Olimpiadi invernali: Oslo 1952

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi invernali: Oslo 1952

Gian Paolo Ormezzano

Numero Olimpiade: VI

Data: 14 febbraio-25 febbraio

Nazioni partecipanti: 30

Numero atleti: 694 (585 uomini, 109 donne)

Numero atleti italiani: 33 (28 uomini, 5 donne)

Discipline: Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico

Numero gare: 22

Ultimo tedoforo: Eigil Nansen

Giuramento olimpico: Torbjorn Falkanger

Nati senza l'appoggio delle nazioni scandinave, gelose dei loro Giochi Nordici, le Olimpiadi invernali arrivarono in Scandinavia soltanto dopo quattro edizioni sulle Alpi e una negli Stati Uniti. La scelta di Oslo, capitale della Norvegia che sin lì aveva vinto tutte le classifiche per nazioni, fuorché quella del 1932 capeggiata dagli Stati Uniti, coincise con l'innovazione dell'accensione della fiamma olimpica durante la cerimonia d'apertura: il fuoco della fiaccola anziché a Olimpia, in Grecia, come accadeva per i Giochi estivi, fu prelevato a Morgedal, 220 km da Oslo, nel distretto di Telemark, nella casa natale di Sondre Nordheim, grande sciatore, inventore fra l'altro della tecnica di discesa o meglio ancora di curva chiamata appunto telemark. Dopo poco più di due giorni di 'viaggio', la fiaccola giunse allo stadio Bislet di Oslo, una delle cattedrali dello sport mondiale, in quanto sede anche del meeting annuale di atletica, portata nell'ultima frazione da Eigil Nansen, nipote del famoso esploratore Fridtjof Nansen.

La cerimonia dell'accensione avvenne alle 10 del 13 febbraio 1952. I Giochi ebbero inizio il giorno dopo, ma la cerimonia inaugurale ebbe luogo soltanto il giorno 15, preceduta dallo svolgimento delle due prime manche del bob a due e dallo slalom gigante femminile. Furono i primi Giochi organizzati in una grande città e Oslo rispose riempiendo con i suoi cittadini i posti delle gare, specialmente lo stadio del salto a Holmenkollen, nel cuore di un parco a sua volta nel centro della città, offrendo così alle competizioni olimpiche invernali il più imponente concorso di folla visto sino ad allora. Alla fine si contarono 514.407 spettatori paganti, molti dei quali si trasferirono da Oslo nei luoghi abbastanza eccentrici delle gare di sci alpino. Se lo slalom speciale si svolse infatti a Rodkleiva, nella lontana periferia della capitale, per lo slalom gigante e la discesa si dovettero cercare piste adatte a Norefjell, 120 km da Oslo.

Nacque così una nuova dimensione, diciamo cittadina, dei Giochi invernali, ospitati nelle edizioni precedenti da località del grande turismo. Si deve precisare che per l'edizione successiva si tornò alle origini scegliendo Cortina d'Ampezzo, in Italia, e che soltanto più avanti ‒ con Grenoble 1968 ma più ancora Sapporo 1972, Calgary 1988, Salt Lake City 2002 e prossimamente Torino 2006 e Vancouver 2010 ‒ si è scelta la via del grande centro urbano come piattaforma della manifestazione. Oslo ebbe anche la fortuna del clima bellissimo per tutta la durata dei Giochi, peraltro con qualche problema di scarso innevamento. Situazione rara in Norvegia, che però si replicò quando, nel 1994, prima edizione dei Giochi 'sfasata' di due anni rispetto a quelli estivi, la manifestazione tornò in quel paese, nel piccolo centro di Lillehammer.

Il programma di Oslo 1952 fu quasi lo stesso di St. Moritz 1948: in meno lo slittino chiamato skeleton, quello dell'italiano Nino Bibbia prima medaglia d'oro invernale azzurra; in più una prova di fondo per le donne, sui 10 km, nella quale la Finlandia piazzò tre sue sciatrici ai primi tre posti. La grande sfida fu in effetti quella fra norvegesi e finlandesi, in mezzo alle attenzioni di un pubblico molto competente e straordinariamente partecipe, almeno per le prove di sci nordico e di pattinaggio. Questo non significò trascuratezza nei riguardi dello sci alpino, le cui gare furono, sia pure con un certo sforzo, bene accompagnate da attenzioni e persino entusiasmi popolari. Come quelli per il trionfatore della discesa libera, l'italiano Zeno Colò, che due anni prima, ai Mondiali di Aspen, in Colorado (USA), aveva vinto l'oro della discesa, definita allora libera, e dello slalom gigante: nella prima gara aveva dato un distacco di 1,3″ al francese James Couttet, nella seconda aveva staccato di 0,8″ (allora non si misurava il tempo in centesimi di secondo) lo svizzero Fernand Grosjean. Da notare che per lo slalom gigante si trattava, in quel di Aspen, della prima apparizione nel programma iridato. Inoltre Colò, che non era certamente un acrobata fra i paletti, aveva conquistato sulle nevi del Colorado anche l'argento nello slalom speciale, dove era stato sconfitto per appena 3 decimi dallo svizzero Georg Schneider.

