LINGUISTICA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

LINGUISTICA (XXI, p. 207; App. II, ii, p. 210)

Aldo G. Gargani
Alberto M. Mioni
Luigi Rosiello
Paolo Ramat

Filosofia. - Nel Novecento il linguaggio è divenuto un tema centrale della ricerca filosofica, in concomitanza con la prevalente funzione logico-critica e analitica accordata al discorso filosofico da parte delle scuole e delle correnti del Circolo di Vienna, del neo-positivismo logico, delle metodologie di tipo empirico-analitico e dell'analisi del linguaggio. A queste tendenze, nonostante la diversità degli scopi e delle tecniche procedurali, è comune l'assunzione che i problemi filosofici debbano essere sottoposti a un'analisi destinata a controllare le condizioni sintattiche e semantiche che sanciscono la legittimità e la significanza degli enunciati. In questa direzione militano le dottrine dell'atomismo logico di B. Russell e soprattutto di L. Wittgenstein, che nel Tractatus logico-philosophicus (1921) ascrive uno statuto di significanza esclusivamente agli enunciati che raffigurano fatti, cioè alle proposizioni della scienza naturale, accordando alla filosofia la funzione di chiarificare la sintassi logica del linguaggio, dal fraintendimento della quale hanno tratto origine i problemi e le asserzioni della filosofia tradizionale. Richiamandosi alle tesi wittgensteiniane, il Circolo di Vienna e le correnti del neo-positivismo codificarono il criterio di decisione degli enunciati nel noto principio di verificazione, secondo il quale un asserto è significante se, e solo se, è verificabile, e il suo significato consiste nel metodo della sua verificazione. Le difficoltà connesse alla riduzione del significato a una procedura di verifica organizzata in riferimento a esperienze non intersoggettivamente controllabili ebbero peraltro l'effetto di spostare il reperimento del criterio di significanza delle espressioni linguistiche dall'ambito dell'esperienza a quello di una ricerca logico-formale delle regole sintattiche che disciplinano l'impiego degli elementi linguistici entro un sistema notazionale. In questo senso R. Carnap, nella Sintassi logica del linguaggio (1934), denunciando al tempo stesso le insuffificienze e l'assenza di rigore del linguaggio comune, elaborava una teoria formale delle forme linguistiche di un sistema simbolico codificando le regole di formazione e di trasformazione delle strutture linguistiche, cioè le definizioni di enunciato e di conseguenza entro il sistema dato, senza fare riferimento al significato dei simboli, né al senso delle espressioni. Secondo la tesi di Carnap, seguito in ciò tra gli altri da H. Reichenbach e da W. v. O. Quine, la sintassi logica è lo strumento teorico per analizzare le proprietà formali e calcolabili del linguaggio comune. Gli enunciati filosofici ammissibili sono di carattere sintattico e concernono la struttura formale dei linguaggi scientifici, rimpiazzando le asserzioni assurde o incontrollate della filosofia tradizionale con una disciplina rigorosamente scientifica. Nel corso degli anni Trenta, in connessione a un ampio processo di revisione critica dei criteri di significanza espressi dall'atomismo logico e dal neo-positivismo, le teorie filosofiche dell'ultimo periodo di L. Wittgenstein costituirono una svolta fondamentale nell'indagine dei fenomeni linguistici, promuovendo quel complesso di metodologie informali e di tecniche procedurali destinate alla delucidazione dell'uso ordinario che prende complessivamente il nome di analisi del linguaggio.

Formatasi originariamente in Inghilterra, a Cambridge e a Oxford, questa corrente della filosofia del linguaggio si è andata diffondendo in tutta la cultura filosofica di lingua inglese (Stati Uniti, Canada, Australia). La premessa teorica fondamentale della filosofia del linguaggio dell'ultimo Wittgenstein è la riduzione del significato delle espressioni al loro uso ordinario nelle circostanze caratteristiche del loro impiego nella vita quotidiana. Wittgenstein e la scuola dell'analisi del linguaggio hanno così messo in discussione lo schema tradizionale che da Aristotele sino alle filosofie del sec. 19° aveva caratterizzato le interpretazioni dei fenomeni linguistici, assumendo-questi ultimi entro il modello "oggetto-designazione", ossia quali espressioni di oggetti, fatti e processi. Revocando lo statuto privilegiato fino allora accordato al linguaggio descrittivo, l'analisi del linguaggio si è sottratta a qualsiasi tentativo di disciplinare le proprie ricerche sotto regole e assunzioni metodiche rigide e vincolanti, riconoscendo a ogni categoria d'uso del linguaggio una sua propria logica, cioè regole e convenzioni che devono essere reperite caso per caso, senza essere ridotte aprioristicamente sotto qualche schema interpretativo unitario e invariante. Imputando alle forme della vita umana quotidiana le matrici di significanza delle espressioni linguistiche, l'analisi del linguaggio ha respinto il programma proprio dell'atomismo logico, del logicismo e del neopositivismo, di codificare le regole di formazione e di trasformazione delle espressioni linguistiche entro l'apparato di un sistema formale.

