STURZO, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 94 (2019)

STURZO, Luigi

Francesco Malgeri

– Nacque a Caltagirone (Catania), il 26 novembre 1871, da Felice, barone d’Altobrando, e da Caterina Boscarelli, ultimogenito di sei fratelli (Margherita, Mario, Remigia, Rosa ed Emanuela, gemella di Luigi).

La sua famiglia, espressione di piccola nobiltà di campagna, era animata da viva sensibilità religiosa. Abbracciò il sacerdozio suo fratello Mario, nominato nel 1903 vescovo di Piazza Armerina. La sorella Remigia divenne suora nel monastero delle Figlie della carità di s. Vincenzo de’ Paoli a Girgenti.

Luigi nel 1883 entrò nel seminario di Acireale, nel 1886 si trasferì a Noto e nel 1888 a Caltagirone. Influirono sulla sua formazione i vescovi Giovanni Blandini a Noto e Saverio Gerbino a Caltagirone.

Negli anni giovanili manifestò particolare attenzione per gli studi filosofici, la poesia e la musica. I suoi interessi sociali e politici furono influenzati dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII (15 maggio 1891), che Sturzo definì la sua «prima finestra sul mondo» (La mia vocazione politica, in Il Mondo, pubblicato a New York, ottobre 1941, pp. 15-17). La sua attenzione ai problemi sociali fu influenzata anche dal moto dei Fasci siciliani che investì la Sicilia tra il 1893 e il 1894.

Ordinato sacerdote nel 1894, si iscrisse all’Università Gregoriana di Roma, conseguendo la laurea in teologia il 27 luglio 1898. In questi anni entrò in contatto con la vivace realtà cattolica della capitale e, in particolare, con personaggi quali Giuseppe Toniolo e don Romolo Murri.

Fatto ritorno in Sicilia si mise al lavoro nell’organizzazione del movimento cattolico, fondando nel 1897, con il fratello Mario, un giornale, La Croce di Costantino, che visse fino al 1916, come espressione del pensiero democratico-cristiano. Assieme ad alcuni cattolici isolani, quali Vincenzo Mangano, Ignazio Torregrossa, Giuseppe Lo Cascio e altri, diede vita a numerose iniziative, con l’obiettivo di stimolare una coscienza sociale e politica in seno ai cattolici siciliani. Tale impegno lo portò a fondare comitati parrocchiali, casse rurali, cooperative, società di mutuo soccorso. Tuttavia, fu oggetto di aspre critiche e censure anche da parte di cattolici che non condividevano il suo attivismo. Nell’ottobre del 1897 venne denunciato per una riunione tenuta a Militello in violazione delle norme di pubblica sicurezza; nel 1902 venne coinvolto nei tumulti esplosi a Palagonia, allorché sostenne un progetto di compartecipazione dei salariati agricoli alla gestione di un grosso fondo di proprietà di un’opera pia di Palermo.

In questi anni fu intensa anche la sua battaglia a favore delle autonomie locali, contro il centralismo amministrativo, laddove si auspicava il libero sviluppo degli enti naturali intermedi (la famiglia, il comune, la regione).

In un articolo del 1901 Sturzo attaccò una concezione dello Stato che «accentra a sé le attribuzioni dei comuni, crea e scioglie le classi (naturale organismo del lavoro e della proprietà), viola il santuario della religione, si sovrappone al diritto, si sostituisce alle ragioni dei singoli o di altri enti morali, muta la volontà dei testatori, crea le maggioranze fittizie», inquinando la vita pubblica con l’affarismo, la corruzione e l’immoralità (‘La Croce di Costantino’..., a cura di G. De Rosa, 1958, p. 72).

Nel corso del I Convegno dei consiglieri comunali e provinciali cattolici, svoltosi a Caltanissetta dal 5 al 7 novembre 1902, enunciò un programma di rinascita delle autonomie locali, avanzando l’idea di un partito municipalista a ispirazione cristiana.

Eletto sindaco di Caltagirone nel 1905, guidò l’amministrazione comunale per quindici anni, sino al 1920, con la qualifica di prosindaco, in quanto come sacerdote non poteva assumere la carica di sindaco. Sturzo svolse il suo ruolo con una forte intransigenza morale, colpì interessi e speculazioni, acquisendo tra l’altro una notevole competenza sulle norme che regolano la vita amministrativa degli enti locali. Negli stessi anni fu anche consigliere provinciale di Catania. Nel novembre del 1903 entrò a far parte del consiglio direttivo dell’Associazione dei Comuni italiani, di cui assunse, nel 1915, la carica di vicepresidente.

Al Congresso di Bologna dell’Opera dei congressi (10-13 novembre 1903), Sturzo tenne una relazione sul movimento cattolico nel Mezzogiorno, denunciando le tendenze legittimiste e clientelari presenti tra i cattolici meridionali e auspicando l’adesione a un programma di rinnovamento ispirato alle istanze democratico-cristiane. Dopo lo scioglimento dell’Opera dei congressi (1904), non condivise la formula del ‘clerico-moderatismo’, vale a dire la partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche (nel 1904, 1909 e 1913, con il patto Gentiloni) a sostegno di candidature liberali, al fine di scongiurare il successo di forze socialiste e anticlericali.

