MAGIA E DIVINAZIONE

Federiciana (2005)

Magia e divinazione

SStefano Rapisarda

Per quanto sovente assimilate nel sentire comune, magia e divinazione sono due pratiche in realtà 'epistemologicamente' assai differenti. La magia mira a modificare con procedure 'costrittive' la realtà esterna all'individuo, la divinazione mira piuttosto alla prescienza del futuro onde eventualmente modificare le azioni individuali e non la realtà esterna. Anche nel Medioevo il discrimine tra magia e divinazione non è sempre chiaramente definito. Ad esempio Isidoro di Siviglia (570 ca.-636) nelle Etymologiae definisce la magia e ne dà una breve introduzione storica, ma, a parte il praestigium, il suo elenco riguarda quasi esclusivamente tecniche divinatorie.

L'elenco di Isidoro, che avrà lunghissima durata, comprende magi, cioè coloro che fanno malefici, idromanti che divinano il futuro nei riflessi dell'acqua, indovini che operano con le parole, arioli che pregano gli idoli, aruspices che indagano le viscere e le ore del giorno, augures e auspices che studiano gli uccelli e il loro volo, i phytones che divinano per 'entusiasmo', gli astrologi, i genethliaci e gli horoscopi che studiano l'ora della nascita, i mathematici che studiano le costellazioni, i sortilegi che divinano aprendo a caso il Vangelo o i testi sacri, e i salissatores che interpretano i movimenti repentini e involontari del corpo umano (Isidoro di Siviglia, 1911, I, VIII, 9).

I tipi di divinazione rimangono sostanzialmente per tutto il corso del Medioevo quelli elencati da Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae: cinque secoli più tardi Giovanni di Salisbury nel Policraticus, il celebre trattato "de nugis curialium" composto intorno al 1159 alla corte del re d'Inghilterra Enrico II Plantageneto, li riporta pressoché immutati, se si esclude la sola significativa aggiunta della chiromanzia (1993, I, XII, pp. 50-54).

La classificazione della magia e delle sue tecniche è più complessa e varia. La necromanzia innanzitutto perde il suo significato etimologico di 'divinazione per mezzo dell'evocazione dei morti', dal greco necros 'morte' (come in Lucano, De bello civili, a cura di G. Luck, Berlin 1985, VI, 413-830, e in Arcana mundi, 1997-1999, I, pp. 358-383), per incrociarsi con il latino nigrum e diventare più o meno sinonimo di 'divinazione nera', non necessariamente implicante l'evocazione dei morti, l'uso del sangue o la riesumazione di cadaveri. Ad esempio nel Picatrix, che è probabilmente il testo magico più importante del Medioevo, si dà in apertura una definizione assai generale di necromanzia, così definendo ogni tipo di azione che produca un effetto inspiegabile e meraviglioso e operi modificazioni su realtà e processi naturali (Pingree, 1999, p. 31).

La netta differenza epistemologica tra le pratiche magiche e quelle divinatorie si riflette anche nell'ambito giuridico. Ciò che costituisce il discrimine principale è l'intenzione dell'operatore: se l'intento è sostanzialmente costrittivo e/o l'operatore ha volontà d'inganno, l'atto è di tipo magico; se l'intento è conoscitivo e l'operatore non ha volontà d'inganno, è un atto di tipo divinatorio. Per la legislazione laica lo testimoniano le Siete partidas di Alfonso X il Saggio, nella parte dedicata a normare magia e divinazione, ove si ammettono le magie praticate con buena entencion: "Pero los que fiziessen encantamiento o otras cosas con entencion buena, assi como sacar demonios de los cuerpos de los omes, o para desligar a los que fuessen marido e muger, que non pudiessen convenir, o para desatar nuve, que echasse granizo, o niebla, por que non corrompiesse los frutos, o para matar lagosta o pulgon que daña el pane o las viñas, o por alguna otra razon provechosa semejante d'estas, non deve aver pena; ante dezimos que deve recebir gualardon por ello [Ma coloro che facessero magie o altre cose con buona intenzione, come per esempio per cacciare i demoni dai corpi umani, o rendere liberi un marito e una moglie che non potessero andare d'accordo, o per disperdere una nube che recasse grandine o nebbia, al fine di salvare il raccolto, o per uccidere le cavallette o altri parassiti che arrecassero danno a un campo di grano o a un vigneto, o per qualche altro buon fine simile a questi, non devono temere. Anzi, affermiamo che devono esser ricompensati per questo]" (Siete partidas, VII, XXIII, I, in Alfonso X el Sabio, Astromagia [Ms. Reg. lat. 1283a], a cura di A. D'Agostino, Napoli 1992, p. 16). Nella legislazione ecclesiastica e nelle elaborazioni teologiche invece il divieto è assoluto, essendo l'elemento demoniaco implicito in ogni tipo di magia come anche di divinazione; l'evocazione dei demoni è infatti presupposta anche se tacita (Semeraro, 2002, p. 60); qualche spiraglio si apre tuttavia per le divinazioni fondate sull'analisi di dati 'naturali', come l'interpretazione di alcuni tipi di sogno, a condizione che sia esercitata da interpreti 'istituzionali', o certe forme 'veniali' come la chiromanzia, a condizione che leggano 'inclinazioni' e non interferiscano con il libero arbitrio individuale (Rapisarda, 2000, pp. 109-110).