Bibl.: L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Londra 1922 (trad. it., Torino 1968); R. Carnap, Logische Syntax der Sprache, Vienna 1934 (trad. it., Milano 1961); Ch. W. Morris, Signs, language and behaviour, New York 1946 (trad. it., Milano 1949); G. Ryle, The concept of mind, Londra 1949 (trad. it., Torino 1955); F. Barone, Il neo-positivismo logico, Torino 1953; W. v. O. Quine, From a logical point of view, Cambrige (Mass.), 1953 (trad. it., Torino 1967); A. G. Gargani, Linguaggio ed esperienza in L. Wittgenstein, Firenze 1966; T. De Mauro, Introduzione alla semantica, Bari 19702; A. G. Gargani, L'analisi del linguaggio, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, IV, 2 (1974); N. Chomsky, Reflections on language, Londra 1976.

Linguistica contrastiva. - La constatata diversità tra le lingue e il confronto tra di esse sta alla base di gran parte delle scoperte (teoriche e descrittive) in linguistica. Questo confronto può però essere utilizzato ai fini più diversi: scoprire rapporti di parentela tra lingue (l. storico-comparativa) oppure postulare principi generali di organizzazione delle lingue, universali o propri di certi "tipi" di lingue (tipologia linguistica). La l. contrastiva, più vicina come oggetto d'indagine alla tipologia che alla comparatistica, è lo studio delle similarità e delle differenze tra lingue al fine di facilitare l'apprendimento di una L2 (seconda lingua) ai parlanti di una data L1 (prima lingua = madrelingua). La l. contrastiva, o l. differenziale, nasce nel 1953 ad opera dello strutturalista americano U. Weinreich: mettere a contrasto due (o più) lingue a un dato livello di analisi permette - secondo Weinreich - di constatare quali categorie siano presenti in una lingua e assenti nell'altra, o come queste categorie siano diversamente realizzate.

Per es., in fonologia, data L1 = italiano e L2 = francese, si riscontra che L2 ha cinque fonemi vocalici orali (y, ø, œ, Ä, α) e quattro nasali in più, che dovranno perciò essere appresi ex-novo. Viceversa, il parlante francese non dovrebbe imparare alcun fonema nuovo, ma solo piccole differenze di realizzazione. A livello morfo-sintattico, con L1 = italiano e L2 = inglese, la distinzione presente nel verbo di L2 tra aspetto progressivo e non progressivo (I am going rispetto a I go) è una novità rispetto a L1 che normalmente usa l'unica forma vado, sostituibile solo in certi contesti con sto andando. Similmente nel lessico: nel caso di L1 = russo e L2 = italiano, il parlante russo dovrà imparare la distinzione tra braccio e mano, a cui corrisponde in russo l'unico lessema ruká. Nell'apprendimento di una L2 gli errori veri e propri (dovuti a cattiva comprensione di una data regola, a incertezze, a stanchezza del parlante, ecc.) devono essere distinti dai fatti di "interferenza", cioè di applicazione di regole o parti di regola di L1 a L2; questi ultimi sono di quattro tipi: (1) ipodifferenziazione (o neutralizzazione di distinzioni), se si trascura una distinzione presente in L2 e assente in L1; (2) iperdifferenziazione, quando si applicano a L2 distinzioni presenti solo in L1; (3) reinterpretazione di distinzioni: categorie di L2 distinte fra loro secondo i tratti distintivi operanti in L1; (4) sostituzione di realizzazioni (quelle di L1 invece che di L2) nel caso di categorie comuni a L1 e L2 . Nell'insegnamento linguistico ci si dovrà concentrare piuttosto su quei fatti che possono provocare interferenze del tipo (1), che riguardano maggiormente la grammaticalità di un enunciato e solo in un secondo momento sugli altri, attinenti piuttosto a fatti di accettabilità. Ne consegue che il miglior modo per insegnare una L2 è impostare lo studio partendo dalla L1 del discente.

