Olimpiadi estive: Monaco di Baviera 1972

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi estive: Monaco di Baviera 1972

Gian Paolo Ormezzano

Numero Olimpiade: XX

Data: 26 agosto-11 settembre

Nazioni partecipanti: 121

Numero atleti: 7134 (6075 uomini, 1059 donne)

Numero atleti italiani: 239 (210 uomini, 29 donne)

Discipline: Atletica, Calcio, Canoa, Canottaggio, Ciclismo, Equitazione, Ginnastica, Hockey su prato, Judo, Lotta greco-romana, Lotta libera, Nuoto, Pallacanestro, Pallamano, Pallanuoto, Pallavolo, Pentathlon moderno, Pugilato, Scherma, Sollevamento pesi, Tiro, Tiro con l'arco, Tuffi, Vela

Numero di gare: 195

Ultimo tedoforo: Günter Zahn

Giuramento olimpico: Heidi Schüller

Chi quella mattina del 5 settembre a Monaco di Baviera lavorava dentro o vicino ai Giochi per molte ore fu sicuro di stare vivendo il giorno estremo della manifestazione: non ci sarebbe più stata un'altra Olimpiade. Alla sera dello stesso giorno quasi tutti i membri di quella che qualche anno più tardi sarebbe stata denominata 'famiglia olimpica' erano concordi nel dire che i Giochi dovevano riprendere: quelli di Monaco, iniziati il 26 agosto, e quelli del futuro. Nel giorno di molti morti si avvertì il senso di immortalità della 'creatura' dei greci antichi e poi di de Coubertin, nonostante l'aggressione massima, la ferita più tremenda che le potesse essere portata.

Gli avvenimenti di quel giorno sono stati riproposti a non finire da rievocazioni sempre, e ormai pensiamo definitivamente, incomplete. Se non c'è nessun dubbio sull'incipit della tragedia, molti ne rimangono sul suo finale. All'alba di quel 5 settembre un commando di otto fedayn di Settembre nero (complicità interne sono state sospettate ma mai accertate) entrarono nel villaggio olimpico, peraltro di facile accesso, fecero irruzione nella palazzina degli atleti israeliani, ne uccisero due, ne sequestrarono nove e chiesero la liberazione di 234 palestinesi prigionieri in Israele e tre aerei per partire verso un paese arabo amico, ovviamente trattenendo gli ostaggi. Fu una giornata lunghissima di trattative, con intervento di tutta la diplomazia mondiale ufficiale e segreta. Quando la sera si addentrava già nella notte i fedayn e gli ostaggi salirono su due elicotteri che li portarono alla base aerea di Furstenfeldbruck. Lì accanto all'aereo con i motori accesi li attendeva la polizia bavarese, che aprì il fuoco. Morirono, anche per l'incendio e l'esplosione di un elicottero, tutti gli ostaggi, cinque degli otto sequestratori e un poliziotto. Gli altri tre terroristi furono catturati, ma il 29 ottobre dello stesso anno furono liberati dalle autorità tedesche in seguito al dirottamento sopra Zagabria di un aereo della Lufthansa diretto a Beirut.

L'indomani dell'attacco ci fu una grande cerimonia funebre allo stadio olimpico, alla presenza di moltissimi atleti in lacrime. Le gare ripresero il giorno dopo: lo decise il presidente Avery Brundage, d'accordo con Willy Daume, presidente del Comitato organizzatore. Ci furono forti dissensi, ma alla luce del 'dopo' questa soluzione adesso appare saggia e soprattutto la sola possibile per non consegnare lo sport al terrorismo. Ci furono aspre polemiche di stampa e qualche giornalista favorevole alla scelta di andare avanti con il programma olimpico ‒ tesi assai impopolare specie nelle prime ore dopo il dramma, quando al villaggio la palazzina della delegazione israeliana era circondata da polizia, telecamere e inviati da tutto il mondo ‒ mise in gioco la sua reputazione professionale nel difendere questa posizione controcorrente.

Da allora i Giochi non furono più gli stessi: banale ma doveroso dirlo. I controlli di sicurezza li condizionarono, con metal detector installati anche nel più remoto campo di gara, perquisizioni neppure troppo sommarie eseguite dagli addetti alla sicurezza a chiunque accedesse a una palestra di allenamenti. Il villaggio fu esclusivamente riservato agli atleti, ai tecnici e ai dirigenti impegnati presso ogni delegazione, con rigorosi controlli per l'accesso; persino il semplice contatto, in una zona neutra, con gli atleti diventò difficile anche e soprattutto alla stampa.

