Mercati finanziari [disciplina pubblicistica]

Diritto on line (2018)

Maurizia De Bellis

Abstract

Viene esaminata l’evoluzione storica della regolazione dei mercati finanziari, dalla legge bancaria del 1936, fino alle riforme realizzate in risposta alla crisi finanziaria del 2008. Si dà conto dell’attuale riparto di competenze tra autorità europee ed autorità nazionali, tenendo conto anche dell’influenza, su di esse, di organismi transnazionali. Si individuano le principali caratteristiche dell’attuale modelli di vigilanza finanziaria.

Premessa

Con la locuzione mercati finanziari, utilizzata in senso lato, si fa riferimento a tre diversi comparti: quello bancario, quello mobiliare (o finanziario in senso stretto) e quello assicurativo. Elemento comune di tali ambiti è che vi si svolge un’attività di raccolta e di trasferimento di risorse finanziarie. Ad ognuno di tali mercati corrisponde un diverso tipo di operatore: impresa bancaria, intermediario finanziario non bancario, impresa assicurativa (Cassese, S., La nuova costituzione economica, Bari-Roma, 2015, 177). Nel settore bancario, gli enti creditizi si interpongono tra i soggetti che hanno accumulato risparmio (generalmente, persone fisiche) e coloro che invece hanno bisogno di credito (soprattutto imprese e pubbliche amministrazioni, ma anche famiglie). Sulle banche ricade un obbligo di restituzione delle risorse raccolte dai risparmiatori, a prescindere dal fatto che i soggetti cui la banca ha fatto credito siano adempienti. L’altro canale di incontro tra domanda e offerta di risparmio sono i mercati finanziari in senso stretto, in cui i soggetti che hanno accumulato risparmio investono le loro risorse acquistando titoli emessi dalle imprese per raccogliere risorse per l’esercizio della propria attività (può trattarsi di quote di partecipazione al capitale o di quote di debito: obbligazioni) (Brescia Morra, C., Il diritto delle banche, Bologna, 2016, 18). Anche se l’incontro diretto della domanda e dell’offerta è astrattamente possibile, generalmente il risparmiatore è assistito nelle sue scelte di investimento da un intermediario specializzato. La denominazione di settore “mobiliare” trova la sua origine nell’avere tale attività di investimento inizialmente per oggetto l’emissione di “valori mobiliari”; tale nomenclatura è stata poi sostituita, a partire dal 1996 e in attuazione della normativa comunitaria, dalla più ampia categoria degli strumenti finanziari (Costi, R., Il mercato mobiliare, Torino, 2016, 7 ss.). Nel settore assicurativo, infine, la raccolta di risorse finanziarie ha come corrispettivo l’assunzione, da parte di un’impresa assicurativa, del rischio per eventuali eventi pregiudizievoli, al verificarsi del quale è tenuta alla corresponsione di un determinato importo (Amorosino, S., Manuale di diritto del mercato finanziario, Milano, 2014, 2).

La tradizionale separazione dei tre segmenti, tuttavia, si è ridotta progressivamente, a causa di tre fattori: l’integrazione tra le diverse attività finanziarie, con l’emergere di gruppi multifunzionali che esercitano attività di tipo diverso; la globalizzazione dei mercati finanziari; l’influenza del diritto europeo. La progressiva riduzione della tripartizione originaria, e, soprattutto, l’affermarsi di un modello di vigilanza improntato a principi comuni giustificano una trattazione unitaria (Amorosino, S., Mercati finanziari (vigilanza sui), in Diz. dir. pubbl. Cass., IV, Milano 2006, 3617 ss.).

La disciplina dei mercati finanziari si caratterizza per la sottoposizione delle attività finanziarie prima tratteggiate a rilevanti poteri di regolamentazione e di vigilanza. Ampiezza e tipologia di tali poteri, nonché l’organizzazione dei soggetti pubblici preposti al loro esercizio, si sono trasformati in modo significativo, nel corso del tempo. Il modello originario di vigilanza si forma, in relazione al settore del credito, sulla base della legislazione degli anni Trenta, adottata in seguito alla crisi del 1929, e rimane fermo, nelle sue caratteristiche principali, per più di quaranta anni (par. 2.1.). Una seconda fase si avvia a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, a fronte di complesse trasformazioni intervenute nei mercati finanziari e della loro internazionalizzazione, e porta all’affermazione del modello della vigilanza prudenziale, affidata ad autorità amministrative nazionali, poste in posizione di indipendenza dal potere politico (par. 2.2.). Con le riforme approvate in risposta alla crisi globale iniziata nel 2008, ha inizio una terza fase, nell’ambito della quale l’accentramento di competenze a livello europeo costituisce una innovazione di importanza centrale (par. 2.3.). Dopo aver ripercorso tale evoluzione, si identificano le caratteristiche dell’organizzazione pubblica preposta alla vigilanza dei mercati finanziari, dando conto del complesso riparto di competenze tra autorità europee e nazionali (par. 3). Si procede, poi, a chiarire l’attuale separazione tra regolazione, vigilanza e risoluzione (par. 4). Da ultimo, si tratteggia un bilancio circa il modello di vigilanza che emerge a seguito delle riforme intraprese dopo la crisi (par. 5).