Il metodo della l. contrastiva era nato nell'ambito dello strutturalismo, in cui i vari livelli di lingua erano tenuti l'uno "autonomo" dall'altro. È però possibile un'applicazione del metodo della l. contrastiva anche alla concezione "sistematica" della lingua propria della grammatica generativo-trasformazionale, in cui l'intera descrizione - non più divisa nei livelli tradizionali - è subordinata a un unico principio organizzatore (sintattico o semantico).

La messa a punto di grammatiche multilingui (come quella di C. Schwarze per italiano e tedesco), in cui la descrizione non è più quella ottimale per ciascuna delle due lingue, bensì solo per l'intero complesso, ha significato più per la tipologia linguistica che per la glottodidattica. In quest'ultimo settore sarebbe importante, invece che la comparazione di sistemi linguistici interi, l'esplicitazione di un modello - psicologicamente assai più plausibile - di "competenza interlinguistica", cioè di quell'insieme di regole (variabili) di equivalenza o di conversione da una L1 a una L2, che il parlante ha interiorizzato e applica costantemente, imparando però un po' alla volta le debite eccezioni. Così, data L1 = italiano e L2 = spagnolo, il parlante applica una regola di degeminazione e una di sonorizzazione, per cui sa fare da it. passato = sp. pasado. Le corrispondenze it. = sp. lago, it. equatoriale = sp. ecuatorial costituiranno parte della lista delle eccezioni (forme con "lenizione" settentrionale in it.; parole dotte in sp.). L'applicazione in l. contrastiva della grammatica generativo-trasformazionale risulta, in definitiva, più complementare che alternativa a quella dello strutturalismo classico: le differenze "superficiali" (e quindi l'autonomia dei livelli) risultano in glottodidattica ben più importanti di quelle tra processi "profondi".

Bibl.: U. Weinreich, Languages in contact, New York 1953 (trad. it. a cura di G. R. Cardona, Torino 1974); J. H. Hammer, F. A. Rice, A bibliography of contrastive linguistics, Washington 1965; Papers in contrastive linguistics, a cura di G. Nickel, Cambridge 1971; C. Schwarze, Problemi empirici di grammatica comparativa, in Studi italiani di linguistica teorica e applicata, III (1974), pp. 219-37. Per un'applicazione alla fonologia con L1 = italiano e una decina di L2 differenti: A. M. Mioni, Fonematica contrastiva, Bologna 1973. Tutta dedicata ad analisi contrastive è la Contrastive structure series dell'università di Chicago.

Linguistica quantitativa. - La l. quantitativa è un metodo d'analisi dei fatti linguistici che alcuni identificano senza residui con la l. matematica (G. Herdan, A. Martinet), altri intendono come un aspetto della l. matematica (S. Marcus, E. Nicolau, S. Stati), altri ancora, dopo gli sviluppi della teoria delle grammatiche generative (Z. S. Harris, N. A. Chomsky, S. K. Saumjan), oppongono alla l. matematica propriamente detta, facendo rientrare la prima nel metodo induttivo tassonomico e definendo la seconda come l'utilizzazione di costruzioni teoriche deduttive al fine di spiegare le strutture formali delle lingue naturali. Secondo quest'ultima accezione, la l. quantitativa si applica a un corpus di dati empirici, a un testo per scoprire le leggi di ricorrenza e di probabilità delle singole unità linguistiche (fonemi, parole, sintagmi, ecc.) a cui vengono assegnati dei valori numerici che caratterizzano un determinato sistema (sul piano paradigmatico) o determinati usi del sistema stesso (sul piano sintagmatico).

L'analisi quantitativa dei dati linguistici nasce e si sviluppa sulla base delle ricerche nel campo della tecnologia delle comunicazioni, ma risponde a esigenze già implicite nel metodo strutturale (F. de Saussure, N. Trubetzkoy). Secondo Herdan infatti la l. quantitativa o statistica altro non è che la versione quantificata della teoria strutturale del linguaggio di F. de Saussure; secondo tale versione infatti il rapporto esistente tra la langue e la parole è da intendersi in termini statistici come un rapporto tra una popolazione (langue) e un campione (parole), e il termine langage viene assunto come l'insieme degli engrammi linguistici (fonemi, engrammi di parole) più le loro rispettive probabilità di ricorrenza.

