno effettivamente luogo ma non altri (tab. 5; v. anche App. III, 11, p. 373). La prima di queste leggi viene così formulata: in qualunque processo fra p. e., la somma (algebrica) dei numeri barionici delle particelle presenti nello stato iniziale è eguale alla somma (algebrica) dei numeri barionici delle particelle presenti allo stato finale. Le altre due leggi di conservazione si ottengono da questa sostituendo alle parole "numeri barionici" le parole "numeri leptonici" oppure la parola "stranezza". Si noti infine l'analogia fra queste tre leggi e la legge di conservazione della carica elettrica: la somma (algebrica) delle cariche elettriche di un sistema isolato è invariante rispetto a qualunque processo subìto dal sistema.

d) Leggi di conservazione spazio-temporali e loro violazione da parte di alcune interazi0ni. - Accanto alle leggi di conservazione di validità generale del paragrafo precedente ve ne sono altre, non meno importanti, che sono rispettate da alcuni tipi d'interazione, ma violate da altri. Questo fatto si esprime spesso anche dicendo che le corrispondenti proprietà di simmetria sono "rotte" da questa o quella interazione. Appartengono a questa categoria:1) l'invarianza rispetto alla "operazione parità" P (che cambia le coordinate di un punto (x, y, z) in (−x, −y, −z)); 2) l'invarianza rispetto alla "inversione del tempo" T (che cambia t in −t); 3) l'invarianza rispetto alla "coniugazione di carica" C (che cambia ogni particella nella corrispondente antiparticella).

Il modo di operare di P, T, C è chiarito nella tab. 6, ove è indicato come cambiano varie grandezze quando si applicano queste tre operazioni o alcune loro combinazioni.

Osserviamo che per quanto riguarda il caso particolarmente importante dell'operazione di parità, che trasforma una terna di riferimento destra in una sinistra (o viceversa), sarebbe naturale attendersi che tutte le leggi che regolano i fenomeni fra p. e. debbano essere invarianti rispetto a questa operazione.

In realtà si è visto (T. D. Lee e C. N. Yang, 1957) che la legge d'invarianza rispetto a P è valida per i processi in cui intervengono solo IF e IE ma non per quelli in cui intervengono ID.

D'altra parte vale invece, sotto ipotesi molto generali, il cosiddetto "teorema CPT", secondo cui qualsiasi processo fra p. e. è invariante rispetto alla applicazione contemporanea delle tre operazioni C, P e T in qualunque ordine.

Alcune esperienze opportunamente predisposte sembrano confermare questa previsione con buona approssimazione, mentre altre hanno mostrato che il decadimento del K0 vìola (debolmente: dell'ordine di 0,1%) anche l'operatore CP, e quindi, per il teorema CPT, anche l'invarianza rispetto a T.

È da osservare infine che anche la legge di conservazione dello spin isotopico è rispettata dalle IF ma non delle IE e ID. Alcune considerazioni su questa legge ci consentiranno di avviare il discorso delle recenti acquisizioni sulle p. elementari.

Spin isotopico; multipletti di massa; multipletti di spin. - L'idea di spin isotopico è nata dall'osservazione che le energie di quiete degli adroni si raggruppano in "multipletti di massa", le cui p. componenti hanno sempre gli stessi valori di B, J, P, S, all'incirca la stessa massa, ma differiscono per il valore della carica elettrica.

Per es., il protone e il neutrone costituiscono un "doppietto di massa": hanno entrambe B = 1, J = =⃓, P = + 1, S = 0, energia di quiete Mc2 che differisce di 0,1% ma cariche elettriche eguali a + 1 e 0. Analogamente le tre particelle π+, π0, π-, costituiscono un "tripletto": esse hanno tutte B = 0, J = 0, P = − 1, S = 0, le loro energie di quiete differiscono di molto poco, mentre le loro cariche elettriche valgono + 1, 0, − 1.

