Nucleare

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Nucleare

Con il termine nucleare si fa generalmente riferimento a tutta una serie di fenomeni e processi connessi con le reazioni nucleari. Queste ultime possono essere finalizzate sia alla produzione di radioisotopi non presenti in natura sia alla produzione di energia; nel primo caso si fanno reagire isotopi stabili con opportune particelle o radiazioni in modo da indurre la produzione di un isotopo nuovo instabile; questa applicazione delle reazioni nucleari è di prevalente interesse per la medicina, per la ricerca o per l'industria. Un'altra tipologia di reazione è quella che coinvolge il combustibile nucleare e rende possibile l'ottenimento di quantità di energia enormi se paragonate alla massa di materiale consumato. Quest'ultima reazione può evolversi secondo due diversi meccanismi: la fusione e la fissione.

Mentre il primo tipo di reazione ha avuto rapide ed estese applicazioni industriali per la produzione di energia, il secondo ha avuto solo applicazioni in impianti prototipali o di laboratorio.

La fusione termonucleare

Il processo di fusione nucleare avviene spontaneamente nel Sole, dove l'elevatissima temperatura interna (circa 1,4107 K) favorisce la reazione di fusione di nuclei di idrogeno (reazione protone-protone) ed è responsabile dell'energia che giunge sulla Terra sotto forma di calore, di radiazioni elettromagnetiche e corpuscolari. Esempi tipici di reazioni di fusione sono:

La reazione più probabile è la terza, quella che avvenendo tra un nucleo di deuterio e uno di trizio, dà luogo a un nucleo di elio (particella alfa) e un neutrone n. In questa reazione la massa complessiva dei prodotti è inferiore a quella delle particelle interagenti e si verifica liberazione di energia secondo il principio di equivalenza massa-energia. L'energia liberata si distribuisce tra la particella alfa e il neutrone in rapporto inverso alle rispettive masse.

Perché avvenga la fusione, due nuclei devono interagire a distanze molto brevi, dell'ordine di grandezza delle dimensioni del nucleo; in questo caso le forze nucleari predominano sulle forze di repulsione elettrostatica dovute alla carica positiva dei nuclei. Per far avvicinare i due nuclei a distanze sufficientemente brevi è necessario che la velocità con cui essi collidono sia molto alta; pertanto la loro energia cinetica (e quindi la temperatura) deve essere estremamente elevata. Per ottenere reazioni di fusione, per es. quella tra deuterio e trizio, è necessario portare i nuclei reagenti a temperature elevatissime (108 K) per tempi di confinamento sufficientemente lunghi.

La fissione nucleare. - Nel caso della fissione, la 'rottura' del nucleo è provocata da un neutrone dotato di opportuna energia e l'energia liberata, connessa alla differenza di massa tra il nucleo fissile e i prodotti di reazione, è enormemente elevata se paragonata alla quantità di combustibile consumato. Dalla fissione di 1 g di 235U si producono circa 22.000 kWh di energia, equivalente a 2.800.000 volte l'energia prodotta dalla combustione di un medesimo quantitativo di carbone. Una tipica reazione di fissione può evolversi nel seguente modo:

dove un neutrone di opportuna energia, colpendo l'atomo dell'isotopo 235U, ne provoca la rottura del nucleo con successiva formazione di due (talvolta anche più di due) frammenti di fissione X1 e X2, liberazione di neutroni (in numero medio ν>1) e sviluppo di energia E.

La possibilità di avere una reazione a catena in grado di autosostenersi deriva dal fatto che all'atto della rottura del nucleo si liberano neutroni veloci (dotati di energia molto elevata rispetto a quella media del mezzo in cui si muovono) che, opportunamente rallentati, possono essere impiegati per produrre nuove fissioni. I reattori nucleari nei quali la reazione a catena è sostenuta soprattutto dai neutroni rallentati (neutroni termici) vengono denominati reattori termici.