Michele Scoto è certamente il personaggio-chiave della divinazione alla Curia federiciana. Nel Liber introductorius egli si dichiara astrologo di Federico II e il dato è confermato in un poema di Enrico di Avranches databile intorno al 1235-1236, nel quale, elogiando Federico e chiedendo di entrare al suo servizio, egli si riferisce a Michele come astrologo ufficiale dell'imperatore (Winkelmann, 1878, pp. 482-492) e ricorda le sue predizioni su eventi che riguardano lo stesso Federico (Enrico cita Michele Scoto come morto da poco). L'opera principale di Michele è certamente il Liber introductorius, che comprende tre libri, il Liber quattuor distinctionum, il Liber particularis e il Liber phisionomie, ed è rivolto all'insegnamento delle scienze ai "noviciis scolaribus", cioè agli studenti che non conoscono i 'segreti della natura' e dell'astrologia in particolare (Jacquart, 1994, p. 338) o, meglio, delle predizioni, dato che il secondo tratta de iudiciis e il terzo de naturalibus iudiciis, ove per iudicia si intendono tutte le previsioni di tipo 'naturale', come quelle che si leggono nel palmo della mano o sul volto dell'individuo. Il Liber introductorius è in realtà un libro essoterico, esplicitamente rivolto a coloro che desiderano studiare le scienze della natura, e la trasmissione del sapere non avviene tramite procedure 'segrete'.

Michele Scoto dimostra nel Liber un'ampia conoscenza della magia salomonica e della magia naturale, e vi si ritrova qualche traccia di procedimenti di tipo pratico come usi magici del sangue mestruale, dello sperma, dei capelli, del sangue e delle impronte lasciate dai piedi nel fango e nella polvere (Pingree, 1994, pp. 368 ss.). Non tutto però va interpretato in chiave magica. Ad esempio, la procedura chiromantica di divinazione del sesso dell'embrione concepito, che Michele elabora infatti per Federico II e questi, stante la nota ossessione medievale del lignaggio, subito utilizza in chiave politicamente 'propagandistica', va interpretata in chiave scientifico-razionale. Ripercorriamo brevemente la vicenda: nel 1235 Federico II sposa a Worms Isabella d'Inghilterra, figlia di Giovanni Senzaterra e sorella di Enrico III. Come racconta il cronista Matteo Paris, prima di consumare il matrimonio, l'imperatore pretese di attendere l'ora che era stata fissata dagli astrologi. Poi, subito dopo, affermò solennemente che l'imperatrice era incinta di un figlio maschio. Nel qual caso il pubblico annunzio era corroborato dalle teorie embriologiche di Michele Scoto e dai suoi esperimenti chiromantici per la previsione del sesso del nascituro. Come egli scrive infatti nel Liber introductorius, per pronosticare il sesso del bambino bisogna chiedere alla gravida di porgere la mano al chiromante: se ella offre la destra, sarà maschio, se offre la sinistra, sarà femmina (Jacquart, 1994, pp. 351-353). Ma siamo nell'ambito 'razionale' dell'estensione analogica di una teoria embriologica, dato che a partire da una tradizione medica risalente al De generatione animalibus di Aristotele (IV, 1) i maschi vengono concepiti nel lato destro dell'utero, le femmine in quello sinistro, come lo stesso Scoto commenta, chiosando il De secretis naturae di Alberto Magno (caput VII). Si tratta ancora una volta di asserzioni non di tipo magico ma di tipo analogico-deduttivo: "In virtù di una comunicazione diretta con il fegato, naturalmente caldo, l'utero destro e il testicolo destro sono più caldi dei loro omologhi sinistri e dunque idonei a produrre e a nutrire il maschio, che è più caldo della femmina, dunque necessita di maggior calore" (Thomasset, 1998, p. 74).

