CROMWELL, Oliver

Enciclopedia Italiana (1931)

CROMWELL, Oliver

Philip CHESNEY YORKE
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Nacque il 25 aprile 1599 da Roberto Cromwell di Huntington e da Elisabetta Steward. Educato prima nella scuola libera di Huntington e nel Collegio Sidney Sussex di Cambridge, molto penetrati di spirito puritano, C. fece poi buoni studî di legge a Londra; dove tuttavia si faceva notare anche come grande giocatore e campione di foot-ball, di randello e di molti altri giochi sportivi. A 21 anni sposò Elisabetta, figlia di sir Giacomo Bourchier; e da allora visse a Huntington nella piccola tenuta ereditata dal padre, fino al 1628, quando fu eletto deputato di Huntington al parlamento. Iniziò la sua carriera politica facendo un discorso per protestare contro la propaganda di "basso papismo" di un vescovo; fu uno dei membri contumaci che si rifiutarono di obbedire all'ordine emanato dal re perché la camera si aggiornasse; si fece notare poi per la sua veemente e passionale difesa dei diritti dei comunisti di Huntington, di Ely e, più tardi, durante il Parlamento Lungo (Long Parliament) di St. Ives, opponendosi alle chiusure di terre di uso comune fatte dal conte di Manchester. Ormai l'atteggiamento politico e quello religioso di C. si erano fortemente delineati. Al pari di Giovanni Bunyan e di altri puritani, egli era passato attraverso un oscuro periodo di dubbî religiosi e di depressione, risoltosi poi in una "visione di luce" e in una fede entusiasta. Ma le sue "innovazioni religiose" incontrarono viva opposizione, tanto che nel 1631 pensò di emigrare in America, vendendo tutti i suoi beni. Invece, lo ritroviamo nel 1640 alla Camera dei comuni, come deputato di Cambridge; e in parlamento egli, insieme con i suoi cugini Hampden e St. John, diviene presto uno dei capi dell'opposizione, concentrando i suoi attacchi sulla questione religiosa e sostenendo anche l'abolizione dell'episcopato. Oratore, tuttavia, C. non era. Clarendon lo descrive in quei tempi come "una persona mancante di qualunque grazia, di qualunque ornamento nel discorso, mancante di tutti quei talenti che servono a conquistare le simpatie dei presenti".

La sua vera sfera d'azione non era pertanto nel parlamento. Difatti, solo allo scoppio della guerra, nel 1642, la sua grande abilità e il suo vigore di carattere apparvero chiaramente. Egli contribuì con denaro proprio, mandò armi a Cambridge, cooperò fortemente alla formazione della Eastern Association, un'unione fra le contee orientali, col sostegno delle quali poté far fronte all'avanzata dei realisti e in ultimo riportare vittoria a Winceby, impedendo la congiunzione delle forze realiste del nord e del sud. Successivamente, grande opera sua furono le riforme militari, consistenti non solo e non tanto nel migliorare la disciplina e l'istruzione tecnica, quanto e più nell'instillare nelle menti dei soldati l'idea della grande causa per la quale essi dovevano combattere, cioè la religione, laddove solo il sentimento della personale devozione al re ispirava le gesta dei cavalieri. E presto si dimostrò la superiorità dei suoi uomini nel combattimento. Le loro vittorie continue producevano il completo sfacelo del nemico. C. personalmente era non solo un grande comandante di cavalleria, la cui azione egli sviluppò dalla semplice mischia fino all'urto fra squadroni chiusi; ma un abile tattico, un sicuro condottiero dei suoi uomini, un acuto osservatore dello sviluppo generale d'una battaglia.

