Lutto

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Antropologia

Insieme di pratiche, attività rituali, atteggiamenti, stati d’animo che caratterizzano un individuo o un gruppo sociale in seguito alla morte di una persona. L’etnologo francese R. Hertz, in un celebre saggio (Contribution à une étude sur les représentations collectives de la mort, 1907), affermò che lo stato del l. non è prodotto di emozioni ‘naturali’, bensì di rappresentazioni collettive. Questa argomentazione consente di rispondere al perché il l. sia vissuto in modo così diverso (per durata, intensità, rispetto delle norme) dalle varie società umane. I tabù che caratterizzano la condizione di l. e che ne controllano ritualmente la pericolosità simbolica sono spesso di natura alimentare. Altre volte, come avviene in numerose società rurali europee, si tratta di divieti che impediscono la preparazione stessa del cibo da parte dei più stretti parenti del morto e che, pertanto, mettono in atto un complesso circuito di scambio di prestazioni consolatorie. Emerge qui con chiarezza un aspetto importante del l. e dei riti funebri: il controllo dell’evento funesto della morte, della sua forza disgregante, e la necessità culturale di far fronte a tale forza, attraverso gesti, pratiche, credenze in grado di rielaborare il senso dell’esperienza individuale e sociale dei sopravvissuti, ritessendo nello stesso tempo le maglie stesse del tessuto sociale intaccate dall’evento della morte. Tra gli elementi rituali che segnalano la condizione di l., molto diffusi sono quelli connessi all’abbigliamento e all’acconciatura dei capelli.

Psicologia

Secondo Freud, alla morte di una persona cara avviene un tentativo, da parte dell’apparato psichico, di conservare l’oggetto perduto mediante un processo d’introiezione, per cui l’oggetto viene ‘incorporato’, e il soggetto effettua con esso una parziale identificazione. Ne conseguirebbe, da un lato, un rifluire sul soggetto dell’ostilità rimossa che questi poteva avere nutrito per l’oggetto, con addizionali sentimenti di colpa inerenti a tale ostilità; dall’altro un parziale ritiro delle cariche istintuali dagli oggetti esterni. Ciò spiegherebbe lo stato di depressione, e il disinteresse per il mondo esterno, tipici del l. normale ed esasperati nella depressione. Secondo M. Klein, nel l. il soggetto si sente privato, oltre che dell’oggetto esterno perduto, anche dei corrispondenti ‘oggetti interni’ rassicuranti, incorporati sin dall’infanzia; e, per converso, minacciato dal prevalere di ‘oggetti interni’ cattivi. Nel ‘lavoro del l.’ (Trauerarbeit) si effettuerebbe (Freud) una disidentificazione rispetto all’oggetto interiorizzato, e un riadattamento alla realtà. Secondo M. Klein, in tale processo si verifica anche un rinnovo di fiducia nei riguardi degli oggetti interni, che perdono a poco a poco la loro supposta pericolosità.

Il l. viene studiato nella dinamica delle situazioni patogene, delle reazioni depressive e di isolamento interiore. A un’esperienza di l. può conseguire una reazione maniacale, euforica, oppure una negazione. Mentre nello studio dell’esperienza depressiva si impone l’analogia con il l., non si può però affatto dire che la reazione depressiva si produca, dopo una situazione di l., come risposta obbligata. Nel depresso la situazione di l. è creata dal soggetto, come perdita immaginaria, complessuale e inconscia.

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