Questi risultati sperimentali vengono inquadrati in modo completo se s'interpretano le p. appartenenti allo stesso multipletto come diversi stati in cui può trovarsi uno stesso unico oggetto: il "nucleone" che può stare solo negli stati p ed n, il "pione" che può stare solo negli stati π+, π0, π-, e così via. Questo punto di vista, chiaramente ispirato al caso dei livelli energetici dell'atomo, è stato precisato formalmente associando a ciascuno di questi oggetti un operatore vettoriale I detto "spin isotopico" (o isospin) che gode, in uno spazio astratto (detto isospazio o spazio dello spin isotopico) delle stesse proprietà di cui gode nello spazio fisico l'operatore vettoriale J che rappresenta lo spin di un corpuscolo. In particolare come il vettore J può assumere solo 2 J + 1 orientamenti tali che la sua terza componente Jz prenda i valori Jz = J, J − 1, J − 2, ..., − J, così la terza componente I3 di I può assumere solo i (2I + 1) valori I3 = I, I − 1, I − 2, ..., − I, ciascuno dei quali individua un diverso membro del multipletto la cui carica elettrica è data dalla relazione q/e = I + Y, dove Y = B + S è un nuovo numero quantico detto ipercarica.

Nella tab. 7 sono riportati, a titolo di esempio, i valori dei numeri quantici che caratterizzano due multipletti di massa, a cui ci riferiremo nuovamente quando parleremo di multipletti del gruppo SU(2).

Disponendo dei più semplici elementi della teoria dei gruppi di S. Lie, sembrerebbe naturale enunciare la legge d'invarianza delle IF rispetto alle rotazioni nell'isospazio come invarianza rispetto alle trasformazioni del gruppo delle rotazioni nello spazio tridimensionale euclideo, noto come gruppo di Lie O3. Questa formulazione, tuttavia, andrebbe bene se esistessero solo valori interi dell'isospin. L'esistenza di isospin seminteri impone l'uso di un altro gruppo di Lie, il gruppo SU(2) strettamente legato a O3.

Il gruppo SU(2), entrato nella fisica alla fine degli anni Venti, in connessione con lo studio dei multipletti spettroscopici, è il gruppo (speciale unitario) delle trasformazioni unitarie unimodulari nello spazio a due dimensioni a componenti complesse. Esso è basato sulla dicotomia di due stati fondamentali quali sono i due stati di una p. di spin J = =⃓ con Jz = + =⃓ e Jz = − =⃓ (per es., i doppietti dei termini con l ≠ 0 dell'atomo di idrogeno o degli atomi alcalini) oppure gli stati di isospin I = =⃓ con I3 = + =⃓ e I3 = − =⃓ (per es., il doppietto del nucleone).

Come due elettroni accoppiandosi dànno luogo a stati con spin J = 1 (stati di tripletto: spin paralleli) e con spin J = 0 (stati di singoletto: spin antiparalleli), così un sistema di due nucleoni dà luogo a stati di tripletti (I = 1) e singoletti (I = 0) di spin isotopico e un nucleone e un pione a stati di spin isotopico I = 3/2, 1 e 1/2, e così via.

Come nel caso di qualsiasi altro gruppo, dalle proprietà del gruppo SU(2), inteso in senso astratto, seguono le proprietà delle sue rappresentazioni le cui dimensioni d sono legate al valore di I dalla relazione d = 2I + 1. Queste rappresentazioni forniscono una descrizione completa di tutti i possibili multipletti di spin o di spin isotopico.

Per chiarire questa affermazione si consideri un sistema dotato solo di IF, e si fissi l'attenzione su un suo stato individuato da certi valori di I e I3 e che pertanto verrà indicato con il simbolo ∣ I, I3 >.

La fig. 2 mostra schematicamente alcune delle rappresentazioni di SU(2) di dimensionalità più bassa. Ogni retta corrisponde a un diverso valore di I il quale è necessariamente un numero intero o semintero a seconda che d è dispari o pari. I punti su ciascuna retta corrispondono ai diversi possibili valori di I3, cosicché ciascuno di essi rappresenta un diverso stato ∣ I, I3 >. Dei tre operatori generatori infinitesimi del gruppo SU(2), uno solo (I3) può essere diagonalizzato contemporaneamente a I2 = I²1 + I²2 + I²3, e i suoi autovalori, insieme con quelli di I2 [eguali a I (I +1)], fissano i singoli stati. Nella cosiddetta base canonica (I+, I-, I3) gli altri due operatori generatori sono rappresentati da due frecce parallele all'asse I3 e di lunghezza ∣ Δ I3 ∣ = 1. Applicati allo stato ∣ I, I3 >, questi operatori lo trasformano nei due stati contigui ∣ I, I3 + 1 > e ∣ I, I3 − 1 >. Pertanto un multipletto di prefissato I è invariante rispetto alle trasformazioni del gruppo SU(2) in quanto I3 lascerà gli stati invariati (in quanto suoi autostati) mentre sia I+ che I- trasformano uno stato qualsiasi di un multipletto in un altro stato del multipletto stesso.

