ATHOS, Monte

Enciclopedia Italiana (1930)

ATHOS, Monte (A. T., 82-83)

Georges A. SOTIRIOU
Roberto ALMAGIA Silvio Giuseppe MERCATI

Piccola repubblica monastica entro il territorio della Grecia, che occupa la più orientale delle tre penisolette con le quali la Penisola Calcidica si spinge nel Mare Egeo. Questa penisoletta, detta 'Ακτή dagli antichi, "Αγιον "Ορος dai Greci d'oggi e Montesanto dai marinai italiani (così anche molto spesso in carte italiane e straniere dei secoli passati), è lunga circa 50 km. e ha coste assai incise; è percorsa in tutta la sua lunghezza da una dorsale calcarea, dapprima poco elevata (400-500 m.), la quale poi alla sua estremità si rialza bruscamente in un cono isolato di calcare bianchissimo (1935 m.), che precipita con pendii assai ripidi sul mare ed è visibile a gran distanza; a questa montagna spetta più propriamente il nome di Athos (lat. 40°10′ N., long. 24°20′ E.). La penisoletta del M. Athos è separata dal resto della Calcidica da un istmo largo circa km. 2,3 alto appena 15-16 m. che, secondo Erodoto (VII, 21-22), Serse aveva tentato di tagliare; lungo il sottile istmo la difesa è facile, anzi in sostanza la penisoletta resta del tutto segregata come un'isola. Scarsa di risorse, per la povertà del suolo calcareo, non ha traffici né col resto della Balcania, né con le isole. Presso il promontorio Athos avvenne il naufragio della flotta persiana comandata da Mardonio (Erod., VI, 44 segg.).

Bibl.: Smith Webber, On Mount Athos, in Journ. of the Roy. Geographical Society, 1837; T. Spratt, Remarks on the Istmus of Mount Athos, 1847; F. W. Hasluck, Athos and its Monasteries, Londra 1924; A. Palmieri, La repubblica monastica dell'Athos, in Europa Orientale, gennaio 1925; W. Miller, The Holy Mountain (Foreign Affairs), New York 1925; V. Vannutelli, La penisola monastica del Mare Egeo. Soggiorno di un mese al Monte Santo di Macedonia, Roma 1888; Τ. Σμυρνάκις, Τὸ "Αγιον "Ορος, Atene 1903.

I monasteri dell'Athos.

Secondo pie leggende diffuse tra i monaci dell'Athos e raccolte nei Πάτρια τοῦ ‛Αγίου "Ορους, le origini della vita monastica nella Santa Montagna risalirebbero all'età di Costantino il Grande e anche più addietro (in un affresco del monastero di Karakálos è rappresentato l'imperatore Caracalla come fondatore del convento). Invece secondo la critica storica la penisola non cominciò a essere frequentata da eremiti che verso la metà del sec. IX, circa un secolo prima della fondazione del più antico monastero esistente (Lavra, 962). Il monachesimo atonitico passò attraverso tre fasi: 1. periodo eremitico; 2. periodo delle lavre, ossia della libera organizzazione degli eremiti nelle lavre; 3. periodo dei monasteri, o della stretta organizzazione dei monasteri. Nell'anno 842 siamo ancora nel primo periodo e il primo eremita che conosciamo è Pietro l'Atonita. Egli era stato soldato nelle scholae; fuggito dalla prigionia dei Saraceni, venne a Roma per ricevere la tonsura monacale dal pontefice; poi, ritiratosi nell'Athos, visse cinquant'anni da eremita in una spelonca. La prima lavra, di cui si ha notizia, è quella fondata da S. Eutimio di Tessalonica verso la fine del regno di Michele III, circa l'862; il più antico monastero, ma non nell'Athos, bensì nelle vicinanze, fu quello di Giovanni Kolovós, sotto Basilio I, presso Hierissós: nell'Athos non ci furono monasteri fino alla venuta di Atanasio l'Atonita. Questi era nato a Trebisonda da distinta famiglia; studente a Costantinopoli, seguì Michele Maleino, zio del prode Niceforo Foca, nel suo monastero del monte Kyminás nell'Asia Minore; ma, per non succedere al vecchio igumeno nella dinezione del monastero, fuggì nell'Athos, ove visse parecchi anni nascosto. Niceforo però lo fece rintracciare, assegnandogli una cella vicino a Karyaí (Καρυαί, o volgarmente Καρυές). Atanasio, col favore di Niceforo Foca e di Giovanni Zimisce, intraprese la fabbrica della Lavra: perì sotto le rovine di una cupola in costruzione fra il 997 e il 1011.