Le pratiche divinatorie esercitate da Michele Scoto parrebbero anche annoverare la chiromanzia (stando a una Chiromantica scientia cit. in Thorndike, 1929, p. 331) e la geomanzia (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, ms. 489, cit. ibid., e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Reg. 1159, cit. in Vasoli, 1971, p. 951), ma ciò evidentemente non è garanzia di autenticità data l'ampia fama di 'mago' e la vera e propria 'leggenda nera' che si diffuse intorno allo Scoto a seguito della citazione dantesca (Inferno, XX, 115-117). Non possiamo dunque affermare con sicurezza che Michele abbia scritto una chiromanzia sistematica; tuttavia la conoscenza di base dei principi chiromantici è dimostrata da un passo del Liber introductorius in cui, a conclusione della citazione della scienza delle bulle ‒ l'analisi predittiva dei segni corporali quali "porrum, nigellus, lentigo, rubedo […] tumor carnis etc. […] un pilus longus" assimilabile alla fisiognomica ‒, Michele scrive: "Et est sciendum quod bullarum quedam significant fortunam prosperitatis et quedam adversitatis, velut patet de fissuris palmarum manus que dicuntur ruge, quarum notizia determinatur in arte cyromantie [E bisogna sapere che certi segni della pelle significano prosperità e altri avversità, come appare manifesto dalle linee del palmo della mano che si chiamano rughe, il significato delle quali è determinato nell'arte della chiromanzia]" (Caroti, 1994, p. 145).

Nell'ambito divinatorio, oltre alla Chiromantia e alla Geomantia, sono attribuite a Michele Scoto anche alcune opere astrologiche come un Signis et ymaginibus coeli (che reca però un palese anacronismo che ne inficia l'attribuzione: "Liber quem edidit Micael Scotus de signis et ymaginibus celi apud 1320") e un De xlviii imaginibus zodiaci secundum Michaelem Scotum et alios quamplures (Thorndike-Kibre, 1963, col. 133). Nell'ambito negromantico gli si attribuisce un experimentum: "Si volueris per demones habere scienciam" (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 89. sup. cod. 38, edito in Brown, 1897, pp. 231-234).

Tra le altre tecniche dimostra di conoscere la salissatio, cioè l'interpretazione dei movimenti inconsulti del corpo, e la decifrazione dei sogni, per analogia e per contrasto (ad esempio catturare un uccello vuol dire guadagno, perderlo, perdita; piangere in sogno vuol dire gioia, ridere, dolore); conosce anche le virtutes delle pietre: l'agata rivela i demoni e gli incantamenti; il diaspro rende ricco, amabile ed eloquente chi lo porta (Thorndike, 1929, pp. 330-331).

