LEGIONE

Enciclopedia Italiana (1933)

LEGIONE

Plinio FRACCARO
Alberto BALDINI

. Legio indicava originariamente la leva (Varrone, De lingua lat., V, 87) e quindi l'intero esercito romano: i due termini sono all'uso arcaico coordinati come sinonimi nell'iscrizione di Gracco del 174 a. C. in Livio XLI, 28, 8: legio exercitusque populi Romani. Perciò dopo la riforma serviana la legione era costituita dalle 60 centurie di fanteria di linea degli iuniores delle tre prime classi del censo, dalla fanteria leggiera dei rorarii o velites delle classi quarta e quinta, e dalla cavalleria. A un certo momento (forse con l'istituzione del governo dei due consoli) i Romani cominciarono a costituire due eserciti, cioè due legioni, ciascuna con gli stessi quadri della legio unica, ma con effettivi dimezzati: cioè 3000 fanti di linea su 60 centurie per legione, invece dei 6000 della legione unica.

La legione più antica combatteva formata a falange ed era perciò naturale che nelle prime file prendessero posto i guerrieri meglio armati della prima classe, i principes, dietro ai quali venivano i guerrieri meno armati indicati col titolo più generico di hastati (in contrapposizione ai veliti armati di giavellotti). A questo ordinamento, basato sulla bontà dell'armamento individuale, sottentrò poi un altro, corrispondente a una tattica più evoluta, basata sulla prevalenza della lotta individuale con la spada e sul concetto di alimentare il combattimento con un ordinato impiego successivo delle forze. I fanti di linea furono perciò ordinati per armamento e per età in tre linee successive e distanziate fra loro, nella prima gli hastati (1200 uomini), i soldati più giovani; nella seconda i principes (1200), i soldati di media età al massimo del vigore e dell'esperienza, il cui intervento nella lotta rappresentava un intensificarsi della pressione offensiva (gli antichi nomi furono conservati, ma gli uni e gli altri non erano più armati di asta da urto, ma tutti di pila da getto e di spada; nella terza linea presero posto i triarii, o pilani (600), i soldati più anziani, che conservavano l'asta da urto, ed erano quindi destinati a intervenire nella lotta in formazione serrata. Al distanziamento delle linee in vista dell'impiego successivo, s'accompagnò l'articolazione delle linee stesse in piccole unità per ottenere una maggiore elasticità di movimento e possibilità di distendere gli uomini per la lotta individuale con la spada; ma poiché le centurie ridotte a 60 uomini per le due prime linee e a 30 per la terza sarebbero state unità troppo minuscole, esse, pur conservando la loro individualità amministrativa, furono riunite tatticamente a due a due a formare per ogni linea dieci manipoli, i quali in ordine chiuso erano separati fra loro da un intervallo uguale all'estensione della loro fronte. Se, come si suppone, ogni manipolo si schierava con 20 uomini di fronte e 6 di profondità, la fanteria di linea della legione, con un uomo ogni tre passi, avrebbe avuto una fronte di 1140 passi, cioè di circa 330 metri. La legione conservò i 60 capicenturia o centurioni, uno per centuria, due per manipolo, dei quali il più anziano comandava la centuria di destra e guidava l'intero manipolo. I veliti furono attribuiti ai manipoli in misura di 40 per ciascuno; ma si trattava d'un legame amministrativo e per il servizio interno, perché per il combattimento i veliti si disponevano di solito tutti dinnanzi alle tre linee della fanteria pesante. Il contingente di cavalleria normalmente assegnato alle legioni in età storica era di 300 cavalli, che di solito si disponevano alle ali della legione o delle legioni, se due o più di queste si trovavano a combattere riunite.

Ufficiali superiori della legione erano i tribuni militum, originariamente i tre capi dei contingenti di fanti delle tre tribù romane, saliti a sei con il raddoppiamento dell'esercito più antico e sei rimasti poi sempre per ogni legione. Ma poiché il comandante della legione-esercito era il console, e la legione, data la semplicità della tattica più antica, non comprendeva unità superiori al manipolo, essi non avevano funzioni di comandanti tattici né di sezioni della legione né di tutta la legione collegialmente, ma sovrintendevano normalmente al servizio interno due alla volta per un bimestre (le campagne nei tempi più antichi duravano sei mesi), e i due per turno un giorno o un mese per uno. Il comandante poteva però incaricarli caso per caso di speciali funzioni tattiche.

Sebbene gli storici romani parlino di più di due legioni per epoche molto antiche, Roma mobilitò due eserciti-legione ancora nei primi anni della seconda guerra sannitica. Le vicende di quella grave guerra, che si combatté spesso su diversi scacchieri, portarono dapprima alla mobilitazione di un terzo esercito-legione, destinato a fronteggiare situazioni eccezionali; ma riconosciutasi poi la necessità di accrescere stabilmente le forze in campo, si raddoppiò una seconda volta l'esercito (pare intorno al 310 a. C.); e non raddoppiando quadri e effettivi della legione, che sarebbe diventata troppo pesante, ma duplicando invece il numero delle legioni, che furono portate a quattro, due per ogni console. Questa divenne la leva normale romana, accanto alla quale prendevano posto i contingenti degli alleati, formati su quattro alae, così dette perché gli alleati si schieravano alle ali delle legioni romane.

