Ecumenico, movimento

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Ecumenico, movimento

Günther Gassmann

(App. II, i, p. 815; III, i, p. 508; V, ii, p. 20; v. ecumenismo, App. IV, i, p. 623)

Movimento ecumenico è l'espressione generalmente adottata per indicare i molteplici sforzi compiuti dalle Chiese cristiane per superare la loro separazione secolare e raggiungere reciproca comprensione, cooperazione, dialogo teologico, fraternità spirituale e forme di unità. Il movimento è sempre stato caratterizzato da una dimensione 'esterna' e una dimensione 'interna'; la prima riguarda il rapporto reciproco tra storia ecumenica e storia mondiale, la seconda è riferita ai rapporti ecumenici tra le Chiese. Entrambe le dimensioni sono interdipendenti e, insieme, formano la storia del m. e. nel 20° secolo.

Le più importanti conferenze ecumeniche

Caratteristica dello sviluppo del m. e. sono state le numerose grandi conferenze. Era d'importanza fondamentale che, in tempi di pluralismo e incertezza, il m. e. fosse capace di riaffermare il suo fine ultimo, quello cui tutte le attività ecumeniche dovrebbero tendere. La vii Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese (World Council of Churches, WCC), tenutasi a Canberra nel febbraio 1991, approvò la dichiarazione L'unità della Chiesa come 'koinonía': dono e vocazione. Nel vasto orizzonte del piano divino di salvezza e 'trasformazione' per tutta l'umanità e la creazione, il traguardo dell'unità delle Chiese è qui descritto con l'aiuto del concetto di koinonía (comunione).

Nel dialogo ecumenico questo è divenuto un concetto di primaria importanza, in quanto più aperto, completo e dinamico del più statico concetto di 'unità'. Il paragrafo centrale della dichiarazione dice: "L'unità della Chiesa a cui siamo chiamati è una 'koinonía' donata ed espressa nella comune confessione della fede apostolica; in una comune vita sacramentale a cui abbiamo accesso attraverso l'unico battesimo e che viene celebrata insieme nell'unica comunione eucaristica; in una vita comune nella quale membri e ministri sono reciprocamente riconosciuti e riconciliati; e in una comune missione che testimonia a tutti il Vangelo della grazia di Dio e si pone a servizio di tutto il creato. Lo scopo della ricerca della piena comunione sarà raggiunto quando tutte le Chiese potranno riconoscere pienamente l'una nell'altra la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica".

Fin dove si è spinto il m. e. in direzione di questo traguardo? E come può progredire affrontando antichi o nuovi ostacoli che si oppongono alla koinonía tra i cristiani e tra le Chiese? Tracciare questa sorta di bilancio e panoramica sul futuro è stato compito della v Conferenza mondiale di Fede e Costituzione, riunita a Santiago de Compostela nell'agosto 1993, trent'anni dopo la precedente Conferenza mondiale di Fede e Costituzione, che si era tenuta a Montréal nel 1963.

La conferenza del 1993 notò con gratitudine, nel suo bilancio, l'enorme progresso ecumenico, evidenziato da un radicale mutamento di rapporti tra molte Chiese dopo Montréal. Simbolo, tra gli altri, di tale progresso, furono la partecipazione ufficiale della Chiesa cattolica (per la prima volta presente a una conferenza ecumenica mondiale) e il fatto che la conferenza avesse luogo in una città di tradizione cattolica. Il tema principale, Verso la 'koinonía' nella fede, nella vita e nella testimonianza, era di per sé una dichiarazione programmatica sul futuro indirizzo di ricerca di una unità visibile e reale delle Chiese cristiane, ovvero di una comunione di tutti i cristiani, che si basa e si esprime in una serie di fondamenti: nella fede condivisa e in un accordo sulla natura e la missione della Chiesa; in una comune vita spirituale e sacramentale, servita da un ministero ordinato reciprocamente riconosciuto e dai molti doni dello Spirito Santo; nella comune testimonianza che includerebbe la proclamazione del Vangelo, il dialogo interreligioso, lo sviluppo di una formazione morale e di valori etici nelle Chiese e la loro opera per la riconciliazione, la salvezza e la giustizia nella più vasta comunità degli uomini; e, infine, nella comune responsabilità per la salvaguardia dell'ambiente naturale. La conferenza di Santiago de Compostela ha in questo modo posto le basi dell'indirizzo futuro del m. e. con prospettive teologiche che rimarranno valide nel terzo millennio.

