URBANO II, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

URBANO II, papa

Simonetta Cerrini

URBANO II, papa. – Di modesta famiglia di cavalieri, Eudes (Oddone, Oddo) nacque a Châtillon (oggi Châtillon-sur-Marne) intorno al 1040 da Isabella e Heucherio, signore di Lagery (de Barthélemy, 1882, p. 448).

Avviato alla carriera ecclesiastica Eudes frequentò la scuola della cattedrale di Reims, affidata dal vescovo Gervais di Château-du-Loir, già vescovo di Le Mans e legato alla casa di Blois, a Bruno di Colonia (morto nel 1101), il futuro fondatore dei certosini. Canonico e poi arcidiacono della chiesa cattedrale, Eudes decise, intorno al 1070, di entrare a Cluny dove, in un periodo che va dal 1070 o 1074 fino al 1078 o 1079, fu gran priore, mentre Ugo di Semur era abate.

Dopo la formazione canonicale, il contatto con s. Bruno e la sosta nell’abbazia borgognona, cuore monastico dell’Europa del tempo, Eudes tra il 1079 e il 1080 fu chiamato a Roma. Gregorio VII, infatti, aveva chiesto all’abate Ugo che gli inviasse degli ‘uomini saggi’ per coadiuvarlo nella sua opera di riforma e lo nominò cardinale vescovo di Ostia. Eudes entrò dunque rapidamente a far parte della cerchia dei consiglieri più vicini a Gregorio VII.

L’estrema fiducia di cui godeva da parte del papa gli valse la nomina a legato in Germania, ove, al Concilio di Quedlinburg, in Sassonia (20 aprile 1085), sostenne la candidatura alla corona tedesca di Ermanno di Salm. In quell’occasione venne scomunicato l’antipapa Clemente III. Morto Gregorio VII a Salerno il 25 maggio 1085, a Roma dopo un anno fu eletto papa (in alternativa ad Anselmo da Lucca, e a Eudes stesso) l’abate Desiderio da Montecassino, che Gregorio VII aveva indicato come interprete delle sue ultime volontà. Non si sa se inizialmente Eudes fosse contrario all’elezione del potente abate; certamente, però, fu tra i quattro cardinali che il 9 maggio 1087 intronizzarono Vittore III, scomparso peraltro pochi mesi più tardi (16 settembre 1087), non senza aver indicato Eudes quale successore. L’elezione, unanime, risale al 12 marzo 1088 e la consacrazione avvenne il giorno stesso.

Il conclave si svolse a Terracina, essendo Roma sotto il controllo di Clemente III. Si ammise la delega del voto: in tal modo oltre che da tutti i cardinali vescovi il clero di Roma fu rappresentato dal vescovo Giovanni di Porto; l’abate di Montecassino Oderisio ricevette la delega per i cardinali diaconi; gli altri cardinali furono rappresentati dal cardinale di S. Clemente e i laici dal prefetto di Roma, Benedetto.

La scelta del nome va interpretata come un discreto omaggio alla memoria di Gregorio VII, morto il giorno della festa di s. Urbano, e come implicita dichiarazione programmatica di continuità rispetto all’opera del predecessore. Per il momento, però, il pontificato di Urbano II non si presentava facile: Roma (ove comunque dal 1089 il neoeletto si installò nell’isola Tiberina) era ancora saldamente controllata da Clemente III che era riconosciuto, oltre che dall’Impero e dalla maggioranza dei cardinali, anche dai re d’Inghilterra (sia pure in modo informale e con qualche oscillazione), di Serbia e d’Ungheria.

Questa debolezza e precarietà della posizione di Urbano II a inizio pontificato è un dato essenziale per comprendere l’importanza della sua figura: la grande azione riformatrice di Gregorio VII rischiava di non trovare il terreno per svilupparsi in modo solido. E invece Urbano II rappresentò «un momento di fondamentale importanza nella storia della Chiesa medievale non solo per aver promosso la I crociata, ma anche per aver portato avanti quel grande movimento che fu la riforma della Chiesa, processo avviato [...], forse non senza qualche eccesso e qualche esagerazione, da Gregorio VII» (Fornasari, 1996, p. 515).