La sua influenza si accresceva così grandemente, non solo nella sfera militare, ma anche nei consigli del partito parlamentare. Come comandante in seconda, sotto il conte di Manchester, luogotenente generale della Eastern Association, servì nel nord durante il 1644: comandava la cavalleria a Marston Moor il 2 luglio 1644, dove mise in rotta le forze del principe Rupert e mutò una disfatta in una grande vittoria. Tuttavia una larga divergenza di vedute politiche ostacolò il progresso delle armi parlamentari. Manchester e il partito moderato, compresi i presbiteriani e gli Scozzesi, desideravano di concludere la pace ed erano contrarî ai settari indipendenti. La camera dei comuni, però, in ultimo diede il suo appoggio a C., e decise ancora il proseguimento della guerra. C., mandato col suo reggimento nell'est, verso Oxford ed Fly, contribuì molto con la sua presenza ai successi dei parlamentari, specialmente alla battaglia decisiva di Naseby, dove egli, comandante l'ala destra, mise in rotta completa i realisti. Eseguì poi alcune operazioni fortunate nell'est dell'Inghilterra e si trovò con Fairfax alla resa di Oxford, che segnò la fine della guerra civile. Gli furono rese grazie dal parlamento e donati, in compenso, i beni del marchese di Worchester; ed egli si trasferì da Ely a Londra.

Alla vittoria militare seguiva però una crisi interna nel campo dei vincitori. Il contrasto verteva fra l'esercito, sostenitore dell'indipendenza religiosa, e il presbiterianismo, appoggiato dal parlamento e dagli Scozzesi, i quali ultimi poi negoziavano per la restaurazione del re. Il congedo delle truppe, proposto dal parlamento, significava chiaramente il concentramento del potere in quest'ultimo e metteva in pericolo tutti i risultati della guerra. L'esercito protestò, rifiutando di essere congedato. Sulle prime, C. consigliava moderazione e obbedienza al parlamento. Ma in ultimo egli si dichiarò d'accordo con l'esercito il quale, avendo in suo potere il re, che gli era stato consegnato dagli Scozzesi, marciò su Londra. Il parlamento cedette; e l'esercito, insieme con C., presentò al re moderate condizioni di accordo (i famosi "capi delle proposte", heads of the proposals). Ma il re le respinse, come respinse anche le condizioni presentategli più tardi: giacché la sua politica consisteva non nell'accomodamento delle questioni, ma nei simultanei negoziati con l'esercito e col parlamento, per trar partito delle loro reciproche ostilità e per ottenere la restaurazione dei suoi pieni poteri sovrani (v. Carlo 1 re d'inghilterra).

I dirigenti dell'esercito chiedevano un'immediata risoluzione delle questioni per mezzo della forza; mentre gli estremi repubblicani presentavano il Patto del popolo (agreement of the people), che già preannunciava Rousseau. Ma C. dichiarò che questi astratti principî erano atti a produrre "sempre maggiore confusione" e a "fare l'Inghilterra simile alla Svizzera". Egli, che si proponeva anzitutto d'instaurare la legge e l'ordine col creare un'amministrazione non teoricamente perfetta ma generalmente accettabile e praticabile, era pronto invece ad afferrare qualunque cosa "che avesse l'aspetto di autorità", piuttosto che non possederne alcuna.

Intanto, Carlo era fuggito da Hampton Court al castello di Carlsbrooke, sull'isola Wigth, continuando a condurre i suoi negoziati separatamente con l'esercito, col parlamento e con gli Scozzesi. L'accordo intervenuto con questi ultimi, questo "tentativo di renderci vassalli di una nazione estera", pare decidesse C. a troncare tutte le trattative col re e metter da parte tutti i piani di restaurazione regia. La sua posizione era in questo tempo estremamente difficile. La politica di accomodamento che egli perseguiva non contentava tutti i partiti e appariva sospetta; nell'esercito scoppiò un ammutinamento; egli fu accusato di alto tradimento; né mancarono congiure per assassinarlo. Egli cadde gravemente malato. In quel mentre (primavera 1648) scoppiava la seconda guerra civile. I realisti presero le armi dappertutto, la flotta si dichiarò per il re, gli Scozzesi invasero l'Inghilterra. C., lasciata Londra in maggio, sconfisse i realisti nel Galles, si rivolse contro gli Scozzesi, sconfisse Hamilton a Preston e a Warrington, stabilì un nuovo governo a Edimburgo. Ma, al suo ritorno a Londra, il parlamento era di nuovo in trattative col re. C. si unì, quindi, al partito dell'esercito e appoggiò la Remonstrance, in cui si domandava la punizione del re. Nel dicembre, le truppe occuparono Londra, e il colonnello Pride "ripulì" la Camera dei comuni, espellendo i presbiteriani e quanti erano ancora sostenitori della monarchia. Risultarono inutili ulteriori tentativi di accordarsi con Carlo, ostinato nel non transigere sui diritti della monarchia e della chiesa. Di qui il processo al re, la sua condanna, la sua esecuzione capitale il 30 gennaio 1649.