È però anche possibile far sostenere la reazione di fissione dai neutroni veloci e in tal caso si parlerà di reattori veloci (FBR, Fast Breeder Reactors). Questi ultimi, detti anche reattori surgeneratori, inizialmente sono stati sviluppati solamente per impieghi militari (prevalentemente per la produzione di plutonio) e solo in un secondo momento si sono avute applicazioni commerciali; essi presentano il grosso vantaggio di poter ottenere nuovo combustibile in concomitanza con la produzione di energia. La produzione di atomi di nuovi elementi utilizzabili come combustibile nucleare deriva dalle reazioni di fertilizzazione nelle quali alcuni neutroni, prodotti dalla reazione di fissione, sono destinati a reagire con isotopi fertili presenti nel combustibile, trasformandoli in isotopi fissili e quindi in nuovo combustibile nucleare. Le più note reazioni di fertilizzazione sono quelle che consentono la trasformazione dell'235U (fertile) in 239Pu (fissile) e del 232Th (fertile) nell'233U (fissile). La reazione che trasforma il 232Th in 233U è particolarmente interessante perché le riserve terrestri di torio sono molto abbondanti e attualmente non se ne intravedono altri possibili impieghi industriali.

Alcune valutazioni, di necessità approssimate ma sufficientemente attendibili, hanno consentito di affermare che con l'utilizzo dei reattori surgeneratori si potrà disporre di tutta l'energia necessaria ancora per alcune migliaia di anni.

I reattori nucleari più diffusi agli inizi del 21° sec. sono quelli termici, nei quali la reazione di fissione è sostenuta soprattutto dai neutroni che, mediante perdite di energia provocate da collisioni con altri atomi leggeri (elemento moderatore), sono portati a livelli energetici equivalenti all'energia media del mezzo in cui essi si muovono.

L'energia prodotta dalle reazioni nucleari può essere industrialmente utilizzata sotto forma di energia termica; pertanto per poterla asportare dal reattore sarà necessario predisporre idonei sistemi di scambio termico. Essi devono essere progettati e realizzati in modo da garantire una netta separazione tra la zona 'nuclearmente calda' e quella convenzionale, e consentire non solo di utilizzare l'energia prodotta con il più elevato rendimento possibile, ma anche di assicurare che la massa attiva del reattore (core) non raggiunga mai temperature tali da provocarne la fusione. Quest'ultimo è l'evento potenzialmente più pericoloso per un reattore nucleare (un incidente di tale tipo è accaduto nella centrale ucraina di Chernobyl il 26 aprile 1986) ed è quindi necessario predisporre nell'impianto opportuni sistemi di controllo e di sicurezza, sia attivi sia passivi.

Nel mondo sono stati sviluppati diversi tipi di impianti nucleari per applicazioni commerciali; essi si differenziano per tipologia di reazione nucleare (dovuta a neutroni termici o veloci), per tipologia di combustibile, di elemento moderatore e di refrigerante, per modalità di scambio termico e così via.

Situazione del nucleare nel mondo

Nella produzione di energia, il ricorso a soli combustibili fossili sta creando notevoli problemi di salvaguardia dell'ambiente, rendendo più difficile il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni che sono stati previsti dal Protocollo di Kyoto. In una logica di diversificazione delle fonti energetiche, il n. gioca un ruolo molto importante sia perché le riserve di combustibile nucleare esistenti sul globo terrestre sono molto elevate, sia perché, in seguito al confinamento in sicurezza dei rifiuti prodotti, diviene trascurabile l'impatto ambientale derivante dal funzionamento di tali impianti.

Secondo i dati della IAEA (International Atomic Energy Agency, agenzia nucleare dell'ONU), la potenza nucleare in funzione nel mondo al momento del disastro di Chernobyl era di 250.000 MWe, mentre all'inizio del 2003 era già di circa 360.000 MWe, con una crescita del 44%. I reattori in esercizio nel mondo nel 2006 sono 441, quelli in costruzione 32, e altri 7 sono già stati ordinati. Il contributo nucleare alla copertura del fabbisogno elettrico a livello mondiale si aggira intorno al 16-17%, e raggiunge nei Paesi dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) il 25% e il 35% a livello europeo.