Eppure i Giochi di Monaco 1972 sembravano essere riusciti a tener lontana la politica. Il timore dei boicottaggi (anche se allora questa parola non era quasi usata) era stato allontanato quando il CIO con un voto a maggioranza ‒ 36 contro 31 ‒ aveva escluso la squadra della Rhodesia. L'ex colonia britannica si era proclamata indipendente da Londra nel 1965, staccandosi dal Commonwealth con una decisione della classe dirigente bianca, detentrice delle ricchezze. Nel paese si era costituito un Comitato olimpico e, forti della loro carta d'identità olimpica, i rhodesiani erano pronti a presentarsi per i Giochi di Monaco. Il CIO, però, poco prima del via, autorizzò la loro partecipazione a tre condizioni: squadra multirazziale, passaporto britannico e sfilata sotto la bandiera del Regno Unito. Sostanzialmente, la secessione non veniva riconosciuta. Gli Stati africani, nell'intensa vigilia dei Giochi, minacciarono di boicottare la manifestazione se i rhodesiani (che fra l'altro presentavano una squadra multirazziale soltanto in apparenza, in realtà a larghissima prevalenza bianca) fossero stati ammessi, ottennero l'appoggio pieno dell'URSS e dell'Europa dell'Est, oltre che di Cuba, e la spuntarono. I rhodesiani furono costretti a tornare a casa. Nessuno osò valutare, in quel momento, quali conseguenze avrebbe potuto generare una decisione diversa del CIO, per la quale in fondo sarebbe bastato uno spostamento di pochissimi voti. Solidale con l'URSS sarebbe per forza stata la Germania Est, che si presentava a Monaco con una squadra autonoma, senza più selezioni preolimpiche fra atleti occidentali e orientali: la serie dei primati mondiali, conseguiti in quegli ultimi anni specialmente nel nuoto e nell'atletica, e i successi nel canottaggio la preannunciavano fortissima.

Già a Città del Messico 1968 le due Germanie avevano espresso due squadre diverse e nel medagliere quella dell'Est, quinta, aveva superato quella dell'Ovest, sesta, con 9 medaglie d'oro a 5 (9 a 11 e 7 a 10 il rapporto nell'argento e nel bronzo). Monaco doveva essere il luogo della grande sfida tra i fratelli separati da un muro (eretto nel 1961), da un'ideologia, da una economia e anche da una diversa anzi per certi aspetti opposta concezione dello sport, liberistico a Ovest, statale a Est, dove ai grandi campioni erano garantite carriere facili nella pubblica amministrazione o nell'esercito. Grande rivalità ma pure grande sentimento dell'essere comunque tedeschi e grande motivazione sportiva, prima ancora che nazionalistica. Le due rappresentative rischiavano persino di essere ognuna più forte di quella congiunta, dove si sacrificavano alla selezione atleti validissimi. Fra l'altro nelle selezioni preolimpiche, più severe di ogni altra gara e simili agli impietosi Trials statunitensi, spesso venivano bruciate energie, poi irrecuperabili per i Giochi.

A Tokyo 1964 la Germania unita, con 366 punti e una percentuale del 4,75, era risultata la sedicesima nazione nella graduatoria stilata in ragione del numero degli abitanti e del cosiddetto punteggio olimpico, determinato sulla base del raggiungimento delle finali, ovviamente con opportuni aggiustamenti in riferimento alla situazione di ogni singolo sport. In quel ranking l'Italia (percentuale 4,17) era al quindicesimo posto, mentre le nazioni dominatrici erano Ungheria, Nuova Zelanda, Australia, Trinidad e Finlandia. Da notare che classifiche di questo tipo sono assai interessanti ma hanno un valore relativo: basti pensare che potenze come gli USA e l'URSS (rispettivamente diciannovesimi e ventunesima) nell'atletica e nel nuoto potevano portare soltanto tre atleti per gara, mentre sarebbero state in grado di riempire degnamente tutte le corsie della piscina come dello stadio olimpico, e che lo stesso valore viene attribuito all'avere atleti ai primi tre posti in gare di rilievo, come i 100 m o la maratona, e in gare più secondarie come il volteggio con il cavallo o il tiro a segno.