Nel novembre del 1904, la definì una «politica di eunuchi»; parlò di «prostituzione di un voto che nulla significa per sé, perché non ha programmi, non ha carattere, non ha vita». Una linea politica che – secondo Sturzo – allontanava la formazione di un «partito civile, sociale e politico, che pigli parte alla vita nazionale con proprio programma e proprie idealità» (‘La Croce di Costantino’..., cit., pp. 144-148).

Nel discorso tenuto a Caltagirone il 24 dicembre 1905 sul tema I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani, Sturzo illustrò il progetto di un partito a ispirazione cristiana, lontano da integralismi e confusioni tra politica e religione.

Accettava i risultati delle rivoluzioni nazionali e liberali del XIX secolo, con l’obiettivo di avviare un processo di riforme istituzionali e sociali, alla luce dei problemi emergenti dalla società italiana di quegli anni. I cattolici dovevano riconoscere lealmente lo Stato nazionale nato dal Risorgimento; lasciare al pontefice e allo Stato la soluzione della questione romana, accettare la monarchia sabauda come espressione dell’Unità nazionale, augurandosi che il sovrano potesse assolvere questo compito senza cedere a tentazioni autoritarie o reazionarie. Sciolti questi nodi, Sturzo rivendicava l’esigenza di una chiara scelta democratica (‘La Croce di Costantino’..., cit., pp. 233-260).

Con il discorso di Caltagirone, Sturzo delineò una proposta politica da realizzare attraverso un’intensa preparazione dei cattolici nelle amministrazioni comunali e provinciali, nelle organizzazioni contadine e operaie, nelle cooperative, respingendo le collusioni con altre forze e rifiutando la partecipazione elettorale su basi clericomoderate.

Il progetto di Sturzo incontrò riserve e resistenze. Il suo discorso, pubblicato nel 1906 nella collana della Società cattolica italiana di cultura, diretta da Romolo Murri, non ottenne l’imprimatur da padre Alberto Lepidi, maestro dei sacri palazzi, non tanto per affermazioni erronee, ma perché reputato «inopportuno» (L. Sturzo, Politica di questi anni. Consensi e critiche: dal settembre 1946 all’aprile 1948, Bologna 1954, p. 17).

In seno al movimento cattolico, la sua opera di amministratore locale, di organizzatore e teorico del pensiero sociale cristiano, lo portò a significativi riconoscimenti.

Nel settembre del 1912 venne eletto presidente della Niccolò Tommaseo, l’associazione degli insegnanti cattolici. Nel 1914 entrò a far parte del consiglio direttivo dell’Unione popolare cattolica, l’organizzazione del laicato cattolico, fulcro della nuova Azione cattolica creata da Pio X. Il 15 marzo 1915 venne eletto membro della giunta direttiva dell’Azione cattolica, presieduta da Giuseppe Dalla Torre. Sturzo assunse la carica di segretario, svolgendo una funzione di primo piano nell’organizzazione del laicato cattolico.

In questi anni manifestò anche i suoi orientamenti di fronte a eventi di carattere internazionale. Guardò con favore alla spedizione italiana in Libia, forse imma-ginando che l’impresa desse soluzione al problema dell’emigrazione siciliana. Ai suoi occhi la nuova colonia doveva diventare un centro di smistamento del flusso commerciale che dal Mezzogiorno doveva irradiarsi nel bacino del Mediterraneo, in Africa e in Oriente.

Di fronte alla prima guerra mondiale manifestò il suo favore all’intervento dell’Italia: la guerra – secondo Sturzo – avrebbe favorito una rivoluzione democratica, e consentito alle masse popolari di far sentire il loro peso nella direzione della cosa pubblica, atteggiamento non lontano dalle posizioni dell’interventismo democratico.

Al fondo del suo interventismo troviamo l’idea che la guerra rappresentasse «la grande occasione storica per liquidare in radice il sistema trasformistico giolittiano e per riproporre in tutta la sua pienezza la proposta di una presenza cattolica unificatrice della coscienza nazionale sul terreno civile e politico» (De Rosa, 1977, p. 175).

A partire dal 1916, affrontò un problema che il conflitto stava sollevando in maniera drammatica: l’assistenza agli orfani di guerra. Il 17 marzo 1916 la giunta direttiva dell’Azione cattolica deliberò di costituire un comitato centrale cattolico per l’assistenza degli orfani di guerra, che prese poi il nome di Opera nazionale per l’assistenza civile e religiosa degli orfani dei morti in guerra. Alla presidenza venne chiamato il principe Luigi Boncompagni. Sturzo fu tra i membri più attivi di questo organismo e, attraverso la giunta direttiva dell’Azione cattolica, promosse anche un ufficio centrale di emigrazione con lo scopo di tutelare gli interessi degli emigranti presso i pubblici poteri e gli organismi di emigrazione italiani ed esteri.