La fonte nucleare è da tempo, in Europa, la prima fonte di produzione di energia elettrica, con percentuali di copertura del fabbisogno che in Francia hanno raggiunto il 78%. Negli Stati Uniti il numero di impianti nucleari in esercizio è superiore alle 100 unità e la produzione di energia elettrica prodotta da questi è circa il 20% del fabbisogno nazionale. L'esigenza di rispettare il Protocollo di Kyoto e il costo sempre crescente del petrolio stanno spingendo alcuni Paesi, che avevano rallentato lo sviluppo del n., a riprendere in considerazione questa fonte di energia anche alla luce dei nuovi progetti di reattori intrinsecamente sicuri.

Nella tab. 1 sono esposti i dati relativi agli impianti nucleari in funzione e in costruzione alla fine del 2004, mentre nella tab. 2 è riportato il numero di reattori in funzione, suddivisi per tipologia.

L'energia nucleare costituisce un'importante fonte di energia, sia perché le attuali riserve di combustibile nucleare sono sufficientemente grandi da poterne garantire la durata ancora per molte decine di anni, sia perché il costo del combustibile è solo una piccola parte del costo di mercato dell'energia nucleare prodotta, per cui anche un eventuale incremento di quest'ultimo manterrebbe pressoché inalterata la posizione competitiva di tale forma di energia.

Il ciclo di fertilizzazione inoltre può garantire riserve di combustibile per tempi estremamente lunghi. La generale preoccupazione per gli approvvigionamenti energetici futuri ha fatto sì che si guardi con rinnovato interesse alla fonte nucleare anche nei Paesi all'interno dei quali si era concretizzata una moratoria da mettere in atto in tempi più o meno brevi.

La Finlandia è stata la prima nazione che, dopo la sospensione attuata nel 1991, ha riaperto i cantieri di un reattore da 1600 MW nell'isola di Olkiluoto; il reattore dovrebbe entrare in servizio nel 2009 per una durata di circa 60 anni. La Germania, che nel 2000 aveva deliberato un'uscita dal n., sta ipotizzando di rivedere le delibere prese dietro la spinta di alcuni settori dell'opinione pubblica. L'Olanda, il cui Parlamento nel 1994 aveva deciso l'abbandono del n., ha deliberato il prolungamento del servizio dell'unico impianto esistente dopo opportuno ammodernamento. La Svezia, che aveva deciso la chiusura dei 12 reattori in servizio, ha fermato un solo impianto e ora è favorevole a mantenere in esercizio quelli esistenti e a valutare l'ipotesi di nuove costruzioni. In Svizzera, i cinque referendum effettuati per l'abolizione del n. sono stati tutti respinti. Il Belgio, che nel 1999 aveva deciso di sospendere la costruzione di nuovi impianti, sta posponendo la chiusura di quelli in esercizio e comincia a discutere della necessità di costruirne di nuovi. In Gran Bretagna, dove sono in esercizio 23 impianti nucleari e vi è un crescente interesse verso le fonti rinnovabili, si stanno modificando i pareri orientati verso una moratoria nucleare e si comincia a considerare l'energia elettronucleare come una fonte indispensabile per la riduzione delle emissioni che alterano il clima.

La Francia, infine, ha in esercizio 59 centrali nucleari e ha avviato il progetto di un nuovo reattore avanzato. Con le sue scelte questo Paese è giunto a incrementare fortemente la sua esportazione netta di energia elettrica con un apprezzabile fatturato estero dell'industria nucleare. La chiusura dell'impianto Superphénix, prototipo di reattore autofertilizzante, lungi dall'essere un segnale di ripensamento, ha avuto motivazioni esclusivamente economiche, e ha messo in evidenza il fatto che l'abbondanza di uranio sul mercato internazionale non incita, per il momento, a spingere le ricerche nella direzione di una migliore economia del combustibile. Il programma Superphénix è comunque servito ad acquisire una tecnologia che è oggi disponibile per gli sviluppi di medio e lungo termine.