La classifica di Città del Messico 1968 aveva visto la Germania Est seconda dietro all'Ungheria (percentuali rispettive 17,25 e 20,95) e la Germania Ovest diciannovesima (USA al sedicesimo posto, URSS al ventiseiesimo, Italia addirittura al trentesimo). Al termine della sfida di Monaco (dove i tedeschi orientali poterono contare sul tifo del pubblico, salvo quando erano in lizza con i tedeschi occidentali) i numeri diedero di nuovo ragione alla forza sportiva della Germania Est, prima con una percentuale del 31,29, davanti a Ungheria, Bulgaria, Svezia, Finlandia e Australia. Soltanto dodicesima la Germania Ovest (percentuale 5,62). USA, URSS, Giappone e Italia (2,42%) si classificarono nell'ordine dal ventesimo al ventitreesimo posto.

L'affermazione della Germania Est fu evidente anche nel medagliere: terza dietro a URSS e USA con 20 ori, 23 argenti e 23 bronzi, davanti proprio alla Germania Ovest (13, 11 e16), e con vittorie significative, nell'atletica come nel nuoto e nel canottaggio, in discipline cioè dove i tedeschi dell'Ovest erano da sempre molto competitivi. Per appurare che molta parte di questa supremazia era dovuta al ricorso a pratiche dopanti 'di Stato' si sarebbe dovuto attendere l'inizio degli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino.

Venendo a parlare delle gare, si deve dire che furono di gran livello, con un'organizzazione sempre all'altezza delle esigenze tecniche e spettacolari dei vari sport. Di rilievo soprattutto le prove femminili con atlete belle e anche fortissime (gli uomini dello sprint di contro sembrarono scontare il ritorno al livello del mare, senza più godere dei vantaggi dell'aria rarefatta di Città del Messico). Si misero in evidenza soprattutto le tedesche occidentali del salto in lungo, Heidemarie Rosendahl e Heidi Schüller. Rosendahl vinse la prima medaglia tedesca dei Giochi: nella storia olimpica per la prima volta fu una donna a inaugurare il podio, in quanto l'apertura era stata sempre appannaggio degli uomini. Rosendahl fu poi grande protagonista della staffetta veloce: in ultima frazione, ricevendo il testimone alla pari con la tedesca orientale Renate Stecher ‒ che vincendo i 100 e i 200 m aveva eguagliato Wilma Rudolph di Roma 1960 ‒ riuscì a staccare l'avversaria teoricamente assai più veloce, nonché specialista pura dello sprint, suscitando l'entusiasmo degli spettatori presenti allo stadio e di quelli davanti ai teleschermi. Infine mancò di poco il successo nel pentathlon, superata da una britannica di Belfast, Mary Elizabeth Peters, longilinea e portata a frequenti scontri verbali con i giudici. Heidi Schüller, di grande avvenenza, conquistò il mondo nella cerimonia inaugurale, pronunciando il giuramento degli atleti, ma poi in gara non andò oltre il quinto posto.

L'omologo di Renate Stecher fu il sovietico dell'Ucraina Valeriy Borzov, che sui 100 e 200 m dominò anche esteticamente, con una possanza solenne e bellissima. Uno degli statunitensi favoriti, Eddie Hart, arrivò in ritardo allo stadio per disputare il suo quarto di finale, rimasto insieme ai compagni di sprint Robert Taylor e Reynaud Robinson a dormire al villaggio perché convinto che la sua gara fosse in un altro orario. Quando i tre si accorsero dell'errore (forse responsabilità di un allenatore) fu troppo tardi e soltanto Taylor ce la fece a presentarsi in tempo alla sua prova, l'ultima del programma dei quarti. Borzov comunque appariva invincibile. Nei 200 m al terzo posto arrivò un italiano tutto nervi e cuore, e applicazione furiosa all'allenamento, Pietro Mennea di Barletta. Grande bronzo, come quello di Paola Cacchi Pigni nei 1500 m, gara inaugurata in questa edizione e vinta dalla forte sovietica Lyudmila Bragina.

Nello stadio accaddero anche cose fuori dall'ordinario. Vince Matthews e Wayne Collett, neri statunitensi arrivati rispettivamente primo e secondo sui 400 m, sul podio per la premiazione occuparono entrambi il primo scalino, girarono le spalle alla bandiera del loro paese, giocherellarono con le medaglie, alzarono il pugno chiuso quando il pubblico prese a fischiarli. Vennero esclusi da ogni altra competizione olimpica su istanza del loro connazionale Avery Brundage, presidente del CIO alle ultime giornate di potere. Finiti i Giochi, infatti, gli succedette l'irlandese Michael Morris, barone di Killanin.