I supermultipletti di SU(3). - L'individuazione dei multipletti di massa, l'introduzione del concetto di spin isotopico e la scoperta della corrispondente legge di conservazione fecero sorgere spontanea la domanda se non esistano altre leggi di simmetria di portata più ampia di SU(2), capaci d'inquadrare in modo semplice un maggior numero di adroni osservati sperimentalmente. Ciò è quello che è stato fatto a partire dal 1962 indipendentemente da M. Gell-Mann e Y. Ne'eman, i quali hanno scoperto l'esistenza di supermultipletti di SU(3), un gruppo di Lie basato sulla tricotomia di 3 stati: il doppietto che sta alla base di SU(2) (con S = 0) e una terza entità con spin isotopico zero e stranezza S = − 1. Se in una certa approssimazione si trascurano le differenze fra le energie di quiete di tutti gli adroni dotati degli stessi valori di B e JP (e stranezza S qualsiasi) si ottengono dei gruppi di livelli degeneri composti, a seconda dei casi, di 8, 10 o 27 membri le cui proprietà sono descritte in modo completo dalle rappresentazioni (di dimensioni d = 8, 10, 27) del gruppo di Lie SU(3).

Questo gruppo è il gruppo (speciale unitario) delle trasformazioni unitarie, unimodulari che operano nello spazio vettoriale tridimensionale a componenti complesse. Esso possiede 8 operatori generatori infinitesimi dei quali due soli possono essere resi contemporaneamente diagonali e possono essere scelti in modo che il primo coincida con I3 (terzo generatore infinitesimo di SU(2)) e l'altro in modo tale che i suoi autovalori coincidano con i valori dell'ipercarica Y. Nella cosiddetta base canonica gli altri 6 operatori generatori possono essere rappresentati nel piano degli autovalori (I3, Y) come coppie di frecce di verso opposto in tre direzioni ruotate di 120° l'una rispetto all'altra (fig. 3). Due di questi operatori s'identificano con gli operatorì I+ e I- di SU(2), e quindi fanno passare da uno stato ∣ I, I3, Y > agli stati con I3 ± 1 e gli stessi valori di I e Y, mentre gli altri quattro provocano variazioni contemporanee sia di I3 sia di Y. L'applicazione suc3 cessiva di questi operatori permette di costruire le rappresentazioni di diversa dimensionalità, di questo gruppo. Nella fig. 4 sono mostrate graficamente le rappresentazioni di dimensionalità più bassa, le quali (salvo la prima) coincidono con le strutture che si ottengono se si traccia nel piano avente I3 in ascissa e Y in ordinata, un punto per ciascuna delle p. e. dotate degli stessi valori di B e JP (ma Y qualsiasi) e energie di quiete molto vicine (fig. 5).

Questo schema ha ottenuto molti importanti successi, fra i quali la predizione dell'esistenza dell'Ω- fatta da Gell-Mann per completare il decupletto B = 3, JP - 3/2, p. questa che è stata effettivamente osservata sperimentalmente qualche tempo dopo la predizione di essa.

Il modello a quark. - Il modello a quark, proposto nel 1963 indipendentemente da M. Gell-Mann e G. Zweig, costituisce un tentativo d'interpretare i supermultipletti di SU(3) in termini di una struttura interna degli adroni. Esso rappresenta una modifica di un modello proposto precedentemente da S. Sakata nel quale si usavano come mattoni fondamentali il protone, il neutrone e il Λ. La scelta di 3 mattoni basilari permane anche nel modello a quark: essa è imposta dalla tricotomia su cui è basato il gruppo SU(3).