È possibile dunque considerare il n. come uno dei rimedi all'effetto serra, anche perché si stanno registrando prese di posizione in tal senso da parte di alcuni noti ambientalisti. Negli Stati Uniti, dove sono in servizio 104 reattori nucleari, per una ventina di anni non si sono registrati nuovi ordini; solo recentemente tre diverse aziende hanno avviato il processo di realizzazione di nuove centrali nucleari.

Sicurezza nucleare. - L'incidente nucleare di Chernobyl è stato senza dubbio il più grave dell'era dell'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare. Esso è stato provocato da una serie di cause che vanno dalle carenze tecnologiche dell'impianto a inammissibili errori umani su quel particolare tipo di reattore, di progettazione e costruzione russa. Questo evento, oltre ai gravi danni provocati alle persone e all'ambiente, ha influenzato notevolmente lo sviluppo del settore nucleare nei Paesi occidentali e ha indotto un mutamento nella filosofia della progettazione, del controllo, della sicurezza e della gestione degli impianti nucleari.

In nessuna attività umana esiste il rischio zero, ma si può dire, sia in assoluto sia in comparazione con altre tecnologie di produzione elettrica, che il n. può considerarsi una tecnologia sicura. I reattori nucleari occidentali sono progettati e costruiti in modo tale da prevenire rilasci indesiderati di radioattività, anche nelle peggiori condizioni incidentali, e le caratteristiche di sicurezza attuate si sono dimostrate efficaci. In condizioni di normale esercizio una centrale nucleare non ha un impatto sensibile sull'ambiente esterno e sulla popolazione, e anche l'esposizione radiologica di routine dei lavoratori in tali impianti è costantemente diminuita negli ultimi decenni, ed è attualmente ben al di sotto delle soglie di sicurezza prefissate.

Le misure di sicurezza sono generalmente attuate con progetti e realizzazioni che adottano i principi della separazione fisica, della diversità e della ridondanza. Un concetto estesamente impiegato nella costruzione delle diverse filiere di reattori è quello delle barriere multiple per evitare il rilascio di radioattività. La sicurezza degli impianti nucleari è anche garantita da alcune caratteristiche fisiche intrinseche al processo e dai sistemi protettivi opportunamente predisposti allo scopo; inoltre la progettazione, con effetti di autocontrollo per i vari sistemi, attutisce fortemente le conseguenze di eventuali errori o incidenti. Va ricordato che proprio la presenza di barriere multiple ha differenziato in modo netto l'incidente avvenuto il 28 marzo 1979 nell'impianto di Three Mile Island, negli Stati Uniti, con conseguenze pressoché nulle, e quello nell'impianto di Chernobyl, le cui conseguenze sono state molto gravi.

Gli impianti LWR (Light Water Reactor) di tecnologia occidentale, per le loro caratteristiche strutturali e grazie alla presenza dell'edificio di contenimento, non sono esposti a disastri del tipo verificatosi a Chernobyl. In seguito a tale incidente, in una situazione in cui non esisteva alcun sistema atto a impedire la fuoriuscita di radioattività dal reattore in questione e in cui non furono prese misure di evacuazione prima di 48 ore dopo l'incidente, la dose di radioattività media nelle 3 aree maggiormente contaminate è stata di 36 mSv. A Three Mile Island, in presenza di un incidente di fusione del 60% del nocciolo, il sistema di contenimento mostrò di funzionare pienamente, e la dose massima per una persona all'esterno dell'impianto fu minore di 1 mSv, mentre la dose individuale per consumo di latte contaminato fu stimata inferiore a 0,2 mSv. Si ricorda che, in alcune zone vivono popolazioni esposte a una dose naturale di diverse decine di mSv/anno senza che si osservi in esse alcun danno alla salute.

L'incidente nell'impianto di Chernobyl ha avuto anche forti ripercussioni a livello emotivo in tutto il mondo. In Italia, per es., alla fine degli anni Ottanta del 20° sec. ha indotto il governo a rinunciare allo sviluppo dell'energia da fonte nucleare, a sospendere l'attività di tutti gli impianti in esercizio e a fermare la costruzione di nuovi.