L’evoluzione della disciplina

La prima fase: il modello della legge bancaria del 1936

Le origini della disciplina pubblicistica dei mercati finanziari si rinvengono nelle legislazioni bancarie adottate negli anni Trenta, in risposta alla crisi del 1929, e ispirate a principi analoghi (dalla Germania, alla Francia, alla Spagna, etc.). Negli Stati Uniti, l’atto di maggior rilievo approvato dall’amministrazione Roosevelt in materia bancaria è il Banking Act del 1933, noto anche con la denominazione di Glass-Steagall Act (Ortino, S., La legislazione bancaria negli anni Trenta negli Stati Uniti e in Svizzera, Germania e Belgio, in AA.VV., Banca e industria tra le due guerre, vol. II, Le riforme istituzionali e il pensiero giuridico, Bologna, 1981, 349 ss.).

Pur presentando talune differenze, le leggi bancarie di tale periodo si caratterizzano per alcune costanti. In primo luogo, a capo della vigilanza vi era una struttura organizzata secondo un modello “bicefalo”, ovverosia caratterizzata dalla presenza non solo della banca centrale, organo tecnico, ma anche di un organo politico (Cassese, S., La lunga durata delle istituzioni economiche degli anni Trenta, in Le istituzioni finanziarie degli anni Trenta nell’Europa Continentale, Bologna, 1982, 197 ss., 208-210). In secondo luogo, vennero rafforzati i poteri di controllo sull’attività creditizia, che divennero pervasivi e fortemente discrezionali. Tra i principi che informavano la disciplina creditizia vi era – e si tratta, per il suo rilievo, di un terzo tratto distintivo – quello di separazione tra banche di deposito (o banche commerciali) e banche d’affari (o banche d’investimento). La ragione di ciò era indicata nel ruolo svolto nelle dinamiche che avevano condotto alla crisi del 1929 dalle degenerazioni della cd. “banca mista”, che, cioè, detiene partecipazioni di lungo termine nelle imprese finanziate (Merusi, F. I tratti peculiari dell’ordinamento creditizio italiano nella comparazione con le leggi bancarie degli anni Trenta, in AA.VV., Banca e industria tra le due guerre, cit., 349 ss.).

Nel nostro ordinamento, la legge bancaria del 1936 (r.d.l. 12.3.1936, n. 375, convertito con l. 7.3.1938, n. 141) introdusse modifiche destinate a reggere il settore bancario per più di cinquant’anni. Tale legge, innanzitutto, qualificava l’attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito come «funzioni di interesse pubblico». L’apparato pubblico di controllo della funzione creditizia era composto da tre organismi: il Ministero del Tesoro, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) e la Banca d’Italia (che, dopo la soppressione dell’Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito, ne aveva assorbite le competenze). In terzo luogo, i compiti svolti da tale organizzazione pubblicistica non riguardavano solo la difesa del risparmio, ma anche l’indirizzo del credito. Ne è un esempio emblematico il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività bancaria e all’apertura di sedi e filiali, che non dipendeva dall’esistenza di presupposti oggettivi, ma era subordinata ad una valutazione discrezionale circa le esigenze del mercato. A ciò corrispondeva una separazione non solo di tipo territoriale (divisione tra banche di interesse nazionale, regionali, locali), ma anche funzionale: tra le aziende di credito, che potevano concedere solo il credito a breve termine, e gli istituti di credito speciale, che invece potevano esercitare credito a medio e lungo termine. In tal modo, si realizzava nel nostro ordinamento quella separazione funzionale tra banche di deposito e banche di investimento, che, come si è detto, costituisce una caratteristica comune alle legislazioni bancarie approvate negli anni Trenta.

Secondo una ricostruzione concettuale elaborata da Massimo Severo Giannini negli anni Quaranta, nel modello delineato dalla legge del 1936 il settore del credito costituiva un ordinamento giuridico sezionale, avente carattere chiuso, in quanto ricorrevano i tre elementi della plurisoggettività (gli istituti di credito, la cui attività – regolata da atti delle autorità – configurerebbe un servizio pubblico), dell’organizzazione (composta dai tre organi di controllo prima menzionati), e della normazione (gli atti normativi secondari provenienti dagli organi di controllo) (Giannini, M.S., Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, in Moneta e credito, 1949, 105 ss., ora in Id., Scritti, vol. III, Milano, 2003, 59 ss.). A vent’anni di distanza, tale modello concettuale è stato oggetto di revisione critica da parte di Mario Nigro, il quale criticava la qualificazione del credito come servizio pubblico, identificando invece due versanti di pubblicizzazione: oggettiva (relativa, cioè, alla sottoposizione dell’attività creditizia a direzione e controllo) e soggettiva (relativa alla natura pubblica dei soggetti che esercitano il credito) (Nigro, M., Profili pubblicistici del credito, Milano, 1969, in particolare 36-7).