Alla fine del conflitto mondiale Sturzo giudicò opportuno stringere i tempi per realizzare il suo progetto politico. In una conferenza, tenuta al Circolo di cultura di Milano il 17 novembre 1918, tracciò un vero e proprio programma di rinnovamento morale del Paese e di riforme sociali e istituzionali. Attaccò la concezione panteista dello Stato sovrano e assoluto, rivendicando le libertà individuali e collettive, la libertà religiosa, la libertà d’insegnamento, le autonomie amministrative e la libera organizzazione delle classi. Riferendosi alla questione romana, affermò che la Chiesa aspettava solo dall’Italia il riconoscimento del diritto della libertà e indipendenza religiosa. Su consiglio del cardinale Andrea Carlo Ferrari, arcivescovo di Milano, Sturzo incontrò, nel novembre del 1918, il segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri, ottenendo la disponibilità della S. Sede per l’abolizione del Non expedit.

Il progetto sturziano trovò la sua realizzazione il 18 gennaio 1919, con la nascita del Partito popolare italiano (PPI). L’appello del nuovo partito era rivolto «a tutti gli uomini liberi e forti», e si caratterizzava per la tensione etica e civile, per l’attenzione ai problemi di quel dopoguerra inquieto, per il richiamo ai valori della pace, della giustizia e della libertà.

Il programma del partito prevedeva riforme politiche, amministrative, istituzionali e sociali, un ampio decentramento amministrativo e un più organico rapporto tra Paese e Parlamento, assieme a incisivi interventi in campo scolastico, agricolo, tributario, burocratico, e via enumerando. In politica estera, si chiedeva il superamento degli egoismi nazionali, la libera determinazione dei popoli, l’abolizione della diplomazia segreta, il riconoscimento della Società delle nazioni come organismo giuridico internazionale, capace di regolare la vita tra gli Stati, la libertà dei mari e il disarmo. Un programma che si richiamava alla nota di Benedetto XV ai capi delle potenze belligeranti del 1° agosto 1917 e ai quattordici punti di Woodrow Wilson.

Caratteristica fondamentale del partito fu la scelta aconfessionale e la distinzione tra momento religioso e impegno politico. La lezione del cattolicesimo liberale dell’Ottocento, il pensiero di Antonio Rosmini e Gioacchino Ventura non erano assenti in questa linea sostenuta da Sturzo, nonostante forti resistenze in campo cattolico.

Al primo Congresso del PPI (Bologna, 14-16 giugno 1919), di fronte alle contestazioni di padre Agostino Gemelli, Sturzo ribadì con fermezza la sua tesi, affermando che non era il caso di «creare un equivoco politico al paese e dare l’impressione che si voglia ripetere qui non una organizzazione perfettamente politica, ma una seconda faccia dell’azione cattolica italiana» (Gli Atti dei Congressi...,1969, p. 63).

Il PPI divenne protagonista nel complesso quadro politico dell’Italia del primo dopoguerra. Partecipò alle elezioni del 1919, del 1921 e del 1924, e ottenne successi che andarono al di là delle più rosee aspettative. Nel 1919, con cento deputati, diventò una forza determinante per la formazione dell’esecutivo.

Sturzo avrebbe preferito un gruppo parlamentare più ristretto, omogeneo, disponibile a presentare o appoggiare singoli progetti di legge, senza un’assunzione diretta di responsabilità governativa. Il PPI si trovò invece arbitro del quadro politico. Tutti i governi che si formarono dal 1919 fino all’avvento del fascismo nel 1922 videro la partecipazione del Partito popolare. Il compito di Sturzo era reso più difficile anche dell’ostilità che la sua figura incontrò in seno alla vecchia classe dirigente liberale, che non gradiva la novità del popolarismo. Giovanni Giolitti mal sopportava questo prete siciliano, che andava da lui a discutere le basi e i programmi di governo. In una lettera a Luigi Ambrosini del 1° gennaio 1923 (Il Messaggero, 26 novembre 1948) lo definì «piccolo prete intrigante». Altrettanto complesso il rapporto con il Partito socialista italiano (PSI), segnato da reciproche diffidenze e riserve.

Negli ultimi mesi del 1921, con l’emergere del fascismo, cominciò la fase di declino del Partito popolare. La borghesia agraria, alla quale Sturzo si era rivolto nel suo progetto di democratizzazione delle campagne, voltò le spalle al PPI, accusato di «bolscevismo bianco», di fare il gioco dei socialisti, e alla strada riformista indicata da Sturzo, e preferì sostenere il fascismo, giudicando non più necessario un partito a ispirazione cristiana, quando era lo stesso capo del fascismo che si dimostrava disposto a tutelare gli interessi della Chiesa. L’abbandono di ambienti cattolici fu un duro colpo per il partito di Sturzo, che assistette alla marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, dalle finestre della casa di Antonio Ruffo principe della Scaletta, vicino a Villa Borghese: quando vide alcuni preti che seguivano i gagliardetti fascisti ne rimase turbato, sino a piangere.