È opportuno ricordare che l'Italia è stato uno dei primi Paesi occidentali industrializzati a credere nelle potenzialità energetiche del n. dando inizio, nei primi anni Cinquanta, a un ambizioso programma di sviluppo di impianti nucleari per scopi commerciali. In quegli anni l'Italia aveva la leadership nel settore per la diversificazione delle tipologie di impianti in esercizio: un reattore del tipo BWR (Boiling Water Reactor) al Garigliano, un GCR (Gas-Cooled Reactor) a Latina e un reattore PWR (Pressurized Water Reactor) a Trino Vercellese. Molti Paesi occidentali guardavano con interesse alle esperienze italiane, per potersi orientare nelle loro scelte future. Oggi, invece, l'Italia si distingue tra i Paesi industrializzati perché è l'unico a non produrre energia da fonte nucleare pur avendo la maggiore dipendenza energetica dall'estero e conseguentemente un basso grado di sicurezza delle forniture energetiche.

Un aspetto da non sottovalutare nella rinuncia al n. è il rischio di perdere tutte le competenze acquisite nel campo: a livello internazionale, è stata infatti riconosciuta la necessità di mantenere e aggiornare queste competenze in quanto legate a numerosi altri impieghi tecnologici in differenti settori. Il n., infatti, non coinvolge solo la produzione di energia termica ed elettrica ma anche, fra l'altro, gli impieghi sanitari per terapia e diagnostica, quelli industriali e quelli inerenti la ricerca scientifica, anche di base, in campi diversi da quello strettamente nucleare. A tutto questo si aggiunge l'esigenza di mantenere competenze per poter assicurare livelli idonei di radioprotezione e per garantire una gestione sicura e tecnologicamente avanzata delle operazioni di dismissione delle centrali elettronucleari disattivate e di altri impianti sperimentali esistenti.

I nuovi criteri di sicurezza elaborati per i reattori dell'ultima generazione sono stabiliti sulla base di un approccio su tre livelli: riduzione della frequenza di accadimento e della gravità degli incidenti attraverso l'aumento dei margini di progetto e la semplificazione dell'impianto; introduzione di sistemi atti a prevenire il danneggiamento del nocciolo anche in caso di incidente; adozione di sistemi di contenimento in grado di impedire ogni fuoriuscita di radioattività anche in caso di danneggiamento del nocciolo. Con questi nuovi criteri e requisiti di sicurezza si riduce a un evento ogni centomila anni la probabilità di danneggiamento del nocciolo, e a un evento ogni milione di anni la probabilità che un ipotetico individuo residente al di fuori della recinzione dell'impianto possa assumere una dose pari a quella annuale dovuta al fondo ambientale. Questi requisiti equivalgono ad affermare il principio che il rischio di danno di origine nucleare per un individuo deve essere inferiore all'1% del rischio derivante da tutte le altre attività industriali; finora non vi è alcuna attività industriale, per quanto rischiosa, assoggettata ad analoghe restrizioni.

I rifiuti nucleari. - Lo sfruttamento dell'energia nucleare produce rifiuti radioattivi che devono essere opportunamente trattati e convenientemente conservati fino a quando il loro livello di radioattività non giunge a valori comparabili con quelli delle formazioni geologiche naturali. La gestione dei rifiuti radioattivi consiste in una serie di provvedimenti relativi alla raccolta, al trattamento, al condizionamento, al trasporto e all'immagazzinamento e/o smaltimento controllato in funzione della tipologia di rifiuto da gestire.

Si possono individuare tre principi base per la gestione dei rifiuti nucleari: diluizione e dispersione nell'ambiente in quantità inferiori ai limiti di radioprotezione stabiliti per i vari radionuclidi; conservazione e custodia in attesa del decadimento dei rifiuti con radionuclidi a vita breve; concentrazione e confinamento in sicurezza dei rifiuti che contengono radionuclidi a vita molto lunga fino a quando il loro livello di radioattività non raggiunge un valore comparabile con quello delle formazioni geologiche naturali.

