Miniatura

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L’arte di dipingere in piccole proporzioni su pergamena, carta, rame, avorio ecc.

Il libro miniato

I trattati e la tecnica. - Come decorazione pittorica del libro manoscritto, a piena pagina o limitata alle iniziali, la m. è esistita fin dall’età ellenistica, e fu preceduta da disegni, di soggetto simbolico o narrativo, su papiri. Tuttavia non ci sono pervenuti manoscritti illustrati anteriori al 4° sec. d.C. e la nostra conoscenza della m. più antica si basa essenzialmente su testimonianze letterarie e su copie medievali.

Ricettari e trattati hanno tramandato nel corso dei secoli consigli e regole della tecnica della m.: le Compositiones ad tingenda (manoscritto dell’8° sec. della Biblioteca dei Canonici di Lucca), il più antico pervenutoci, fornisce insegnamenti rivolti anche ad altre tecniche, così come il De coloribus et artis Romanorum di Heraclius, scritto probabilmente in Italia nel 10° sec. (giunto in parte in un manoscritto francese del 14° sec.; il Liber de coloribus illuminatorum sive pictorum, conservato nella Brit­ish Library, e più completo, insieme ad altri trattati, in un manoscritto della Bibliothèque Nationale di Parigi, compilato nel 1431 da J. Le Begue), la Mappae clavicula, un testo risalente al 10°-11° sec. (manoscritto del 12° sec. del Corning museum of glass) e l’importante Schedula diversarum artium, composta nell’11° sec. da Teofilo Monaco. Più specifico è un manoscritto del 14° sec. della Biblioteca Nazionale di Napoli conosciuto come De arte illuminandi, che tuttavia non tratta della pergamena.

Sul supporto pergamenaceo, o più tardi cartaceo, adeguatamente preparato e negli esemplari più preziosi tinto con la porpora, l’opera del miniatore iniziava dopo quella del calligrafo: tracciato con lo stilo di piombo l’abbozzo o direttamente con la penna e l’inchiostro color bistro o seppia il disegno delle figure (si usavano anche matrici di rame incise, soprattutto per il disegno delle iniziali), si procedeva con pennelli di varie dimensioni alla coloritura all’acquerello. I trattati tramandano soprattutto ricette su doratura e argentatura, su preparazione e conservazione dei colori, naturali e artificiali, sui loro leganti (albume d’uovo, gomma arabica, colla di pesce) e su altre sostanze che li rendevano più brillanti e solidi (miele, fiele di bue), ma vi si trovano codificate anche norme sulla sovrapposizione di colori per rendere il modellato (matizatura, quando il colore di fondo si rileva con colori più chiari; incisio, con colori più scuri). Teofilo usa i verbi luminare e illuminare per la stesura di colori più chiari del colore di fondo: illuminatura o alluminatura sono i termini (rimasti nel francese enluminure e nell’inglese illumination e riferiti propriamente alla m. come arte pittorica destinata alla decorazione dei manoscritti), che ricorrono già nel manoscritto di Lucca per la tecnica della m., e illuminatores sono gli artisti che la praticano (di contro alla più usuale derivazione da lumen si è proposta, però, un’etimologia del termine da alumen, l’allume di rocca usato nella preparazione di alcuni pigmenti, lacche alluminate, o illuminate).

I codici miniati. - Essendo un tipo di pittura più di ogni altro legato a un testo scritto, la m., con la trasmissione manoscritta dei testi, fu elemento essenziale di conservazione di tradizioni iconografiche antiche. Per il suo carattere colto, fu però anche talvolta la più ricca di innovazioni stilistiche e la più pronta all’elaborazione di complessi programmi iconografici tra le arti figurative: così, per es., le grandi iniziali dei manoscritti irlandesi (7°-8° sec.) sono tra le più alte espressioni dell’arte medievale, mentre era fondamentale il legame programmatico delle m. al testo. Numerosi sono, in età romanica e gotica, gli scrittori che hanno miniato, o hanno fatto miniare in base a precisi programmi, i loro trattati allegorici o edificanti (Herrada di Landsberg, Francesco da Barberino e altri).

Per circostanze casuali di conservazione, ma anche per il carattere particolarmente preminente assunto dalla m., la nostra conoscenza della pittura medievale, specialmente fuori d’Italia (Bisanzio, Francia, Inghilterra, Spagna, Germania) si basa essenzialmente sui codici miniati. Particolare importanza ebbe la m. nel Medio Oriente, dove, specialmente in Persia e a Baghdad, furono ampiamente illustrati trattati scientifici (in cui talora si ravvisano gli echi di modelli ellenistici) e testi di letteratura profana, con risultati artistici altissimi, influenzati, dal 13° sec. in poi, dalla grande arte cinese. La scuola persiana influenzò a sua volta l’indiana.

In Occidente, il rinnovarsi degli studi scientifici e l’impulso della cultura di corte, interessata alla raffigurazione della vita profana, favorirono nella m. quello studio attento e diretto della realtà naturale che fu uno degli elementi essenziali dell’arte della fine del 14° e dell’inizio del 15° sec. in Italia e in Fiandra. È in questo periodo che sono attestati più frequentemente nomi di miniatori, e in taluni casi si tratta degli artisti più eminenti dell’epoca (G. De’ Grassi, L. Monaco, J. de Hesdin, quindi Beato Angelico, J. Fouquet). La diffusione della stampa accrebbe la preziosità e la rarità del manoscritto miniato e fece divenire la m. una specialità piuttosto che un’arte, malgrado alcune eccezioni (per es., G. Clovio).

Il ritratto in miniatura

Dall’uso di decorare con ritratti del committente o del destinatario il manoscritto di lusso deriva, a partire dal 15° sec., il medaglione-ritratto e, conseguentemente, il genere autonomo dei dipinti di piccolo formato, anch’essi indicati con il termine m. (nelle lingue francese e inglese il termine equivalente è miniature; errata è l’etimologia, a volte proposta, dal lat. minuo, minutus). Il ritratto in m. ebbe particolare fortuna e diffusione in Inghilterra con artisti quali N. Hilliard (autore anche di un trattato), nel 16° sec., e S. Cooper, nel 17°. Dalla seconda metà del 17° sec. si sostituì sempre più frequentemente il supporto pergamenaceo con la lastra metallica (rame, oro) sulla quale si applicava la pittura a smalto (J. Petitot), e, dal 18° sec., si diffuse la m. su avorio (R. Carriera). Coltivato in Europa e in America ancora nel 19° sec., il ritratto in m. decade con l’invenzione del dagherrotipo e della fotografia.

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