Per poter sostenere il confronto con Enrico IV, consacrato imperatore a Roma dall’antipapa Clemente III il 31 marzo 1084, Urbano II dovette però ricercare l’aiuto dei Normanni, come già i suoi predecessori. Così il Meridione divenne la sua base operativa, ove risiedette a lungo. Nel 1089, in occasione della sua prima trasferta nel Meridione, Urbano II investì Ruggero Borsa (succeduto al padre, Roberto il Guiscardo, nel 1085) del titolo di duca di Puglia.

Il suo riconoscimento della dinastia normanna giunse negli anni fino alla concessione (5 luglio 1098) al conte Ruggero I di Calabria e Sicilia, fratello di Roberto il Guiscardo, vassallo del duca di Puglia, e ai suoi successori, della Legazia apostolica (più volte contestato da Roma nel corso dei secoli, tale privilegio rimase in vigore fino al 1867, quando papa Pio IX, infine, lo abolì).

Forse proprio nel 1089, oppure nel 1091-92, l’antipapa Clemente III convocò in S. Pietro un importante sinodo nel quale si ribadì la condanna della simonia e l’obbligatorietà del celibato per i sacerdoti (precisando però che l’eventuale indegnità del clero non poteva scalfire in alcun modo la sua autorità) e Urbano II fu probabilmente scomunicato o colpito da altre sanzioni (Stoller, 1985, pp. 310 s., 314).

Ma Urbano II, forte dell’alleanza normanna, poté comunque impostare le linee direttrici del suo pontificato. La ricercata continuità con l’opera di Gregorio VII non gli impedì di sfruttare egregiamente ogni aspetto della sua esperienza precedente: l’origine francese e cavalleresca, il contatto con il mondo canonicale, la conoscenza di Bruno di Colonia e, soprattutto, la sua precedente appartenenza all’ecclesia cluniacensis, realtà alla quale attinse direttamente e indirettamente molte delle sue proposte e innovazioni.

Uno degli strumenti di cui Urbano II si avvalse, dapprima per necessità, poi per scelta, furono i viaggi, costellati da una serie di concili, che gli consentirono di affermare l’autorità pontificia non solo di fronte ai sovrani dei territori in cui si recava, ma anche di diffondere capillarmente i principi teologici, liturgici, amministrativi della riforma presso i vescovi delle Chiese locali. Nel corso di questi viaggi si avvalse della presenza di personalità religiose di indiscusso valore spirituale quali Bruno di Colonia e Anselmo d’Aosta, priore di Bec in Normandia e dal 1093 arcivescovo di Canterbury, che, venuto a Roma per presentare le sue dimissioni a causa dei gravi contrasti con Guglielmo II il Rosso, re d’Inghilterra, fu invitato da Urbano ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio (1098) nel Sud della penisola.

Nel già menzionato primo soggiorno nel Meridione Urbano II convocò a Melfi (10-15 settembre 1089) un primo concilio, alla presenza di circa settanta vescovi. Oltre al rinnovo e alla ulteriore definizione della disposizione gregoriana in merito alla simonia, al celibato e all’investitura laica (si fissò, tra l’altro, a ventiquattro anni l’età minima per l’ordinazione a diacono e a trenta anni per l’ordinazione sacerdotale) il papa tentò di disciplinare la guerra privata esportando il modello francese e cluniacense della ‘tregua di Dio’, per cui era fatto divieto di combattere in alcuni periodi dell’anno liturgico e nei giorni della settimana che ricordavano la passione di Cristo.

