PAESI BASSI

Enciclopedia del Cinema (2004)

Paesi Bassi

Angela Prudenzi

Il cinema fece il suo ingresso in Olanda nel 1896, anno in cui avvenne la prima proiezione pubblica. Successivamente furono filmati i primi avvenimenti che avevano per protagonisti la famiglia reale e in particolare la regina Guglielmina, soggetto privilegiato di numerose riprese di carattere documentario. Sin dagli esordi, del resto, la produzione olandese si muoveva avendo cura della riproduzione della realtà, piuttosto che di realizzare storie di finzione; tale interesse non sarebbe venuto meno neanche dopo che altre cinematografie cominciarono a frequentare il racconto di pura invenzione. I primi a intuire che il cinema era un'arte destinata a essere amata da una larga parte della popolazione furono i fratelli Willy e Albert Mullens che, sotto lo pseudonimo di Albert Frères, giravano il Paese con un impianto di proiezione viaggiante. Agli spettatori offrivano prodotti realizzati dalla loro società ‒ riprese di eventi, vedute, brevi farse ‒ non distaccandosi da un linguaggio elementare. Altrove però il cinema stava esplodendo, nascevano numerose società e molte sale si insediavano nelle grandi città. Così i fratelli Mullens si allinearono alla tendenza consolidando l'attività di famiglia e dando vita a una delle più celebri case di produzione nederlandesi, la Haghe Film (1914). Accanto a questa società si affermò la Filmfabriek Hollandia di Maurits H. Binger, che in una decina d'anni di attività si rivelò particolarmente attenta al genere drammatico. Tra i circa sessanta film prodotti, va ricordato Op hoop en zegen (1918, Sperando in bene) di Binger, una delle più importanti opere olandesi mai realizzate. Negli stessi anni ebbe inoltre modo di farsi conoscere e apprezzare il talento del produttore e regista Theo Frenkel. Ma a prendere piede fu soprattutto il documentario, genere nel quale emersero molti giovani autori e tra questi Joris Ivens, che nel 1927, insieme allo scrittore Mannus Franken, fondò la Filmliga, un'organizzazione che, oltre a promuovere la visione di grandi capolavori del cinema, produsse interessanti documentari. Risale al 1928 De brug (Il ponte) di Ivens, girato in collaborazione con Franken, film che, realizzato con intenti teorici, si rivelò un inaspettato successo. Innumerevoli i capolavori firmati da questo momento in poi dal maestro, che in buona parte da solo contribuì a consolidare la già solida fama della scuola di documentarismo nederlandese. Ma se Ivens rimase a lungo attivo realizzando opere di grande qualità, non meno importante fu il ruolo svolto da altri cineasti quali Max de Haas, Bert Haanstra, Herman van der Horst, Johan van der Keuken.Tuttavia, se da una parte la specializzazione nel campo documentario permise alla cinematografia dei P. B. di affermarsi in ambito mondiale, dall'altra frenò la produzione di opere di fiction, che per tutti gli anni Trenta e Quaranta si limitò a commedie farsesche quali Jonge harten (1936, Giovani cuori) di Charles Huguenot van der Linden e Heinz Josephson o Pygmalion (1937) del regista di origine tedesca Ludwig Berger. Film brillanti ma destinati a uscite in ambito nazionale anche per la difficoltà di esportare prodotti girati in una lingua praticamente sconosciuta al resto degli europei. Tra il 1940 e il 1945 l'invasione tedesca del Paese impedì lo sviluppo del cinema nederlandese. Nel decennio successivo a rendere più problematica la situazione si aggiunse il dominio dei film hollywoodiani, la cui forza di impatto monopolizzò a tal punto le sale che i rari prodotti nazionali difficilmente trovavano spazio nel mercato interno e quasi mai varcavano i confini.

