Mutilazioni etniche

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Alterazioni artificiali del corpo umano, quasi sempre permanenti, che risultano dall’asportazione totale o parziale di determinate parti della persona (organi genitali, falangi delle dita, denti), praticate presso popolazioni di interesse etnologico su tutti i membri della società o sulla maggioranza di essi, per scopi ornamentali oppure rituali. In quest'ultimo caso può far parte dei riti di passaggio, e funge da marchio visibile di un mutamento di status.

Molto comuni, dall’Africa all’Australia, sono l’avulsione degli incisivi e la limatura dei medesimi, che in casi particolari può essere accompagnata dalla doratura dei denti (Batacchi) o dal loro annerimento (Indonesia); i Maya foravano i denti per incastonarvi delle gemme. In questi casi, è evidente l’intervento anche di un’intenzione ornamentale o estetica, ma le m. dentarie sono originariamente connesse ai riti di pubertà (➔ iniziazione).

Un’altra categoria di m. riguarda i tessuti muscolari connettivi ed epiteliali, che sono trattati allo scopo di produrre orifizi nei quali s’introducono ornamenti come piattelli, cilindri, zanne di felino. Questi usi, attualmente in via di sparizione, si sono mantenuti per fedeltà a tradizioni antiche di cui si è dimenticata l’origine.

Le m. più comuni sono quelle sessuali. Fra quelle maschili la più diffusa è la circoncisione, diffusa prevalentemente in Africa e in Australia e rara in America. Limitati sono i casi di subincisione, monorchidismo, evirazione. In Africa sono frequenti le m. genitali femminili, in particolare la excisione, o clitoridectomia, connessa a riti di iniziazione. A tale operazione si unisce presso alcuni popoli (Somali, Dancali) la infibulazione.

Le m. sessuali femminili per le gravi implicazioni etiche che possiedono, costituiscono un problema denunciato da decenni da vari organismi sovrannazionali (ONU, OMS, UNICEF ecc.), oltre che nell’ambito di importanti conferenze internazionali (Il Cairo, 1994; Pechino, 1995), potendosi configurare come trattamenti crudeli e degradanti, contrari alla salute ed espressione di discriminazione sessuale. Per le significative lesioni che procurano alle donne, possono essere causa di problemi fisici e psichici di varia natura e gravità. Complicanze possono derivare dall’intervento in sé (emorragie, tetano, sepsi, ritenzione e infezioni urinarie, con elevate percentuali di mortalità nelle zone rurali), dall’abilità dell’operatore che esegue la m., dalle condizioni igienico-sanitarie, dalla resistenza della donna al momento del rito, eseguito senza anestesia, dall’età della stessa, con gravi conseguenze che si possono ripercuotere sulla sua capacità di avere rapporti sessuali, sulla fertilità, sulla gravidanza e il parto. Tra le conseguenze psicologiche prevalgono patologie e disturbi conseguenti lo shock (ansia, depressione, perdita temporanea della parola, ostilità, incubi notturni). A prescindere dai vari modelli concettuali con i quali nella letteratura si è tentato di comprendere le m. sessuali (centrismo e relativismo culturale), sotto il profilo etico-giuridico tali interventi costituiscono un’oggettiva violazione del principio del rispetto dell’integrità psicofisica dell’essere umano, essendo causa di gravi lesioni permanenti che non hanno alcuna valenza terapeutica, sebbene siano invocati come mezzo per preservare l’identità culturale e religiosa del popolo di appartenenza.

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