LETTONIA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Lettonia

Martina Teodoli
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(XX, p. 988; App. I, p. 788; II, ii, p. 189; V, iii, p. 187; v. urss, App. III, ii, p. 1043; IV, iii, p. 754)

Geografia umana ed economica

Popolazione

Tra i paesi baltici, la L. è quello che annovera le più consistenti minoranze slave: secondo i dati del 1998, i Lettoni etnici, la cui religione tradizionale è quella protestante luterana, rappresentano solo il 55% della popolazione (che ammonta in totale a oltre 2,4 milioni di ab.), contro il 33% di Russi, giunti nel paese prevalentemente nel periodo sovietico, e il 10% di altri Slavi (Bielorussi, Ucraini, Polacchi). Tuttavia non sembra si debbano realizzare i timori manifestati dai Lettoni di diventare a lungo termine minoranza in patria, a causa del loro comportamento demografico 'senile', con saldo naturale negativo: dopo l'indipendenza, infatti, si è determinato un riflusso verso i paesi d'origine di Slavi, soprattutto di Russi, che si sono sentiti discriminati nella nuova situazione politica e nella legislazione sulla cittadinanza e sui diritti elettorali. Pertanto, nel corso degli anni Novanta la proporzione dei Lettoni etnici ha guadagnato tre punti percentuali (era del 52% al censimento sovietico del 1989), in un contesto comunque di generale diminuzione della popolazione.

Circa un terzo della popolazione lettone vive nella capitale Riga, città di aspetto germanico situata all'apice dell'estuario del fiume Daugava (Dvina Occidentale), che sbocca al centro del grande Golfo di Riga ed è ottimo sito portuale, sapientemente sfruttato dai Lettoni. Solo altre due città superano i 100.000 abitanti: Daugavpils nell'interno, più a monte sullo stesso fiume, presso il confine con la Lituania e la Bielorussia; e Liepāja sul Baltico aperto, altro notevole porto e capolinea ferroviario per le relazioni con la Federazione Russa. Il porto principale per volume di traffico è tuttavia quello della più modesta città di Ventspils, estremo capolinea occidentale del gasdotto siberiano. La funzione di transito a servizio degli sbocchi occidentali dell'economia russa continua dunque a essere essenziale per la Lettonia.

Condizioni economiche

L'agricoltura occupa meno di un quinto della popolazione attiva. Le fattorie collettive sono state in gran parte trasformate in imprese private o suddivise tra i vecchi proprietari e gli ex dipendenti. Si ottengono buone produzioni, di cereali minori come l'orzo e la segale, nonché di patate e di barbabietole da zucchero. Notevole l'allevamento bovino, orientato soprattutto verso la produzione di latte e latticini, e anche quello suino. Ai porti baltici fa capo una discreta flottiglia da pesca, che sbarca annualmente buone quantità di pesce. Infine i boschi, estesi sul 40% della superficie del paese, forniscono buone quantità di legname.

Nell'industria la privatizzazione è andata a rilento, nel contesto di una ristrutturazione che si è rivelata difficile. La produzione mineraria consiste soprattutto di torba, tipico combustibile povero ricavato dalle aree paludose. Dopo la cessazione delle forniture a buon mercato di idrocarburi russi, emergono speranze, ma anche contrasti con la Lituania, dalle prospezioni petrolifere sulla piattaforma continentale del Baltico. Il ventaglio delle industrie è molto diversificato: mentre alcune produzioni sono connesse con l'economia forestale, altre derivano da 'specializzazioni' scelte a tavolino dai vecchi piani quinquennali sovietici: per es. la fabbricazione di carrozze ferroviarie. In ogni caso molte produzioni dipendono da tecnici e maestranze di etnia russa, e i prodotti sono ancora oggi esportati prevalentemente nella Federazione Russa, anche se gli altri paesi baltici, la Finlandia, la Svezia e la Germania stanno intensificando i loro rapporti commerciali con la L. (si tenga presente che dai paesi dell'Europa comunitaria provengono flussi di investimenti diretti non irrilevanti). *

bibliografia

Y. Plasseraud, Les pays baltes, Paris 1990, 1996².

A. Sellier, J. Sellier, Atlas des peuples d'Europe centrale, Paris 1991, 1995³.

A. Lieven, The Baltic revolution. Estonia, Latvia, Lithuania and the path to independence, New Haven 1993, 1994²; O. Nørgaard, The Baltic states after independence, London 1996.

