Magistratura

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Magistratura

Sergio Bartole

I temi generali della giurisdizione, nel diritto romano e nello Stato moderno, sono trattati nel XVII vol. dell'Enciclopedia Italiana sotto la voce giurisdizione (p. 368). L'analisi delle funzioni attribuite al potere giudiziario è invece svolta, nel contesto della più ampia trattazione della teoria della divisione dei poteri dello Stato, sotto il lemma poteri, al sottolemma Divisione dei poteri (XXVIII, p. 117). La voce giudiziario, ordinamento (XVII, p. 307; App. I, p. 676; II, i, p. 1060; IV, ii, p. 83) esamina inoltre dettagliatamente, nella sua progressiva evoluzione, il complesso delle norme che regolano la Costituzione e il funzionamento della m. ordinaria. Il tema del rapporto tra giurisdizioni speciali e giurisdizione ordinaria è sviluppato nella voce giurisdizione, al sottolemma Giurisdizioni speciali amministrative, mentre l'analisi delle norme che regolano gli organi della giustizia amministrativa è svolta nelle voci giustizia (XVII, p. 395) e giustizia amministrativa (App. IV, ii, p. 84; V, ii, p. 466). L'istituzione del Consiglio superiore della magistratura (CSM) come organo costituzionale di autogoverno della m. e i successivi interventi di riforma hanno invece costituito oggetto della voce consiglio superiore della magistratura (App. III, i, p. 424; IV, i, p. 512; V, i, p. 716). Per l'inserimento nella Costituzione dei principi del giusto processo v. processo penale in questa Appendice. *

Le giurisdizioni speciali

Nell'art. 104 della Costituzione italiana, si dispone che "la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere". Se letta sulla base delle successive disposizioni dello stesso testo, questa statuizione ha un valore limitato in quanto interessa i soli "magistrati istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario" (art. 102, 1° co.), laddove - a stare alla rubrica La magistratura del titolo (il quarto della seconda parte della Costituzione) in cui essa è collocata - sembrerebbe destinata a essere letta con riguardo all'intero complesso degli organi esercenti funzioni giurisdizionali.

Tale ambiguità dipende dalle difficoltà della scelta che il costituente è stato chiamato a fare in ordine all'unicità o meno della giurisdizione. In via di principio si è voluto optare per l'attribuzione della funzione giurisdizionale a un unico ordine di organi assoggettati a regole comuni, come di uno statuto comune dovevano usufruire i titolari degli organi medesimi. Di questa scelta il 1° co. dell'art. 102 è appunto la manifestazione più evidente, confermata - fra l'altro - dal divieto di istituzione di giudici speciali e straordinari sancito dall'art. 102, 2° co. Ma la sua portata generale è risultata molto ridimensionata, da un lato, da quelle disposizioni che hanno mantenuto in vita alcuni giudici speciali (Consiglio di Stato e altri organi di giustizia amministrativa, Corte dei conti, Tribunali militari, come disposto dall'art. 103) e, dall'altro, dall'interpretazione data al divieto di istituzione di giudici speciali. Questo è stato letto in connessione con la vi disposizione transitoria, con la quale è stata resa possibile la continuità degli "organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti", purché assoggettati alla richiesta revisione, al fine di conformarne gli assetti ai principi costituzionali (Corte cost. sent. nr. 41/1957, ma si vedano poi - per la loro importanza determinante - le decisioni concernenti le Commissioni tributarie: per tutte, Corte cost. sent. nr. 287/1974).

Invero, la necessità di questa revisione poteva anche essere argomentata muovendo dall'indicazione dello stesso art. 102, 2° co., per cui in ordine a determinate materie era autorizzata l'istituzione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari, "anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura". Ma la soluzione di attivare sezioni specializzate in luogo di giudici speciali è stata adottata solo in pochi casi dal legislatore (tribunali regionali delle acque, tribunali per i minorenni, sezioni specializzate agrarie).

Il cosiddetto potere giurisdizionale si presenta, quindi, come una realtà istituzionale composita, risultante dalla parallela esistenza di più istituzioni titolari della funzione giurisdizionale, ripartita secondo criteri materiali e formali alla cui osservanza presiede la Corte di cassazione, alla quale è conferito anche il potere di conoscere dei ricorsi per motivi inerenti alla giurisdizione (cioè, attinenti alla ripartizione della funzione giurisdizionale fra giudici ordinari e giudici speciali) quando a essere impugnate siano le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. La disposizione per cui "la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario" ha così acquistato una portata residuale, nel senso che essa trova applicazione in quanto la funzione di cui trattasi non è espressamente devoluta a organi di giurisdizione speciale.

