MONTENEGRO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

MONTENEGRO (XXIII, p. 744)

Oscar RANDI
Elio MIGLIORINI

Nel periodo precedente la seconda Guerra mondiale, l'opposizione federalista montenegrina al governo di Belgrado (Sckula Drljević, Pietro Plamenać ex ministro di re Nicola, Novica Radović) si mantenne assai viva. Col crollo (aprile 1941) della Iugoslavia, a seguito di trattative fra G. Ciano e J. Ribbentrop, si giunse, senza alcuna preparazione psicologica e diplomatica, al progetto di restaurare un Montenegro indipendente. L'arrivo (a Cettigne il 6 aprile) delle truppe italiane, ebbe accoglienze cordiali. Fu subito instaurata l'amministrazione italiana e il 3 ottobre il Montenegro fu costituito in governatorato dipendente dal ministro degli Esteri per gli affari politici, civili e amministrativi e dal comando supremo per quelli militari. Ma l'ignoranza della situazione reale fece commettere agli Italiani una serie di errori; si sparse anche la voce che il Montenegro sarebbe stato proclamato indipendente, sotto protettorato italiano, non escludendosi il ritorno della dinastia Petrovič nella persona del principe Michele, nipote dell'ex re Nicola. La visita, non disturbata, di re Vittorio Emanuele III, zio di Michele, nel maggio, rappresentò una conferma di questa voce.

Intanto fu resa pubblica la delimitazione dei confini che comportava una sensibile mutilazione dell'ex Banato della Zeta. La frontiera montenegrina verso la Croazia fu fissata con l'accordo del 27 ottobre 1941 che prevedeva il passaggio alla Croazia dei paesi della Drina e di Ragusa; Cattaro passava all'Italia; la frontiera albanese non era definita, ma si prevedeva la cessione da parte del Montenegro della Metohija, dell'alta valle del Lim e della zona di Dulcigno; in compenso il Montenegro, ingrandendosi a spese della Serbia, acquistava a NE. la valle del medio Lim e quella dell'Uvac, come pure, a S., il litorale adriatico tra Budua e Antivari. La superficie veniva valutata a quell'epoca intorno a 15.220 kmq. e la popolazione sui 435.000 ab. (29 ab. per kmq). La maggiore città era Podgorizza con 14.000 ab., mentre la capitale, Cettigne, non raggiungeva i 9000 abitanti.

Intanto, la carica di governatore fu affidata a Mihajlo Ivanovi?ć, montenegrino, ex ministro di re Nicola, col montenegrino Gjukanović ministro della Guerra, e col reggente italiano, il diplomatico Serafino Mazzolini. Il 12 luglio 1941 fu proclamata l'indipendenza. Ma il giomo dopo, fomentata da Tito, scoppiò la rivolta. Parecchi federalisti, funzionarî del nuovo governo, defezionarono, passando nel cosiddetto esercito di liberazione. I partigiani comunisti segnarono qualche successo, occupando tutte le città, meno Cettigne e Podgorizza. A Cettigne il governo rimase assediato per 11 giorni.

Tre erano i partiti che agitavano l'opinione pubblica: quello dei cosiddetti "bielasci" - i bianchi - che auspicavano l'unione con la Iugoslavia ma con una larghissima autonomia, da rasentare l'indipendenza; quello degli iugoslavofili, seguaci di re Pietro, i quali facevano capo al generale P. Jurišić e volevano o un ritorno puro e semplice alle condizioni di prima o un'unione del M. coll'antica Serbia in modo da fare uno stato unitario più piccolo della Iugoslavia, ma composto di soli slavi ortodossi; e infine, quello dei cosiddetti "zelenasci" - i verdi - che rappresentavano l'antica tradizione del piccolo Montenegro di re Nicola e ripudiavano qualunque unione alla Iugoslavia e avrebbero desiderato o una unione personale col regno d'Italia, o l'elezione di un re proprio, ma designato dall'Italia.

Azioni di particolare crudeltà ed efferatezza contro presidî italiani isolati determinarono la reazione delle truppe italiane e si instaurò, da una parte e dall'altra, una catena di violenze che divenne sempre più difficile spezzare. Affluirono nuove divisioni italiane - costituite da circa 40 mila uomini - e si reclutarono i "cetnici" indigeni, che combattevano fra loro per ambizioni personali. Nel luglio si fece luce in Serbia il gen. D. Mihajlović che, in lotta coi partigiani comunisti, appoggiò dapprima i "cetnici" montenegrini, ma poi, avendo aderito al piano panserbo di M. Nedić e creato un comando per "il Montenegro, il Sangiaccato e le Bocche", diede non poco da fare alle truppe italiane, mentre la popolazione, in generale, era ad esse benevolmente disposta. Infine, di fronte alla reazione della cosiddetta "quinta offensiva di Tito", Mihajlović abbandonò il Montenegro. Ma, ad accrescere la confusione, sorsero contro gli occupanti i cetnici anglofili e, contro i Montenegrini, gli Albanesi che aspiravano ad annettersi l'ex territorio del Lim.

Fallito, nel dicembre 1941, il tentativo dei partigiani di attaccare con 5000 uomini Plevlje, presidiata da una divisione italiana, la rivolta fu contenuta. Ma il governo civile del reggente Mazzolini, incapace a sostenersi, fu sostituito dal governatorato militare del gen. Alessandro Pirzio Biroli, cui poi successe, nel comando delle truppe, il gen. L. Mentasti e, nella carica di goverriatore, il gen. F. Barbasetti di Prun. Dopo l'8 settembre 1943 le unità italiane si sfasciarono e le truppe in parte passarono ai partigiani e in parte furono deportate dai Tedeschi. Questi subentrarono ad esse a presidio del paese e non avendo speciali interessi né rancori, si mostrarono tolleranti. Essi permisero anzi ai Bocchesi di opporsi ad un tentativo di occupazione da parte di Pavelić e di mantenere per un anno una specie di repubblica indipendente serba (che emise anche proprî francobolli) come continuazione della prefettura italiana di Cattaro.

Il Montenegro ha dato al movimento di Tito tre capi partigiani: Milovan Djilaš, Peko Dabčević e l'attuale presidente della repubblica federale montenegrina, Blažo Jovanović.

Ricostituita la Iugoslavia, il Montenegro forma ora la sesta repubblica federata, che ha avuto la massima estensione dei suoi confini comprendendo 13.837 kmq. con 360.044 ab. Il suo fronte marittimo si è allargato, poiché abbraccia entro i suoi confini anche le Bocche di Cattaro. Invece la Metohija fa parte ora della Serbia come provincia autonoma. Podgorizza (XXVII, p. 580), distrutta, risorge col nome di Titograd e si avvia a divenire la nuova capitale. Il piano quinquennale contempla progetti grandiosi di progresso culturale, industriale, economico: un'università a Cettigne; una ferrovia da Titograd a Nikšić con collegamento per Cattaro e l'Erzegovina; la bonifica delle paludi di Scutari, ecc.

Bibl.: E. Migliorini, Il Montenegro, Roma 1942; C. Umiltà, Iugoslavia e Albania, Milano 1947.

TAG

Seconda guerra mondiale

Vittorio emanuele iii

Opinione pubblica

Blažo jovanović

Regno d'italia