Grazie a un inedito impegno statale, che concesse fondi a sostegno della produzione cinematografica, e con la nascita nel 1958 del Nederlandse Film Academie (Accademia cinematografica nederlandese) si cominciò ad affermare un gruppo di giovani cineasti particolarmente interessati alla realizzazione di lungometraggi di finzione. I film prodotti erano opere molto personali e poco accattivanti, ma testimoni di un risveglio dei cineasti nederlandesi. Tra questi vanno segnalati Bert Haanstra (Fanfare, 1958, Fanafara), Fons Redemakers (Dorp aan de rivier, 1958, Il villaggio sul fiume, nomination all'Oscar nel 1959; Makkers staakt uw wild geraas, 1960, noto come That joyous eve, Orso d'argento al Festival di Berlino nel 1961), Adriaan Ditvoorst, autore dell'interessante Paranoia (1967), Pim de La Parra e Wim Verstappen, che a quattro mani sceneggiarono De minder gelukkige terugkeer van Joszef Katýs naar het land van Rembrandt (1966, Il poco fortunato ritorno di Josef Katus nel paese di Rembrandt), diretto soltanto dal secondo. Film a carattere sperimentale, complessi, che si fecero notare nei circuiti dei festival favorendo l'attenzione anche verso le altre opere nazionali con l'effetto di stimolare i giovani registi a produrre, seppure a basso costo. Fu seguendo questi impulsi che negli anni Settanta si segnalarono molti nuovi autori: Philo Bregstein con Dingen die niet voorbijgaan (1970, Cose che non passano), Nouchka van Brakel con Het debuut (1977, Il debutto), Erik van Zuylen e Marja Kok con Opname (1979, Ricovero), Pardo di bronzo al Festival di Locarno nel 1980. Risale al 1977 il successo di Paul Verhoeven con Soldaat van Oranje (Soldato d'Orange), nel quale vengono disegnati con abile e sensibile tratto alcuni profili di giovani diversamente coinvolti nelle vicissitudini dell'Olanda occupata dai tedeschi. Dopo l'immaginifico e sensuale Spetters (1980; Spetters o Spruzzi), Verhoeven raggiunse la notorietà internazionale con l'audace commedia 'nera' De vierde man, nota anche come The fourth man (1983; Il quarto uomo), che gli ha schiuso le porte di Hollywood.La definitiva uscita dalla crisi di idee è avvenuta negli anni Ottanta, sebbene a una produzione più ricca numericamente e qualitativamente sia corrisposto un calo di spettatori in tutto il Paese. Fortunatamente però l'interesse verso il cinema nazionale è aumentato per merito di registi che hanno saputo rinnovare temi e linguaggi per imporsi ben oltre i confini dei Paesi Bassi. È questo il caso di Orlow Seunke, che ha firmato due film di forte impatto emotivo: De smaak van water (1982; Il sapore dell'acqua), Leone d'ordo per l'opera prima alla Mostra del cinema di Venezia, cronaca del fortuito ritrovamento di una ragazza murata viva in una stanza segreta dalla famiglia e dell'amicizia che finisce per legarla al suo salvatore, e Pervola (1985), i cui protagonisti sono due fratelli in perenne contrasto costretti a ritrovarsi nel paese di origine per i funerali del padre. Si è fatto notare anche Jos Stelling con due opere, De illusionist (1984; Il giardino delle illusioni) e De wisselwachter (1986; Lo scambista), entrambe caratterizzate da un'esasperata attenzione formale e da una tecnica superlativa. Notevole successo di pubblico e grandi incassi ha ottenuto anche il veterano Rademakers, autore del pregevole dramma storico De aanslag (1986; Profondo nero), ambientato durante la Seconda guerra mondiale, che nel 1987 ha ottenuto l'Oscar per il miglior film straniero.

Durante gli anni Novanta le critiche positive raccolte dai registi nei festival internazionali, la stima da parte degli addetti ai lavori e l'affezione del pubblico sono risultati sufficienti a scongiurare quella crisi che ha investito invece quasi tutti gli altri Paesi europei. Così mentre altrove gli ingressi nei cinema sono calati vorticosamente e il mercato è tornato a essere dominato dai prodotti americani, la produzione nederlandese ha resistito senza perdere spettatori, riuscendo in qualche caso a realizzare incassi straordinari. Nel 1996 è quindi arrivato un nuovo Oscar per il film straniero; a vincerlo è stato Antonia (1995; L'albero di Antonia), una saga tutta al femminile che racconta le intricate vicende di una famiglia matriarcale a partire dal dopoguerra. L'autrice, Marleen Gorris, forte del prestigioso riconoscimento, è poi emigrata negli Stati Uniti e quindi in Francia per girare film che non hanno però ottenuto grandi risultati. Nel 1998 è giunto un altro Oscar per Karakter (1997; Charachter ‒ Bastardo eccellente) di Mike van Diem, vicenda imperniata sul riscatto esistenziale di un giovane abbandonato dal padre in tenera età. Insieme a quest'ultimo altri autori sono emersi e hanno avuto modo di farsi apprezzare in festival quali Venezia, Cannes, Berlino: Alex van Warmerdam (De jurk, 1996, Il vestito), Karim Traýdia (De poolse bruid, 1998, La sposa polacca), Paula van der Oest (Moonlight, 2002), Ben Sombogaart (De tweeling, 2002, Le gemelle). Segno che il cinema nederlandese, per quanto caratterizzato da una produzione annuale assai limitata, è riuscito a mantenere alto il livello qualitativo delle sue opere grazie anche a una politica culturale che ha sempre favorito gli esordi accanto al cinema cosiddetto d'autore.

Bibliografia

P. Cowie, Dutch cinema. An illustrated history, South Brunswick-New York-London 1979; F. Bono, Nuovo cinema olandese (1966-1987), Roma 1988; A. van Beusekom, La cultura cinematografica nei Paesi Bassi, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 3° vol., L'Europa. Le cinematografie nazionali, t. 2, Torino 2000, pp. 1361-82.

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