Dopo la marcia su Roma, nonostante il dissenso di Sturzo, il gruppo parlamentare del PPI decise di sostenere il primo ministero Mussolini. Fu una scelta nella quale pesò l’illusione della ‘normalizzazione’. Esponenti della sinistra popolare, quali Guido Miglioli, Francesco Luigi Ferrari, Giuseppe Cappi e altri reagirono con forza. Ma fu soprattutto Sturzo a riaffermare le ragioni politiche del popolarismo. Al congresso di Torino del 12-13 aprile 1923 il segretario del PPI tenne uno tra i più importanti discorsi della sua lunga militanza politica. Attaccò i cattolici che gli avevano voltato le spalle (che desideravano, come disse, «un buon partito clericale, ricco di adattamenti localistici amministrativi ed elettorali, senza responsabilità diretta di governo né aspirazioni audaci»), ma anche chi auspicava un partito che tenesse in freno le masse operaie con il concorso della forza, che facesse da puntello per gli utili servizi a quel partito dominante, che si compiacesse di tenere un certo equilibrio tra politica e religione.

Secondo Sturzo era principalmente la diversa concezione dello Stato che determinava l’impossibilità di un’intesa tra fascismo e popolarismo. Affermò: «Per noi lo Stato non è il primo etico, non crea l’etica: la traduce in legge e le dà forza sociale. Per noi lo Stato non è la libertà, non è al di sopra della libertà; la riconosce e ne coordina e limita l’uso, perché non degeneri in licenza. Per noi lo stato non è religione: la rispetta, ne tutela l’uso dei diritti esterni e pubblici. Per noi la nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei singoli: è il complesso storico di un popolo uno, che agisce nella solidarietà della sua attività, e che sviluppa le sue energie negli organismi nei quali ogni nazione civile è ordinata. [...] Tutto ciò è nostra convinzione e diviene atto politico, che crea il partito con tutte le sue interferenze e che ci obbliga a non lasciare il nostro posto di combattimento» (Gli Atti dei Congressi..., 1969, pp. 403 s.).

Questo discorso disincagliò il Partito popolare dalla collaborazione al governo. Il 17 aprile 1923 Benito Mussolini estromise i popolari dalla compagine governativa: il ministro del Lavoro Stefano Cavazzoni e i sottosegretari Giovanni Gronchi, Umberto Merlin, Fulvio Milani ed Ernesto Vassallo.

La posizione di Sturzo trovò ampio consenso presso ambienti e figure dell’antifascismo italiano, tra i quali Piero Gobetti, che ammirava in Sturzo il «prete aperto e acuto», che «agita la bandiera del riformismo messianicamente, e fa partecipare il popolo al processo della laicità, valendosi delle illusioni di cui è ricco per natura un programma religioso» (Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino 1960, p. 978). Sturzo pubblicò tre opere presso la casa editrice di Gobetti: Popolarismo e fascismo (1924), Pensiero antifascista (1925) e La libertà in Italia (1925).

Durante e dopo il congresso di Torino, Sturzo fu attaccato duramente dalla stampa di regime: Il Popolo d’Italia lo definì prete «sinistro», «uomo infausto che vuol mettere le forze rurali cattoliche come un macigno sulla via imperiale assegnata all’Italia» (G. Polverelli, Il discorso di un nemico, in Il Popolo d’Italia, 12 aprile 1923). L’organo filofascista Il Nuovo Paese, il 14 aprile 1923 definì il congresso di Torino «il primo congresso antifascista nel quale l’antifascismo sia stato rumorosamente ostentato».

Mussolini, che si era guadagnato un cauto consenso presso ambienti cattolici – assicurando la difesa dei seminari, l’insegnamento religioso, la riforma Gentile che introduceva l’esame di Stato e il crocifisso nelle scuole – chiese la testa di Sturzo, minacciando una campagna anticlericale con l’occupazione delle parrocchie romane. Dal Vaticano, sia pure indirettamente, arrivò a Sturzo l’invito a dimettersi da segretario politico del partito. Il 5 luglio 1923 il cardinale Gasparri scrisse a Mario Sturzo, pregandolo di comunicare al fratello che avrebbe fatto «cosa al Santo Padre gradita [...] ritirandosi senza ulteriore dilazione da segretario politico del partito popolare» (Caronia, 1979, p. 316).