È difficile selezionare i personaggi più significativi che scesero in gara nello splendido Olympiastadion, coperto da un avveniristico tetto di plastica. Lo statunitense Dave Wottle diede vita negli 800 m alla più spettacolare rimonta in tutta la storia dei Giochi, passando nel rettilineo finale dall'ultimo al primo posto; si distinse anche per non essersi mai tolto, neanche al momento dell'alzabandiera e dell'inno, il cappellino portafortuna alla Charlie Brown. Jim Ryun, da cinque anni primatista del mondo dei 1500 m, deciso a vincere, dato per favorito da tutti e non soltanto dai suoi connazionali statunitensi, cadde banalmente ma pesantemente in batteria in un contatto con un mezzofondista del Ghana. La sua rincorsa fu vana; lo consolò, commosso, Kip Keino, vincitore di quattro anni prima e qui secondo; il regista francese Claude Lelouch, uno dei nove maestri del cinema chiamati a girare la pellicola ufficiale dei Giochi, scelse la disavventura di Ryun come soggetto della sua parte di filmato, intitolata The losers. La corsa dei 1500 m fu vinta da Pekka Vasala, espressione del rinascente fondismo finlandese, come il suo connazionale Lasse Viren che si aggiudicò i 5000 m e i 10.000 m, battendo in quest'ultima gara, nonostante una caduta, il record del mondo detenuto dell'australiano Ronald Clarke. John Akii-Bua, principe dell'Uganda, fu autore di una danza sfrenata dopo il successo sui 400 m ostacoli. Il tedesco dell'Est Wolfgang Nordwig fu il primo non statunitense a vincere il titolo dell'asta. La maratona vide vincitore Frank Shorter, statunitense ma nato proprio a Monaco dove suo padre si trovava con le forze americane di occupazione alla fine della guerra; era dal 1908 di John Hayes che gli Stati Uniti non vincevano più la prova sui 42,195 km; ad applaudire Shorter c'era anche, su una sedia a rotelle, Abebe Bikila, il campione di Roma e di Tokyo che sarebbe morto l'anno dopo. Particolare curioso della gara fu che un ragazzo bavarese di 16 anni, tal Nobert Südhaus, nonostante il formidabile schieramento di poliziotti e soldati per proteggere da un attacco terroristico la corsa che si snodò per tutta la città, riuscì a inserirsi nel tracciato ufficiale, a fingersi impegnato nella prova, a entrare per primo nello stadio, dove venne accolto con ovazioni prima di venire scoperto. Fu una beffa, suscitò una risata liberatoria dall'angoscia accumulata, da tutti e dappertutto, dopo la giornata del terrore.

Alla parcellizzazione delle imprese, tante e di tanti, nello stadio dell'atletica si contrappose il trionfo assoluto nel nuoto del californiano di lontane ascendenze ungheresi Mark Spitz, 22 anni, bello come un attore di Hollywood, sicuramente il protagonista di Monaco 1972. Ai Giochi del 1968 aveva vinto 'soltanto' l'oro di due staffette, l'argento nei 100 m farfalla e il bronzo nei 100 m stile libero. A Monaco vinse quasi tutto il possibile, accumulando sette medaglie d'oro (100 e 200 m stile libero, 100 e 200 m farfalla, staffette 4 x 100 m e 4 x 200 stile libero e 4 x 100 m mista, coprendo la penultima frazione, quella a farfalla) e altrettanti primati mondiali. Se in Messico era stato sbruffone, in Baviera fu invece accorto e saggio. Unico 'guizzo artistico' fu il presentarsi con capelli lunghi e folti baffi in una piscina deve gli atleti si depilavano per offrire meno resistenza all'acqua. Per il resto amministrò attentamente le energie da gara e i gesti da vetrina: cedette le sue foto migliori per un servizio esclusivo a riviste tedesche che pagavano bene ed esibì le scarpette con marca (tedesca), tenendole ben in vista sul podio. Dopo l'eccidio al villaggio pianse gli israeliani morti in una specie di conferenza-stampa in cui parlò a nome degli atleti e poi venne venne portato al sicuro dalla polizia. Finiti i Giochi si ritirò dalle gare per tentare quasi venti anni dopo un vano ritorno in vista delle Olimpiadi di Barcellona 1992. Lo stesso tentativo in cui prima di Atene 2004 si è cimentata, senza successo, l'australiana Shane Gould, che a Monaco fu la ragazza prodigio, vincitrice nei 200 e 400 m stile libero, e nei 200 m misti, nonché terza sui 100 m e seconda sugli 800 m: una collezione imponente di successi e piazzamenti, tuttavia eclissati dalla stella di Spitz.