Come già si è detto, le giurisdizioni speciali attualmente esistenti sono quella amministrativa, rappresentata dal Consiglio di Stato e dai Tribunali amministrativi regionali (prevista dalla l. 20 marzo 1865 nr. 2248 all.E e dal t.u. 26 giugno 1924 nr. 1054 per il primo organo, dalla l. 6 dic. 1971 nr. 1034, per i TAR, e ridisciplinata con l. 27 apr. 1982 nr. 186), quella contabile facente capo alla Corte dei conti (ll. 14 genn. 1994 nr. 19 e 20), quella militare (l. 7 maggio 1981 nr. 180) e le commissioni tributarie (d.p.r. 26 ott. 1972 nr. 636 e 31 dic. 1992 nr. 545). La storia di queste ultime è stata molto travagliata, in quanto dapprima la Corte costituzionale - in rottura con la precedente prassi interpretativa - le ha definite organi amministrativi contenziosi, optando poi per la tesi che le considera organi giurisdizionali, per rafforzarne l'autonomia e l'indipendenza.

In effetti, il problema dell'attuazione dell'art. 108, 2° co., Cost., per cui spetta alla legge assicurare l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, ha trovato soluzione solo sul lungo periodo. A partire dagli anni Sessanta la Corte costituzionale ha ritenuto di interpretare restrittivamente la citata vi disposizione transitoria, dichiarando l'incostituzionalità di giudici speciali la cui indipendenza non risultava sufficientemente garantita dalla legge. Sono state così oggetto di sentenze di incostituzionalità la giurisdizione elettorale dei consigli elettivi degli enti locali minori, le giunte provinciali amministrative, i consigli di prefettura in sede giurisdizionale e le stesse sezioni del contenzioso elettorale, istituite dal legislatore per colmare il vuoto determinato dalla caduta della giurisdizione dei consigli comunali e provinciali (Corte cost. sentt. nr. 93/1965, 55/1966, 30/1967 e 49/1968). Secondo la giurisprudenza della Corte di allora, la nomina governativa dei giudici speciali non era da considerarsi di per sé motivo di illegittimità costituzionale, semmai l'esplicita previsione della possibilità di una riconferma si configurava come una ragione di indebita dipendenza nell'esercizio delle funzioni, ed era censurabile come censurabili apparivano tutte le modalità di assetto capaci di consentire interferenze di altri poteri nell'esercizio della giurisdizione. Solo in tempi recenti legislazione e Corte costituzionale si sono orientate nel senso di assimilare gli assetti dell'indipendenza e autonomia dei giudici speciali a quelli dei giudici ordinari. I provvedimenti di carriera e quelli disciplinari nei confronti dei giudici amministrativi sono stati così affidati al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, a composizione togata parzialmente elettiva (l. 27 apr. 1982 nr. 186). Anche la giurisdizione contabile ha un suo Consiglio di presidenza in cui siedono pure esperti designati dai presidenti delle due Camere: a esso spettano, però, i provvedimenti disciplinari e quelli attinenti e conseguenti (l. 13 apr. 1988 nr. 117). Competenze analoghe a quelle del CSM ha il Consiglio della magistratura militare (l. 30 dic. 1988 nr. 561): non vi siedono membri laici, ma vi è stato inserito il presidente della Corte di cassazione. Infine, un organo analogo è stato introdotto per la giurisdizione tributaria (d.p.r. 31 dic. 1992 nr. 545) con attribuzioni riguardanti nomina e carriera dei giudici nonché i relativi provvedimenti disciplinari.

La magistratura ordinaria

In quanto circoscritta ai giudici istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario, la m. ordinaria gode delle garanzie di indipendenza e autonomia che nel progetto ideale di costituzione avrebbero dovuto costituire il presidio comune di tutti gli organi investiti, in via riservata ed esclusiva, della funzione giurisdizionale.