Dopo la prima conferenza missionaria di Edimburgo nel 1910, la tradizione di questi incontri è proseguita e non si è più interrotta. L'xi Conferenza sulla Missione mondiale e la predicazione del Vangelo, organizzata dal WCC, si è svolta a Salvador nel Brasile dal 24 novembre al 3 dicembre 1996.

Sulla traccia del tema Chiamati a un'unica speranza. Il Vangelo in culture diverse, la conferenza si è trovata ad affrontare soprattutto due compiti: sviluppare forme di dialogo e rispetto reciproco, in grado di contribuire a tenere insieme le crescenti diversità di forme di vita e di missione cristiana in ambiti multiculturali, affinché l'"unica speranza" possa ancora essere proclamata, e ascoltata, come comune messaggio cristiano. In tal modo si dovrebbero eliminare anche la competizione interna e la predicazione aggressiva, non rispettosa delle culture nazionali. In secondo luogo la conferenza ha discusso il rapporto dialettico tra Vangelo e cultura: il Vangelo ha bisogno di trovare la sua patria in tutte le culture, che possono così farsi veicolo dell'amore di Dio (inculturazione), mentre la Chiesa stessa e il Vangelo che essa proclama devono mantenere una posizione distaccata, e spesso anche critica, verso la cultura cui appartengono.

Mentre la conferenza di Salvador esaminò uno dei problemi principali del cristianesimo, la ii Assemblea ecumenica europea, riunita a Graz nel giugno 1997, ha avuto carattere e portata affatto diversi. È stata organizzata in collaborazione dalla Conferenza delle Chiese europee (Konferenz Europäischer Kirchen, KEK) e dal Consiglio delle conferenze episcopali europee (Consilium Conferentiarum Episcopalium Europae, CCEE) e si è trattato della più grande assemblea di questo tipo tenuta finora, con più di diecimila partecipanti.

Il tema affrontato, Riconciliazione: dono di Dio e sorgente di vita nuova, ha messo a fuoco la missione dei cristiani e delle Chiese nella nuova situazione europea. Cristiani e Chiese sono chiamati a contribuire alla riconciliazione operando per l'unità dei cristiani, per il dialogo e la comprensione tra le religioni, per la protezione dell'ambiente, per la giustizia sociale, per il superamento dei conflitti etnici e sociali e delle guerre tra i popoli e per un'equa condivisione delle risorse tra l'Europa e le altre regioni del mondo.

Questa serie di importanti conferenze ecumeniche dell'ultimo decennio del 20° sec. si è conclusa con l'viii Assemblea del WCC ad Harare nello Zimbabwe nel dicembre 1998. Tale assemblea ha celebrato il cinquantesimo anniversario della fondazione del WCC, avvenuta ad Amsterdam nel 1948, e ha esaminato l'organizzazione e il programma futuro del WCC.

Sviluppi dell'ecumenismo e dialoghi ecumenici

La tendenza del m.e. a mettere in rapporto lo sforzo teologico per l'unità delle Chiese con la riflessione teologica su norme e prospettive di comune responsabilità sociale cristiana è diventato un tema dominante nel corso dell'ultimo decennio del 20° secolo.

Tre documenti hanno esaminato il rapporto tra l'ecclesiologia, cioè la dottrina sulla Chiesa, e l'etica, cioè i valori dominanti dell'impegno cristiano nella società: la relazione Vivere in Cristo: la morale, la comunione e la Chiesa (1994) della ii Commissione internazionale anglicana-cattolica (Anglican Roman Catholic International Commission, ARCIC II); la relazione Il dialogo ecumenico sulle questioni morali potenziali fonti di testimonianza comune o di divisione (1995) del Gruppo misto di lavoro tra la Chiesa cattolica e il WCC; e le tre relazioni di un programma di studio svolto tra il 1993 e il 1996 nel WCC su Ecclesiologia ed etica. I risultati di questi studi sottolineano che le differenze esistenti nell'insegnamento morale non creano divisione nelle Chiese; che l'impegno morale cristiano nella società è elemento integrante della natura della Chiesa ed esige una "formazione morale nella Chiesa"; infine, che gli sforzi per raggiungere un'unità visibile delle Chiese devono comprendere il compito urgente di sviluppare comuni prospettive etiche e valori morali cristiani.