Il successore di Michele Scoto parrebbe Teodoro di Antiochia, già traduttore dall'arabo del trattato di falconeria detto Moamin, che avrebbe ricoperto presso Federico il ruolo di astrologo (Burnett, 1995), forse alla morte di Michele Scoto o più o meno contemporaneamente. Secondo l'incipit di un manoscritto astrologico detto Liber novem iudicum, quem missit soldanus Babilonie imperatori Federico tempore quo et magnus Chalif misit magistrum Theodorum eidem imperatori Federico (Londra, British Library, ms. Royal 12 G VIII, sec. XIV, di provenienza italiana, citato in Burnett, 1994, p. 387), Teodoro sarebbe stato inviato a Federico dal califfo di Babilonia e sarebbe quindi depositario dei segreti dell'astrologia araba, anche se in realtà parecchi dei testi astrologici contenuti nel Liber novem iudicum, se non addirittura tutti, parrebbero provenire dal Nord della Spagna piuttosto che da un potentato orientale (Burnett, 1995, p. 233). Insieme a Teodoro il monarca arabo gli avrebbe inviato in quella stessa circostanza un "coelum aureum gemmis stellatum", cioè un apparato astronomico consistente in un cielo dorato raffigurante le costellazioni e il moto degli astri, con movimento meccanico di "ymagines" del sole, della luna e delle ore del giorno, di cui parla la cronaca detta di Colonia (Poulle, 1994, p. 122).

La pratica divinatoria per la quale Federico nutrì il massimo interesse è infatti l'astronomia-astrologia. L'oggetto delle due discipline non coincide del tutto con quello attuale: nel Medioevo la prima si occupa dello studio 'fisico' delle masse e dei moti dei corpi celesti, la seconda dell'influenza che i corpi celesti producono sul mondo sublunare, ma è una distinzione che nella pratica è poco rigida e che rende i due termini generalmente sinonimi e permutabili. L'interesse dell'imperatore nei confronti della scienza astronomica è ribadito da molte testimonianze, a cominciare da quelle di Michele Scoto. In tre occasioni sono citati nel Liber introductorius episodi relativi all'imperatore Federico, tutti di carattere astrologico: Federico si sottopone a un salasso che non riesce per la negligenza del barberius, il quale sceglie male il momento cosmico (electio), trovandosi la Luna nel segno dei Gemelli che è posizione sfavorevole per salassi, tagli e incisioni (così anche nel breve testo astrologico accluso in due manoscritti del Liber particularis: "Brachia non minuas cum lustrat luna gemello / Unguibus aut manibus ferrum vel cura negetur [Non salassare le braccia quando la luna splende in Gemelli, e si tenga lontano il ferro dalle unghie o dalle mani]"; in Morpurgo, 1983, p. 13); Federico riceve dallo Scoto il consiglio di consultare l'astrologo quando la Luna è in fase crescente; Federico mette alla prova lo Scoto circa la sua capacità di effettuare calcoli astrologici (Caroti, 1994, pp. 139-140).

Quest'ultimo episodio è citato anche nella Cronica di Salimbene de Adam ove si racconta l'aneddoto della misurazione del cielo e del sollevamento del soffitto del palazzo. L'imperatore vuole accertarsi delle abilità scientifiche dello Scoto e decide di metterlo alla prova. Federico II chiama dunque Michele Scoto a misurare la distanza tra la cima di un campanile e un astro in cielo. Scoto esprime la sua valutazione della distanza. Dopo qualche tempo Federico fa ripetere la misurazione ma dopo aver fatto abbassare leggermente il pavimento. Scoto misura nuovamente la distanza e si accorge che la distanza risulta, sia pur di poco, aumentata (Salimbene de Adam, 1966, p. 515).

Si può qui ricordare anche una fonte meno nota, come un sirventese del poeta occitanico Guilhem Figueira, Un nou sirventes ai en cor que trameta, nel quale si gratifica Federico con un omaggio oroscopico: "en bon ponh fon natz et en bona planeta / nostr'emperador [il nostro imperatore è nato in un buon momento astrale e sotto un buon pianeta]" (vv. 25-26) e gli si riconosce un sapere astronomico-astrologico, al "tan sabens d'artz e d'estronomia / qu'el ve e conois enans so que ave [tanto sapiente dell'arte d'astronomia, da vedere e conoscere in anticipo ciò che accade]" (vv. 35-36; E. Levy, Guilhem Figueira, ein provenzalischer Troubadour, Berlin 1880, p. 7), ove estronomia sta evidentemente per astronomia iudiciaria, dato che ciò che più preme all'imperatore è cercare di antivedere il futuro. In ciò Federico II non fa altro che applicare un precetto del Secretum secretorum, importantissimo speculum principis attribuito ad Aristotele, che secondo la recente teoria di Agostino Paravicini Bagliani (1994) e Steven J. Williams (1994) avrebbe avuto nella Curia federiciana uno dei canali di diffusione nell'Occidente latino. "Non fare nulla senza astrologi" è il consiglio che il Secretum secretorum fornisce ai reggitori ([Pseudo-Aristotele], 1920, p. 61).