Sturzo cercò di resistere. Il 7 luglio 1923 scrisse una lettera a Pio XI, nella quale sottolineò gli effetti negativi di una sua rinuncia, accreditando l’opinione che il Vaticano, intervenendo negli affari politici italiani e scompaginando il Partito popolare, limitava la libertà politica dei cattolici. Secondo Sturzo, «in un periodo nel quale ogni ausilio umano ed aiuto economico sono mancati, quando sono state sciolte centinaia e centinaia di amministrazioni pubbliche popolari, quando le leghe sindacali sono state sciolte o rese impotenti o costrette a passare al fascismo; e circoli e cooperative devastate, e persone innumerevoli o messe al bando o bastonate e martoriate, e persino uccise; la possibilità di una difesa politica della libertà e delle leggi umane e civili ha tenuto i nostri uomini e il nostro organismo ancora in piedi, e il mio povero nome è servito a creare fiducia e forza al partito, anche presso popolazioni che vivono nel regime del terrore» (ibid., pp. 316 s.).

La lettera di Sturzo al papa non modificò gli orientamenti della S. Sede. Il 10 luglio Sturzo si dimise da segretario politico del partito, «per non lasciare che l’offensiva contro la Chiesa [...] dalle insidie e dalle minacce andasse più oltre» (De Rosa, 1966, p. 404). La guida del PPI venne affidata al triumvirato Rodinò-Gronchi-Spataro. Successivamente, nel maggio del 1924, fu Alcide De Gasperi ad assumere la carica di segretario politico.

Dopo le elezioni del 1924, il delitto Matteotti (10 giugno 1924) e l’adesione dei popolari alla secessione dell’Aventino, si ebbe un nuovo intervento vaticano: il 16 settembre il cardinale Gasparri pregò ancora Mario Sturzo di informare il fratello che il pontefice lo invitava ad abbandonare la collaborazione al Popolo, a uscire dal partito e ad allontanarsi da Roma (Caronia, 1979, p. 324).

Venuto a conoscenza della «pontificia volontà», Sturzo decise di lasciare l’Italia. Per evitare di chiedere il passaporto alle autorità fasciste, si rivolse in Vaticano, tramite l’avvocato Filippo Del Giudice, ottenendo un passaporto diplomatico della S. Sede. Il 25 ottobre 1924 lasciò Roma, accompagnato da Angelo Belloni di Adria. Dopo una breve sosta a Torino, ripartì per Londra, ove giunse il 27 ottobre. Cominciava un lungo esilio, destinato a durare ventidue anni.

A Londra, Sturzo andò a vivere presso il convento di Santa Maria degli Angeli a Bayswater, ospite degli oblati di San Carlo. Nel gennaio del 1925, si trasferì presso i padri serviti in Fulham Road. Qui la permanenza durò cinque anni e mezzo, finché i padri serviti «un bel giorno gli fecero capire che doveva andarsene», avendo Mussolini «minacciato a Roma i Serviti di non assegnare loro il beneficio di certe case della Chiesa di san Marcello, se i loro confratelli londinesi avessero continuato ad ospitare Sturzo» (De Rosa, 1982, p. 100). Nell’agosto del 1932 si trasferì al n. 173 di Gloucester Terrace e verso la fine del 1933 al n. 32 di Chepstow Villas.

Finché gli fu possibile, mantenne rapporti epistolari con i suoi amici italiani: con De Gasperi, Ruffo della Scaletta, Igino Giordani, Giuseppe Spataro, Mario Scelba e altri. In esilio mantenne i contatti con altri fuorusciti popolari come Giuseppe Donati, Francesco Luigi Ferrari e Giuseppe Stragliati e con il corrispondente da Parigi del Corriere d’Italia Domenico Russo. Durante alcuni viaggi a Parigi nel corso del 1925, fu tra i promotori, assieme a esponenti cattolici tedeschi, belgi, francesi, polacchi e italiani, del Secrétariat international des partis ou organisations politiques democratiques d’inspiration chrétienne.

A Londra si avvalse della collaborazione di Barbara Barclay Carter, che tradusse in inglese le opere di Sturzo e collaborò con lui nel dare impulso a un movimento di ispirazione cristiana denominato People and freedom, che pubblicava anche un periodico con lo stesso titolo. Altra collaboratrice fu Bertha Pritchard, un’ebrea russa sposata con un tedesco.

Negli anni dell’esilio Sturzo entrò in rapporto di amicizia e collaborazione con i maggiori esponenti del fuoruscitismo antifascista, tra i quali Gaetano Salvemini, Carlo Sforza, i fratelli Rosselli, Lionello Venturi, Francesco Fausto Nitti, Mario Einaudi e altri. A Londra occupò il suo tempo studiando e scrivendo. L’impegno dedicato agli studi storici e sociologici non gli impedì di continuare le sue battaglie politiche.

Scrisse sui giornali di mezza Europa, quali Westminster Gazette, L’Echo de Paris, El Mati, The World, Jeune République, Aube, La Libre belgique, La Vie intellectuelle. Frequenti furono anche le interviste rilasciate ai più importanti quotidiani quali The Times, Manchester Guardian, Catholic Herald. Non vi fu avvenimento di politica internazionale, nei difficili e tormentati quindici anni dal 1925 al 1940, che non trovi in Sturzo un osservatore attento. Sono gli anni in cui l’Europa vive il suo travaglio e la sua crisi più profonda ed è attraversata da problemi quali l’avvento del nazismo in Germania, la questione austriaca, la guerra d’Etiopia, la guerra civile spagnola, il Patto d’acciaio e la seconda guerra mondiale.