La seconda fase: l’affermarsi della vigilanza prudenziale

Nei trenta anni che vanno dalla fine degli anni Settanta alla prima decade degli anni Duemila, il tradizionale paradigma di regolazione bancaria si è gradualmente dissolto ed è stato sostituito da un nuovo modello. Le ragioni di tale trasformazione sono principalmente due.

Per un verso, a partire dagli anni Settanta, e ancor più nel decennio successivo, i mercati finanziari sono interessati da radicali innovazioni. Con la legge 7.6.1974, n. 216 viene istituita la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) (quale ente pubblico, cui verrà riconosciuta l’autonomia solo con la legge 4.6.1985, n. 281). L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap), invece, viene introdotto con la legge 12.8.1982, n. 576 (più volte modificata; all’Isvap è recentemente subentrato l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – Ivass). Con lo sviluppo dell’intermediazione finanziaria non bancaria e l’emergere delle conglomerate finanziarie, il problema di come assicurare la stabilità del sistema finanziario si pone in termini nuovi e rende necessarie nuove tecniche e strumenti di vigilanza (Merusi, F., Profili pubblicistici dell’attività parabancaria e dell’innovazione finanziaria, in Studi in onore di Massimo Severo Giannini, Milano, 1988, 437 ss.). Pur nel permanere di significative differenze nazionali, un processo di trasformazione della regolazione si registra un po’ ovunque. Negli Stati Uniti, lo smantellamento del sistema di vigilanza approvato dopo la crisi del 1929 inizia gradualmente agli inizi degli anni Ottanta e culmina con l’abrogazione, nel 1999, del Glass-Steagall Act, che prevedeva l’obbligo di separazione tra banche commerciali e banche di investimento, ad opera del Gramm-Leach-Bliley Act.

Per altro verso, in ambito europeo, è decisivo il processo di costruzione del mercato unico europeo. Le direttive determinano l’apertura alla concorrenza del settore creditizio, attraverso la generalizzazione del principio dell’home country control, ed esprimono un orientamento favorevole alla banca universale, realizzando quindi il superamento del precedente principio di separazione funzionale. All’interno dell’ordinamento italiano, i primi segnali di trasformazione risalgono agli anni Ottanta, ma il definitivo superamento del sistema incentrato sulla legge bancaria del 1936 si realizza con l’approvazione dei testi unici in materia bancaria e finanziaria (adottati, rispettivamente, con i d.lgs. 1.9.1993, n. 385 e 24.2.1998, n. 58).

Il modello di vigilanza che si afferma a partire dagli anni Ottanta si distingue nettamente dal precedente. Innanzitutto, sotto il profilo strutturale, si accentua l’indipendenza degli organi di vigilanza: l’intento è quello di garantire maggiore continuità alle scelte di regolazione, in modo che siano dettate da valutazioni tecniche. In secondo luogo, viene limitata la discrezionalità di cui le autorità godono nell’esercizio dei loro poteri. Ad esempio, a partire dalla metà degli anni Ottanta il rilascio dell’autorizzazione bancaria dipende dalla sussistenza di requisiti obiettivi e non da valutazioni circa il bisogno economico del mercato. In terzo luogo, si afferma il modello della banca universale, eliminando la separazione tra banche commerciali e banche di investimento. In ragione di queste due trasformazioni (limitazione della discrezionalità e venir meno della separazione funzionale), rispetto alla vigilanza “strutturale” – che pone dei vincoli circa i tipi di attività che gli operatori possono svolgere, conformando la struttura del mercato –, divengono preponderanti misure di vigilanza “prudenziale” – i vincoli che vengono imposti all’attività degli operatori sono rapportati, secondo dei parametri quantitativi, al rischio che essi si assumono. Le finalità in vista delle quali tali poteri di vigilanza vengono attivati, peraltro, non attengono alla sola stabilità del sistema finanziario, ma anche ad altri interessi pubblici, quali la tutela dei consumatori, la concorrenza e la trasparenza (cd. disciplina “multi finale”). Infine, agli inizi degli anni Novanta si procede alla privatizzazione delle banche pubbliche (Torchia, L., Il controllo pubblico della finanza privata, Padova, 1992, in particolare 239-246 e 261-263).

La terza fase: la crisi globale e le riforme

La crisi finanziaria globale che ha avuto inizio nel 2008 ha innescato un processo di riforma della regolazione. Nel 2010, negli Stati Uniti è stato approvato il Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act, la riforma più ampia del settore bancario realizzata in tale ordinamento dagli anni Trenta. Tuttavia, un’ampia parte della disciplina è rimessa ad atti successivi di rule-making da parte delle autorità di regolazione, adottati solo in parte.

Nell’Ue, gli interventi di riforma sono stati numerosi, e hanno riguardato sia l’organizzazione, che la disciplina sostanziale.

Prima della crisi, i capisaldi della disciplina erano due: armonizzazione minima della disciplina (attraverso le direttive) e principio dell’home country control, per cui la vigilanza era di competenza delle autorità del Paese d’origine dell’istituzione finanziaria. Con la crisi globale, i limiti del modello esistente sono emersi con estrema evidenza: il rapporto del gruppo di esperti presieduto da de Larosière ha evidenziato i problemi connessi al disallineamento tra internazionalizzazione dei mercati e vigilanza su base nazionale.