Secondo la terminologia introdotta da Gell-Mann i mattoni fondamentali vengono chiamati quark: essi debbono godere di proprietà assai strane (tab. 8): numero barionico B = 1/3 e carica elettrica frazionaria. Accanto ai quark debbono esistere gli antiquark: gli uni e gli altri sono rappresentati simbolicamente nella fig. 6 ove sono indicati anche i corrispondenti numeri quantici. Secondo il modello a quark i barioni sono costituiti di tre quark (in modo che B = 3 × 1/3 = 0), mentre i mesoni sono combinazioni di un quark e un antiquark (in modo che B = 1/3 − 1/3 = 0).

Le figg. 7 e 8 mostrano schematicamente la cpmposizione secondo questo modello degli stati barionici e mesonici di energia di quiete più bassa; ma i sistemi di tre quark (o di un quark più un antiquark) possono trovarsi in diversi stati dinamici interni corrispondenti a numerose altre p. osservate.

Una grave difficoltà del modello a quark è che dovendo questi necessariamente avere spin 1/2, essi debbono ubbidire alla statistica di Fermi-Dirac, cioè al principio di Pauli. Ma questa proprietà è contradittoria con il fatto che nella struttura dei barioni è spesso necessario che due (o tre) quark identici occupino lo stesso stato. Ciò si verifica, per es., nel caso dell'Ω-, che è costituito da 3λ nello stesso stato. La difficoltà è stata superata nel 1964 (O.W. Greenberg) attribuendo ai quark un ulteriore numero quantico detto colore (il quale per altro non ha nulla a che fare con la sensazione visiva): se i quark, indipendentemente dal loro sapore (cioè dall'essere del tipo p, n o λ), esistono di tre colori (rossi, gialli e blu), essi possono stare anche in tre in uno stato con tutti gli altri numeri quantici eguali. Basta che i 3 quark (antiquark) che costituiscono lo stesso barione (antibarione) siano di tre colori diversi. I mesoni sono fatti di un quark e un antiquark dello stesso colore, il quale per altro cambia continuamente cosicché, in un intervallo di tempo sufficiente da permettere una misura, la coppia passa tempi eguali nei colori rosso, giallo e blu. Il risultato è che tutti gli adroni osservabili (barioni e mesoni) sono sempre privi di colore nonostante che essi siano costituiti da quark colorati.

Con l'introduzione del colore i mattoni fondamentali sono dunque diventati 9 (3 sapori × 3 colori), e il colore non è una proprietà osservabile degli adroni rivelati dai nostri strumenti. L'effetto del colore si fa sentire tuttavia in vari fenomeni, come la vita media con cui decade il π0 in due fotoni e la produzione di adroni nell'annichilazione di e+ + e- ad alta energia. I risultati sperimentali ottenuti dallo studio di entrambi questi fenomeni sono in ragionevole accordo con l'ipotesi del colore, mentre sono incompatibili con il modello a quark senza colore.

Il modello a quark colorati aveva ottenuto alla fine del 1974 un numero assai notevole di importanti successi, tanto da acquistare sempre più credito, nonostante che tutti i tentativi di osservare sperimentalmente un quark isolato non siano stati coronati da successo. Questa è un'ulteriore difficoltà che ha portato a ritenere che le forze che si esercitano tra i quark siano tali da rendere impossibile l'estrazione di un quark (o di un antiquark) da un adrone: essi sarebbero "confinati" entro queste particelle, per es., dal fatto che le forze attrattive che agiscono fra essi comprendono, oltre a un termine che decresce con la distanza e che domina alle distanze bassissime, anche un termine che cresce con la distanza tanto da rendere impossibile la loro separazione.

Le nuove particelle. - Un primo indizio di fatti completamente nuovi fu osservato da alcuni gruppi dei Laboratori nazionali di Frascati che con la macchina Adone misurarono, nel periodo 1971-73, il rapporto

fra la sezione d'urto per la produzione di adroni e quella per la produzione di coppie μ. Nell'ipotesi che gli adroni siano costituiti da quark puntiformi il valore di R dovrebbe essere eguale alla somma dei quadrati delle loro cariche: cioè eguale a (2/3)2 + (1/3)2 + (1/3)2 = 2/3. Nell'ipotesi che essi non siano costituiti da p. puntiformi ma abbiano una struttura continua, R dovrebbe essere minore di uno e tendere a zero al crescere dalle somma E = E+ + E- delle energie con cui l'elettrone e il positone si vanno incontro. Il valore sperimentale risultò costante per E compreso fra 1 e 1,5 GeV e pari a poco più di 2. Questo risultato fu ben presto confermato ed esteso a energie più elevate, ove, fra 3,5 e 4,1 GeV, il rapporto R aumenta raggiungendo un valore prossimo a 5 che poi mantiene costante fino ai più elevati valori di E oggi raggiunti (8 GeV).

