Orfeo

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Orfeo

Emanuele Lelli

Il cantore che ammaliava l’uomo e la natura

Nel panorama del mito e della religiosità greca, Orfeo occupa un posto particolare: figlio della musa Calliope, riceve in dono da Apollo una magica lira con cui è capace di incantare gli elementi della natura, oltre che l’uomo. Il tentativo di riportare dall’oltretomba nel mondo dei vivi la moglie Euridice lo condurrà a una tragica fine. Al suo nome è collegato l’orfismo, un insieme di norme di vita e concezioni religiose che rappresentava, per i Greci, una scelta alternativa ai culti ufficiali

Il mito

La zona di origine dei racconti legati a Orfeo è probabilmente la Tracia, una regione a nord della Grecia considerata a metà tra mondo barbaro e mondo civile. Tracio è Eagro («selvaggio»), il re che si unisce alla musa Calliope generando Orfeo. Apollo gli fa dono di uno strumento musicale a sette corde, che Orfeo modifica aggiungendovene altre due: è una straordinaria lira al cui suono gli animali feroci si placano, i sassi si muovono, gli alberi ondeggiano; anche l’uomo è affascinato dall’armonia di Orfeo, che placa gli affanni e rigenera l’animo.

La sua è una musica apollinea, non violenta e sfrenata come quella di Dioniso (il romano Bacco), una musica che insegna il rispetto dell’ordine naturale e della purezza. Orfeo, come altri leggendari cantori quali Lino, Tamiri o Museo, è collocato dal mito greco in un tempo antichissimo, prima di Omero, e la sua poesia è sempre denotata da un alone di mistero; appartiene alla generazione degli eroi che partecipano all’impresa di Giasone e della nave Argo: è proprio lui, anzi, che al suono della lira muove le travi che da sole vanno a comporre la chiglia della nave; in seguito si imbarca con gli Argonauti e li allieta nelle lunghe notti di navigazione con il suo canto rasserenante, che racconta la nascita del mondo e della natura.

L’amore e la morte

Orfeo si innamora della ninfa Euridice e la chiede in sposa, ma il giorno delle nozze il pastore Aristeo, apicoltore, impazzisce e vuole rapirla.

Euridice si lancia in una fuga disperata ma calpesta un serpente che la morde, uccidendola. Orfeo è disperato ma riesce con la sua musica ad affascinare Ade (il romano Plutone) e Persefone (la romana Proserpina) che gli concedono di riportarla in vita: né lui né Euridice, però, dovranno voltarsi a guardare indietro durante la salita dagli inferi, pena il ritorno nel regno dei morti, questa volta per sempre.

Orfeo scende nell’oltretomba e assieme a Euridice comincia la fuga verso la vita. Ma la curiosità tradisce Euridice, che si volta ed è costretta a restare per sempre negli inferi. Orfeo intona un lamento drammatico per la sua sposa, giurando che non amerà mai più altre donne, commuovendo tutta la natura. Ma un gruppo di baccanti, seguaci di Dioniso, ode il canto di Orfeo: in preda all’estasi dionisiaca, decise a punire Orfeo per il suo giuramento, lo uccidono e fanno a pezzi il suo corpo. Una pestilenza disastrosa si abbatte però sul paese: Apollo, irato per la perdita del fedele cantore, ordina come espiazione che venga costruito un tempio a Orfeo. La sua testa, che le onde del mare hanno portato fino all’isola di Lesbo, è ritrovata da un pescatore, e continuerà a dare vaticini per sempre, mentre la lira intonerà ancora un’armonia melodiosa.

L’orfismo

Collegato alla mitica figura di Orfeo è, in Grecia, l’orfismo, una delle esperienze più affascinanti e misteriose della religiosità antica. Più che un vero e proprio culto ufficiale, l’orfismo era un complesso di concezioni sulla natura, l’origine del mondo e il destino dell’uomo, nonché un modo di vita basato su comportamenti ritenuti eticamente giusti e puri (orphikòs bìos «vita orfica»).

Si trattava di una fede iniziatica e misteriosa, che cioè non si avvaleva di culti pubblici; solo pochi, infatti, venivano ammessi alla conoscenza e alla pratica dei riti religiosi. Gli orfici divenivano tali dopo un cammino di preparazione e di prove, e compivano i loro riti in disparte dalla comunità cittadina: per questo spesso erano oggetto di discriminazioni e disprezzo.

L’iniziato all’orfismo cercava con la divinità – in particolare con Dioniso – un rapporto individuale attraverso la lettura dei numerosi testi orfici che spiegavano la nascita del mondo e i precetti del culto. Doveva inoltre vivere secondo i precetti della natura: non poteva cibarsi di carne, perché credeva nella reincarnazione delle anime; non poteva, ugualmente, cremare il defunto. Doveva assicurarsi la salvezza dell’anima – un concetto che proprio con l’orfismo comincia a diffondersi fra i Greci d’età classica – attraverso rinunce e privazioni, rigore morale e purezza.

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