Il processo di riforma dell’architettura istituzionale si è realizzato in due tappe. Dapprima, nel 2010, è stato istituito il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (Sevif), composto dalle tre autorità europee per i tre comparti dei mercati finanziari (Autorità Bancaria Europea – EBA, Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati – ESMA, e Autorità Europea delle Assicurazioni e delle Pensioni – EIOPA, dal Consiglio europeo per il rischio sistemico – ESRB – competente per la vigilanza macroprudenziale) e dai rappresentanti delle autorità di vigilanza nazionali. Successivamente, con la trasformazione della crisi e la sua diffusione dalla finanza privata al debito sovrano, e al fine di spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano stesso, il legislatore europeo è intervenuto nuovamente sull’architettura istituzionale che opera in materia finanziaria, con un progetto più ambizioso: la costruzione dell’Unione bancaria europea (Ube), basata sui due pilastri del Meccanismo unico di vigilanza (Mvu) e del Meccanismo unico di risoluzione (Mru). Una proposta relativa al terzo pilastro dell’Ube, il sistema europeo di garanzia dei depositi (European Deposit Insurance Scheme – EDIS), è stata presentata nel novembre 2015.

Le fonti istitutive del Sevif e dell’Ube hanno un ambito di applicazione non coincidente: mentre il primo comprende tutti e tre i comparti dei mercati finanziari (bancario, mobiliare, e assicurativo) e tutti i Paesi dell’Ue, il secondo, come indicato dalla sua denominazione, riguarda il solo settore bancario, e i soli Paesi dell’area euro (ferma restando la possibilità per gli altri Paesi dell’Ue di aderire volontariamente, c.d. opt-in).

Sotto il profilo della disciplina sostanziale, è stato approvato un quadro regolamentare comune per il settore bancario (c.d. Single Rulebook), che comprende le regole prudenziali per le banche (contenute nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26.6.2013, n.36 – c.d. Capital Requirements Directive – CRD IV – e nel regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 26.6.2013, n. 575, c.d. Capital Requirements Regulation – CRR), e di risoluzione di queste ultime (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15.5.2014, n. 59, Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD). Altri interventi significativi hanno riguardato la revisione delle regole relative ai mercati degli strumenti finanziari (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15.5.2014, n. 65 – MIFID II), dei derivati finanziari (regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 4.7.2012, n. 648 – EMIR), e in materia di agenzie di rating (regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 16.9.2009, n. 1060, modificato più volte).

Si procede ora ad esaminare le caratteristiche dell’organizzazione preposta alla regolazione finanziaria e a identificare quale modello di vigilanza emerga, all’esito del processo di riforma.

L’organizzazione della regolazione finanziaria

I regolatori europei: il Sevif e l’Unione bancaria

Le tre autorità di vigilanza europee che fanno parte del Sevif (EBA, ESMA ed EIOPA) corrispondono al modello organizzativo delle agenzie europee e si contraddistinguono per l’attribuzione di poteri particolarmente incisivi. La loro struttura è la seguente: un consiglio delle autorità di vigilanza, composto dai vertici delle autorità nazionali competenti, nonché da un rappresentante della Commissione e delle altre due autorità europee; un consiglio di amministrazione, costituito da sei membri del consiglio delle autorità, selezionati con l’obiettivo di riflettere in modo proporzionato la composizione dell’Ue; un presidente, un direttore esecutivo e una commissione di ricorso.

I regolamenti istitutivi attribuiscono alle agenzie finanziarie rilevanti poteri di regolazione – di predisposizione di norme di regolamentazione e di standard tecnici, che devono essere approvati dalla Commissione –, mentre conservano le competenze in materia di vigilanza in capo alle autorità nazionali. Poteri diretti di vigilanza sono attribuiti alle tre ESAs dai regolamenti istitutivi solo in tre casi eccezionali (nei casi di violazione del diritto dell’Ue da parte di un’autorità di vigilanza nazionale, di situazioni di emergenza o per risolvere controversie tra autorità nazionali). Negli anni immediatamente successivi, però, ad una delle autorità, l’ESMA, sono stati assegnati dei poteri di supervisione su alcuni specifici operatori: le agenzie di rating e i repertori di dati (Trade Repositories – TRs), ovvero delle persone giuridiche che raccolgono le informazioni su tutte le negoziazioni relative ai derivati finanziari (Ferran, E., Understanding the New Institutional Architecture of EU Financial Market Supervision,  in Ferrarini, G.-Hopt, K.J.-Wymeersch, E., a cura di, Rethinking Financial Regulation and Supervision in Times of Crisis, Oxford, 2012, 111-158).

Se l’istituzione del Sevif, approntata nel 2010, si caratterizza per l’istituzione di agenzie europee con poteri ancora limitati alla predisposizione delle regole, ma non al controllo sull’applicazione delle stesse, con la costruzione dell’Ube si realizza un accentramento della vigilanza sulle istituzioni bancarie.