Nell'ipotesi invece che i quark esistano di tre colori, il valore 2/3 dato sopra va chiaramente moltiplicato per 3, con il che si ottiene R = 2, in assai buon accordo con l'esperienza alle energie non troppo elevate. L'aumento subìto da R per E fra 3,5 e 4,1 GeV mostra che a energie più alte cominciano ulteriori complicazioni.

Alla fine del 1974 un gruppo del Massachussetts Institute ofTechnology (MIT) che lavora al Brookhaven national laboratory è uno dell'università di California che lavora all'acceleratore lineare SLAC di Stanford scoprirono una nuova particella (indicata rispettivamente con il simbolo J e ψ) di energia di quiete 3,1 GeV e vita media almeno mille volte più lunga di quella che si poteva calcolare con i modelli allora esistenti. Il risultato veniva confermato subito a Frascati e in altri laboratori. Qualche tempo dopo a SLAC veniva scoperta un'altra particella di energia di quiete pari a 3,7 GeV, anch'essa dotata di vita media anomalmente lunga, che fu chiamata ψ′. Queste nuove particelle non possono venire inquadrate nel modello a tre quark colorati. Per spiegare la loro esistenza è necessario introdurre un nuovo numero quantico detto charm (simbolo c). Nel quadro del modello a quark ciò significa introdurre un quarto quark dotato di "charm" c = + 1 (e indicato con il simbolo p′), cosicché i mattoni fondamentali diventano 12 (4 sapori × 3 colori, tab. 8).

In questo modello, tuttora allo studio, le particelle J, ψ e ψ′ sono gli stati 1S1 e 2S1 di un sistema costituito da un p′ e ä′ ossia un sistema molto simile al positronio (costituito da un e+ e un e-) e chiamato charmonio, di cui sono stati osservati vari altri livelli (1S0, 2S0, 1P0, 1P1). Sono stati anche osservati alcuni stati del tipo (p′ n̄) ossia stati dotati di charm c = + 1.

Con l'introduzione di un quarto sapore, la simmetria fondamentale non è più SU(3): bisogna ricorrere al gruppo SU(4), le cui rappresentazioni più interessanti sono mostrate nella fig. 9, dalla quale risulta chiara anche la connessione fra queste e le rappresentazioni di SU(3) date nella fig. 4.

La cosa forse più sorprendente è che l'esistenza di un quarto quark dotato di charm era già stata suggerita qualche anno prima (L. Glashow, J. Iliopoulos, L. Maiani, 1970) per spiegare il fatto che non si osservano correnti deboli neutre con cambiamento di stranezza (ΔS = 1), cioè processi, per es., del tipo K0 → μ+ + μ-, quali sono invece inevitabilmente previsti nel modello a 3 quark. Ma questa previsione era stata fatta nel quadro delle seguenti considerazioni, di tutt'altra natura dalle precedenti.

Le teorie di gauge. - Già da anni era stato sollevato il problema della possibilità che esista una relazione profonda fra le ID e le IE. Una circostanza a favore di una connessione di questo tipo è che lo spin del presunto portatore delle ID deve valere J = 1, proprio come quello del fotone. Esso deve quindi essere un "bosone vettoriale", da identificarsi con il quanto di energia di un campo quadrivettoriale, come il fotone è il quanto di energia del quadripotenziale elettromagnetico.

La notevole differenza fra i valori delle costanti di accoppiamento delle ID e delle IE finora osservata potrebbe essere un fatto superficiale che maschera connessioni fisiche più sostanziali e profonde. Se si ammette che la vera costante di accoppiamento del presunto bosone vettoriale non sia ancora stata osservata e che essa sia la stessa del fotone, le ID avrebbero la stessa intensità delle IE alle brevissime distanze ma apparirebbero assai più deboli alle distanze piccole ma non piccolissime per il loro breve raggio di azione.