Alla fondazione della lavra, retta secondo le regole del monastero di Studio di Costantinopoli, seguì quella di altre lavre cenobitiche. Però in seguito alle rimostranze dei vecchi eremiti presso l'imperatore Giovanni Zimisce, fu mandato all'Athos lo studita Eutimio, il quale appianò le dissensioni e redasse il primo tipico (v.) della Santa Montagna approvato dall'imperatore nel 970. I monaci erano divisi in cenobiti abitanti nelle lavre e celle sotto la direzione di igumeni, e in asceti privati. Il governo della S. Montagna e il potere giudiziario era esercitato dall'assemblea degl'igumeni (σύναξις τῶν ἡγουμένων) e dal primate (πρῶτος) residente a Karyaí.

Cresciuto rapidamente il numero dei monaci e riconosciuta la necessità di introdurre qualche riforma e di eliminare discordie l'assemblea degl'igumeni chiese nel 1045 da Costantino Monomaco l'invio di un consigliere per la compilazione di un nuovo tipico. Fu mandato Cosma Tzitziloúkis, coll'aiuto del quale fu redatto il secondo tipico. Risulta da questo tipico che i monasteri hanno assunto assolutamente il primo posto rispetto agli eremiti e ai cellioti, i quali hanno perduto la loro indipendenza economica. Lavra con 700 monaci, Vatopédi, Iviron e il monastero degli Amalfitani (abitato di preferenza da monaci latini oriundi dell'Italia meridionale e degli scali del Levante, ma ben presto decaduto: restano ora soltanto gl'imponenti ruderi di una torre) erano i principali monasteri. I monaci atonitici godettero del favore dei Comneni, sotto i quali si stabilirono nella penisola i Serbi con la fondazione di Chilandar per opera di Stefano Nemania (1098); ebbero invece a patire vessazioni durante l'impero latino (1204-1261), tanto che Innocenzo III prese sotto la sua protezione la Santa Montagna "ornata di 300 monasteri e d'una gloriosa moltitudine di religiosi conducenti vita stretta e povera". Sotto Michele VIII Paleologo, favorevole all'unione con Roma, i monaci soffrirono persecuzioni per il loro attaccamento all'ortodossia; malgrado le depredazioni della compagnia Catalana e dei pirati e le agitazioni provocate dalla querela degli Esicasti (v.), la S. Montagna non rimase estranea al rinnovamento spirituale ed artistico dell'epoca dei Paleologi, anzi ne divenne il centro più importante specialmente nel campo dell'arte. Sotto Manuele II Paleologo fu pubblicato nel 1392 l'ultimo tipico imperiale, col quale si governarono i monasteri anche sotto il dominio turco. Dopo la presa di Salonicco (1430) i monaci dichiararono la loro sottomissione a Murād II e Maometto II, da cui ebbero riconfermati i diritti e privilegi concessi dagl'imperatori, dietro il pagamento di un tributo annuo. Già al principio del sec. XV veniva diffondendosi nell'Athos un nuovo sistema di vita, caratterizzato da maggiore libertà individuale, il cosiddetto sistema idiorritmico, che vige anche ora accanto a quello cenobiaco. Il primate, che dal 1312 dipendeva non più dall'imperatore ma dal patriarca, perdette in autorità e finì per scomparire nel secolo XVII. Le funzioni dell'igumeno vennero assorbite dagli epitropi.