Mentre questa riflessione sui problemi etici nella Chiesa deve continuare, conflitti e problemi mondiali hanno costretto le organizzazioni ecumeniche a dedicare molta parte delle loro attività e delle loro finanze a situazioni di sofferenza umana. Queste organizzazioni sono state attivamente coinvolte in tentativi di mediazione per la riconciliazione in aree di conflitto come il Nagorno-Karabah, la ex Iugoslavia, l'America centrale, l'Irlanda del Nord, il Sudan e il Medio Oriente. Gli sterminati flussi di profughi in Africa hanno suscitato la solidarietà di tutti i cristiani. L'aiuto ecumenico è continuato di fronte a disastri naturali e per costruttivi progetti di sviluppo. La forte istanza ecumenica in favore dei diritti umani, della giustizia sociale e di un ordine economico internazionale più giusto veniva più volte riaffermata, sia pure senza molto successo. Tra quanti si sono più attivamente impegnati nello sforzo contro lo sfruttamento illimitato dell'ambiente naturale, stanno le Chiese e la comunità ecumenica. La crescente diffusione dell'AIDS su scala mondiale ha richiesto la collaborazione dei servizi sociali, sanitari e pastorali cristiani. Nuovi problemi etici sono sorti con il progresso della scienza e la sua possibilità di manipolare la vita umana.

Il posto delle donne e la loro piena partecipazione alla vita delle Chiese e nel m. e. è rimasta una priorità ecumenica. Una forte iniziativa per il raggiungimento di questo obiettivo è stata nel 1988-98 la Decade ecumenica-Chiese in solidarietà con le donne. Un numero crescente di Chiese ordina ora le donne al sacerdozio e all'episcopato. Per es., nella Chiesa d'Inghilterra (anglicana), dopo l'introduzione dell'ordinazione delle donne nel 1992, sono state ordinate circa 1500 donne. Ma ciò ha creato tensioni interne in alcune Chiese e rappresenta una nuova barriera tra le Chiese favorevoli e quelle sfavorevoli all'ordinazione delle donne. Nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994) Giovanni Paolo ii ha infatti dichiarato "che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa". Nell'ottobre 1995, la Society of Canon Law negli Stati Uniti ha poi pubblicato un documento che contiene la giustificazione storica dell'ordinazione delle donne al diaconato.

I dialoghi teologici bilaterali tra le comunioni cristiane mondiali hanno portato a importanti risultati. Nel 1993 la commissione congiunta tra le Chiese orientali che non accettano le decisioni del Concilio di Calcedonia e le Chiese ortodosse dichiarò non più valide le reciproche condanne e aperta la strada per ristabilire l'unione. Per quanto riguarda il dialogo tra cattolici e anglicani, l'ARCIC II ha pubblicato nel 1999 il documento Il dono dell'autorità nella Chiesa. La commissione congiunta tra cattolici e luterani ha pubblicato nel 1994 il documento Chiesa e giustificazione. Questo testo e due relazioni, frutto dei dialoghi tra luterani e cattolici in Germania e negli Stati Uniti, hanno costituito la base per una Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione.

Questa dichiarazione, elaborata congiuntamente dal Pontificio consiglio per promozione dell'unità dei cristiani e la Federazione luterana mondiale, è stata sottoposta nel 1997 all'approvazione della Chiesa luterana e della Chiesa cattolica. La dichiarazione esprime un accordo di fondo tra cattolici e luterani riguardo alla dottrina della giustificazione per sola fede e dichiara di conseguenza non più attuali le reciproche condanne dei tempi della Riforma a proposito di questa dottrina. L'accettazione di questa dichiarazione, firmata solennemente ad Augusta (Augsburg) il 31 ottobre 1999, avrà con ogni probabilità enorme rilevanza storica, significando il superamento del più profondo conflitto tra luterani e cattolici dal tempo della Riforma.