Si apre qui il complicato capitolo dei rapporti tra divinazione e politica. Azione politica e previsione del futuro sono strettamente collegate. Per avere un'idea degli effetti che le credenze divinatorie manifestavano sull'agire politico, basti pensare che nel già citato Secretum secretorum si trovano alcuni importanti capitoli dedicati alla divinazione a fini politici. Anzi non è esagerato dire che il 'nocciolo duro' del Secretum risiede proprio nel capitolo fisiognomico e in quello astrologico, che sono d'utilità fondamentalmente politica, dato che il capitolo fisiognomico serve alla buona scelta di ministri e consiglieri, e quello astrologico alla determinazione dei giorni propizi: il cap. 20 del libro III, per esempio, serve a determinare il momento astrale più adatto a intraprendere una guerra o un viaggio (ibid., p. 155).

Nello stesso ambito va considerato l'interesse di Federico per le virtù delle pietre, di cui dà precisa testimonianza il cosiddetto Lapidario Estense: "Et io possa dirè, in testimonianza de Dio, com'ele foe donate a Federigo imperatore, no sapiendo ello. Et ello me lle mostrava e dicea-me: 'El m'è donato cotalle prete; elle bone?' Et eo gle diceva la vertute e com'elle se volle portare e da que le se volle guardare, ch'elle no perda la vertute. E come io li dicea, el credeva e sì facieva. Und'ello si 'd'ebe asai et asai ne portava cum sì, e altre in capo, altre in la centura, alter a coverto, altre a descoverto, alter a carne nuda, altre per altra manera. E manifesto sì è che gli ri e gli baroni e gli parlati della glesia sì lle porta cum sì, e sì per le virtute sì come per biene stare. E no porta delle cative como è cristallo, callamita, onico, ma sì porta robinni, iagunzi, safinni, smeragdi, etc." (Tomasoni, 1976, pp. 141-142). Anche lo studio delle pietre era consigliato dal Secretum secretorum ai fini del dominio militare, come nel capitolo "de mirabilibus lapidibus", ove si indicano ai reggitori le pietre che rendono invincibili in battaglia ([Pseudo-Aristotele], 1920, p. 118).

Per l'astrologia politico-militare si veda il caso riportato dal cronista Rolandino da Padova. Le truppe di Federico II sono accampate in una città di nuova fondazione che ha ricevuto il nome augurale di Vittoria e da lì sono impegnate nell'assedio di Parma. Mentre Federico si trova ad una battuta di caccia, gli imperiali subiscono un'incursione delle milizie parmensi, che presto culmina in disfatta. Rolandino da Padova riporta nella sua Cronica che la città di Vittoria (destinata a prendere il posto della ribelle Parma dopo la sua distruzione) era stata fondata tenendo scrupolosamente conto dei responsi astrologici. Come spiegare allora la disfatta? È vero che il responso astrologico non aveva corrisposto agli eventi futuri, ma non perché la pratica astrologica fosse 'superstiziosa' e dunque scatenatrice dell'ira divina, ma al contrario perché il calcolo astrologico conteneva un errore, un errore umano: "[...] puto quod non notavit [scil. astrologus] quartum ab ascendente fuisse Cancrum. Quartum enim hedificia, domos et civitates designat; et sic civitas, sub tali ascendente incepta, cancrizare debebat": l'oroscopo conteneva un guasto di interpretazione. Il "quartum" significa palazzi e città, e una città fondata sotto il Cancro "quartum ab ascendente" è, analogicamente, destinata a finire in cancrena (Caroti, 1994, p. 139).