Storia

di Martina Teodoli

Nel settembre 1991 la L. tornò a essere uno stato indipendente, ma il distacco dall'URSS sollevò molti problemi sia per le gravi conseguenze sulla situazione economica del paese e quindi sulla sua stabilità politica, sia per la difficile definizione di una nuova collocazione internazionale. Rimase infatti disattesa l'aspettativa di una rapida integrazione nelle strutture politiche, economiche e militari occidentali (in particolare la NATO e l'Unione Europea). Inoltre, la reazione alle misure di russificazione, che avevano provocato nei decenni precedenti un ridimensionamento della componente lettone rispetto alla popolazione complessiva, assunse il carattere di una politica di discriminazione nei confronti delle minoranze slave presenti nel paese, aggravando i conflitti con Mosca, che rimase comunque uno dei principali partner economici del paese. Ulteriori fonti di attrito nei rapporti con la Federazione Russa derivarono dalla presenza in L. di truppe ex sovietiche, sotto il controllo russo dal 1992, il cui ritiro venne comunque completato nel 1994; nello stesso anno, dopo un prolungato e aspro dibattito, fu adottata una legge che prevedeva il riconoscimento automatico della cittadinanza solo per coloro che risiedevano in L. da prima del 1940 e per i loro discendenti, stabilendo per gli altri residenti (in maggior parte di nazionalità russa, ma anche Ucraini e Bielorussi) una complessa procedura di naturalizzazione. Anche la demarcazione del confine fra i due Stati, che era stata modificata in epoca sovietica rispetto a quella stabilita nel 1920, fu motivo di tensione con Mosca e venne sottoposta a una rinegoziazione a partire dall'aprile 1996.

Dopo l'indipendenza la L. si impegnò per ottenere un rafforzamento dei legami con l'Europa occidentale: membro del Consiglio degli Stati del Mar Baltico dal 1992 e del Consiglio d'Europa dal febbraio 1995, nell'aprile dello stesso anno stipulò un accordo di associazione con l'UE, alla quale presentò domanda di adesione nel dicembre. Inoltre, nel 1994 aderì, insieme ad altri Stati ex sovietici, al programma di cooperazione con la NATO denominato Partnership for peace, ma la prospettiva di una piena adesione all'alleanza fu ostacolata dal parere contrario espresso da Mosca. Anche i rapporti con le altre repubbliche baltiche, nonostante l'avvio fin dal 1992 di un processo di integrazione, non furono privi di difficoltà soprattutto in relazione alla definizione dei confini marittimi; a questo riguardo fu raggiunto, nel luglio 1996, un accordo con l'Estonia, mentre rimanevano aperti i negoziati con la Lituania. Sul piano interno, lo schieramento nazionalista che aveva portato il paese all'indipendenza subì in seguito diverse scissioni e la vita politica fu caratterizzata da una certa instabilità. Dopo le elezioni del giugno 1993, le prime successive all'indipendenza, alla guida del governo si succedettero V. Birkvas (1993-94) e M. Gailis (1994-95), entrambi esponenti del partito nazionalista moderato denominato Via lettone, affermatosi come primo partito, con il 32% dei suffragi. Nel luglio 1993 il Parlamento reintegrò la Costituzione del 1922, che prevedeva un sistema di tipo parlamentare, ed elesse come presidente della Repubblica G. Ulmanis, un esponente dell'Unione contadina lettone, formazione centrista che aveva ottenuto il 10% dei voti. Un calo della Via lettone e una frammentazione della rappresentanza parlamentare furono il risultato delle successive elezioni legislative, tenute nel settembre-ottobre 1995: solo dopo difficili consultazioni, nel dicembre 1995, fu costituito un gabinetto di coalizione, comprendente un ampio schieramento di partiti, guidato dall'indipendente A. Skele, mentre Ulmanis veniva rieletto alla presidenza della Repubblica nel giugno 1996. I diversi governi succedutisi dopo l'indipendenza perseguirono una politica economica di orientamento liberista, adottando un vasto programma di privatizzazioni e misure volte a incoraggiare gli investimenti stranieri; si registrò comunque un calo in tutti i principali settori produttivi, e le difficili condizioni economiche del paese registrarono un peggioramento nel 1995, in relazione al fallimento di numerosi piccoli istituti bancari. Nell'agosto 1997, dimessosi il governo in seguito all'emergere di diversi casi di corruzione pubblica, un nuovo esecutivo di ampia coalizione fu costituito dal conservatore G. Krasts. Le elezioni legislative dell'ottobre 1998 videro l'affermazione del Partito popolare (una formazione guidata da Skele costituitasi in maggio) che conquistò il 24,2% dei consensi e 24 seggi, mentre la Via lettone, pur riconquistando in parte il proprio elettorato, ottenne solo il 18,1% dei voti e 21 seggi. Fu comunque un esponente di quest'ultima, V. Kristopans, a guidare il nuovo esecutivo formatosi in novembre. Un referendum costituzionale, svoltosi contemporaneamente alle elezioni, abrogò, pur con una stretta maggioranza (53%), alcuni limiti all'accesso alla nazionalità lettone, che coinvolgevano, in maggioranza, gli abitanti di origine russa. Nel giugno 1999 il Parlamento elesse alla presidenza della Repubblica V. Vike-Freiberga.

bibliografia

B. Van Arkadie, Economic survey of the Baltic states: the reform process in Estonia, Latvia and the Lithuania, London 1992.

A. Lieven, The Baltic revolution: Estonia, Latvia, Lithuania and the path to independence, New Haven 1993.

S. Nies, Lettland in der internationalen Politik: Aspekte seiner Aussenpolitik, 1918-95, Münster 1995.

A. Steen, Between past and future. Elites, democracy and the state in post-communist countries: a comparison of Estonia, Latvia, and Lithuania, Aldershot 1997.

M. Nissinen, Latvia's transition to a market economy, New York 1999.

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