Un altro importante risultato di dialogo bilaterale è la Dichiarazione comune di Porvoo, elaborata nel più ampio quadro del notevole riavvicinamento tra Chiese anglicane e luterane registrato in molti paesi. La dichiarazione, conclusa nel 1992, è stata accettata dalle quattro Chiese anglicane in Gran Bretagna e Irlanda e dalle Chiese luterane in Estonia, Finlandia, Islanda, Lituania, Norvegia e Svezia. Di conseguenza tali Chiese hanno stabilito e celebrato nella cattedrale di Trondheim il 1° settembre 1996 la piena (cioè sacramentale) comunione reciproca, che comprende tra l'altro scambio di ministri, anche ordinati, consultazioni congiunte e numerose forme di collaborazione. Questo è stato, con ogni probabilità, il più importante progresso ecumenico di questo periodo, perché la maggioranza dei cristiani dell'Europa settentrionale si trova ora in un rapporto di piena comunione, che è lo scopo stesso del movimento ecumenico.

La Chiesa cattolica e l'ecumenismo

Nel corso di questo decennio, per ciò che riguarda la struttura di base e l'orientamento della partecipazione della Chiesa cattolica nel m. e., non si registrano cambiamenti, mentre in alcuni paesi e regioni sono ulteriormente migliorate le relazioni e la collaborazione ecumeniche. A livello mondiale il gruppo misto di lavoro tra la Chiesa cattolica e il WCC ha continuato a svolgere opera di coordinamento e sostegno alla collaborazione tra le due istituzioni. Nell'ultimo decennio questo gruppo ha preso autonomamente l'iniziativa di elaborare documenti di studio sui suoi due temi principali: l'unità della Chiesa e la testimonianza comune. Dopo La gerarchia delle verità e La Chiesa locale e universale (1990), il gruppo misto ha pubblicato nel 1993 La formazione ecumenica, riflessioni e suggerimenti sul compito dell'educazione o formazione ecumenica di tutti i membri della Chiesa e specialmente dei preti e dei pastori. Nel 1995 sono stati pubblicati altri due documenti: Il dialogo ecumenico sulle questioni morali potenziali fonti di testimonianza comune o di divisione e La minaccia del proselitismo e la chiamata alla testimonianza comune.

Quest'ultimo documento, con la condanna esplicita del proselitismo, è una risposta ai nuovi conflitti tra le Chiese, specie nell'Europa orientale, dove le Chiese ortodosse stanno muovendo forti proteste contro le attività missionarie delle Chiese, dei gruppi e delle sette occidentali, accusati di proselitismo. Quest'accusa da parte degli ortodossi è diretta anche contro la Chiesa cattolica per il ristabilimento, dopo la caduta del comunismo, delle cosiddette Chiese uniate, le Chiese orientali cattoliche che hanno conservato liturgia e usi cristiano-orientali, ma sono in comunione con il papa. Problemi di proprietà e di appartenenza, legati alla ricostituzione delle diocesi e delle parrocchie uniate nella maggior parte dei paesi dell'Europa orientale, hanno profondamente turbato i rapporti tra cattolici e ortodossi, una delle priorità ecumeniche della Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano ii. Un valido tentativo per superare questo conflitto è stato quello compiuto dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa a Balamand, in Libano, nel giugno 1993. Il documento conclusivo, L'uniatismo, metodo d'unione del passato e la ricerca attuale della piena comunione, contiene una chiara presa di posizione, ma questo problema grava tuttora sui rapporti tra cattolici e ortodossi.

La Chiesa cattolica ha riaffermato la propria piena partecipazione al m. e. in due documenti ufficiali. Il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, pubblicato nel 1993 dal Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, sostituisce, tenendo conto degli sviluppi ecumenici successivi al Concilio Vaticano ii, il primo direttorio (1967-70). Il nuovo testo a un forte impegno per la ricerca dell'unità cristiana aggiunge suggerimenti pratici per rafforzare, specie attraverso l'educazione ecumenica, lo spirito e la pratica dell'ecumenismo, e direttive, ancora molto limitate, per una comunione sacramentale con cristiani di altre Chiese. L'altro documento importante è l'enciclica di Giovanni Paolo ii Ut unum sint (25 maggio 1995).