Ogni sistema linguistico obbedisce a un principio di economia secondo il quale un numero limitato (poche decine) di fonemi può essere variamente combinato in successione per dar luogo, sul piano della significazione, a un numero molto più elevato di segni linguistici (morfemi, lessemi, parole) i quali, a loro volta, variamente combinati nella linearità della catena parlata possono dar luogo a un numero teoricamente infinito di enunciati (frasi, proposizioni, periodi). Questo principio di economia, descritto in termini intuitivi, può essere formulato nei termini quantitativi di frequenza, probabilità e costo. I rapporti che si stabiliscono tra queste variabili, rappresentate dal numero delle unità tra le quali il parlante sceglie le più adeguate al suo enunciato, la loro probabilità, calcolata in base alla frequenza, e il loro costo, vale a dire il dispendio di energia che esse comportano, definiscono la quantità d'informazione di cui ciascuna unità è dotata in una determinata situazione o contesto. La struttura informazionale di un messaggio è determinata dal numero delle unità d'informazione che esso comporta: una domanda, per es., che richiede come risposta una scelta fra due unità, come o no, destra o sinistra, evidentemente riflette una situazione informazionale inferiore a quella rappresentata da una domanda che implica come risposta una scelta fra quattro unità, come nord, sud, ovest, est (o addirittura otto unità come nord, nord-ovest, ovest, nord-est, est, sud, sud-ovest, sud-est). Insomma, più le unità del sistema sono numerose (entropia), maggiore sarà la quantità d'informazione che ciascuna di esse comporta. E si avranno, a seconda dei livelli di discorso (comune, letterario, scientifico, ecc.) sistemi ridotti e poco informativi, ma economici, o sistemi con elevato numero di unità, molto informativi, ma dispendiosi e poco economici (per es., il linguaggio poetico). Le unità di un sistema non hanno però lo stesso grado di probabilità; sarà pertanto necessario calcolare la probabilità di ricorrenza di ogni singola unità in base alla frequenza riscontrabile in determinati contesti o campioni. Se si parte infatti dalle unità non significative come i fonemi, che sono in numero ristretto e limitato, si può osservare, dato un determinato campione di eventi linguistici, la frequenza media di ciascuna di esse e quindi la probabilità relativa di ricorrenza nelle combinazioni possibili con altre unità dello stesso sistema fonologico. Anche per le unità dotate di significato risultanti dalla combinazione dei fonemi, quali morfemi, parole, ecc., è possibile osservare la frequenza d'uso in determinati contesti comunicativi e quindi calcolare la probabilità di ricorrenza di ogni unità lessicale nell'universo della lingua. E nell'ambito degli studi lessicologici che si è maggiormente sviluppato il metodo quantitativo dell'indagine statistica, e si è giunti, per le diverse lingue, alla compilazione di liste di parole con le loro frequenze medie, relative ai diversi ambiti e livelli di discorso. In base all'osservazione statistica dei dati linguistici si sono formulate delle leggi riguardanti, per es., il rapporto tra il numero dei fonemi e la frequenza delle parole: il numero dei fonemi (costo fonetico) di una parola è inversamente proporzionale alla frequenza d'uso della parola stessa; il rapporto tra frequenza e significato delle parole: più elevata è la frequenza di una parola, maggiore è il numero dei suoi significati (polisemia, genericità semantica), ecc.; per una formulazione più tecnica v. statistica linguistica (in App. III, 11, p. 820). Nel Lessico di frequenza della lingua italiana contemporanea si notano, per es., tra i lemmi di maggior frequenza d'uso (maggior probabilità d'impiego) parole come fare, cosa, tempo, casa, parole, cioè, foneticamente poco costose e con aree di significato piuttosto ampie e generiche; mentre tra i lemmi di minor frequenza d'uso (minor probabilità d'impiego) si notano parole come pellegrinaggio, tranquillante, argomentazione, parole, cioè, foneticamente costose e con aree di significato abbastanza delimitate e specifiche.

I principi della l. quantitativa possono venir impiegati nell'indagine diacronica per spiegare come eventuali modificazioni della frequenza di certe unità linguistiche abbiano determinato delle variazioni della loro efficacia comunicativa e dei mutamenti nella loro forma. I rilevamenti statistici hanno trovato un terreno d'impiego nel campo dell'insegnamento delle lingue in cui si fa uso di lessici fondamentali, costituiti dalle parole di più elevata frequenza nel discorso, anche se si sono avvertiti i limiti di tali strumenti didattici che richiedono un'integrazione sul piano dei rapporti sintagmatici delle singole parole. L'indagine quantitativa ha trovato inoltre un campo di applicazione privilegiato nello studio dei testi letterari e poetici dove gli scarti stilistici rispetto a determinate norme d'uso possono venir misurati in base, per es., al rilevamento della ricchezza o dispersione del vocabolario di un determinato autore, della consistenza e stratificazione semantica del suo lessico, della progressione informazionale delle combinazioni sintattiche tra le parole.