Sulle piste norvegesi il non ancora trentaduenne Colò, montanaro dell'Abetone di pochissime parole, di carattere così introverso da apparire spesso ombroso, mostrò la sua superiorità sul resto del mondo audace dei discesisti, dando 1,2″ all'austriaco Othmar Schneider, e fu quarto nello slalom sia speciale sia gigante. Venne ovviamente definito il più grande di sempre. La sua omologa nello sci alpino fu l'americana Andrea Mead Lawrence (suo marito, David Lawrence, era gigantista della squadra statunitense, ma finì appena trentacinquesimo). Andrea, detta Andreina, fu prima in slalom speciale e in slalom gigante, mentre venne tradita nella discesa, in quella che teoricamente doveva essere la sua gara più sicura, da una caduta che propiziò il successo dell'austriaca Trude Jochum Beiser. Dopo Oslo Colò dovette fronteggiare non solo la popolarità, che dato il suo carattere da 'orso' gli procurava quasi una sofferenza fisica nelle interviste, ma anche una 'grana' pubblicitaria in qualche modo legata alla sua notorietà: l'ipocrisia olimpica che voleva gli atleti dilettanti a ogni costo provocò la sua squalifica perché una marca di scarponi usò il suo nome per propagandare i suoi prodotti. E dire che due anni prima, ad Aspen, un fiume d'oro aveva sfiorato lo sciatore italiano, quando erano fioccate le offerte da parte di tanto mondo dello sci per il brevetto della soletta dei suoi strumenti di lavoro, dei suoi 'legni' come si diceva allora: un nuovo materiale chiamato celloflex. La ditta di Pisa titolare del brevetto stesso non seppe fronteggiare l'enorme richiesta di produzione e la grande opportunità sfumò, lasciata indietro da altre novità di mercato.

I norvegesi, entusiasti e vellicati in quei Giochi nell'orgoglio nazionale dai successi nello sci nordico, per loro l'unico vero sci, dopo tanta avversione nei riguardi delle specialità alpine, ritenute profane rispetto al fondo, avevano dovuto 'accettare' di avere un grande campione di slalom, Stein Eriksen, prodigio di stile funzionale, di eleganza efficace. Favoritissimo nello speciale, per 1,2″ mancò la medaglia d'oro, vinta dall'austriaco Schneider (terzo un altro norvegese, Guttorm Berge), ma riuscì a rifarsi nello slalom gigante su un altro austriaco, Christian Pravda, staccato di quasi 2″. Prima medaglia d'oro norvegese anzi scandinava nello sci alpino, Eriksen dunque fu anche lui personaggio, con Colò e con altri, uomini e donne, di una specialità poco amata dai locali. Da ricordare anche, fra le donne, la tedesca Annemarie Buchner, che si aggiudicò tre medaglie nelle tre prove: l'argento nella discesa dietro a Trude Jochum-Beiser e davanti all'italiana Giuliana Minuzzo, il bronzo nei due slalom. Da qualche stagione Annemarie era la migliore sciatrice del mondo, ma ai Giochi Olimpici del primo dopoguerra, quelli di St. Moritz 1948, la sua nazione, la Germania sconfitta, non aveva ricevuto dal CIO l'invito a partecipare.

Se le piste dello sci alpino furono fiancheggiate da un pubblico anche di 30.000 spettatori, quelle dello sci nordico richiamarono in pratica tutta la città di Oslo, coinvolta per intero, nel centro come in periferia, dai tracciati delle varie prove di fondo. Ma soprattutto fu seguito il salto, per il quale, nel parco di Holmenkollen, furono venduti 150.000 biglietti di accesso alla zona intorno al trampolino.

Per tutta questa gente locale emozionata, commossa, appassionata, entusiasta, sportivissima, ci furono tre giorni straordinari: il 17, 18 e 19 febbraio allo stadio Bislet il ventinovenne norvegese Hjalmar Andersen vinse tre medaglie d'oro nel pattinaggio di velocità, sui 1500, 5000 e 10.000 m, ripetendo il risultato altrettanto formidabile del suo connazionale Ivar Ballangrud negli ultimi Giochi prima della guerra, quelli di Garmisch-Partenkirchen. Andersen stabilì i nuovi primati olimpici in tutte e tre le gare, e sui 10.000 m diede addirittura 25″ di distacco al secondo, l'olandese Kees Broekman, che qualcuno aveva osato presentare come favorito sino a che, una settimana prima della gara olimpica, Andersen aveva stabilito il nuovo record mondiale sulla distanza con 16′32,6″ (ai Giochi impiegò 16′45,8″). I norvegesi applaudirono comunque anche gli statunitensi Kenneth Henry e Donald McDermott, primo e secondo sui 500 m.