Nei secoli XVI-XVII si nota un forte regresso nella vita eticoreligiosa ed economica dell'Athos; monasteri indebitati, soccorsi però dalle liberalità dei principi moldo-valacchi, i monaci trafficanti, rivalità fra i monasteri. Ma dalla fine del sec. XVII l'Athos si rimette a capo del movimento intellettuale. Nel 1749 si eresse a Vatopédi un istituto superiore di cultura, la cosiddetta Accademia dell'Athos; vi si studiava il greco classico, il latino, si leggevano Locke, Leibnitz e Wolf. V'erano ammessi anche laici. Ma ebbe durata effimera.

Intanto sorsero fra quei monaci diverse questioni rituali come quella delle kóllyve o della commemorazione dei defunti, durante la quale venivano distribuiti i κόλλυβα, specie di dolce composto di frumento cotto, noci, mandorle, ecc. (si discuteva se si potevano commemorare i defunti non solo il sabato, com'era consuetudine, ma anche la domenica), e quella della comunione frequente.

Nel 1783 il patriarca di Costantinopoli Gabriele II introdusse una riforma disciplinare, amministrativa e finanziaria, mirante soprattutto a ricondurre i monasteri al sistema cenobitico, la quale è rimasta la base della costituzione agioritica sino ai nostri tempi.

Tra la fine del sec. XVIII e il principio del XIX si osserva un grande risveglio nell'attività edilizia dell'Athos, sintomo di progresso economico; ma viene bruscamente interrotto dall'insurrezione greca (1821), cui parteciparono fervidamente i monaci, provocando l'occupazione militare turca durata nove anni. Nella seconda metà del sec. XIX vi furono vive agitazioni, specie nell'elemento greco, contro i tentativi di russificazione dell'Athos favoriti dalla diplomazia degli zar (immigrazione di monaci russi, acquisto di terreni, edificazione di suntuose chiese e skite, come quella di S. Andrea detta Serraglio, ecc.), che mirava a far dichiarare la Santa Montagna repubblica neutrale sotto la protezione della Russia e degli stati balcanici ortodossi. Questo carattere internazionale della penisola monastica fu riconosciuto durante la grande guerra europea, anche quando la penisola fu occupata dalle truppe interalleate (francesi, russe, inglesi). Ma, crollata la potenza degli zar, col trattato di Losanna (24 luglio 1923) la Grecia diventò padrona assoluta della S. Montagna: solo che, in virtù dell'articolo 13 del trattato di Sèvres, è tenuta a riconoscere e conservare i diritti e le libertà di cui fruiscono i monasteri non ellenici del Monte Athos secondo le disposizioni dell'art. 69 del trattato di Berlino. La Grecia procedette subito alla codificazione delle leggi e usanze atonitiche convocando a Karyaí un'assemblea straordinaria, quale redasse la carta costituzionale (καταστατικὸς κάρτης) del Monte Athos, pubblicata il 16 settembre 1926. In forza di questa la penisola dell'Athos è parte autonoma dello stato ellenico; dal punto di vista spirituale si trova sotto l'immediata giurisdizione del patriarcato ecumenico. Tutti i monaci ivi residenti acquistano la nazionalità ellenica insieme con l'accettazione loro come novizî o monaci, senz'altra formalità. L'amministrazione della S. Montagna, il cui suolo è inalienabile, è esercitata dai rappresentanti dei 20 monasteri (ἀντιπρόσωποι), i quali costituiscono la Sacra comunità (ἱερὰ κοινότης). È vietato lo stabilirsi nei monasteri di eterodossi o scismatici. L'esatta osservanza degli statuti agioritici è per la parte spirituale sotto la sorveglianza suprema del patriarcato ecumenico e per la parte amministrativa sotto la sorveglianza dello stato ellenico, cui spetta esclusivamente anche il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. I poteri dello stato sono esercitati a mezzo di un governatore (διοικητής), i cui diritti e doveri, come pure il potere giudiziario esercitato dalle autorità dei monasteri e dalla Sacra comunità e in fine i privilegi doganali e tributarî della S. Montagna, sono definiti per legge. È ribadito l'antico divieto d'accesso delle donne e delle femmine degli animali (art. 186).