Bibl.: P. Guiraud, Problèmes et méthodes de la statistique linguistique, Parigi 1960; A. Martinet, Éléments de linguistique générale, ivi 1960 (trad. it., Bari 1966); Ch. Muller, Essai de statistique lexicale, ivi 1964; G. Herdan, Quantitative linguistics, Londra 1964 (trad. it., Bologna 1971); S. Marcus, Introduction mathématique à la linguistique structurale, Parigi 1967; L. Heilmann, Aspetti quantitativi e aspetti qualitativi dell'analisi del linguaggio, oggi, in De Homine, nn. 15-16 (1967); S. Marcus, E. Nicolau, S. Stati, Introduzione alla linguistica matematica, Bologna 1971; U. Bortolini, C. Tagliavini, A. Zampolli, Lessico di frequenza della lingua italiana contemporanea, Milano 1972; Autori vari, Estetica e teoria dell'informazione, a cura di U. Eco, ivi 1972.

Linguistica testuale. - La l. testuale nasce dalla constatata insufficienza della l. (oggi specialmente della grammatica generativotrasformazionale) che si limita all'analisi della frase. Suoi antefatti sono la Discourse Analysis di Z. S. Harris (1952) e più in generale la l. transfrastica (la "tagmemica" di K. Pike, 1964, e la "prospettiva funzionale della frase" della scuola di Praga). L'atto linguistico comunicativo non comunica frasi, unità sintattiche appartenenti al sistema strutturale della lingua, ma testi, anche se un testo può talvolta coincidere con una frase (ma generalmente è più ampio). Definizione di "testo": un enunciato linguistico che viene valutato dal parlante e dal ricevente come conchiuso: "Dimmelo" è un testo come lo è Guerra e pace; non lo è un dizionario o l'elenco telefonico.

Risulta evidente da questa definizione l'importanza che per la l. testuale assume la conoscenza delle situazioni contestuali in cui si origina un atto di comunicazione linguistica. Una frase apparentemente priva di senso si spiega nella situazione contestuale che coinvolge le conoscenze previe del parlante e dell'ascoltatore: "Io sono muto", che contiene una contraddizione oggettiva (chi è muto non può parlare), si spiega se a pronunciarla è una persona cui è stato confidato un segreto e vuole rassicurare che manterrà il segreto. La l. testuale allarga così enormemente il campo delle proprie analisi rispetto alla l. della frase, coinvolgendo nelle analisi tanto il momento della produzione del testo quanto quello della sua ricezione. La l. testuale deve tener conto di variabili d'ordine sociale, psicologico, economico, culturale, ecc., che interferiscono nel processo comunicativo. Manca pertanto a tutt'oggi un sistema di regole formali ben definito che dia conto dei problemi di pertinenza della l. testuale; da un lato: Quali sono i tipi di testo esistenti), Quali rapporti intercorrono fra testo e frase?, Che cosa costituisce un testo?, ecc., come problemi di una "teoria del testo" e della sua "grammatica"; dall'altro: Quando è ben formato un testo?, Come viene programmato?, Come viene recepito?, ecc., che sono problemi da inquadrare nella cosiddetta "l. pragmatica", la quale risale alla teoria degli "atti linguistici" di J. L. Austin e J. R. Searle: un atto linguistico è un'azione comunicativa che si svolge secondo regole sociali di funzionamento e di attesa. La pragmatica studia i rapporti di un processo di comunicazione (in questo caso: del testo) con i partners della comunicazione medesima. È evidente l'importanza dal punto di vista di una semiologia generale della l. testuale, specialmente nel suo aspetto pragmatico.

Bibl.: W. Dressler, Einführung in die Textlinguistik, Tubinga 1972 (19732; trad. it. Introduzione alla linguistica del testo, Roma 1974); W. Kallmeyer e altri, Einführung in die Textlinguistik, Colonia Bielefeld 1972; S. J. Schmidt, Texttheorie, Monaco 1973; D. Breuer, Einführung in die pragmatische Texttheorie, ivi 1974.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Scuola normale superiore di pisa

Principio di verificazione

Filosofia del linguaggio

Grammatiche generative

Tipologia linguistica