C. fu, senza dubbio, lo spirito animatore di questo dramma. Egli era andato convincendosi che il re fosse un ostacolo insormontabile alla creazione di un governo stabile, e che perciò si dovesse eliminarlo. Era persuaso che un atto di tal genere sarebbe stato ricordato "con venerazione" dai cristiani dei tempi avvenire, temuto da tutti i tiranni del mondo. Ma, con tutto ciò, è difficilmente giustificabile il processo fatto a un sovrano che, fonte egli stesso di giustizia, non poteva essere accusato di nessun delitto, che non aveva commesso nessuna colpa riconosciuta dalla legge, e che, per giunta, fu condannato non da un tribunale legale, ma da un comitato formato di suoi nemici. Il fatto poi di aver negoziato con lui impediva che gli si potesse far carico di colpa. A parte queste argomentazioni giuridiche, il processo era ben lontano dall'esprimere la volontà della nazione; tanto che re Carlo, considerato in vita come un distruttore dei diritti e delle libertà nazionali, divenne dopo la sua morte un martire, immolatosi per essi; mentre a C. toccò la fama di apostolo di violenza e di autocrazia. L'esecuzione del re apparve come la soluzione sommaria di un gran problema; ma, all'atto pratico, creò più difficoltà di quel che ne avesse appianate. Probabilmente, da questo momento l'edificio di governo abbozzato da C. fu destinato a finire nella restaurazione della monarchia degli Stuart, cioè nell'insuccesso.

Nell'autunno del 1649, C. lasciò Londra, per domare i realisti in Irlanda. Prese Drogheda e vi passò per le armi tutti i difensori, giustificando questa crudeltà come rappresaglia per quel che avevano fatto gl'Irlandesi nella sollevazione del 1641 e come mezzo per prevenire maggiore spargimento di sangue. Scene di questo genere ebbero luogo anche più tardi, a Wexford. C. ebbe altri successi; ma fu sconfitto poi a Waterford. Ritornato in Irlanda nell'anno seguente, egli continuò la sottomissione dell'isola, completata poi da suoi generali nel 1652. All'Irlanda fu imposto un regime (plan of settlement) severo. Ai cattolici romani si tolsero due terzi delle loro terre, che furono spartite fra i soldati di C., fra i creditori del governo e nuovi colonizzatori; la religione cattolica romana fu interamente soppressa, lasciando ai suoi seguaci come unica libertà quella di coscienza. Queste misure, unite con l'educazione, "con l'assidua predicazione di umanità, di vita buona, del modo di agire equo e onesto verso gli uomini di opinione diversa", dovevano, secondo C., rendere l'Irlanda un paese pacifico, protestante e prospero. Non si può negare che la giusta applicazione della legge, il mantenimento dell'ordine e l'unificazione degl'interessi irlandesi con quelli dell'Inghilterra, il fatto che il commercio dell'Irlanda godesse eguali diritti e privilegi e che i deputati irlandesi risiedessero nel parlamento a Westminster fossero tutti dei vantaggi grandi; ma essi erano ben poco estesi agl'Irlandesi e ai cattolici romani, e l'unione politica e commerciale con l'Inghilterra finì con la restaurazione. L'ordinamento del territorio fatto da C. rimase, modificato dalla restaurazione; ma che non avesse interamente corrisposto alle speranze e previsioni di C. si può vedere dalla susseguente storia politica e sociale dell'Irlanda.