Nell’ambito del primo dei pilastri dell’Ube, il Mvu, sono state attribuite alla Bce competenze dirette in materia di vigilanza rispetto agli enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’area euro la cui importanza sia “significativa” (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 15.10.2013, n. 1024), mentre, nel caso di istituti non significativi, la supervisione spetta alle autorità nazionali. In tal modo si realizza quindi un accentramento, in capo all’istituzione europea, delle funzioni di vigilanza bancaria e di quelle di politica monetaria. Per superare il rischio di possibili conflitti di interesse tra queste ultime, all’interno della Bce è stato istituito un Consiglio di vigilanza per l’esecuzione dei compiti di supervisione bancaria (distinto dal Comitato esecutivo), composto da un presidente (nominato a seguito di procedura aperta), un vicepresidente (scelto tra i componenti del Comitato esecutivo), quattro membri della Bce e un rappresentante per ogni autorità nazionale.

I parametri per identificare le banche significative sono prevalentemente di tipo quantitativo (attengono, ad esempio, alle dimensioni e all’importanza della banca rispetto all’economia di uno Stato). Il criterio di distinzione delle competenze appena enunciato – distribuzione tra Bce e autorità nazionali in relazione al carattere “significativo” o meno degli operatori – è tendenziale, ma non dà del tutto conto dei rispettivi compiti. In primo luogo, alcune funzioni (quali la tutela dei consumatori e la lotta al riciclaggio) sono escluse dall’ambito di azione della Bce. In secondo luogo, la Bce può attrarre a sé la vigilanza anche su operatori non significativi, laddove lo ritenga opportuno. In terzo luogo, alcune competenze (quali quella relativa alle autorizzazioni bancarie) sono attribuite in linea generale alla Bce: quindi, nei confronti di tutti gli enti creditizi. Per converso, le autorità nazionali non si limitano ad esercitare la vigilanza sugli enti creditizi non significativi, ma prendono parte anche alle decisioni nei confronti degli operatori significativi (ad es. partecipando al Consiglio di vigilanza e attraverso i cd. joint supervisory teams). In questo senso, quindi, nel Mvu non vi è una separazione netta tra autorità europee e nazionali, ma si afferma un modello inedito di integrazione amministrativa (ex multis, nella letteratura italiana, Chiti, M.P.-Santoro, V., L’Unione Bancaria Europea, Pisa, 2016).

Il secondo pilastro – il Mru – si basa sull’intento di separare l’attività di vigilanza bancaria da quella di “risoluzione”, ovvero di gestione della crisi di un istituto bancario. Il Mru competente per l’applicazione della disciplina europea in materia di risoluzione degli istituti creditizi prima citata (cd. BRRD), comprende l’istituzione di un’altra agenzia europea: il Comitato unico di risoluzione (SRB). L’ambito di applicazione del Mru è analogo a quello del primo pilastro: la nuova agenzia, quindi, è competente per la risoluzione degli istituti bancari dell’area euro (ferma restando la possibilità di opt-in per i Paesi non euro). Mentre il primo pilastro è operativo dal novembre 2014, la normativa relativa al secondo è entrata in vigore dal 1° gennaio 2016. Per quanto riguarda il riparto di competenze, è analogo a quello per la vigilanza bancaria (il criterio della “significatività” regola l’ambito d’azione dell’agenzia, ovvero delle autorità di risoluzione nazionali, queste ultime in alcuni Stati membri distinte dall’autorità di vigilanza). Come si vedrà (par. 4), nella procedura di risoluzione intervengono anche la Commissione e il Consiglio.

I regolatori nazionali: la Banca d’Italia, la Consob e l’Ivass

Da quanto prima esposto circa l’accentramento di competenze a livello europeo, ne discende che l’ambito di azione delle autorità nazionali si è andato modificando in modo rilevante, in ragione delle riforme introdotte.

Per quanto riguarda il settore bancario, l’organizzazione delle autorità di vigilanza non risulta formalmente modificato rispetta all’assetto delineato dalla legge del 1936: si tratta del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef), del Cicr e della Banca d’Italia. Tuttavia, nella prassi il ruolo delle prime due è fortemente ridimensionato (peraltro, mentre i poteri del secondo sono quasi del tutto inutilizzati, a seguito del recepimento della direttiva 2014/59/Ue il Mef ha acquisito nuove competenze in materia di gestione delle crisi delle banche). Il ruolo centrale è quello svolto dalla Banca d’Italia, che ha natura di istituto di diritto pubblico e la cui indipendenza dal potere politico, già sancita in quanto parte del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc: art. 130 Tfue), è stata successivamente affermata dalla legge 28.12.2005, n. 262 (art. 19, co. 3). Gli organi della Banca d’Italia sono: l’Assemblea generale, il Consiglio sindacale, il Consiglio superiore, il Governatore e il Direttorio (composto dal governatore, dal direttore generale e dai tre vice direttori generali). Il mandato del governatore e dei componenti del direttorio dura sei anni, con possibilità di un solo rinnovo. Mentre i membri del direttorio sono nominati dal Consiglio superiore, il governatore viene nominato attraverso una procedura complessa, che coinvolge più soggetti (con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore). Per quanto attiene all’assetto proprietario, con legge 29.1.2014, n. 5 le quote di partecipazione al capitale della Banca sono state rivalutate ed è stata ampliata la tipologia dei soggetti partecipanti (banche ed imprese di assicurazioni con sede legale ed amministrazione in Italia, fondazioni, enti e istituti di previdenza, fondi pensione). L’assemblea dei partecipanti e il consiglio superiore (che, composto da tredici consiglieri nominati dall’assemblea e dal governatore, si occupa dell’amministrazione generale e della vigilanza sull’andamento della gestione della Banca) non possono ingerirsi nell’esercizio delle funzioni pubbliche attribuite alla Banca d’Italia (art. 5, l. n. 5/2014).