Diffondere i concilii di pace francesi nel Mezzogiorno normanno significava proporre un’opzione di riforma che non si traduceva in modo immediato e frontale in un’opposizione all’Impero. Così facendo – e la pace generale proclamata anni dopo (nel 1095) al Concilio di Clermont, diretta a proteggere chierici, monaci, donne, oltre che le persone e i beni dei crucesignati, sarebbe andata nella stessa direzione – Urbano II riuscì anche ad affermare, implicitamente, la centralità di Roma. A Melfi Urbano II iniziò inoltre ad affrontare la questione greca, concedendo al clero greco di conservare il proprio rito in cambio del riconoscimento dell’autorità papale. Infine, in quella occasione Urbano II incontrò a Troina il conte Ruggero di Sicilia, latore e mediatore dell’invito da parte dell’imperatore Alessio I Comneno a partecipare al grande Concilio ecumenico di Costantinopoli; invito che fu declinato non perché il papa non desiderasse la composizione fra le due Chiese, ma perché le richieste formali del patriarca avrebbero sminuito la sua autorità in via di consolidamento. Il colloquio di Urbano II con Ruggero servì anche a definire l’organizzazione ecclesiastica dei territori conquistati ai musulmani, tema che il papa affrontò poi anche per la penisola iberica.

Al secondo viaggio nel Meridione (1090-91), durante il quale i Normanni avevano giurato una ‘tregua di Dio’, partecipò anche Bruno di Colonia che fondò in Calabria, presso l’attuale Serra San Bruno, un eremo (S. Maria di Turri) su un terreno donatogli da Ruggero I di Sicilia. Anche le nuove forme di spiritualità trovarono così in Urbano II un efficace sostenitore.

Il terzo viaggio del pontefice nel Mezzogiorno fu segnato dal Concilio di Troia (marzo 1093), cui parteciparono più di settanta vescovi, ai quali fu affidato il compito di far rispettare la ‘tregua di Dio’, autorizzandoli a scomunicare coloro che avessero rifiutato di osservarla.

Al momento della sua elezione, il papa poteva contare in Germania (ove designò come legati Gebeardo di Costanza e l’anziano Altmann di Passau) solo su pochi vescovi, mentre nell’Italia settentrionale, grazie anche all’alleanza con Matilde di Canossa, molti presuli si sottomisero al papa, mentre Roma restò per il momento fedele a Clemente III. Nel 1090 il matrimonio favorito dal papa tra la contessa Matilde e il giovane Guelfo di Baviera, figlio del duca Guelfo IV, permise a Urbano II di consolidare la sua posizione. L’anno successivo segnò l’offensiva di Enrico IV che scese in Italia ottenendo iniziali importanti successi (tra i quali la presa di Mantova), nonostante l’efficace resistenza di Matilde (Canossa non fu infatti conquistata).

L’equilibrio si spostò a favore di Urbano II quando Corrado, figlio di Enrico IV, si oppose al padre, si fece incoronare re d’Italia a Milano e su indicazione del papa sposò una figlia di Ruggero I di Sicilia. Milano, Cremona, Lodi e Piacenza si allearono contro l’imperatore; nel frattempo la legazia di Gebeardo, ispirata ai principi conciliatori della discretio benedettina e della dispensatio, iniziò a dare i primi risultati favorevoli a Urbano II. Nel novembre del 1093 Urbano II tornò a Roma, ospite dei Frangipane e nel 1094 s’impossessò del Laterano, grazie al tradimento del capitano delle milizie di Clemente III. Finalmente l’autorità di Urbano II si veniva affermando e le sue scelte si rivelarono vincenti, ma non mancò l’opposizione e la critica di riformisti intransigenti quali il cardinale Deusdedit e il vescovo Bonizone da Sutri, specie a proposito della validità e delle conseguenze delle ordinazioni fatte da vescovi scomunicati o simoniaci. La questione fu trattata al Concilio di Piacenza (1095).

L’assise si mostrò tollerante nei confronti del basso clero e di chi, per età o altro, poteva dimostrare di aver agito in buona fede, considerando valide le ordinazioni anche se fatte da vescovi scismatici e simoniaci.

