Camillo, M. Furio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Camillo (Cammillo), M. Furio

Clara Kraus

Patrizio romano, chiamato ‛ secondo fondatore di Roma '.

Fu censore nel 403 a.C., sei volte tribuno dei soldati con potestà consolare tra il 401 e il 382, cinque volte dittatore tra il 396 e il 367. Tra le sue moltissime imprese, documentate da Livio (I. V e VI), le più note sono la presa di Veio (396) e la liberazione di Roma dai Galli (390). Nel periodo intermedio tra tali due eventi cade il volontario esilio di Ardea, prescelto da C. per evitare un processo che stava per essergli intentato, forse per qualche controversia inerente alla divisione della preda veientana.

D. cita C. due volte - in Cv IV V 15 (Chi dirà di Cammillo, bandeggiato e cacciato in essilio, essere venuto a liberare Roma contra li suoi nimici... ?) e in Mn II V 12 - tra i personaggi illustri di Roma che, ispirati dalla divina provvidenza, si prodigarono per il bene della patria, anteponendo l'interesse pubblico e il rispetto della legalità a ogni ambizione personale. In ambedue i passi si sottolinea la magnanimità del personaggio come consistente nel suo volontario ‛ ritorno ' all'esilio dopo aver liberato Roma dai Galli. Nella Monarchia D. denuncia in Livio la propria fonte per tale notizia: ... memorabile nobis exemplar Camillus fuit qui, secundum Livium, dampnatus exilio, postquam patriam liberavit obsessam... ab urbe sancta discessit, nec ante reversus est quam sibi repatriandi licentia de auctoritate senatus allata est. Senonché Livio (V XLVI) racconta bensì che C. ritornò a Roma solo a seguito di un decreto senatorio, ma dopo l'unico esilio, precedente non susseguente all'invasione gallica. Forse è possibile un'ipotesi: che l'idea di un secondo esilio venisse a D. non dalla lettura diretta di Livio, ma da un passo male inteso di Floro (I 37), dove di C. si legge: " in capta urbe consenuit ", ossia " giunse a vecchiaia nella città presa ", e per " capta urbs " si può intendere Veio (come credette poi anche il Mommsen) anziché Roma, definita " capta " per aver subito temporaneamente l'affronto dell'occupazione nemica.

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