In relazione al controllo sul settore mobiliare, vi sono alcuni limitati poteri normativi del Mef (Costi, R., Il mercato mobiliare, cit., p. 404); soprattutto, però, va chiarito come il nostro ordinamento abbia adottato un modello di riparto di competenze “per finalità”: i controlli finalizzati a garantire la stabilità del sistema finanziario spettano alla Banca d’Italia, mentre quelli volti ad assicurare la trasparenza e la correttezza dei comportamenti alla Consob. Ciò non avviene, invece, nel settore assicurativo, dove si applica un modello di vigilanza per soggetti: sono assegnate all’Ivass le competenze che concernono le imprese di assicurazione, sia per fini di stabilità che di trasparenza.

La personalità giuridica di diritto pubblico e la piena autonomia sono stati attributi alla Consob nel 1985. Essa è composta da un presidente e da quattro commissari, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri. Gli incarichi durano sette anni, senza possibilità di rinnovo. Le caratteristiche della Consob (modalità di nomina, durata del mandato, regime delle incompatibilità) hanno condotto numerosi osservatori a rilevare come essa goda di un’indipendenza inferiore rispetto ad altre autorità. La partecipazione al Sevif e al Consiglio di vigilanza dell’ESMA, il cui regolamento istitutivo sancisce espressamente l’indipendenza dei suoi componenti (art. 42, Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 24.11.2010, n. 1095), contribuisce a rafforzarne la posizione (D’Ambrosio, R., La borsa e la finanza, in Galanti, E.-D'Ambrosio, R.-Guccione, A.V., Storia della legislazione bancaria finanziaria e assicurativa. Dall'Unità d'Italia al 2011, Venezia, 2012, 481).

L’Ivass è subentrata (l. 7.8.2012, n. 135) all’Isvap, istituita nel 1982, allo scopo di «di assicurare la piena integrazione dell’attività di vigilanza nel settore assicurativo, anche attraverso un più stretto collegamento con la vigilanza bancaria». Tale finalità informa la nuova organizzazione dell’istituto: ne è Presidente il Direttore generale della Banca d’Italia, mentre il compito di assumere atti con rilevanza esterna spetta al Direttorio integrato, composto dal Direttorio della Banca d’Italia integrato dai componenti del Consiglio dell’Ivass (nominati con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Governatore della Banca d’Italia e del Ministero dello sviluppo economico).

I regolatori globali: cenni

Le recenti riforme hanno, quindi, determinato un trasferimento a livello europeo di numerose competenze in materia di vigilanza finanziaria. Per comprenderne la portata, però, è necessario tener conto del fatto che l’attività dei nuovi regolatori europei è a sua volta influenzata, e limitata in numerose scelte, dalle scelte compiute da regolatori globali. Vi sono, infatti, delle reti di regolatori, composti dalle autorità nazionali di regolazione finanziaria, che stabiliscono degli “standard”, principi e regole formalmente soft law, che hanno lo scopo di armonizzare la regolazione, e che vengono recepiti, attraverso meccanismi diversi, nell’ordinamento europeo e poi in quello domestico (De Bellis, M., La regolazione dei mercati finanziari, Milano, 2012). Ad esempio, la direttiva europea che detta le regole prudenziali per le banche prima citata, CRD IV, dà attuazione al terzo accordo sul capitale del Comitato di Basilea (Basel Committee on Banking Regulation – Bcbs), una rete transnazionale che raggruppa le autorità di vigilanza bancaria dei Paesi del G20. Nei settori mobiliare e assicurativo, invece, operano, rispettivamente, l’International organization of securities commissioners (Iosco) e l’International association of insurance supervisors (Iais) (che invece hanno membership universale). Dopo la crisi globale, hanno assunto un ruolo di primo piano nella governance finanziaria, identificando le priorità delle riforme e, in alcuni casi, redigendo degli standard, un organismo politico quale il G20 e il Financial Stability Board (Fsb), un organismo ibrido cui prendono parte, oltre alle reti transnazionali prima menzionate e a rappresentanti delle autorità di regolazione nazionali, anche i ministri delle finanze dei Paesi del G20.