L'enciclica riassume e conferma i principi dell'ecumenismo cattolico, i cospicui risultati dei dialoghi ecumenici e i nuovi rapporti della Chiesa cattolica con le altre tradizioni cristiane. Giovanni Paolo ii descrive la speciale responsabilità e il ministero di unità del vescovo di Roma, e prospetta la possibilità di modifiche nelle forme del suo esercizio perché questo ministero possa trovare un più vasto riconoscimento. Ciò porta alla conclusione: "La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi a instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno?". La questione del ministero del romano pontefice sarà certamente uno dei problemi che accompagneranno il m. e. nel 21° secolo.

I rapporti ecumenici della Chiesa cattolica sono migliorati molto più a livello regionale e nazionale che a livello mondiale. Questo perché in ambito locale le Chiese cattoliche nazionali e le conferenze episcopali regionali possono coltivare rapporti di collaborazione con altre Chiese nazionali o organizzazioni regionali ecumeniche. Di conseguenza sempre più numerose Chiese cattoliche sono divenute membri a pieno titolo o si sono associate a consigli di Chiese regionali o nazionali, hanno partecipato alla Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani e ad altri eventi ecumenici (come la ii Assemblea ecumenica europea a Graz nel 1997), e si sono impegnate in molte forme di collaborazione in campo sociale, in quello della comunicazione, negli studi teologici e attraverso l'uso comune di edifici. In molti paesi sono state fatte dichiarazioni comuni su problemi sociali e politici, come, per es., la dichiarazione Per un futuro di solidarietà e giustizia, redatta congiuntamente dal Consiglio della Chiesa evangelica in Germania e dalla Conferenza episcopale tedesca nel febbraio 1997, che ha sollevato molte discussioni.

Un secolo ecumenico

È ormai opinione comune che la prima conferenza missionaria di Edimburgo nel 1910 sia la data di nascita del moderno movimento ecumenico. Appena tre decadi dopo Edimburgo, nel 1942, W. Temple, il più insigne arcivescovo di Canterbury di questo secolo, nel discorso per la sua intronizzazione nella sede primaziale anglicana definì il m. e. "il grande fatto nuovo della nostra epoca" (The Church looks forward, London 1944, p. 2). Le parole dell'arcivescovo erano in quegli anni ancora un'anticipazione profetica, giacché la Chiesa cattolica, che rappresenta la maggioranza dei cristiani, aveva fino ad allora (e fino agli anni Sessanta) ufficialmente rifiutato di aderire al movimento. Tuttavia alla fine del 20° sec. è giustificato ripetere e ribadire le parole dell'arcivescovo Temple. Infatti, non solo nella storia della Chiesa ma nella più ampia cornice della storia mondiale, il m. e. è divenuto un significativo elemento nuovo e un segno del nostro tempo, che era sconosciuto ai secoli precedenti.

Si può dire che l'ultimo millennio è stato profondamente segnato da due grandi spaccature all'interno della cristianità con le ripercussioni sociali, politiche e culturali che ne sono derivate: la divisione tra Chiesa orientale e occidentale all'inizio del secondo millennio (la linea di demarcazione tra Bisanzio e Roma attraversa la penisola balcanica) e la divisione all'interno della cristianità occidentale a metà del secondo millennio. Di conseguenza le grandi tradizioni cristiane (cattolica, ortodossa, anglicana, luterana, riformata, metodista, battista) hanno vissuto in una situazione di guerre politico-religiose, inimicizia, condanna e non accettazione reciproca, isolamento e competizione.

Questa realtà è radicalmente mutata nel 20° sec., con la comparsa del movimento ecumenico. Cristiani e Chiese cominciarono a riconoscere nella divisione che caratterizzava la loro storia un elemento contrario alla volontà di Dio e in contrasto con la missione di riconciliazione nelle disgregazioni e catastrofi del mondo. Il m. e. ha contribuito a instaurare un radicale mutamento di rotta nei rapporti tra le Chiese, indirizzandoli verso il reciproco rispetto, una migliore comprensione, una comunione spirituale, accordi e convergenze teologiche, forme di collaborazione e solidarietà. Un buon numero di Chiese ha instaurato forme di unione e comunione sacramentale. L'entrata della Chiesa cattolica nel m. e. ha poi allargato e arricchito questo movimento nella seconda metà del secolo 20°, rendendolo ancor più un 'secolo ecumenico'.