Furono quelli anche i Giochi del cronometro: i congegni di precisione in piscina permisero infatti di assegnare il titolo olimpico dei 400 m misti allo svedese Gunnar Larsson per 2 millesimi di secondo, pari a 3 mm di spazio, sullo statunitense Tim McKee. I controlli antidoping, affidati alla 'impeccabile' scienza tedesca occidentale, colpirono lo statunitense Rick Demont, dichiarato primo sui 400 m stile libero sull'australiano Brafdford Cooper per un solo centesimo di secondo, ma poi squalificato per essere risultato positivo a un eccitante contenuto in una pillola contro il raffreddore da fieno che prendeva sin da bambino.

Spitz oscurò anche il grandissimo tedesco orientale Roland Matthes, ancora dominatore del dorso, mentre Shane Gould non tolse visibilità a Novella Calligaris, padovana non ancora diciottenne che diede al nuoto italiano le prime medaglie olimpiche: l'argento dei 400 m stile libero e il bronzo degli 800 e dei 400 m misti. Imprese importanti in assoluto per lo tutto lo sport azzurro, conseguite da una ragazza orgogliosa e determinata, che l'anno seguente, a Belgrado, sarebbe arrivata al titolo e al record mondiale sulla distanza più lunga.

Altro momento di prestigio di Monaco 1972 fu la sfida fra le due Germanie nel canottaggio, vinta da quella dell'Est ma sempre dopo lotte epiche che gratificarono gli appassionati di questo sport umile e terribile, che richiede grandi energie e impone faticosissimi allenamenti. Le competizioni si tennero sul primo bacino artificiale costruito per le gare olimpiche di questo sport. Ci fu poi la grande affermazione nel torneo di calcio dei polacchi, che due anni dopo proprio in Germania avrebbero eliminato l'Italia dalla Coppa del Mondo, e la fine nell'hockey su prato della dominazione indo-pakistana, con la medaglia d'oro alla Germania Ovest sicuramente esaltata dal fattore campo. Entrò a far parte del programma olimpico la pallamano, la cui prima nazione vincitrice fu la Iugoslavia.

Da ricordare nel basket l'interruzione clamorosa del predominio statunitense, che durava da Berlino 1936, da quando cioè lo sport era stato introdotto nei Giochi, con affermazioni sempre troppo facili nonostante quasi sempre fossero state ottenute da squadre di dilettanti, rappresentative di una selezione di college ed estranee al grande movimento professionistico. La storia di quell'ultimo secondo della finale fra USA e URSS è diventata celebre. Sul 50-49 gli statunitensi sembravano ormai avere in pugno il match, che era stato assai combattuto, il più duro da loro giocato nella storia olimpica, con i sovietici in testa sino a 5 minuti dalla fine e poi con una tesa alternanza di punteggio. Dopo le proteste dei sovietici al tavolo dei cronometristi, furono decretati ancora 3 secondi di gioco: uno dei due arbitri, l'argentino Righetto, avrebbe detto dopo che mancava un solo secondo, ma che con il collega decisero il recupero più lungo per porre fine alle discussioni, sicuri che comunque niente di sostanziale sarebbe accaduto. Invece una lunga rimessa dei sovietici dal fondo consentì a un loro giocatore appostato sotto il canestro statunitense di realizzare il punto del sorpasso: l'incontrò finì 51 a 50 per l'URSS. Vivaci furono le contestazioni degli statunitensi, vanificate però dal fatto che avevano accettato il recupero. Da ricordare che anche l'Italia perse per un punto contro Cuba la finale per il terzo posto, sia pure senza nessun giallo.