È stato sostenuto che, essendo l'ordine giudiziario, per prescrizione costituzionale, non solo indipendente ma anche autonomo, a esso, o meglio al CSM dovrebbero riconoscersi poteri normativi in materia di uffici giudiziari e di personale a essi preposto. Questa tesi ha trovato solo parziale accoglimento nella prassi, e quindi limitatamente alle circolari e agli altri atti di interno indirizzo e coordinamento degli affari giudiziari facenti capo al CSM, ma è stata contrastata da quanti ritengono che i rinvii alla legge della disciplina della materia giudiziaria contenuti in più luoghi delle disposizioni in esame (artt. 105-108) implichino una vera e propria riserva (assoluta) in favore del legislatore, con esclusione - quindi - di ogni altra fonte normativa subordinata. A conclusioni analoghe si perviene anche con riguardo all'opinione che vuole riconosciuti alla m. veri e propri poteri di 'autogoverno' politico. Al di là dell'obiezione che si tratti di espressione spesso usata in via del tutto atecnica, l'esistenza stessa dell'estesa competenza legislativa in materia del Parlamento e l'appartenenza al ministro del potere di azione disciplinare nei confronti dei magistrati sembrano escludere che si possa parlare di autogoverno, ovvero di separata e autonoma considerazione degli interessi pubblici rilevanti in materia; d'altra parte, si deve considerare che l'irrilevanza degli interessi categoriali dei magistrati in sede di esercizio delle attribuzioni del CSM non consente di erigere quest'organo a tutore di interessi diversi da quelli generali dello Stato indirizzati al buon funzionamento della magistratura. In definitiva, dunque, il 1° co. dell'art. 104 Cost. va interpretato nel senso della istituzione di un'amministrazione separata ed autonoma della magistratura.

Istituito appena nel 1958, il CSM è disciplinato da una serie successiva di leggi adottate l'una in riforma dell'altra, specialmente per quanto riguarda le modalità dell'elezione dei componenti cosiddetti togati, cioè di derivazione giudiziaria: sono le ll. 24 marzo 1958 nr. 195; 13 luglio 1965 nr. 838; 18 dic. 1967 nr. 1198; 22 dic. 1975 nr. 695; 3 genn. 1981 nr. 1; 22 nov. 1985 nr. 655 e 12 apr. 1990 nr. 74. A queste fonti legislative si sono aggiunti taluni decreti del Presidente della Repubblica con norme di attuazione, e il regolamento interno del Consiglio pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 1988 nr. 104 (che sostituisce quelli del 1958 e del 1976).

Attualmente il CSM è composto da 33 membri, di cui tre di diritto (il Presidente della Repubblica che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione), venti eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie e dieci dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con più di quindici anni di esercizio. Mentre per l'elezione dei membri a opera del Parlamento in seduta comune si richiede la maggioranza dei tre quinti dell'assemblea, che si riduce per gli scrutini successivi al secondo alla maggioranza dei tre quinti dei votanti, i componenti togati sono eletti con un sistema proporzionale per liste concorrenti con sbarramento al 9% dei voti e con attribuzione dei seggi residui ai maggiori resti, impiantato su quattro collegi circoscrizionali e uno nazionale per la designazione dei magistrati di Cassazione con effettivo esercizio delle funzioni. Il Consiglio dura in carica quattro anni, ma continua a funzionare fino all'insediamento del nuovo Consiglio.

Secondo l'art. 105 della Costituzione spettano al CSM "le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati". Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso, e spetta appunto al Consiglio provvedere alla formazione delle commissioni e a sanzionare poi l'esito dei lavori concorsuali. I magistrati non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né destinati ad altre sedi o funzioni, se non in seguito a decisione del CSM, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso (artt. 106 e, rispettivamente, 107 Cost.). Le leggi attuative della Costituzione hanno disposto che al conferimento degli uffici direttivi il Consiglio provveda su proposta di una sua commissione formulata di concerto con il ministro della Giustizia: si presuppone quindi l'attivazione di un rapporto di leale collaborazione fra i due organi in funzione della ricerca di una concertazione, solo in mancanza della quale il Consiglio potrebbe arrivare a disattendere l'avviso del ministro, in quanto ogni determinazione finale è di sua spettanza (Corte cost. sent. nr. 379/1992).

Mentre di norma le attribuzioni consiliari hanno carattere amministrativo e, quindi, i relativi atti sono impugnabili dinanzi ai giudici amministrativi anche per vizi propri e non ascrivibili alla successiva esecuzione a opera dell'esecutivo (Corte cost. sent. nr. 44/1968), nell'esercizio dei poteri disciplinari il Consiglio - o meglio la sua Sezione disciplinare - siede come organo giurisdizionale e i suoi provvedimenti sono impugnabili in Corte di cassazione. Quest'ultima scelta è conforme alla tradizione legislativa e viene giustificata, in rapporto al divieto di istituzione di giudici speciali, facendo riferimento alla già ricordata e largamente condivisa opinione che quel divieto non concerne le giurisdizioni attualmente esistenti, se queste siano opportunamente revisionate.