Dopo l’intervento in guerra dell’Italia, la vita nella capitale britannica divenne difficile per Sturzo. L’intenzione di lasciare Londra per trasferirsi negli Stati Uniti maturò nell’estate del 1940 e, sulla sua decisione, influirono i disagi provocati dai bombardamenti tedeschi e l’atteggiamento assunto dal governo inglese, che considerò tutti i cittadini italiani residenti nel Regno Unito «nemici e sospettati come spie».

Il 22 settembre 1940, in compagnia di Michele Sicca, suo medico personale, si imbarcò a Liverpool sul piroscafo Samaria. Dopo undici giorni, il 3 ottobre, sbarcò a New York trovando ospitalità presso i Bagnara, una famiglia di emigrati siciliani di Caltagirone, che abitavano al n. 1776 della 72ª strada di Brooklyn.

Nel dicembre del 1940 si trasferì al Saint Vincent’s Hospital di Jacksonville, in Florida, grazie all’interessamento dell’arcivescovo di Baltimora monsignor Joseph Curley. Nonostante temesse di dover subire una sorta di esilio nell’esilio, rimase a Jacksonville per oltre tre anni, fino all’aprile del 1944, allorché fece ritorno a New York.

Negli anni americani Sturzo collaborò con gli uomini e gli organismi dell’antifascismo, in particolare con la Mazzini Society, guidata da Max Ascoli, e con personaggi come Giorgio La Piana, professore presso la Harvard University, Mario Einaudi, Giuseppe Lupis, Salvemini, Sforza, Alberto Cianca, Alberto Tarchiani, Arturo e Walter Toscanini e altri. «Un vero raggio di sole in questi mesi di tenebre», definì Salvemini l’arrivo di Sturzo negli Stati Uniti (Scritti inediti, a cura di F. Malgeri, Roma 1976, III, p. 5). Con questi uomini Sturzo avviò un confronto e un dibattito intenso, a volte polemico, ma ricco di una profonda passione civile. Anche negli Stati Uniti cercò di stimolare la formazione di movimenti a ispirazione cristiana. Nel 1941 istituì a New York la sezione americana del gruppo People and freedom.

Numerose le sue opere scritte negli anni dell’esilio: Italy and fascism (London 1926), The international community and the right of war (London 1929), Il ciclo della creazione (Paris 1932), Essai de sociologie (Paris 1935), L’Église et l’État (Paris 1937), Politics and morality (London 1938), The true life. Sociologie of the supernatural (Washington 1943), L’Italia e il nuovo ordine internazionale (Roma 1944), Nationalism and internationalism (New York 1946).

Riprese i rapporti con l’Italia a partire dal 1943, cercando di dare ai suoi amici italiani consigli e di offrire indicazioni nella costruzione del nuovo partito dei cattolici. Il suo ruolo è legato anche allo sforzo di evitare all’Italia pesanti condizioni di pace. Frequenti i suoi contatti con il Dipartimento di Stato, nel tentativo di dissociare il popolo italiano dalle responsabilità della politica fascista e della guerra. Sono centinaia gli articoli da lui pubblicati su quotidiani e periodici come The Commonweal, Il Mondo (New York), organo della Mazzini Society, Nazioni Unite diretto da Lupis. Frequenti le lettere indirizzate ai più importanti quotidiani americani, a cominciare dal New York Times, per spiegare la realtà economica, politica e sociale italiana, e sollecitare un atteggiamento equanime delle potenze vincitrici nei confronti dell’Italia. Quando venne reso noto il trattato che imponeva all’Italia la perdita di Trieste, Pola, Tenda, Briga e delle colonie, giudicò queste clausole animate da «spirito vendicativo», ingiuste e da non firmare.

Alla fine della guerra, la sua chiara posizione a favore della Repubblica in vista del referendum istituzionale preoccupò i vertici della S. Sede. Nell’ottobre del 1945 il nunzio apostolico negli Stati Uniti, monsignor Amleto Cicognani, lo invitò a rinviare il suo ritorno in Italia. Dovette attendere il 27 agosto 1946 per imbarcarsi a bordo del Vulcania. Giunse a Napoli il 6 settembre e andò a vivere presso il convento delle suore canossiane, in via Mondovì 11, a Roma.

Sino al 1959, anno della sua morte, Sturzo non mancò di far sentire la sua presenza nella vita pubblica italiana. Contribuì anche, grazie alla sua amicizia con giuristi come Gaspare Ambrosini, alla stesura della Costituzione repubblicana e dello Statuto regionale siciliano.

In questi anni manifestò un deciso atteggiamento anticomunista, giudicando la vita politica italiana viziata da una sorta di marxismo strisciante, con il rischio di favorire l’avvento di un regime collettivista e totalitario. Prese posizione contro l’eccessiva ingerenza dello Stato nella vita economica del Paese, contro l’intromissione dei partiti che invadevano il campo delle istituzioni, contro l’emergere di una scarsa attenzione morale nella gestione della vita pubblica.