Nel 1650, C. si recò in Scozia per completare la sottomissione dei realisti: a Dunbar, dopo essere per poco sfuggito a una sconfitta, egli riportò una grande vittoria su Alessandro Leslie; nel 1651, dopo aver preso Perth, si diresse verso sud inseguendo Carlo II Stuart, e lo sconfisse il 3 settembre a Worchester, ponendo così fine alla guerra civile. L'ordinamento stabilito in Scozia, che non richiedeva le misure severe applicate in Irlanda, concedeva il libero commercio fra i due paesi e una rappresentanza scozzese nel parlamento inglese; pochi beni furono confiscati al partito vinto. Nel 1658, C. poté presentare le sue felicitazioni al parlamento per le migliorate condizioni della Scozia; ma il governo che vi si era formato non godeva popolarità, viveva solo perché sostenuto dall'esercito e disparve con la restaurazione.

Il 12 settembre 1651, C., ritornava trionfalmente a Londra. Ma gli si presentava ora un compito ben più difficile a risolvere che non le campagne militari: quello cioè di governare per mezzo delle leggi e del parlamento. Ed egli ben presto dovette accorgersi di tutte le difficoltà di un governo parlamentare. Il Parlamento Lungo, che ancora teneva le sue sedute, non rivolgeva troppa attenzione alle riforme amministrative proposte da C., ed era esclusivamente preoccupato di attirare nelle sue mani il potere civile dello stato. Così, il 20 aprile 1651 C. apparve nella Camera e, dopo aver coperto i suoi membri dei più aspri rimproveri e ingiurie, fatto entrare un corpo di soldati, fece espellere il presidente e i membri, ordinò a un soldato di portar via la mazza, "quell'oggetto da nulla", e chiuse le porte. L'altro parlamento, il "Piccolo" o "Barebone" (dal nome di uno dei suoi membri che significa "scheletro") del 1653, non ebbe sorte migliore. C. era ormai l'unica autorità nello stato. Ma egli accettò un nuovo progetto di governo, tracciato da uno dei suoi funzionarî, il cosiddetto instrument of government (strumento del governo), il quale offre l'esempio più antico (e l'unico esistente nella storia inglese) di un governo stabile. Secondo il progetto, C. era nominato lord protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda, con un consiglio che limitava i suoi poteri esecutivi e un parlamento non limitato dal suo veto, a meno che non violasse la costituzione. Da allora fino alla convocazione del primo parlamento del protettorato (settembre 1654), il potere legislativo rimase a C. e al consiglio. Fu un periodo ricco di attività legislativa, sia intorno a questioni amministrative, sia intorno alle elezioni parlamentari e a cose riguardanti l'educazione, sia intorno alla chiesa, che C. considerava un'istituzione nazionale, ora però strettamente puritana. Il clero anglicano era infatti privato di tutti i suoi benefizî e non era permessa alcuna libertà di culto, né agli anglicani né ai cattolici romani: contro questi ultimi furono anzi fatte leggi di grande severità. È probabile, tuttavia, che una gran parte di simili leggi severe non entrasse mai in vigore o solo in parte: C., personalmente, era incline alla tolleranza e alla moderazione, eccetto nei casi dove era in pericolo la sicurezza del governo. Così furono favoriti gli ebrei e i quaccheri, essendo stato permesso ai primi di ristabilirsi e di commerciare in Inghilterra e di praticare la loro religione privatamente. Sembra in complesso che la tolleranza religiosa fosse praticata allora in Inghilterra più largamente che nei tempi che precedettero e seguirono il protettorato di C.