Le attribuzioni demandate al ministro della Giustizia dall'art. 110 Cost. sono nettamente distinte da quelle del CSM, che appunto da quell'articolo sono espressamente tenute ferme. Esse riguardano l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. In forza di questa disposizione si è ritenuto che il ministro non sia soltanto competente alla predisposizione delle strutture materiali necessarie all'amministrazione della giustizia, ma abbia anche poteri che riguardano "sia l'organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, che il funzionamento dei medesimi in relazione all'attività e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti" (Corte cost. sent. nr. 168/1963). A queste competenze è collegato l'esercizio dei poteri di iniziativa del ministro, potendo egli formulare richieste in ordine a ogni deliberazione amministrativa sullo stato dei magistrati, e riconoscendogli - come si è detto - la stessa Costituzione (art. 107, 2° co.) l'azione disciplinare. In tutti e due i casi non si tratta di richieste o iniziative necessarie, dalle quali unicamente dipenda l'avvio delle procedure consiliari, in quanto la stessa Corte costituzionale ha ritenuto che il Consiglio può prendere autonomamente l'iniziativa dei suoi provvedimenti amministrativi, e - per converso - l'esercizio dell'azione disciplinare è riconosciuto in via concorrente anche al procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Il pubblico ministero

I profili sin qui esaminati riguardano tutti l'assetto istituzionale degli organi investiti di funzioni giurisdizionali. Seppure in forma variegata e diversificata, queste discipline organizzative dell'ordine giudiziario e dei giudici speciali mirano ad assicurare - attraverso peculiari modalità di preposizione ed amministrazione del personale giudicante - quella indipendenza funzionale che l'art. 101 garantisce quando dispone che "i giudici sono soggetti soltanto alla legge". La sottrazione dei giudici a ogni soggezione organizzativa e amministrativa è destinata a garantire un esercizio libero e incondizionato della funzione giurisdizionale, escludendo anche qualsiasi forma indiretta di ingerenza da parte di altri poteri dello Stato. Si vuole, cioè, evitare che competenze di ordine amministrativo e organizzativo siano utilizzate per esercitare più o meno indirettamente pressioni sui processi decisionali degli organi giurisdizionali, anche in presenza di una formale osservanza dell'art. 101 e, quindi, di un'apparente astensione dalla imposizione ai giudici di espresse prescrizioni e direttive di interpretazione della legge.

Il fatto è che lo statuto dei magistrati ordinari e, quindi, i principi che reggono la loro sottoposizione al CSM si estendono anche ai magistrati del pubblico ministero, ai quali il disposto del 2° co. dell'art. 101 non si applica. Il che non significa che la scelta dell'Assemblea costituente debba definirsi irragionevole e immotivata, giacché è la stessa Costituzione a disporre - all'art. 107 ultimo co. - che "il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario". La ragione di questa garanzia istituzionale, che sembra riguardare anzitutto i profili istituzionali, va ritrovata nella necessità di assicurare al pubblico ministero le condizioni amministrative e organizzative che gli consentano di fare fronte all'obbligo che per l'art. 112 della Costituzione gli incombe "di esercitare l'azione penale". Si ritiene, infatti, che da questa disposizione discenda anche per il pubblico ministero un vincolo di indipendenza funzionale, in quanto agli adempimenti conseguenti gli uffici relativi sono tenuti a fare fronte senza farsi condizionare da direttive esterne o preferenze politiche. E tale comportamento essi debbono tenere anche se - di fronte al cumulo di denunce e segnalazioni di reato - sono di fatto costretti a esercitare una qualche discrezionalità nella scelta dei casi rispetto ai quali avviare in concreto l'esercizio dell'azione penale. Perciò si dice che anche nei processi penali che sono da essi promossi con l'esercizio dell'azione penale, il pubblico ministero è parte imparziale, tant'è che, pur svolgendo funzioni di accusatore, può chiedere l'assoluzione dell'imputato, allorché manchino prove certe della colpevolezza.