Per ottenere il valore osservato sperimentalmente per la costante di accoppiamento delle ID basta supporre che la massa del bosone intermedio sia dell'ordine di 30 GeV.

Il problema più grave che è necessario superare per giungere a costruire una teoria unica delle IE e delle ID è che mentre l'elettrodinamica quantistica è una teoria rinormalizzabile, non è questo il caso della teoria delle ID: nel calcolo dei processi dovuti a ID si presentano infiniti che non possono venir cancellati semplicemente rinormalizzando la costante di accoppiamento e le masse dei corpuscoli coinvolti. Questa sostanziale differenza fra IE e ID deriva dal fatto che il fotone, avendo massa zero, può esistere solo in due stati di polarizzazione in cui il suo spin J = 1 è parallelo o antiparallelo alla sua quantità di moto mentre il bosone intermedio, dovendo avere una massa diversa da zero, possiede tre stati di polarizzazione. Il suo spin J =1, oltre che parallelamente e antiparallelamente, può disporsi anche perpendicolarmente alla sua quantità di moto. La via per superare questa grave difficoltà fu suggerita nel 1967, indipendentemente, da S. Weinberg e A. Salam, secondo i quali le ID e le IE sono governate da un gruppo di simmetria di gauge rotta spontaneamente.

La "simmetria di gauge" è un tipo di simmetria che, come si sa da anni, vale rigorosamente per le IE. Non solo le equazioni di Maxwell rimangono invariate se a esse si applica una trasformazione di questo gruppo; ma se s'impone il rispetto di questo tipo di simmetria si deducono tutte le proprietà del campo elettromagnetico, cioè le equazioni di Maxwell e il fatto che il fotone deve avere massa nulla. Il fatto che il bosone vettoriale abbia massa diversa da zero è apparso quindi da anni come una difficoltà insormontabile. L'idea più nuova e ardita avanzata dagli autori sopracitati è che un principio di simmetria, pur essendo valido, possa non manifestarsi nelle masse e altre proprietà delle particelle.

Esempi di rotture spontanee di una simmetria si osservano in vari fenomeni. Per es., nel ferromagnetismo: le equazioni che governano il comportamento di una sbarra di ferro ubbidiscono a una simmetria di rotazione grazie alla quale l'energia libera della sbarra è la stessa se l'estremo (per es.) di destra è un polo nord o un polo sud. Ad alta temperatura la curva che rappresenta l'energia in funzione della magnetizzazione ha la stessa simmetria di rotazione e lo stato di energia minima è quello in cui la magnetizzazione è nulla. Ma a temperatura più bassa tale curva, pur seguitando a rispettare la simmetria di rotazione, mostra due minimi corrispondenti a due ben determinati stati di magnetizzazione non nulla, l'uno con il polo nord a destra e l'altro con il polo nord a sinistra.

Partendo da questo concetto di simmetria rotta spontaneamente e generalizzando opportunamente il gruppo di simmetria di gauge, è oggi dimostrata la possibilità di costruire una teoria unificata delle IE e delle ID. Il valore non nullo, anzi elevato, della massa del bosone intermedio è una conseguenza della rottura spontanea di tale simmetria, la quale per altro lascia la massa del fotone eguale a zero. Inoltre la rottura spontanea della simmetria non inficia la rinormalizzabilità della teoria.

Oggi esistono vari schemi teorici sviluppati lungo queste linee. Nessuno di essi può forse ancora essere considerato quello definitivo. Fra i più semplici resta quello originario di S. Weinberg.

Molto lavoro sarà ancora necessario per poter affermare che si dispone della teoria definitiva che congloba le IE e le ID. È certo però che si è fatto un considerevole passo avanti e che questa impostazione sta rivelando connessioni profonde anche con l'inquadramento degli adroni nello schema del modello a 4 quark.

Bibl.: W. S. C. Williams, An introduction to elementary particles, New York 1961; S. J. Lindenbaum, Particles interaction physics at high energy, Oxford 1973; M. I. Longo, Fundamentals of elementary particle physics, New York 1973.

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