Col volger dei secoli variò il numero dei monasteri. Nel sec. X se ne contavano 56, verso la fine del secolo XIII, 31, nel 1394, 25. In seguito alla distinzione degli edifici monastici in monasteri principali e nelle loro dipendenze: skite e celle (σκῆται e κελλία già note nel monachismo antico), kalyve (καλύβαι "capanne"), kathismata (καϑίσματα "residenze"), eremitaggi (ἡσυχαστήρια), il numero dei monasteri diminuì gradatamente. Da 2z che erano nel 1822 sono ridotti oggi a 20, così disposti per ordine gerarchico:

1. Monastero della grande Lavra, con 327 monaci. Ne dipendono le skite di S. Anna, con 130 monaci, di Kapsokalyvi, con 78 monaci, e del Prodromo, con 57 monaci rumeni; 2. Monastero di Vatopédi (Βατοπεδίον), con 369 monaci, avente sotto di sé la skita di S. Andrea o Serraglio, con 159 monaci russi; 3. Monastero di Iviron ('Ιβήρων), con 243 monaci; 4. Monastero di Chiliandari (Χιλιανδαρίου), con 326 monaci serbi; 5. Monastero di Dionisio (Διονυσίου), con 123 monaci; 6. Monastero di Koutloumousi (Κουτλουμουσίου), con 120 monaci. Nella skita omonima vivono 28 monaci; 7. Monastero del Pantocratore (Παντοκράτορος), con 161 monaci greci. Ne dipende la skita di Elia profeta, con 75 monaci russi; 8. Monastero di Xeropotamo (Ξεροποτάμου), con 120 monaci; 9. Monastero del Zografo (Ζωγράϕου), abitato da 332 monaci bulgari, 10. Monastero del Dochiario (Δοκειαρίου, con 88 monaci; 11. Monastero del Karakálos (Καρακάλου ov), con 109 monaci; 12. Monastero di Filoteo (Φιλοϑέου), con 146 monaci; 13. Monastero di Simopetra (Σίμωνος), con 116 monaci; 14. Monastero di San Paolo (Δοκειαρίου), con 76 monaci, avente sotto di sé le skita di S. Demetrio, rumena, con 53 monaci, e di S. Paolo, con 78 monaci; 15. Monastero di Stavronikita (Σταυρονικήτa), con 161 monaci; 16. Monastero di Senofonte (Ξενοϕῶντος), con 120 monaci. Nell'omonima skita vivono 70 monaci; 17. Monastero di Gregorio (Γρηγορίου), con 123 monaci; 18. Monastero di Esfigmeno ('Εσϕιγμένου), con 118 monaci; 19. Monastero Russo (‛Ρωσσικό) o di S. Panteleimon (Παντελεήμονος), con 592 monaci russi. Ne dipendono le skite della Nuova Tebaide e di Vogoroditza; 20. Monastero di Constamonita (Κωνσταμονίτου), con 87 monaci.

Questi 20 monasteri sono ripartiti in tetradi (o quaderne), che si avvicendano come sacra presidenza (ἱερὰ ἐπιστασία), costituente il potere esecutivo della sacra comunità (ἱερὰ κοινότης) residente a Karyaí: 1) Lavra, Dochiario, Senofonte, Esfigmeno; 2) Vatopédi, Koutloumousi, Karakálos, Stavronikita; 3) Iviron, Pantocratore, Filoteo, Simopetra; 4) Dionisio, Zografo, Rossikó, Constamonita: la quinta, con gli altri.

I monasteri sono retti secondo due sistemi, il cenobiaco e l'idiorritmico. I cenobî (κοινόβια) sono undici (quelli indicati sopra con i numeri 5, 6, 9, 11, 13, 14, 16-20), governati da un abate o igumeno (ἡγούμενος) a vita, coadiuvato da due o tre procuratori (ἐπίπροποι), che vengono eletti o da tutti i monaci o dall'assemblea degli anziani (γεροντική σύναξις) composta di otto o dieci monaci (προϊσάμενοι) scelti dall'igumeno. I particolari dell'elezione e dell'amministrazione variano nei diversi monasteri. Nei cenobî sono di proprietà comune il denaro, il vitto e i vestiti; vengono amministrati dall'igumeno e dai suoi subordinati, e specialmente dall'economo.