Non c'è qui precisa imputazione di responsabilità, ma il sospetto cade su Teodoro d'Antiochia, alla luce di un altro errore umano che si riscontra nella stessa cronaca (IV, 12). Durante l'assedio di Castelfranco Veneto, l'imperatore incarica Teodoro, stavolta citato esplicitamente, di scegliere l'ora migliore per fare avanzare le fanterie, ma l'astrologo sbaglia totalmente la previsione per colpa del cielo nuvoloso: "De iis, que facta sunt ab imperatore stante apud Castrum franchum. [...] Et cum carrocio paduano, circa finem eiusdem mensis, duxit exercitum ipsum ad Castrum franchum, lucum Tarvisinorum. Et horam mocionis elegit per consilium magistri Theodori, sui astrologi, qui stetit cum astrolabio sursum in turri communis expectans, ut dicebatur, quod ascenderet prima facies vel horoscopus Leonis, cum diceret Iovem esse in illo. Set cum per astrolabium hoc videre non posset, tempore nubilus obumbrato, si licitum est dicere, tunc fiut in sua electione deceptus, quia nec erat Iupiter in Leone nec Leo tunc ascendebat, set Virgo. Et ita, cum Scorpio tunc esset domus itineris, quia tercia, innuebat quod exercitus vel imperator, ad cuius peticione fiebat, offendi deberet in fine; quasi cauda Scorpionis hoc faceret, que dicitur infidelis et venenata" (Rolandino da Padova, 1905-1908, p. 66). Altro, meno noto, consulto di un astrologo, avvenuto a Vicenza nel 1237, si legge nella Cronaca del vicentino Antonio Godi (1909, p. 13).

Che alla corte di Federico si praticasse necromanzia è credenza diffusa, come si evince dal Novellino. Stando al racconto XXI, l'imperatore ben accoglie una visita di tre negromanti, anche se in verità egli si dimostra liberale nei confronti di ogni sorta d'intrattenitore: "e la gente ch'avea bontade venia a lui di tutte parti, però che l'uomo donava volentieri e mostrava belli sembianti a chi avesse alcuna speziale bontà. A lui venieno sonatori, trovatori e belli favellatori, uomini d'arti, giostratori, schermitori, d'ogni maniera gente" (Il Novellino, a cura di A. Conte, prefazione di C. Segre, Roma 2001, pp. 42-43). Al cospetto di Federico i tre negromanti suscitano dapprima una tempesta, poi generano l'illusione di una 'piega spazio-tempo' nella quale vanno a trovarsi i protagonisti del racconto. È questa una delle pratiche magiche più diffuse, tanto da essere esplicitamente proibita dai canonisti, come in Burcardo di Worms, De arte magica: "Credidisti unquam vel particeps fuisti illius perfidiae, ut incantatores et qui se dicunt tempestatum immissores esse, possent per incantationem daemonum aut tempestates commovere aut mentes hominum mutare? Si credidisti, aut particeps fuisti, annum unum per legitimas ferias poeniteas [Hai creduto o sei stato partecipe di quel genere di maleficio che provocano gli incantatori o quelli che si dicono 'tempestarii', che possono tramite l'evocazione dei demoni scatenare tempeste o agire sulla mente degli uomini? Se vi hai creduto o se sei stato partecipe, farai un anno di penitenza nei giorni di festa comandata]" (1853, col. 961D).

La propaganda papale alimentava certamente la 'leggenda nera' di un Federico negromante ("Artes et auguria cessant Friderici / Sibi nolunt obsequi daemones amici. […] Amisit astrologos et magos et vates / Beelzebub et Asharoth, privatos penates, / Tenebrarum consules per quos potestates / Spreverat ecclesiam et mundi magnates", Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, ms. Clm 2574b, appartenuto al legato pontificio Albert Behaim, citato in Burnett, 1984, p. 158), e alla corte federiciana si praticavano superstitiones e arti magiche, ma non più di quante se ne praticassero presso le altre corti europee, posto che alla corte di Alfonso X si ha una vastissima produzione magico-talismanica che culmina nel Picatrix, e alla Curia plantageneta ci riporta la descrizione di Giovanni da Salisbury, che lascia intendere una ben più ampia pratica delle tecniche divinatorie e magiche. Non parrebbe esistere neanche una legislazione federiciana specificamente dedicata all'argomento; le stesse superstitiones e fatuitates riportate da Salimbene sul conto di Federico, ostilità del cronista a parte, parrebbero piuttosto annoverate tra le curiosità di tipo 'scientifico-razionale' più che tra quelle di tipo magico-superstizioso.