Nell’occasione il papa intervenne in materia liturgica approvando il prefazio specifico delle messe della Vergine (Et te in veneratione); inoltre, ricevette un’ambasciata di Alessio I Comneno che gli chiese di esortare i cavalieri presenti a prestargli aiuto nella lotta contro i turchi selgiuchidi. Tra le questioni politiche rilevanti discusse a Piacenza vi fu il problema dell’unione tra Filippo I re di Francia (che aveva ripudiato la moglie Berta) e la terza moglie del conte Folco d’Angiò; di fronte alla scomunica irrogata (Concilio di Autun, ottobre 1094) dall’arcivescovo Ugo di Lione primate delle Gallie e legato papale, Urbano II temporeggiò ma si vide infine obbligato a confermare la scomunica. Ciò accadde al Concilio di Clermont (novembre 1095), convocato nel corso di un lungo viaggio in Francia (1095-96), durante il quale fra l’altro (memore del passato) consacrò di persona l’altare maggiore di Cluny.

In materia di disciplina del clero, furono riconfermati a Clermont i consueti canoni gregoriani e si affermò, inoltre, il divieto dell’investitura laica, con la specifica interdizione a tutti i chierici (non rilevata da Gregorio VII) di rendere omaggio ai laici. Urbano II confermò questo divieto nei concili successivi; peraltro, si venne via via affermando la distinzione – elaborata dal canonista Ivo di Chartres – tra la consacrazione episcopale cum cura animarum e l’investitura feudale (con giuramento di fedeltà, non più con il formale omaggio, percepito ormai come intollerabile).

Il Concilio di Clermont deve però la sua fama all’appello di Urbano II, dal quale si fa partire la cosiddetta prima crociata. Gli studi recenti, in realtà, ci obbligano a definire altrimenti il contenuto nonché il significato non solo del cosiddetto canone dell’indulgenza, in cui si legge «Quicumque pro sola devotione, non pro honoris vel pecunie adeptione ad liberandam ecclesiam Dei Hierusalem profectus fuerit, iter illud pro omni penitentia ei reputetur» (Somerville, 1972, p. 74), ma anche del discorso che Urbano II fece alla fine del concilio alla folla riunita (25 novembre), che ci è noto solo in ricostruzioni successive alla conquista di Gerusalemme (avvenuta il 15 luglio 1099, ma rimasta ignota al papa che morì pochi giorni dopo) e forse adattato agli eventi. L’obiettivo di Urbano II, desideroso di un riavvicinamento con la Chiesa greca, fu soltanto di invitare i cavalieri radunati a Clermont a sovvenire l’imperatore bizantino contro i turchi e di proporre a tutti i laici come obiettivo penitenziale e devozionale un percorso rivolto a Gerusalemme, non tanto sul piano politico e militare, quanto come obiettivo da raggiungere (Schein, in Autour de la première croisade, 1996, p. 119). Attraverso la pax generalis e l’indulgenza, Urbano II cercò comunque di proteggere e sostenere il movimento che si avviò, anche attraverso la nomina di un legato papale come guida dei crucesignati, nella persona di Ademaro di Monteil, vescovo di Le Puy.

Va inoltre sottolineato (sulla base in particolare di ricerche di Rudolf Hiestand) che alcuni canoni di Clermont – non giunti sino a noi – riguardarono bensì la riorganizzazione ecclesiastica di terre riconquistate ai musulmani, ma non nell’ipotetica Terrasanta, bensì nelle concrete Sicilia e Spagna. Già in precedenza Urbano II aveva avocato a sé la riorganizzazione ecclesiastica di Aragona, Navarra e Catalogna recentemente riconquistate, rifondando gli arcivescovadi di Toledo (1088) e Tarragona (1089). Egli fece in modo che anche nel caso della Spagna, progressivamente, l’autorità pontificia si sostituisse all’influenza di Cluny.

L’ultima fase del pontificato di Urbano II fu segnata in modo importante da due questioni, in realtà ambedue latenti o aperte per l’intero decennio. Giunse infatti per certi versi a maturazione – il termine di curia romana entrò nell’uso proprio allora (1098) – il problema della riforma amministrativa della Chiesa romana (un versante rimasto sino ad allora sostanzialmente nelle mani delle grandi famiglie romane) e si intervenne sulle strutture di governo.