Le funzioni: regolazione, vigilanza, risoluzione

Da quanto prima esposto risulta evidente come, nell’attuale disciplina dei mercati finanziari, vi sia una separazione tra due funzioni: la regolazione – definizione tramite atti normativi di dettaglio della normativa tecnica applicabile agli operatori – e la vigilanza – l’attività di continua verifica della rispondenza dell’attività finanziaria alla normativa. La prima funzione è, in tutti e tre i comparti, di competenza delle agenzie finanziarie europee; alcuni limitati poteri di regolazione rimangono di competenza delle autorità nazionali, laddove la normativa europea lasci spazio alla discrezionalità degli Stati membri. La seconda, invece, è ripartita secondo criteri differenziati. Il sistema risultante dall’istituzione del Sevif e dell’Ube può essere descritto, in via di semplificazione, come “duale” e a due velocità: accentramento in capo alla Bce della vigilanza bancaria per i Paesi dell’area euro, permanente attribuzione dei poteri di vigilanza alle autorità nazionali nel settore mobiliare e delle assicurazioni (Tosato, G.L., The Governance Of The Banking Sector In The Eu – A Dual System, in Barucci, E.-Messori, M., a cura di, Towards the European Banking Union. Achievements and Open Problems, Firenze, 2014, 23-32). Tuttavia, come si è prima illustrato (par. 3.1), il riparto della funzione di vigilanza tra le autorità europee e nazionali risultante dall’interazione delle due riforme è più complesso: per un verso, nel settore bancario talune funzioni spettano tuttora alle autorità nazionali (quali la tutela dei consumatori e la lotta al riciclaggio), e queste ultime rimangono comunque competenti per gli istituti di credito non significativi; per converso, vi è un pieno accentramento in capo all’agenzia europea per i mercati finanziari, l’Aesfem, della vigilanza rispetto a due specifiche tipologie di operatori (agenzie di rating e TRs), senza che, rispetto a questi ultimi, residui uno spazio di intervento per le autorità nazionali. L’architettura istituzionale europea preposta alla vigilanza finanziaria può quindi essere descritta come un sistema duale, in cui però l’integrazione marcia non a due velocità (distinte sulla base del settore, bancario o meno), ma a velocità multiple (che variano in ragione non solo del settore, ma anche del tipo di operatore finanziario coinvolto) (De Bellis, M., European Financial Supervision after the Crisis: Multi-Speed Models within a Two-Track Framework, in Chiti, E.-Vesperini, G., a cura di, The administrative architecture of financial integration. Institutional design, legal issues, perspectives, Bologna, 2015, 61-92).

Nell’ambito del comparto bancario, infine, in sede europea si è scelto – in netta rottura rispetto alla precedente unitarietà delle funzioni di vigilanza e di gestione delle crisi bancarie – di operare una separazione tra la funzione di vigilanza e quella relativa alla risoluzione. L’intento di fondo della disciplina è quello di superare il problema degli istituti too big to fail, senza che siano necessari dei salvataggi pubblici (c.d. bail out). Con il termine “resolution” non si identifica una specifica procedura, ma un insieme di strumenti di cui le autorità competenti dispongono in caso di crisi di un istituto bancario, al fine di garantire la stabilità del sistema finanziario (Stanghellini, L., La disciplina delle crisi bancarie: la prospettiva europea, in AA.VV., Dal T.U.B. all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, Quaderno n. 75 di Ricerca Giuridica, Banca d'Italia, Roma, 2014, 155). Sulla base dei criteri generali di riparto di competenze prima esaminati, le decisioni circa la risoluzione gli istituti di credito “significativi” spetta alla nuova agenzia europea, il SRB, che, tuttavia, non decide in modo autonomo, ma sulla base di un procedimento complesso che vede l’intervento della Commissione e del Consiglio. Nel caso di istituti non significativi, la competenza è della Banca d’Italia (all’interno della quale è stata istituita un’apposita Unità di risoluzione e gestione delle crisi), mentre al Mef spetta il compito di approvare il provvedimento con cui la Banca d’Italia avvia la risoluzione di una banca in dissesto.

Secondo la disciplina europea, i presupposti per l’avvio della risoluzione di un istituto bancario sono tre: a) l’accertamento della situazione di dissesto; b) l’impossibilità di evitare il dissesto tramite strumenti di mercato o interventi dell’autorità nazionale (ad esempio, svalutazione o conversione degli strumenti di capitale); c) la sussistenza dell’interesse pubblico ad evitare il dissesto e le conseguenti procedure ordinarie di liquidazione (art. 32, BRRD). Gli strumenti per la risoluzione sono di quattro tipi: la vendita dell’attività d’impresa a un acquirente privato; la costituzione di una banca-ponte (bridge bank), gestita da un’autorità pubblica; la separazione delle attività che vengono conferite ad un veicolo finanziario appositamente costituito (bad bank); il bail-in (o salvataggio interno, che consiste nella conversione forzosa di crediti – azioni, obbligazioni, depositi superiori ai 100.000 euro – in capitale della società bancaria in crisi) (art. 37, BRRD). Nell’ordinamento italiano, si è data attuazione alla direttiva BRRD con i d. lgs. 16.11.2015, nn. 180 e 181.