Di fronte ai grandi enti pubblici che operavano nella vita economica nazionale (in particolare l’Istituto per la ricostruzione industriale, IRI, e l’Ente nazionale idrocarburi, ENI) ribadì la sua visione di uno Stato che doveva avere il compito di ordine e di difesa, di tutelare e di coordinare l’esigenza dei vari organismi economici, finanziari e produttivi, senza divenirne parte attiva. Riprese a scrivere sui grandi quotidiani italiani come Il Giornale d’Italia, Il Messaggero, La Stampa, Il Popolo, L’Italia, e a collaborare con riviste e periodici di diversa natura e ispirazione, disposti ad accogliere i suoi moniti e le sue idee.

La sua azione in difesa di un sano metodo di vita democratica, i suoi richiami per una corretta prassi istituzionale da parte degli organi dello Stato, i suoi timori per la moralità pubblica, le sue polemiche dure e insistenti non furono gradite anche in seno alla Democrazia cristiana (DC), che le visse con fastidio.

In occasione delle elezioni amministrative romane del 1952, venne invitato, su pressioni del Vaticano, a legare il suo nome a una «operazione» – non gradita alla Democrazia cristiana e ai partiti di governo – mirante a realizzare una lista con la presenza anche della destra neofascista e monarchica. Tenne in questa occasione un atteggiamento di scrupoloso equilibrio, evidenziando l’impraticabilità dell’operazione e riuscendo a sottrarsi a un delicato coinvolgimento politico.

Grazie al suo prestigio, il 17 settembre 1952, il presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo nominò senatore a vita.

Partecipò attivamente ai lavori del Senato, con alcuni interventi che dettero tono e vigore al dibattito parlamentare, suscitando consensi e polemiche. Il 10 settembre 1958 presentò un disegno di legge, recante «Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche e amministrative», che prevedeva il finanziamento pubblico ai partiti.

La mattina del 23 luglio 1959, mentre recitava la messa, venne colpito da collasso cardiaco. Morì a Roma, nel pomeriggio dell’8 agosto successivo.

Le sue spoglie vennero deposte nella cripta di San Lorenzo al Verano. Il 3 giugno 1962 la sua salma fu definitivamente tumulata nella chiesa del Ss. Salvatore in Caltagirone.

Opere. Tutte le opere e gran parte degli articoli di Sturzo sono stati pubblicati dall’editore Zanichelli di Bologna nell’Opera omnia, successivamente riprodotta (in ed. anast.) dalle Edizioni di Storia e letteratura di Roma. Si vedano, inoltre: La mia battaglia da New York, Milano 1949; I discorsi politici, Roma 1951; ‘La Croce di Costantino’. Primi scritti politici e pagine inedite sull’Azione cattolica e sulle autonomie comunali, a cura di G. De Rosa, Roma 1958; Scritti inediti, I (1890-1924), a cura di F. Piva, Roma 1974, II (1924-1940), a cura di F. Rizzi, 1975, III (1940-1946), a cura di F. Malgeri, 1976; Discorsi parlamentari (pubbl. dal Senato della Repubblica), Roma 1992. Di particolare interesse numerosi carteggi, tra i quali: L. Sturzo - M. Sturzo, Carteggio, a cura di G. De Rosa, I-IV, Roma 1985; L. Sturzo - I. Giordani, Giordani - Sturzo: un ponte fra due generazioni. Carteggio, a cura di P. Piccoli, Milano-Bari 1986; L. Sturzo - M. Scelba, Carteggio (1923-1956), a cura di G. Fanello Marcucci, Roma 1994; Lettere non spedite, a cura di G. De Rosa, Bologna 1996; L. Sturzo - M. Einaudi, Corrispondenza americana (1940-1944), a cura di C. Malandrino, Firenze 1998; Luigi Sturzo a Londra: carteggi e documenti (1925-1946), a cura di G. Farrell-Vinay, Soveria Mannelli 2003; Luigi Sturzo e gli intellettuali cattolici francesi. Carteggi (1925-1945), a cura di E. Goichot, Soveria Mannelli 2003; Luigi Sturzo e i Rosselli tra Londra, Parigi e New York. Carteggio (1929-1945), a cura di G. Grasso, Soveria Mannelli 2003; L. Sturzo - A. De Gasperi, Carteggio (1920-1953), a cura di F. Malgeri, Soveria Mannelli 2007; L. Sturzo - G. Salvemini, Carteggio (1925-1957), a cura di G. Grasso, Soveria Mannelli 2009; Luigi Sturzo e gli amici spagnoli. Carteggi (1924-1951), a cura di A. Botti, Soveria Mannelli 2012.

Fonti e Bibl.: L’archivio personale di Sturzo è conservato presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma, nel fondo Sturzo. Documentazione su Sturzo è rintracciabile anche presso l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio segreto Vaticano e l’Archivio storico dell’Azione cattolica.