Nel campo propriamente amministrativo Urbano II si avvalse con successo dell’esperienza cluniacense: egli usò non solo l’idea, ma anche gli uomini e le strutture stesse dell’abbazia borgognona, al punto che la Camera apostolica, cioè l’organo finanziario della Chiesa romana, ebbe a Cluny una vera e propria filiale. Accrebbe, inoltre, il ruolo dei cardinali che, riuniti in concistoro, consigliavano il papa in merito alle questioni più importanti. Infine, la Cancelleria, riformata anch’essa, venne invece affidata al monaco cassinese Giovanni di Gaeta (il futuro papa Gelasio II).

L’altro problema aperto era quello della Chiesa d’Inghilterra, che fu rappresentato a Urbano II dall’arcivescovo di Canterbury Anselmo d’Aosta, giunto a Roma nel 1098. Il re Guglielmo II il Rosso, alla morte di Lanfranco di Pavia (1089) che era stato chiamato dal padre (Guglielmo il Conquistatore) alla testa della Chiesa d’Inghilterra, tergiversò per quattro anni incamerando le rendite ecclesiastiche e nominò infine – cedendo alle pressioni dei nobili – il riluttante Anselmo, antico allievo di Lanfranco (1093). I reiterati tentativi di Anselmo (che dedicò al papa la sua Epistola de incarnatione Verbi) di far riconoscere Urbano II furono vani e al Concilio di Rockingham (14 marzo 1095) egli si trovò isolato e osteggiato tanto dal re quanto dai vescovi inglesi; raggiunse invece l’obiettivo il legato papale Gualtiero di Albano, che si rifiutò peraltro di deporre Anselmo come il re avrebbe voluto.

Urbano II appoggiò Anselmo e gli affidò anzi la trattazione del delicato tema teologico della processione dello Spirito Santo in occasione del Concilio di Bari (ottobre 1098), ottenendo grazie alle convincenti argomentazioni del teologo il consenso dei vescovi greci del Meridione d’Italia al cosiddetto Filioque. Guglielmo II fu pertanto scomunicato, anche se ottenne per lui un periodo di sospensione dell’applicazione dell’estrema misura. La questione rimase aperta, così come aperto rimase un altro problema che Urbano II si trovò di fronte a Bari: una richiesta dei crucesignati, giunta da Antiochia, nella quale si chiedeva al pontefice di recarsi in Oriente, per dirimere i non previsti contrasti con l’Impero bizantino.

L’ultimo atto del pontificato di Urbano II fu il Concilio a Roma (S. Pietro, 24 aprile 1099), nel quale fu messo a fuoco ancora una volta il divieto per i chierici di assoggettarsi all’autorità feudale dei laici prestando loro omaggio.

Urbano II morì a Roma il 29 luglio 1099, ospite dei Pierleoni, presso la chiesa di S. Nicola in Carcere; prima di essere seppellito a S. Pietro il suo corpo fu trasportato non senza difficoltà attraverso Trastevere.

Urbano riuscì ad ancorare la riforma gregoriana al rinnovamento radicale dell’istituzione pontificia, di cui aumentò il prestigio non solo presso i vari regnanti, ma anche, grazie ai lunghi viaggi, mostrando una capacità di comunicazione diretta con ampi strati della popolazione. Grazie a lui, la prosecuzione della riforma non dipese più esclusivamente dal carisma personale del pontefice. Al consolidamento della struttura episcopale in tutta Europa, base necessaria per il successo della riforma interna della Chiesa, corrispose una maggiore considerazione del clero che divenne un «corpo separato e privilegiato della società» (Miccoli, 1974, p. 568).

Urbano II fu venerato come beato; il culto fu confermato da Leone XIII il 14 luglio 1881. È festeggiato il 29 luglio.

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