Bellòcchio, Marco

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Regista cinematografico e teatrale italiano (n. Piacenza 1939). L'orizzonte dei conflitti familiari, il gioco della sessualità, l'ombra della morte, la presenza costante della pratica psicoanalitica sono i temi che, a partire dall'esordio con I pugni in tasca (1965), hanno caratterizzato i suoi film, politici e poetici al tempo stesso (in particolare Nel nome del padre, 1972, e Marcia trionfale, 1976). Dopo alcune opere meno riuscite, con L'ora di religione (2002) e Buongiorno, notte (2003) è tornato alla sua poetica più autentica. Leone d'oro alla carriera alla 68ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2011) e  Palma d'oro alla carriera al Festival di Cannes del 2021.

Vita e opere

Esordì nel 1965 con un film (I pugni in tasca) teso a penetrare il mondo in dissoluzione della borghesia provinciale. Fu una sorta di film manifesto, prodotto a bassissimo costo, che ebbe un rilievo particolare nel cinema di quegli anni e che lasciò ampia traccia in seguito. Le opere posteriori ripropongono questa volontà di indagare il quadro provinciale (La Cina è vicina, 1967), o un universo chiuso (il collegio di Nel nome del padre, 1972), con risultati di buon livello, che scadono invece in Sbatti il mostro in prima pagina (1972). L'accostamento a una realtà di emarginazione imposta, riporta B. al buon livello di Nessuno o tutti (edizione ridotta dal titolo Matti da slegare, 1974), film-inchiesta sugli ospedali psichiatrici. Marcia trionfale (1976) si ricollega ai consolidati suoi interessi: un mondo chiuso (la caserma), con leggi che lo regolano volte solo a riaffermare il principio di autorità. Ha diretto anche: Salto nel vuoto (1980), Gli occhi; la bocca (1982), Enrico IV (1983), Diavolo in corpo (1986), La visione del sabba (1987), La condanna (1990). Con Il sogno della farfalla (1994), Il principe di Homburg (1997, tratto dal dramma omonimo di H. von Kleist) e La balia (1999, dalla novella di L. Pirandello), opere dirette con stile essenziale e rigoroso, ha proseguito nella personale analisi dei rapporti familiari e dei conflitti psichici, soffermando spesso l'attenzione su personaggi emarginati e su ambienti soffocanti. Nel 2002 ha diretto L'ora di religione (Il sorriso di mia madre), considerato uno dei suoi film più intensi e riusciti, premiato con 4 Nastri d'argento (tra cui quello per la miglior regia) e un Globo d'oro per il miglior film. Il film, che analizza con profondità la cultura dominante nell'Italia contemporanea soffermandosi sulla mercificazione del sacro, è incentrato sulla reazione del protagonista alla notizia del processo di beatificazione della madre. Gli hanno fatto seguito Buongiorno, notte (2003), incentrato sul rapimento di Aldo Moro; Il regista di matrimoni (2006); la pellicola Vincere (2009),  ricostruzione della tragica vicenda di Ida Dalser e di Benito Albino con cui nel 2010 B. si è aggiudicato il David di Donatello per la miglior regia; Sorelle mai (2010), film intimo e familiare realizzato attraverso il montaggio di sei cortometraggi sperimentali girati nell'arco di un decennio; Bella addormentata (2012), sul caso di Eluana Englaro; Sangue del mio sangue (2015); nel 2016, Fai bei sogni, tratto dall'omonimo romanzo di M. Gramellini, e il corto Pagliacci; Il traditore (2019), su Tommaso Buscetta, premiato con 7 Nastri d'argento (tra cui quelli per la miglior regia e per il miglior film) e 6 David di Donatello (tra cui quelli come miglior film e come miglior regista); Marx può aspettare (2021), film documentario sul suicidio del fratello gemello, Nastro d'argento 2022 come film dell'anno; la sua prima serie tv, Esterno notte (2022), in cui ripercorre il sequestro Moro e con cui nel 2023 si è aggiudicato il David di Donatello per la miglior regia; Rapito (2023), film ispirato alla storia del bambino ebreo Edgardo Mortara, in concorso al Festival di Cannes dello stesso anno, premiato con 7 Nastri d'argento (tra cui quelli per la miglior regia e per il miglior film) e un Globo d'oro per il miglior film. Nel 2017, dopo le felici sperimentazioni teatrali del Rigoletto (2010) e di Pagliacci (2014), ha portato in scena Andrea Chénier di U. Giordano su libretto di L. Illica.

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