Nella politica estera, C. moveva soprattutto dal programma di sostenere e restaurare la religione protestante, di sostenere e restaurare il commercio inglese e d'impedire che gli Stuart riconquistassero il loro potere con l'aiuto estero. Il rifiuto della Francia di mitigare le severe misure applicate agli ugonotti fu causa di una guerra con questo paese; le rivalità commerciali provocarono le ostilità con l'Olanda nel 1652, che furono segnate dalla disfatta della flotta olandese. In seguito ad essa, l'Olanda dovette accettare il Navigation Act, che colpì a fondo il commercio marittimo degli Olandesi e fece riconoscere la supremazia della bandiera inglese. Furono inoltre conclusi varî trattati con stati protestanti (Svizzera e Danimarca) e uno anche col Portogallo, che permise il commercio con le colonie portoghesi e liberò i sudditi inglesi nelle colonie portoghesi dall'inquisizione. Nel 1654, la flotta inglese partì per le Indie Occidentali con l'ordine di attaccare tanto le colonie spagnole quanto le forze navali francesi, mentre Blake manteneva la supremazia della bandiera inglese nel Mediterraneo, e concludeva un accordo col bey di Algeri. Il successo di C. fece sì che le due grandi potenze cattoliche, la Francia e la Spagna, gareggiassero per ottenerne l'alleanza. C. si decise a favore della Francia e il 24 ottobre 1655 firmò il trattato di Westminster che, oltre agli articoli riguardanti il commercio, conteneva una clausola per cui Luigi XIV si obbligava a espellere gli esiliati realisti e farsi chiamare re dei Francesi e non re di Francia (al qual titolo da tempo pretendevano i sovrani inglesi). Nel '57 C. concludeva con la Francia il trattato militare di Parigi: per esso egli fornì uomini e navi al fine di attaccare, insieme con la Francia, la Spagna nelle Fiandre, avendone in compenso Mardyke e Dunkerque.

La politica mondiale che C. cercava di attuare lo mise in contatto ripetutamente con l'Italia e con gl'Italiani. Nel Mediterraneo C. volle sempre la presenza di una squadra navale inglese che intimidisse gli stati italiani e li tenesse perciò lontani da troppo evidenti contatti con la Spagna. I rapporti di C., in particolare con la repubblica di Genova, furono sempre cordiali e intensi; e di essi fu efficace elemento di diuturna collaborazione un mercante genovese, Francesco Bernardi, residente a Londra e amico personale di C. Il Bernardi, agente consolare della repubblica di Genova, serviva la sua patria, assicurandole col proprio prestigio personale presso C. un posto preminente nel pensiero e nelle preferenze del protettore.

Ma soprattutto la politica religiosa di protezione dei riformati di tutto il mondo, alla quale s'ispirava l'azione di C., provocò un intervento diretto, vivace e ripetuto nelle cose d'Italia. Nel 1655 un decreto di certo Gastaldo, governatore civile in nome di Carlo Emanuele II duca di Savoia, ordinava ai Valdesi dimoranti in Piemonte di andare ad abitare entro tre giorni dalla data del decreto (che era del 25 gennaio) in quattro piccoli paesi delle valli del Pellice e dell'Angrogna. La crudeltà del provvedimento destò proteste nel mondo riformato; e C. intervenne richiamando il governo francese perché provvedesse a far revocare dal duca di Savoia il provvedimento e a far cessare la persecuzione, inaspritasi per la resistenza dei Valdesi. Ma poiché neppure l'intervento del re di Francia parve efficace, C. diede ordine alla flotta inglese, che al comando di Blake incrociava nel Tirreno, di presentarsi davanti a Savona (terra del duca di Savoia) a intimare la revoca dei provvedimenti contro i Valdesi. Questo intervento di C. e le proteste della Svizzera, dell'Olanda, del Palatinato, indussero il duca di Savoia a concedere leggi di tolleranza religiosa ai Valdesi. C. nell'ultima fase di queste trattative aveva mandato a Torino un suo ambasciatore, lord Morland, a fare un'inchiesta sui luoghi e a portare soccorsi alle vittime delle persecuzioni religiose.