Non solo le divisioni all'interno della cristianità, ma anche il progresso verso una crescente unità nella fede, nella vita, nella testimonianza e nel servizio cristiano, si ripercuotono sulla storia. La "reale ma (ancora) imperfetta comunione" (Giovanni Paolo ii) ora esistente tra le Chiese cristiane ha, in molte situazioni e in molti casi, influenzato la storia mondiale: con la solidarietà mondiale cristiana in situazioni di bisogno, conflitto e sofferenza, con l'impegno ecumenico per superare la discriminazione razziale e l'ingiustizia sociale, con la collaborazione per migliorare la situazione di donne, bambini e popolazioni indigene, con la guida dei movimenti per la pace, la responsabilità ecologica, la giustizia economica internazionale, la libertà religiosa e i diritti umani. Indubbiamente il m. e. ha rappresentato una importante forza costruttiva nel 20° sec., in un mondo tuttavia ancora molto lontano dal sogno di un futuro più umano, pacifico e giusto.

Nonostante il grande risultato storico conseguito, il m. e. non ha raggiunto né il suo fine ultimo (che potrebbe situarsi al di là del tempo storico), cioè l'unione di tutti i cristiani, né tutti i suoi obiettivi immediati. Sarà dunque suo compito nel 21° sec. raggiungere tali obiettivi e affrontare gli altri nuovi compiti che si presenteranno. A questo fine potrebbero costituire un forte incentivo le riflessioni e le celebrazioni per l'inizio del terzo millennio. Nella misura in cui è possibile fare previsioni, i compiti futuri del m. e. dovrebbero essere i seguenti.

Innanzitutto, la trasformazione del WCC, strumento storico del m. e., in una struttura nuova (forse in conformità con le tradizioni confessionali) che tenga conto della piena inclusione della Chiesa cattolica. Quindi, la messa in atto di sforzi decisivi per rafforzare la base e l'orientamento teologico dei movimenti evangelici, pentecostali e carismatici; infatti, questi movimenti rappresenteranno con ogni probabilità la maggioranza dei cristiani non cattolici nell'emisfero meridionale nel 21° sec. e il loro pieno coinvolgimento nel m. e. sarà di certo una necessità assoluta.

Inoltre, tra i compiti futuri del m.e. appare urgente fare appello alle Chiese perché esaminino, accolgano e inseriscano più diffusamente i risultati dei dialoghi ecumenici nel loro pensiero e nella loro vita e nei rapporti con altre Chiese. È infine indispensabile il proseguimento del dialogo teologico per superare barriere tuttora presenti, o nuove, tra le Chiese. Scopi principali di questo dialogo dovrebbero essere: raggiungere un accordo di base sulla natura, la missione e l'unità della Chiesa cristiana; autorizzare al più presto possibile forme ufficiali di comunione eucaristica tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese, desiderio pressante di tanti cristiani che già la praticano non ufficialmente; trovare forme che consentano una più piena inclusione delle donne nei diversi ministeri di tutte le Chiese; esaminare forme di comprensione e di esercizio del ministero papale, tali che possa essere riconosciuto da altre Chiese come ministero universale dell'unità cristiana, senza l'obbligo di accettare la dottrina e l'esercizio del primato e dell'infallibilità papale; rielaborare in forma efficace le comuni convinzioni di fede cristiana, in maniera tale che servano da vincolo per mantenere insieme il crescente pluralismo del pensiero cristiano e per respingere l'indifferenza postmoderna nei confronti della verità e dei concetti e valori universali.

Nel futuro del m. e. deve essere previsto anche un dialogo molto più ampio e intenso con le altre religioni. Un mezzo importante e indispensabile per evitare futuri conflitti (se non guerre) tra culture diverse sarà l'instaurarsi di una migliore comprensione, di un più profondo rispetto e di una crescente e scambievole cooperazione tra le grandi religioni mondiali.

Infine il m. e. deve collaborare all'elaborazione, più organica e puntuale, di una etica sociale cristiana comune. Questa testimonianza cristiana dovrebbe offrire valori morali e orientamenti etici convincenti e stimolanti sul piano individuale e sociale. Sarebbe questo il contributo indispensabile del m. e. alla sopravvivenza e al benessere di un mondo diviso, minacciato e confuso che, secondo la fede cristiana, sarà, anche nel 21° sec., il mondo amato da Dio.

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