Nelle gare di fondo i padroni di casa dovettero subire la fortissima concorrenza degli altri scandinavi e dei finlandesi. Il duello interno fra scandinavi puri, svedesi e norvegesi, fu vinto da questi ultimi. La Norvegia cominciava a risentire del miracolo economico svedese, al quale opponeva una vera o presunta sanità fisica e magari anche morale dei suoi abitanti, estrinsecata proprio attraverso lo sport, che premiava chi non cedeva alle lusinghe del benessere, alle mollezze dello stato assistenzialista. Dominatrice olimpica nel 1948 a St. Moritz, dove aveva conquistato le tre medaglie d'oro del programma, la Svezia a Oslo dovette limitarsi a una medaglia di bronzo. La Finlandia vinse molto e bene, dominando, come si è detto, la nuova prova femminile di fondo sui 10 km, con tre atlete ai primi tre posti, e imponendosi nella massacrante 50 km maschile, con Veikko Hakulinen e Eero Kolehmainen oro e argento, e nella staffetta. I norvegesi vinsero tra gli uomini la 18 km con Hallgeir Brenden, davanti a tre finlandesi, e furono secondi nella staffetta. Ma nella combinata nordica, fondo più salto, Simon Slåttvik restituì al suo paese la supremazia interrotta nel 1948 dal finlandese Heikki Hasu, per il quale a Oslo non bastò una strepitosa rimonta nella prova di fondo, dopo avere troppo patito in quella di salto il grande avversario. Nel salto due norvegesi ai primi due posti, Arnfinn Bergmann e Torbjørn Falkanger, davanti allo svedese Karl Holmström, e fu forse la massima festa di popolo, alla presenza del re Haakon. Tutte sfide alle quali il resto del mondo assisteva ammirato, senza potersi opporre.

A Oslo l'URSS era soltanto spettatrice: la sua vicenda olimpica del dopoguerra sarebbe cominciata soltanto a Helsinki in quello stesso 1952, con la partecipazione ai Giochi estivi. Approfittando della perdurante assenza sovietica, nelle prove di pattinaggio artistico si divisero i titoli britannici, statunitensi e tedeschi, questi ultimi riammessi ai Giochi proprio in occasione dell'edizione norvegese.

L'hockey fu canadese, nonostante il Canada non avesse mandato una rappresentativa nazionale, ma una squadra di club, come d'altronde faceva da sempre. Fu necessario un match di spareggio per assegnare la medaglia di bronzo: Svezia e Cecoslovacchia avevano finito il girone con gli stessi punti e con la stessa differenza reti, il regolamento le mise di nuovo di fronte e gli svedesi, in svantaggio per 3-1, riuscirono a ribaltare il punteggio sino a vincere per 5-3.

Il bob a due e a quattro fu tedesco. Il futuro dominatore mondiale della specialità, l'italiano Eugenio Monti, ancora si dedicava allo slalom e alla discesa e proprio in quell'anno fu vittima di un incidente che segnò la fine della sua carriera nello sci alpino: un ginocchio a pezzi quando già si parlava di lui come dell'erede di Colò. La scelta prima dello sci di fondo, poi definitivamente del bob, dopo un rapido 'passaggio' nell'automobilismo, fu decisa in pratica da un'ortopedia non certamente capace dei miracoli di adesso.

La partecipazione italiana a Oslo fu complessivamente buona, se si pensa che andammo con appena 33 atleti. Oltre all'oro di Colò, il secondo nella nostra storia ai Giochi invernali ma sicuramente di impatto assai superiore a quello di Nino Bibbia quattro anni prima a St. Moritz nello slittino, e al bronzo di Giuliana Minuzzo, la squadra italiana si aggiudicò tre quarti posti, due sesti posti, un settimo, un ottavo e un nono posto. Da ricordare soprattutto una sciatrice abetonese come Colò, Celina Seghi, minutissima ma molto determinata, quarta nello slalom speciale e settima nello slalom gigante. Minuzzo, bronzo nella discesa, fu anche ottava nello slalom speciale e ventesima nello slalom gigante: il suo fisico minuto la spinse molto presto a dedicarsi soprattutto alle specialità tecniche, visto che nella discesa si affacciavano atlete sempre più muscolose. Una notazione particolare per il pattinaggio artistico: il milanese Carlo Fassi fu sesto, e considerando le difficoltà di allenamento e il senso di estraneità di questo sport a molti atleti italiani, il risultato deve essere considerato quasi prodigioso. Fassi si trasferì poi negli Stati Uniti e divenne istruttore di una troupe di spettacoli sul ghiaccio, oltre che di atleti famosi.

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