In questo periodo, C. rafforzava dunque le basi dell'impero inglese. Ché se in Europa prezioso doveva apparire l'acquisto di Dunkerque, fuori d'Europa assai maggiori erano i guadagni. Nelle Indie Occidentali, le colonie olandesi e spagnole venivano, tutte, attaccate. Sola conquista duratura fu quella della Giamaica (1655); ma il predominio marittimo spagnolo venne duramente colpito. Il Blake catturò una flotta spagnola di 16 navi a Santa Cruz in Tenerifa. Anche nell'America Settentrionale, gli Olandesi dovevano abbandonare Nuova Amsterdam (Nuova York) agl'Inglesi; e nelle Indie Orientali, con la pace di Westminster (1654), l'isola di Pulo Run. Ma fu soprattutto con il celebre Navigation Act del 1651 che C. battè le vie della futura grandezza inglese. Con esso, egli riservava alle navi inglesi l'importazione delle merci coloniali in Inghilterra, mentre l'importazione delle merci estere verso le colonie era limitata ai prodotti del paese d'esportazione. Un simile provvedimento doveva unire le colonie all'Inghilterra e costituiva il primo atto legislativo che trattasse le colonie come un intero; ma costituiva altresì un possente incentivo allo sviluppo della marineria inglese. Chiaro indice della coscienza imperialistica di C. è la proposta da lui fatta nel 1653 all'Olanda di spartire fra i due stati il territorio del mondo fuori dell'Europa.

Tuttavia i propositi di C. non erano esclusivamente volti al mantenimento degl'interessi e della potenza britanniche; o, per meglio dire, la sua volontà di affermazione nel mondo non era solo dettata da interessi politici. L'Inghilterra, per C., doveva infatti intervenire dovunque, per proteggere gli oppressi e per sostenere la "vera religione". Era una specie di missione divina da assolvere, che all'atto pratico serviva assai bene anche gl'interessi nazionali, ma che moveva da profondi presupposti religiosi. "Dio ci ha mandati qui per vedere che cosa possiamo fare nel mondo, come anche in casa nostra". Idee, d'altronde, sostenute da grandi scrittori e poeti, come Milton e Waller, che salutava in C. "il protettore del mondo".

Non fu però quella di C. politica dal pieno, immediato successo. I commercianti di Londra rimpiangevano la perdita del loro commercio con la Spagna e consideravano come la loro vera nemica l'Olanda, rivale nei commerci. L'alleanza con la Francia contribuì inoltre ad aumentare l'ascendente della Francia in Europa, per cui gl'interessi dell'Inghilterra furono messi in pericolo. E anche la politica religiosa di C. fu esposta all'insuccesso. Le potenze protestanti del nord erano in disaccordo fra di loro e seguivano motivi diversi da quelli religiosi. Però, per quanto sbagliati i principî della politica di C., e per quanto poco fortunata essa nei suoi risultati, i generosi motivi di C., la sua organizzazione delle risorse nazionali e la grande e potente posizione in cui egli portò il suo paese furono oggetto di universale elogio e ammirazione.

All'interno, la situazione non era stata priva di difficoltà. Il parlamento del protettorato, riunitosi nel settembre del 1654, s'era dimostrato ostile come le precedenti assemblee ed era stato sciolto. Ma pericoli di ogni genere si opponevano sempre al governo di C. I realisti e gli scontenti si sollevavano, i giuristi contrastavano la legalità dei suoi decreti, i mercanti si rifiutavano di pagare i dazî. Si attentò anche alla sua vita. C. si vide così spinto per forza verso un governo arbitrario. Egli ripudiò la Magna Charta, e ne parlò in termini talmente grossolani che non possono essere riferiti a lettori moderni. Incaricò dei giudici subordinati di eseguire i suoi decreti, e fece confiscare le carte municipali, privando del voto i borghesi che si mostravano ostili al suo governo. I realisti e i cattolici romani venivano trasportati nelle Indie Occidentali. Tutto il paese fu posto sotto l'autorità di 12 generali-maggiori, che dovevano applicare la legge marziale e che venivano stipendiati mediante un'imposta gravante sulla nobiltà realista. Una vera e propria tirannia militare, dunque, che era anzi più dura dell'amministrazione arbitraria di Carlo e che cominciò a sollevare un'eguale ostilità e opposizione nel paese. Un nuovo parlamento convocato nel 1656, benché fossero stati esclusi da esso 110 membri non favorevoli al governo, si fece portavoce del malcontento e dell'indignazione della nazione. In questi momenti critici, fu presentata, nel febbraio del 1657, la Remonstrance e la Petition and Advice, che, pur proponendo un nuovo progetto di governo, offriva la corona a C. Se C. avesse accettato, egli avrebbe dato una nuova forza alla sua autorità e al suo potere, e in particolare avrebbe salvato i suoi seguaci da qualunque possibile accusa di alto tradimento. Ma, dopo molte esitazioni, egli in ultimo rifiutò la corona, probabilmente per l'opposizione incontrata presso gli ufficiali del suo esercito. Più tardi, però, accettò la Petition, col titolo di Protettore e con poteri di un sovrano costituzionale, avendo sotto il suo comando l'esercito e avendo il diritto di nominare, con l'approvazione del parlamento, i membri del consiglio e della nuova seconda Camera. Ma, continuando il parlamento nella sua opposizione e negli attacchi contro l'amministrazione, il 4 febbraio 1658 C. lo sciolse con le parole: "che Dio sia giudice fra me e voi". Era ormai nella stessa situazione di Carlo I, quando Strafford gli aveva detto: "Il Parlamento si rifiuta, voi siete assolto davanti a Dio e agli uomini".