A differenza della lirica occitanica, per citare il referente culturale più immediato, nella lirica siciliana non c'è alcun caso in cui il lessico delle tecniche divinatorie sia usato in senso tecnico. In occitanico, ad esempio, accade di frequente che il termine sortz sia usato con riferimento a un preciso procedimento divinatorio, non a caso spesso in dittologia con agur, come in Bernart de Ventadorn, Lancan vei la folha (C. Appel, Bernart de Ventadorn, seine Lieder mit Einleitung und Glossar, Halle a.S. 1915, p. 25): "Non ai mais fiansa, / en agur ni en sort / que bon esperansa / m'a confondut e mort [Non ho più fiducia nell'augurio e nella sorte, che la buona speranza mi ha confuso e ucciso]" (vv. 25-28) o Falquet de Romans, Ma bella dompna, per vos dei esser gai (L'œuvre poétique de Falquet de Romans, troubadour, a cura di G. Gouiran-R. Arveiller, Aix-en-Provence 1987): "q'eu ai ben vist et conegut en sort / qu'en breu de temps m'auran li sospir mort / s'eu a vos en chambra no'm deport [che ho ben visto e conosciuto in sorte che entro poco tempo i sospiri mi avranno ucciso, se non vi porto nella mia stanza]" (vv. 19-21), ove 'vedere e conoscere in sorte' parrebbe avere una connotazione tecnica che vale per 'ho avuto in responso dalla consultazione delle sorti'. E sarà opportuno ricordare che in area occitanica sopravvivono vari trattati di materia divinatoria in volgare, come due geomanzie e almeno due Sortes apostolorum, laddove in area siciliana non ne sopravvive alcuno. Altrettanto tecniche sono talune citazioni occitaniche della devinansa, cioè la indebita ingerenza di presagi o la consultazione di responsi; essa è complessivamente da temere, anche se talora può facilitare all'amante la comunicazione dei suoi sentimenti, come in Uc de Saint-Circ, Ses desir e ses razo (Poésies de Uc de Saint-Circ, a cura di A. Jeanroy-J.J. Salverda de Grave, Toulouse 1913, p. 11): "ben volria saubes per devinanssa / cil qu'ieu desir la dousa desiransa [ben vorrei che sapeste per divinazione che quel che desidero è un dolce desiderio]" (vv. 45-46), ove saber per devinanza vale ovviamente 'sapere tramite consultazione di procedimenti divinatori quali sorti o sfere'. Nulla di tutto questo nei Siciliani: nella lirica federiciana il termine sorte esce totalmente dall'area semantica della divinazione e sta del tutto genericamente per 'fortuna, destino'. A differenza del sortz occitanico, non c'è un solo caso in cui sorte faccia pensare a una procedura divinatoria; Pier della Vigna, Amando con fin core e co speranza: "Ingressa m'è la morte / per afretosa sorte, / non aspettando fine naturale / di quella in cui natura […]" (Panvini, 1962, p. 129); Anonimo, Oi lassa 'namorata: "acorre morte; / aspet[t]ola che vene, / tragami de ste sorte" (ibid., p. 462); Anonimo, Ciò c'altro omo a sè noia o pena conta: "somi da lor straneri, / pensandomi le greve e dure sorte, / che 'nver me sono in tal guisa cangiate" (ibid., p. 502); Anonimo, Doglio membrando lo partire: "mi mena la morte, / membrando mi vegio a tal sorte, / che perdo lo core e la mente" (ibid., p. 563); Tommaso di Sasso, D'amoroso paese: "Ch'è vicino di morte, / crudele sorte, / mal che non ha nomo, / che mai non lo pote omo / ben guerire" (ibid., p. 92).

Solo qualche traccia di lessico astronomico-astrologico forse sopravvive, e può darsi che la bona spera di Tommaso di Sasso sia da intendersi anche nel senso astrale di 'buona stella', oltre che come calco dell'occitanico bon esper 'buona speranza' (ibid., p. 69).

fonti e bibliografia

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