I monasteri idiorritmi (ἰδιόρρυϑμος), in generale più agiati, sono nove (quelli indicati con i nn.1-4, 7, 8, 10, 12, 15). In essi quasi solo l'ufficio divino è in comune. I monaci vivono da sé eseguendo i vari servizî per mercede: hanno quindi peculio proprio e ricevono dal monastero olio, farina, vino, ecc. Sono governati da una procura (ἐπιτροπή) scelta dall'assemblea dei presidenti (σύναξις τῶν προϊσταμένων). Per ciò l'ordinamento dei cenobî è quasi monarchico, ma con proprietà comune: quello dei monasteri idiorritmi è oligarchico.

La condizione economica dei monaci dell'Athos non è florida. Già i monasteri avevano patito ingenti danni dalla confisca dei possedimenti nella Moldavia e nella Valacchia, avvenuta nel 1863. La stessa sorte subirono dal 1917 i beni situati in Russia, Georgia e Bessarabia con l'avvento dei Soviet, mentre vennero a mancare le considerevoli offerte degli ortodossi russi. Anche lo stato greco mise mano sui possessi dell'Athos nella Calcidica e in altre parti fuori della penisola. La situazione migliorerà, quando sarà corrisposto il promesso indenizzo dei beni espropriati per la sistemazione dei profughi greci. È questo anche un giusto riconoscimento delle benemerenze, verso la religione ortodossa e la nazione greca, della Santa Montagna, la cui importanza storica oltrepassa del resto i limiti del grecismo.

Bibl.: H. Gelzer, Vom heiligen Berge und aus Makedonien, Lipsia 1904; P. de Meester, Voyage de deux Bénédictins aux monastères du mont Athos, Parigi 1908; Ph. Meyer, Die Haupturkunden für die Geschichte der Athosklöster, Lipsia 1894; F. Perilla, Il Monte Athos, Salonicco 1927 (anche in francese); Δ. Πετρακάκος, Τὸ μοναχικὸν πολίτευμα τοῦ ἁγίου "Ορους "Αθω, Lipsia 1925; Γ. Σαυρνάκις Τὸ ἅηιον "Ορος, Atene 1903; Τὰ πάτρια τοῦ ἁγίου "Ορους, in Νέος 'Ελληνομνήμων, IX (1912), pp. 116-161; 209-244. Della collezione Actes de l'Athos sono usciti in appendice alla Vizantijskij Vremmenik, X (1903); I, Actes de Xénophon, ed. L. Petit; II, Actes du Pantocrator, ed. L. Petit; XII (1906): III, Actes d'Esphigménou, ed. L. Petit e W. Regel; XIII (1907): IV, Actes de Zographou, ed. W. Regel, E. Kurtz e B. Korablev; XVII (1911); V, Actes de Chilandar, ed. L. Petit e B. Korablev. Per i codici canonici di Vatopédi e Lavra, vedi V. Beneševič, in Vizant. Vremennik, XI (1904). Per le relazini fra l'Athos e Roma, vedi G. Hofmann, Athos e Roma, in Orientalia Christiana, V, ii, Roma 1925 e Rom und Athosklöster, ivi, VIII, i, Roma 1926.

Monumenti.

La penisola dell'Athos occupa il primo posto nell'Oriente cristiano non solo perché il visitatore vi trova un'immagine viva della vita ecclesiastica del Medioevo bizantino, ma soprattutto per le opere d'arte e per i cimelî ch'essa conserva, per cui si può dire un grande museo bizantino. L'arte dell'Athos si sviluppò propriamente dal sec. X e continuò a fiorire anche dopo la presa di Costantinopoli (1453) sino circa alla fine del sec. XVIII.