Ma ormai C. era presso al fine della sua opera. Dispiaceri di famiglia, sforzi fatti a lungo nel governare, responsabilità avevano esaurito le sue forze. E il 3 settembre 1658, proprio nel giorno anniversario delle vittorie di Dunbar e di Worchester, egli morì rassegnato, con la coscienza di aver compiuto la sua opera, "usando varie espressioni sante", come racconta uno dei presenti, esprimendo molta consolazione interiore e pace", insieme "con parole di estrema umiltà, di annichilimento e di condanna di sé stesso". Fu sepolto nell'abbazia di Westminster, e il suo funerale fu fatto con grande solennità. Dopo la restaurazione, nell'anniversario della morte di Carlo I, il suo corpo fu dissotterrato, trascinato a Tyburn e, in mezzo all'esecrazione del popolo, appiccato a una forca, ai piedi della quale fu poi di nuovo sotterrato, mentre la sua testa fu esposta nel Westminster Hall. Nel 1899, gli fu eretta una statua a Westminster.

L'insuccesso di C. nel costruire un sistema di governo stabile, gli errori e perfino i delitti del suo governo non devono oscurare e far dimenticare la larghezza delle sue vedute, la profondità dei suoi motivi religiosi e la sincerità del suo patriottismo. Pochi uomini di stato hanno riunito nella loro persona così completamente e con tale forza il lato ideale con quello pratico; pochi anche sono stati così discussi. Clarendon vide in lui "un cattivo uomo, coraggioso e fornito di tutte le malvagità, per le quali era pronto il fuoco dell'inferno". Invece Gardiner lo definisce "un tipico inglese". È certo che l'accusa mossagli di ipocrita ha ben poco fondamento. Profondamente sincera la sua fede religiosa, che gli faceva vedere l'intervento di Dio in ogni cosa: naturale quindi e sincero il suo linguaggio biblico, che ora sembra affettato. Si deve comunque escludere che l'ambizione sia stata il motivo dominante della sua vita. Altri grandi uomini, obbligati a lasciare la loro posizione e il potere politico, non avranno forse espressi i loro veri pensieri quando andavano esaltando il delizioso incanto dei campi e delle fattorie; ma C. fu senza alcun dubbio sincero nel dichiarare: "Posso dire in presenza di Dio, in confronto del quale non siamo che delle misere formiche striscianti per terra, che io avrei preferito di vivere in mezzo ai boschi, di pascolare un gregge di pecore, invece di assumermi un governo come questo". Fisicamente, secondo quel che ne dice il suo maggiordomo John Maidstone, era un uomo "di complessione tozza e forte, di statura sotto a sei piedi (credo di due pollici), e con una testa che sembrava essere un vero magazzino. Era di temperamento caldissimo, come io ebbi occasione di vedere, ma il suo fuoco... era per lo più tenuto nascosto; era invece di straordinaria tenerezza verso i sofferenti. Un'anima più grande della sua rare volte ha dimorato in un corpo terreno".