Specie dopo l'adozione del nuovo codice di procedura penale si sono infittite le discussioni sulla scelta della Costituente, proponendosi da più parti almeno una lettura delle disposizioni in esame tale da differenziare nettamente la posizione di parte pubblica, che il pubblico ministero ricopre nel processo, da quella del giudice, che è tenuto ad assumere uno status di terzietà anche nei confronti dei magistrati esercenti l'azione penale. Si vorrebbe che appunto i magistrati del pubblico ministero fossero selezionati con speciale attenzione alle esigenze di professionalità dell'ufficio che ricoprono, e che a questa speciale selezione facessero seguito processi di formazione e di aggiornamento particolari. D'altra parte, oggi si sostiene che le esigenze odierne della funzione requirente implicano rapporti di coordinamento fra gli uffici requirenti con l'assunzione da parte di un'istituzione centrale di poteri di guida e indirizzo. Del resto, un passo in questa direzione già è stato effettuato con l'istituzione presso la Procura della Corte di cassazione della Direzione nazionale antimafia, cui spettano compiti di coordinamento e direttiva delle ventisei procure distrettuali antimafia istituite sul territorio (d.l. 20 nov. 1991 nr. 367 convertito nella l. 20 genn. 1992 nr. 8).

La consolidata tradizione legislativa, che consente l'instaurazione di rapporti di dipendenza dei magistrati requirenti nei confronti dei capi delle rispettive procure, sta a dimostrare - come risulta del resto dall'istituzione della Direzione antimafia - che l'assetto degli uffici del pubblico ministero può essere diverso da quello degli organi giurisdizionali ai quali sono preposti magistrati che non possono essere assoggettati a rapporti di dipendenza nei confronti dei titolari di altri uffici o di altri magistrati assegnati allo stesso loro ufficio. Il fatto che il legislatore abbia ritenuto di dettare al riguardo la norma speciale del citato ultimo comma dell'art. 107 Cost. confermerebbe la fondatezza di queste scelte, configurando l'ammissibilità di una distinzione fra magistrati requirenti e magistrati giudicanti. Pertanto, mentre sotto il profilo personale i magistrati del pubblico ministero godrebbero di uno statuto organizzativo analogo a quello dei magistrati giudicanti, sotto il profilo funzionale essi potrebbero sottostare a regole diverse che, tuttavia, non consentirebbero di assoggettarli alla direzione e al coordinamento di organi di altri poteri, quale potrebbe essere il ministro della Giustizia. L'introduzione di siffatti rapporti di dipendenza esporrebbe l'esercizio dell'azione penale al rischio di risultare conformato a opzioni politiche tali da inficiare la realizzazione di quella parità di trattamento che l'obbligo generalizzato e indiscriminato imposto dall'art. 112 al pubblico ministero ha di mira.

Le prospettive di riforma costituzionale

Il preminente interesse dedicato al processo penale ha polarizzato l'attenzione del dibattito politico e pubblicistico intorno ai problemi della giustizia in Italia sul pubblico ministero. Nella prospettiva di riforma costituzionale non sembra trovare seguito la soluzione della collocazione del pubblico ministero alle dipendenze del potere esecutivo, per cui il dibattito si è concentrato sull'ammissibilità o meno di una completa separazione delle carriere di magistrati giudicanti e requirenti. I fautori della soluzione positiva sembrano orientati a distanziare nettamente i due ordini di magistrati per favorire - non solo sotto il profilo funzionale, ma anche sotto quello sostanziale - la netta separazione degli organi del giudizio da quelli della pubblica accusa, evitando, in particolare, il rischio che i magistrati possano di volta in volta ritrovarsi a ricoprire funzioni giudicanti e requirenti, così creando nelle parti dei processi l'impressione di una confusione di ruoli e di una confluenza di interessi professionali, se non sostanziali. A questa soluzione si contrappone il timore che il complesso degli uffici delle procure vada a costituire una sorta di autonomo potere dello Stato destinato a crescere di potenza man mano che se ne accentua l'indipendenza e capace, quindi, di richiamare alla memoria le nefande istituzioni delle procurature dei paesi di democrazia socialista. Si propone, quindi, di optare per un'alternativa che all'interno di una carriera unitaria, comune a tutti i magistrati, assicuri distinta amministrazione ai giudicanti e ai requirenti, in modo che sia assicurata a tutti la specifica attenzione che le relative distinzioni professionali richiedono.