Architettura. - I venti monasteri dell'Athos tuttora superstiti con la moltitudine di skite, celle e romitaggi da essi dipendenti, datati dalla fine del sec. X sino alla fine del XIV, ma in vario modo restaurati sino ad oggi, hanno un comune tipo architettonico: una doppia porta aperta in uno dei lati di una forte cinta quadrangolare o poligonale fortificata con torri poligonali o rotonde a cupola, conduce in un ampio cortile, intorno al quale sono le celle, costruzioni addossate alla cinta, divise in due o più piani con balconi chiusi e doppî portici sul davanti. Nel mezzo del cortile si trova la chiesa comune (καϑολικόν), davanti ad essa la fontana (ϕιάλη), sotto un'edicola rotonda, dove si compie la purificazione (ἁγιασμός), e il refettorio (τράπεζα), una sala oblunga terminante in abside con annessa mensa. Il katholikón è il principale edifizio dei monasteri, di tipo architettonico tricoro che continua le antiche tradizioni dei monasteri dell'Oriente ma con caratteri particolari; consta cioè d'una navata spaziosa, cruciforme, con molte cupole, terminata nei bracci laterali da grandi absidi rotonde, triangolari o poligonali all'esterno: i cosiddetti cori. Doppie narteci delimitano ad Occidente il tempio; quella interna (detta liti, perché vi si fa la λιτή o processione), è spesso assai ampia, con sostegni nel mezzo: vi sono poi annesse cappelle simmetriche al tempio o dai due lati della nartece. Fa eccezione la chiesa del Protato, in forma di basilica a tre navate con soffitto di legno, divisa internamente da archi. (V. Tavv. XLVII-LII).

Pittura. - Tutte le chiese suddette dei monasteri dell'Athos con le cappelle e i refettorî sono ricchissimamente decorate di pitture murali disposte secondo il consueto ordinamento dogmatico dell'Oriente ortodosso che prevalse fin dal sec. IX: il Pantocratore (l'Onnipotente) in mezzo ad angeli e profeti nella cupola con i quattro evangelisti nei pennacchi, la Madonna, la Divina Liturgia e i gerarchi nell'abside, rappresentazioni delle dodici feste maggiori nelle vòlte, figure intere di martiri e santi nelle pareti, la δέημις ("preghiera", rappresentata col Cristo in trono, tra la Vergine e il Precursore in attitudine supplicante) sull'ingresso della navata; dai due lati delle porte il Giudizio universale, che dell'Athos è raffigurato anche nei refettorî con l'Albero di Jesse, martirî di santi, storia di Adamo ed Eva, ecc. Di questi affreschi i più antichi (appartenenti al secolo XIV, come appare dalla loro maniera), sono quelli dei monasteri del Protato, di Chiliandari e di Vatopédi, la cui nartece conserva gli unici musaici elell'Athos che risalgano al sec. XI. I dipinti murali del Protato sono attribuiti al pittore Panselino (Πανσέληνος), ricordato nella Guida dei pittori (‛Ερμηνεία τῶν ζωγράϕων) e considerato come uno dei principali rappresentanti della cosiddetta scuola macedone. Essi sono fra le opere più insigni del Rinascimento bizantino dell'età dei Paleologi, animati da forte soffio di vita, naturalezza ed espressionei con particolarità di composizioni e di prospettiva che l'arte bizantina fino a quell'epoca non aveva conosciuto. Tutti gli altri sono della scuola cretese del secolo XVI (quelli del monastero di Lavra del 1535, eseguiti dal pittore Teofane di Creta, e gli altri nella cappella a destra, del 1560, dal cretese Antonio; quelli del monastero di Dionisio del 1547, dal cretese Zorzi; quelli del Dochiario, del 1564, da un anonimo, ecc.): opere d'arte squisitamente monastica, piene di sentimento religioso in una maniera tutta particolare (v. bizantina, arte).