C. lasciò due figli: Richard, che gli succedette nella dignità di Protettore, e Henry. Gli altri due, Robert e Oliver, morirono prima di lui: l'ultimo mentre si trovava nel reggimento di suo padre. Lasciò anche quattro figlie: Bridget, maritata successivamente coi generali Preton e Fleetwood; Elizabeth, maritata con Giovanni Claypole; Mary, con Tommaso Belasyse, lord Fauconberg, e Frances, maritata prima con sir Roberto Rich e dopo con sir Giovanni Russell. Oliver C. di Cheshunt, morto nel 1821, è stato l'ultimo discendente del protettore; ma per mezzo dei suoi figli Henry, Bridget e Frances egli ha numerosi discendenti di linea femminile nei tempi attuali.

Bibl.: Enorme la letteratura su C. Una lista di biografie antiche si trova in Dictionary of National Biography, e per la bibl. v. W. C. Abbott, A bibliography of O. C., Cambridge 1927. La vasta History of the Rebellion and civils wars in England, voll. 3, Oxford 1702-04, di Clarendon offre il punto di vista dei realisti contemporanei. L'opinione moderna è stata invece quasi universalmente favorevole a C., avversa a Carlo I. Di questi lavori i più importanti sono: S. R. Gardiner, History of England from the accession of James I to the outbreak of the civil war, 1603-92, voll. 10, Londra 1883-84; id., History of the Great civil War, 1692-99, voll. 3, Londra 1886-91; id., History of the Commonwealth and Protectorate, voll. 3, Londra 1894-1901 (nuova ed. 1903, a cura di C. H. Firth, con aggiunte); id., Cromwell's place in history, Londra 1897; C. H. Firth, Cromwell, 1900, forse il più ricco di contenuto fra tutti; J. Morley, O. C. 1904; F. Harrison, O. C., 1903. Si può aggiungere: F. Guizot, Histoire de la Révolution d'Angleterre, Bruxelles 1850; L. V. Ranke, Englische Geschichte, Berlino 1859-69; D. Masson, Life of Milton, 1857-80 (dove vengono trattate questioni particolari); A. Frederick, The Interregnum, 1891, l'aspetto legale dell'amministrazione di C.; W. Shaw, History of the English Church during the Civil War, 1900; J. N. Bowman, The Protestant Interest in Cromwell's Foreign Relations, Heidelberg 1900; L. Wolf, Cromwell's Jewish Intelligencer, 1891; id., Menasseh Ben Israel's mission to O. C., Londra 1901; id., Crypto-Jews under the Commonwealth, 1895; G. Jones, The Diplomatic Relations between C. and Charles X Gustavus of Sweden, Lincoln (Nebraska) 1897; M. Nobel, Memoirs of the Proctetorate House of C., 1784; O. Cromwell (il suo ultimo discendente maschile), Memoirs of the Protector, Londra 1820; T.S. Baldock, C. as a Soldier, Londra 1899; C. H. Firth, Cromwell's Army, 3ª ed., Londra 1921; M. Oppenheim, Administration of the Royal navy, Londra 1896; un prezioso contributo per la conoscenza del carattere di C. vien dato in: T. Carlyle, Letters and Speechs of O. C., pubblicato da S. C. Lomas con una prefazione di C. H. Firt (1904). La politica economica di C. è studiata con larghezza dal Mazzei, Politica economica internazionale inglese prima di A. Smith, Milano 1924. Fondato su buon numero di documenti inediti è il lavoro di E. Momigliano, Cromwell, Milano 1928. Cfr. anche J. Drinkwater, O. C., Londra 1929; E. Bernstein, C. und Kommunismus, Berlino 1929; M. James, Soc. problems and policy during the puritan revolution, Londra 1930; E. Momigliano; Francesco Bernardi, mercante genovese amico di C., Genova 1929; utile anche, per un primo orientamento, B. Revel, Storia di Cromwell, Roma 1930.

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