Le polemiche che hanno investito l'intero assetto dato dalla Costituzione all'autonomia e all'indipendenza della magistratura ordinaria, e gli atteggiamenti assunti dal CSM in difesa di appartenenti all'ordine giudiziario fatti oggetto di critiche e censure hanno d'altra parte determinato la formazione di una corrente di opinione favorevole a una riforma del CSM, con inversione della ripartizione dei seggi a favore degli eletti del Parlamento e in danno dei consiglieri di derivazione giudiziaria. Talvolta corretta da più blandi propositi di inserire nel collegio, in funzione riequilibratrice, una quota di consiglieri nominati dal Capo dello Stato, con inevitabile rafforzamento del ruolo di quest'ultimo, anche questa soluzione non sembra sottrarsi al rischio di istituzionalizzare la politicizzazione del Consiglio, né affronta il problema reale della concentrazione del potere in materia giudiziaria in capo a un solo organo: perché è, in effetti, tale concentrazione il perno sul quale è venuto a poggiare e a svilupparsi l'enlargement del ruolo del Consiglio, trovando supporto le funzioni amministrative nell'attività paranormativa e traendo occasione per una lettura estensiva dalla loro connessione con i poteri disciplinari, com'è dimostrato dalle vicende in tema di trasferimento per incompatibilità ambientale e conseguente esercizio della funzione disciplinare. Il rimedio non può essere un rafforzamento del 'tono' politico del Consiglio, ma - semmai - il suo inserimento in un più articolato sistema di distribuzione dei poteri in materia giudiziaria in vista della creazione di un vero e proprio 'governo diviso' della magistratura.

In questa prospettiva si inseriva la scelta fatta dalla Commissione bicamerale, nel progetto di legge costituzionale per la revisione della seconda parte della Costituzione presentato alle due camere il 4 novembre 1997. Tale progetto (che non ha avuto seguito in quanto è venuto meno l'accordo politico sulle riforme costituzionali da adottare) si proponeva di affiancare al CSM una Corte di giustizia della magistratura, conservando in capo al primo le funzioni di ordine amministrativo e assegnando alla seconda le funzioni disciplinari, che sono - secondo tradizione - sostanzialmente e formalmente giurisdizionali. La Corte doveva diventare, però, anche il giudice dell'impugnazione delle decisioni del CSM, così sottraendo i magistrati alle cure della giurisdizione ordinaria amministrativa che ha attualmente competenza generale in materia di tutela dei diritti e degli interessi dei singoli nei confronti degli atti delle pubbliche autorità. Si trattava di un'innovazione di rilievo che sembrava destinata a venire incontro ad antiche rivendicazioni dell'ordine giudiziario, che volevano i provvedimenti incidenti sulla carriera dei magistrati sottratti al giudizio degli organi cui ordinariamente spetta la funzione giurisdizionale. Ma l'innovazione finiva per interessare anche i giudici amministrativi nella misura in cui la Corte di giustizia della magistratura - alla cui composizione dovevano concorrere componenti del Consiglio superiore della magistratura ordinaria e di quello della magistratura amministrativa - estendeva le sue competenze alla giustizia disciplinare nei confronti dei giudici amministrativi e anche ai giudizi di impugnazione degli atti di amministrazione adottati, appunto, dal Consiglio superiore della giustizia amministrativa. Gli effetti della riforma venivano così parzialmente corretti rispetto a quelle che potevano essere le aspettative legate al progetto di un'accentuazione della separatezza dell'ordine giudiziario e del suo 'governo', e il risultato era tanto più degno di attenzione se agli effetti ora accennati si aggiungevano quelli della divisione in due sezioni del Consiglio superiore della magistratura ordinaria, una destinata ai magistrati giudicanti e una a quelli requirenti.

Invero, queste scelte, che allo stato non hanno avuto attuazione, hanno una valenza che va al di là della distribuzione dei poteri concernenti la carriera dei magistrati, in quanto sono palesemente dirette a omologare lo statuto dei magistrati ordinari e di quelli amministrativi a parziale compensazione dell'abbandono dell'idea, coltivata da qualcuno, anche all'interno della stessa Commissione bicamerale, di introdurre con la riforma costituzionale la giurisdizione unica e di abbandonare il regime ora in atto, che vede affiancate a quelli dei giudici istituiti e regolati dalla legge sull'ordinamento giudiziario le giurisdizioni speciali previste dall'art. 103 della vigente Costituzione.

bibliografia

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G. Silvestri, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino 1997.

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