La scelta dell'uno o dell'altro tipo di smaltimento dipende dal livello di contaminazione dei rifiuti e dalle caratteristiche dell'ambiente. In ogni caso un'importante attività nella gestione dei rifiuti a lunga vita è quella di progettare e di realizzare sistemi di contenimento estremamente affidabili e, nei limiti del possibile, concentrare le sostanze nocive in volumi ridotti in modo da renderne maggiormente agevole la conservazione o il trasporto.

Un impianto nucleare da 1000 MW elettrici che funzioni a pieno regime produce in un anno alcune centinaia di metri cubi di rifiuti con livello di attività basso e intermedio e alcune unità di metri cubi di rifiuti ad alto livello di attività; questi ultimi, avendo lunghissimi tem-di decadimento (centinaia di migliaia di anni), devono essere opportunamente immobilizzati, generalmente in blocchi vetrosi, e poi conservati in sicurezza in opportune formazioni geologiche che siano rimaste inalterate per milioni di anni e per le quali non si abbia motivo di supporre future modifiche in tempi geologici.

Nei primi anni del 21° sec. sono stati disattivati diversi impianti nucleari industriali e di ricerca (impianti di produzione di radioisotopi, acceleratori, impianti di trattamento combustibili e laboratori di ricerca). La filosofia dello smantellamento è analoga per tutti i vari tipi di insediamento anche se le problematiche da risolvere possono talora essere notevolmente diverse.

Le esperienze internazionali, più o meno recenti, eseguite per la disattivazione degli impianti nucleari, ovvero il loro smantellamento fino allo stato finale desiderato, hanno dimostrato che non si deve aver timore di gestire questa fase della vita degli insediamenti nucleari perché le conoscenze e le tecnologie attualmente disponibili consentono di riportare il sito dell'insediamento a prato verde, in condizioni di sicurezza per gli operatori e per le popolazioni.

Non sono poche le disattivazioni eseguite con successo in tutto il mondo; esse vanno dall'impianto di Niederaichbach in Germania, il cui sito è stato restituito per usi agricoli già nel 1995, al reattore Maine Yankee negli Stati Uniti, il cui smantellamento è stato completato nel 2006; dall'impianto di ritrattamento del combustibile di Eurochemic in Belgio, il cui smantellamento, già in fase avanzata, sarà completato nel 2008, all'impianto di Kaeri in Corea costruito per la fabbricazione degli elementi di combustibile e il cui smantellamento dovrà concludersi nel 2007; dall'impianto di Beaverlodge (per l'estrazione e macinazione del combustibile) in Canada, già disattivato dal 1987, che sarà restituito a prato verde nel 2007, all'impianto di Capenhurst, realizzato in Gran Bretagna per l'arricchimento dell'uranio e già completamente smantellato con restituzione del sito ad altri impieghi.

In tutto il mondo sono state pianificate, o sono già in fase di attuazione, numerose altre disattivazioni anche di impianti nucleari di grande potenza divenuti oramai obsoleti rispetto alle nuove tecnologie o non più convenienti da gestire.

Nella tab. 3 è indicato, secondo la tipologia di impianto, il numero degli impianti fuori servizio. Nello smantellamento di un impianto nucleare, la maggior parte del materiale che deriva dalle attività di demolizione non è radioattiva e può essere smaltita o riciclata in modo convenzionale; il materiale radioattivo invece viene opportunamente condizionato e inviato ai centri di smaltimento. Per quel che riguarda il problema dello smaltimento delle scorie radioattive, tutti i Paesi che impiegano l'energia nucleare si sono dotati o si stanno dotando delle necessarie strutture per la gestione delle scorie prodotte entro i loro confini, con procedure di trasporto e stoccaggio regolamentate.

bibliografia

IAEA, Energy, electricity and nuclear power estimates for the period up 2030, Vienna [sic] 2006.

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