Olga Korbut, piccola ginnasta diciassettenne, diede all'URSS le due medaglie d'oro del corpo libero e della trave, oltre a contribuire al successo della squadra; con il suo fisico minuto e il suo visetto insieme dolce e furbo godette di maggiori simpatie della connazionale Lyudmila Turischeva, che pure conquistò la classifica generale. Va ricordato anche Teofilo Stevenson, il pugile peso massimo cubano così terrificante nei suoi colpi che il rumeno Ion Alexe, arrivato alla finale contro di lui, per esplicita ammissione di paura rinunciò alla sfida, accontentandosi della medaglia d'argento. Stevenson fu bloccato da Fidel Castro fra i dilettanti, facendone un eroe nazionale insensibile ai richiami in dollari del vicino pugilato professionistico statunitense.

Dei successi italiani in acqua con Calligaris e in pista con Pigni e Mennea abbiamo detto. Apparve poi nel salto in alto un'azzurra piena di talento e leggerezza, Sara Simeoni, che fu sesta nella gara vinta dalla tedesca dell'Ovest Ulrike Meyfarth. Le medaglie azzurre furono 5 d'oro, 3 d'argento, 10 di bronzo, un risultato migliore di quello di quattro anni prima. Il primo oro fu conquistato, nuovamente, da Klaus Dibiasi nei tuffi dalla piattaforma, con Giorgio Cagnotto terzo nonostante le febbre. Cagnotto dal trampolino di 3 m arrivò poi quasi al successo, ma sbagliando un 'volo' ottenne soltanto l'argento dietro al sovietico Vladimir Vasin. Nella sciabola Michele Maffei, campione del mondo in carica, eliminò il colonnello polacco Jerzy Pawloski gran favorito e secondo taluni spia dell'Est in missione nell'Ovest, ma poi cedette. Tenne invece intorno a lui la squadra, che arrivò all'oro, 'complici' anche Rodolfo Rigoli, Cesare Salvadori e i fratelli livornesi Mario Tullio e Mario Aldo Montano. Conquistata a sera tarda, la vittoria degli sciabolatori azzurri sopraggiunse poche ore prima del dramma al villaggio: il giorno dopo si sarebbero fatti intervistare sul loro successo oltrepassando il muro di poliziotti e soldati, imperforabile per i giornalisti. Dalla scherma una medaglia d'oro era già venuta con la felicissima prova nel fioretto di Antonella Ragno, figlia d'arte, che si allacciò così a Irene Camber, vittoriosa nel 1952 a Helsinki.

Il quarto oro arrivò da Graziano Mancinelli, ex ragazzo di scuderia, nel concorso equestre a ostacoli (con i due D'Inzeo e con Vittorio Orlandi ottenne anche bronzo nella prova a squadre). Da notare che Mancinelli superò nello spareggio una donna, l'inglese Ann Moore: l'equitazione prevede le classifiche miste, come anche la vela e il tiro, specialità dove gli strumenti di gara (cavallo, barca, arma da fuoco) sono così importanti da permettere ai due sessi di gareggiare alla pari. Infine ci fu il primo posto di Angelo Scalzone nel piattello, sul francese Michel Carrega e sull'altro italiano Silvano Basagni.

Olimpiade finita nel dolore: alla cerimonia di chiusura ci furono la bandiera di Israele abbrunata, i tanti vessilli a mezz'asta e la tristezza più che la rabbia sulle facce di tutti. I Giochi superarono però la drammatica prova; se si fossero arresi, abbassando il sipario dopo l'aggressione al villaggio, avrebbero consegnato ai terroristi lo sport del futuro, non solo quello olimpico. Il senso, il sentimento prevalente non fu di un pericolo scampato, ma di un'ulteriore maturazione acquisita, di una dignità supplementare conquistata. Le giornate dopo il massacro furono dure anche per l'insorgere improvviso e disordinato di provvedimenti di sicurezza persino irritanti e peraltro ancora aggirabili. Già si pensava alla bunkerizzazione prossima ventura dei villaggi olimpici, a come avrebbe affrontato i Giochi del 1976 Montreal, capitale del Québec, nel Canada francofono e irredentista. Pochi riuscirono a cogliere un aspetto importante dei Giochi di Monaco: la convivenza, sia pure in gare di accesa rivalità, dei tedeschi dell'Ovest e di quelli dell'Est, in una terra come quella bavarese, propizia storicamente agli estremismi. Lo sport fece registrare l'esistenza di una Germania 'trasversale' che nessun muro riusciva a dividere; molti già la conoscevano, ma vederla certificata negli abbracci fra atleti ufficialmente rivali per non dire nemici servì ad alcuni per capire, ad altri per capire meglio e di più.

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