Appartengono alla scuola di Creta anche le numerose immagini portatili delle chiese dell'Athos. Sono anteriori ad esse i musaici portatili, di cui i più importanti sono custoditi nei monasteri di Vatopédi e Lavra, come pure le cosiddette iconi taumaturghe, d'epoca bizantina, ma per lo più restaurate, intorno alle quali si sono formate tante leggende monastiche che attribuiscono ad esse particolari denominazioni: Ποεταΐτισσα o Madonna della Porta; "Αξιόν ἐστι (cioè "è degno", dall'inizio di un tropario in onore della Madonna); Τριχεροῦσα o Madonna dalle tre mani; Παραμαυθία o della Consolazione; Κουκουζέλισσα o Madonna del melodo Koukouzelis; Τοργοεπήκοος o del pronto ascolto, ecc.

Sono da annoverare tra i monumenti della pittura anche i codici miniati. Restano nelle biblioteche dell'Athos circa novemila manoscritti, un terzo dei quali ha miniature. Sono in massima parte di argomento ecclesiastico: salterî, vangeli, liturgie, menologi, omelie dei padri, ecc.; rari i codici profani come il Tolomeo di Vatopédi, il Dioscoride di Lavra, ecc. I più importanti per le miniature sono i salterî, alcuni del tipo "aristocratico" altri del tipo "popolare" (Salterio del Pantocratore, numeri 49 e 61, l'uno della fine del sec. XI, l'altro della fine del sec. XII, ecc.), adorni anche di eleganti disegni, titoli e iniziali maiuscole.

Scultura e cimelî. - Abbondano nelle chiese della scultura decorativa in marmo, legno e metallo nei capitelli, nelle porte, nei reli-, quiarî, ecc., appartenenti all'epoca bizantina e post-bizantina, in parte importati. Innumerevoli gli oggetti preziosi custoditi nei tesori dei monasteri: piccole iconi di steatite; panagie o piatti d'argento per l'eucaristia con la figura della Madonna; reliquiarî d'argento e smalto; stauroteche; legature di vangeli, croci di legno intagliate, encolpî, vasi liturgici ed altri oggetti in genere indicati come cimelî del Monte Athos ma fin qui poco studiati. Fra quelli già pubblicati, più importanti sono la stauroteca della Lavra del sec. X, creduta dono di Niceforo Foca; la preziosa legatura di un vangelo con il Cristo in rilievo, la famosa coppa di diaspro di Vatopédi con monogrammi di Manuele Cantacuzeno Paleologo despota di Mistrà (1349-1390); un dittico di Cristo e della Madonna con preziosa copertura e con l'epigrafe della donatrice Filantropina (del sec. XIV), detto τά νινία. I tesori dei monasteri sono anche ricchissimi di indumenti preziosi: alcuni si collegano a tradizioni religiose, altri sono creduti manti di imperatori, come quello di Niceforo Foca nella Lavra e quello di Giovanni Zimisce, nel monastero di Iviron, con aquile bicipiti.

Bibl.: Opere principali intorno all'arte del M. Athos, sono: H. Brockhaus, Die Kunst in den Athos-Klöstern, 2ª ed., Lipsia 1924; N. Kondakov, Monumenti d'arte crist. dell'Athos, Pietroburgo 1892 (in russo); G. Millet, Monuments de l'Athos, I, Peintures, Parigi 1927; Millet, Pargoire e Petit, Recueil des inscriptions chrét. de l'Athos, Parigi 1904, I; Σ. Λάμπρος, Κατάλοηος τῶν ἐν ταῖς βιβλιοϑήκαις τοῦ ἁγίου "Ορους ἑλληνικῶν κωδικων, Cambridge 1895-1900; Σ. Εὐστραπιάδης, Κατάλογος Μονῶν Βατοπεδιου καὶ Λαύρας, Parigi 1924-25 (sono indicate anche le miniature); Σ. Σωτηρίου, Τἑχθν τοῦ "Αθω, in 'Εηκυκλοπαιδικον λεξικὸν 'Ελευιυερουδάκθ, I, Atene 1927, p. 434, segg.

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