Il modello di vigilanza

La costruzione della nuova architettura istituzionale preposta alla vigilanza determina, sotto il profilo organizzativo, una trasformazione decisiva rispetto al modello precedente, affermatosi tra gli anni Ottanta del secolo scorso e la crisi finanziaria del 2008: alla competenza delle autorità nazionali, si sostituisce un sistema di vigilanza finanziaria composito, che realizza un inedito modello di integrazione amministrativa tra autorità europee e nazionali (Cassese, S., La nuova architettura europea, in Giorn. dir. amm., 2014, 79 ss.). I criteri di riparto “verticale” di competenze tra autorità nazionali ed europee sono differenziati nei diversi settori dei mercati finanziari (supra, par. 3.1). Il criterio di riparto “orizzontale” di competenze è misto, in parte per finalità e in parte per settori (supra, par. 3.2).

Altre caratteristiche proprie del modello di vigilanza prudenziale, invece, seppur discusse, non sono state modificate dalle recenti riforme. In primo luogo, l’indipendenza dal potere politico delle autorità di regolazione viene ribadita, e anzi accentuata (Torchia, L., Moneta, banca e finanza fra unificazione europea e crisi economica, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2015, 1501 ss.), dalla nuova disciplina europea (con l’eccezione della disciplina della risoluzione, che vede il coinvolgimento anche di istituzioni politiche nei processi decisionali). In secondo luogo, la delimitazione della discrezionalità delle autorità di regolazione, ancorata negli anni precedenti a parametri oggettivi, non viene modificata.

Un terzo profilo attiene al rapporto tra vigilanza strutturale e prudenziale. Si è visto, infatti, che uno dei capisaldi delle legislazioni bancarie degli anni Trenta era costituito dal principio della separazione funzionale. Dopo la crisi, si è diffusa la convinzione dell’opportunità di separare l’attività creditizia tradizionale da talune attività non bancarie particolarmente rischiose, il cui esercizio può incidere sulla solidità dell’ente creditizio e mettere a repentaglio i depositi, e in alcuni ordinamenti sono stati introdotti strumenti di vigilanza strutturale. In tal senso va l’approvazione, all’interno della legge statunitense di riforma del sistema finanziario, il Dodd Frank Act, della cd. Volcker Rule (così denominata perché inizialmente proposta dall’ex presidente della FED): ovvero il divieto per le banche commerciali di gestire hedge funds e fondi di private equity, nonché di svolgere l’attività di trading in proprio. Nel Regno Unito, il Banking Reform Act del 2013 ha recepito la proposta, contenuta nel rapporto redatto dalla Independent Commission on Banking presieduta da Sir John Vickers, di introdurre di una barriera (un “ring-fence”), ovvero una separazione legale, economica e operativa, tra le attività di deposito delle banche e, invece, le attività di investimento. Nell’Ue, sulla scorta del rapporto Liikanen, nel 2014 la Commissione ha elaborato una proposta di regolamento che prevede una separazione delle attività di negoziazione per conto proprio e delle altre attività di investimento ad alto rischio, tramite l’istituzione di un soggetto giuridico distinto all’interno del medesimo gruppo bancario. Sulla base di tale proposta, la separazione sarebbe necessaria solo al superamento di determinati parametri quantitativi (Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure strutturali volte ad accrescere la resilienza degli enti creditizi dell’Ue, Com/2014/043). Mentre la proposta di regolamento è ancora in fase di discussione, misure di separazione strutturale sono state introdotte in Francia, con la Loi de Separation Bancaire, e in Germania, con la Gesetz zur Abschirmung von Risiken. Vi è, quindi, un ritorno di taluni vincoli strutturali; tuttavia, le limitazioni introdotte di recente – ma non ancora approvate a livello europeo – sono significativamente meno rigide di quelle del passato (Brescia Morra, C., Il diritto delle banche, cit., 136): non vi è, quindi, un abbandono della vigilanza prudenziale, ma un innesto di alcune limitazioni strutturali nell’ambito di quest’ultima.

Fonti normative

R.d.l. 12.3.1936, n. 375, convertito con l. 7.3.1938, n. 141; l. 7.6.1974, n. 216; l. 12.8.1982, n. 576; l. 4.6.1985, n. 281; d. lgs. 1.9.1993, n. 385; d. lgs. 24.2.1998, n. 58; l. 28.12.2005, n. 262; art. 13, d.l. 6.7.2012, n. 95, convertito con l. 7.8.2012, n. 135; d.l. 30.11.2013, n. 133, convertito con l. 29.1.2014, n. 5; d.l. 22.11.2015, n. 183; d. lgs. 16.11.2015, n. 180 e n. 181; art. 130 TFUE ; regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 16.9.2009, n. 1060; regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio 24.11.2010, nn. 1092, 1093, 1094, 1095 e 1096; regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 4.7.2012, n. 648; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26.6.2013, n.36; regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 26.6.2013, n. 575; regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 15.10.2013, n. 1024; direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 15.5.2014, n. 59 e n. 65; regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 15.7.2014, n. 806; Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, Com/2014/043.

Bibliografia essenziale

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