Tra le biografie: F. Piva - F. Malgeri, Vita di L. S., Roma 1972; G. De Rosa, S., Torino 1977; F. Malgeri, L. S., Cinisello Balsamo 1993; G. Fanello Marcucci, L. S.: vita e battaglie per la libertà del fondatore del Partito popolare italiano, Milano 2004. Di particolare interesse le conversazioni contenute in G. De Rosa, S. mi disse, Brescia 1982. Per un ampio e articolato panorama della figura politica, culturale e religiosa: Lessico sturziano, a cura di A. Parisi - M. Cappellano, Soveria Mannelli 2013. Numerosi i convegni dedicati alla figura e al pensiero di Sturzo; in particolare si vedano almeno: L. S. nella storia d’Italia, Atti del Convegno internazionale di studi, Palermo-Caltagirone... 1971, a cura di G. De Rosa, Roma 1973; il volume miscellaneo L. S. e la democrazia europea, a cura di G. De Rosa, Roma-Bari 1990; Universalità e cultura nel pensiero di L. S. Atti del Convegno internazionale di studio, Roma... 1999, Soveria Mannelli 2001. Per il periodo giovanile sino alla prima guerra mondiale: G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, I, Dalla Restaurazione all’età giolittiana, Roma-Bari 1966, ad ind.; F. Renda, Socialisti e cattolici in Sicilia (1900-1904), Caltanissetta 1972, ad ind.; M. Pennisi, Fede e impegno politico in L. S., Roma 1982; L. S. e la ‘Rerum novarum’, a cura di C. Argiolas, Roma 1991; U. Chiaramonte, Il municipalismo di L. S. pro-sindaco di Caltagirone (1899-1920), Brescia 1992; Id., L. S.: consigliere provinciale di Catania, Caltanissetta-Roma 2007. Per il primo dopoguerra e la vicenda del Partito popolare: S. Jacini, Storia del PPI, Milano 1951, passim; E. Pratt-Howard, Il Partito popolare italiano, Firenze 1957, passim; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, II, Il Partito popolare italiano, Bari 1966, ad ind.; Gli Atti dei congressi del Partito popolare italiano, a cura di F. Malgeri, Brescia 1969, ad ind.; Con animo liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, a cura di B. Gariglio, Milano 1977, ad ind.; G. Caronia, Con S. e con De Gasperi, Roma 1979, passim; N. Antonetti, S., i popolari e le riforme istituzionali del primo dopoguerra, Brescia 1988; G. Grasso, I cattolici e l’Aventino, Roma 1994, ad ind.; A. Guasco, Cattolici e fascisti. La Santa Sede e la politica italiana all’alba del regime (1919-1925), Bologna 2013, ad ind.; M. Casella, Azione cattolica e Partito popolare italiano, Galatina 2014, ad ind.; L. Giorgi, Liberi e forti. L’antifascismo del Partito popolare italiano, Marzabotto 2017, ad indicem. Per gli anni dell’esilio: I cattolici italiani e la guerra di Spagna, a cura di G. Campanini, Brescia 1987, ad ind.; A. Baldini - P. Palma, Gli antifascisti italiani in America, Firenze 1990, ad ind.; G. La Bella, L. S. e l’esilio negli Stati Uniti, Brescia 1990; G. Fanello Marcucci, Sorvegliato speciale. S. a Londra nel mirino dell’Ovra, Soveria Mannelli 2006. Per gli anni successivi al ritorno in Italia: G. Ignesti, L. S.: rappresentanza politica e Parlamento nel secondo dopoguerra, in Sociologia, 1986, nn. 2-3, pp. 179-200; S. Zoppi, Il Mezzogiorno di De Gasperi e S. (1944-1959), Soveria Mannelli 1998, ad ind.; Ambrosini e S. La nascita delle regioni, a cura di N. Antonetti - U. De Siervo, Bologna 1998; A. D’Angelo, De Gasperi, le destre e l’‘operazione Sturzo’, Roma 2002; N. Antonetti, L. S. e la Costituzione repubblicana, Soveria Mannelli 2017. Sul pensiero politico filosofico e sociologico: M. Vaussard, Il pensiero politico e sociale di L. S., Brescia 1961; C. Vasale, Democrazia e pluralismo nella sociologia storicista di L. S., Roma 1975; G. Campanini - N. Antonetti, L. S. Il pensiero politico, Roma 1979; G. Morra, Il pensiero sociologico di L. S., Roma 1979; A. Di Lascia, Filosofia e storia in L. S., Roma 1982; M. D’Addio, Democrazia e partiti in L. S., Lungro di Cosenza 2009; E. Guccione, L. S., Palermo 2010. Sulla spiritualità: P. Stella, L. S. sacerdote, Napoli 1996; S. Millesoli, Don S.: la carità politica, Cinisello Balsamo 2002.

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Francesco luigi ferrari