La legione cessò di essere un esercito (tranne nel caso dei colleghi minori dei consoli, i pretori, ai quali, quando era a essi affidato un comando militare nelle provincie, si dava normalmente una sola legione) e divenne la grande unità tipo dell'esercito romano: ogni esercito consolare era costituito da quattro grandi unità, due legioni romane e due ali alleate all'incirca della stessa forza delle legioni. I due eserciti consolari di quattro legioni ciascuno che combatterono a Canne sono un'eccezione e alcuni dubitano dell'autenticità della notizia. Le quattro legioni dei due consoli erano le normali, le legiones IV primae, i cui 24 tribuni dal sec. III a. C. venivano eletti dal popolo, mentre rimase ai consoli la scelta dei tribuni delle legioni soprannumerarie, che i Romani furono per tempo costretti a mobilitare o per costituire eserciti di riserva (legiones urbanae) o per condurre la guerra anche in altri scacchieri, oltre a quelli assegnati ai consoli, o per altre necessità. Il Senato decideva al principio d'ogni anno quante legioni si dovevano mobilitare o congedare e sulla loro ripartizione.

Nel 225, per far fronte a una minacciosa invasione gallica, si armarono 10 legioni, 4 per i due consoli, una per l'Italia meridionale, una per la Sicilia e 4 da tenere in riserva ad urbem; durante la guerra annibalica si giunse a 23 o 25 legioni. Molto antico è l'uso (documentato per noi dal 296 a. C.) di distinguere le legioni con un numero, che poteva variare anno per anno a seconda del posto che la legione veniva a prendere nella serie delle legioni mobilitate. Quanto agli effettivi, si nota la tendenza a sorpassare quel numero di 4200 fanti, che ancora all'epoca di Polibio era ritenuto il normale, e troviamo legioni di 5000, 5200 e persino 6000 e 6200 fanti.

La struttura della legione manipolare rispondeva a concetti tattici molto semplici: attacco frontale con uniforme distribuzione delle forze su tutta la linea: l'idea della manovra tattica è di solito assente e l'uso di una vera e propria riserva è ignoto. Ma la guerra annibalica insegnò e impose ai Romani la battaglia manovrata, per la quale era necessario disporre di unità tattiche intermedie fra la legione e il manipolo. In un primo tempo, a Zama, a Cinoscefale e in Spagna nel 195, le seconde e terze linee di manipoli di una o di più legioni furono adoperate quasi come unità indipendenti per eseguire manovre tattiche; ma il far manovrare anche solo due o tre migliaia di uomini formati in piccole compagnie del tutto autonome di 120 o 60 uomini ciascuna doveva presentare difficoltà gravissime. La soluzione fu trovata nel sec. II a. C. con l'introduzione dell'ordinamento a coorti della legione. La coorte viene dalle alae degli alleati, che inviavano all'esercito romano i loro contingenti formati appunto in coorti. Ora non è attestato, ma è necessario ammettere, che i contingenti alleati dovevano essere armati e ordinati come i romani e quindi la coorte di una comunità alleata doveva comprendere hastati, principes, triarii e velites; e poiché la forza di una coorte andava da 400 a 500 uomini, è chiaro che essa doveva equivalere a tre manipoli romani dei tre ordini con i relativi veliti, che normalmente contavano appunto insieme 420 uomini. I tre manipoli di una coorte alleata erano formati da uomini di una stessa comunità e agli ordini di uno stesso ufficiale della loro città; c'era quindi fra essi un legame che non c'era fra i tre manipoli romani dei tre ordini che portavano in una legione lo stesso numero. Perciò quando i Romani (il più antico esempio è di Scipione a Becula nel 208: Polibio, XI, 23,1) presero a impiegare come una sola unità i tre manipoli con lo stesso numero di una legione, chiamarono coorte l'insieme dei tre manipoli. L'evoluzione è compiuta al tempo di Mario, al quale anzi molti attribuiscono l'adozione definitiva dell'ordinamento coortale. I manipoli con le loro centurie rimasero come unità organiche minori, ma l'unità tattica elementare delle legioni divenne la coorte corrispondente al moderno battaglione: ogni legione era formata su 10 coorti, ciascuna di sei centurie e con sei centurioni dei quali il più elevato di rango comandava l'intera coorte. Non si rinunciò allo schieramento della legione su più ordini, ma non ci fu più uno schema fisso e le legioni si schierarono su 2, 3, 4 linee di coorti a seconda dell'opportunità (lo schema: tre linee di 4, 3 e 3 coorti rispettivamente, che è dato di solito come normale, non era che uno dei molti possibili). Entro la nuova unità tattica, la distribuzione fra hastati, principes e triarii non ebbe più valore tattico e rimase solo per tradizione a distinguere le centurie e i centurioni delle coorti e l'armamento divenne uniforme per tutti i legionarî. Inoltre, poiché Mario rese la leva indipendente dalle classi del censo e arruolò specialmente dei proletarî, anche la distinzione fra soldati di linea e veliti sparì; tutte le reclute romane entrarono a far parte della fanteria di linea delle legioni, mentre le truppe leggiere furono costituite con reparti autonomi di ausiliari alleati, di solito specialisti nelle armi da tiro, indipendenti dalle legioni, e lo stesso successe per la cavalleria, che divenne cavalleria dell'esercito, non più della legione. La legione cessò così di essere un'unità delle tre armi e si trasformò in un corpo di fanteria di linea. Mario ne portò l'effettivo a 6200 uomini, ma si ebbe dopo di lui la tendenza a scendere fra 4 e 5000 uomini: in ogni caso legioni a effettivi ridotti erano frequenti, perché i Romani rifuggivano, potendo, dal mescolare delle reclute fra i veterani di una legione.

Con l'ammissione degli alleati alla cittadinanza romana dopo la guerra sociale, vennero meno le alae dei socii, e il tradizionale esercito consolare romano di due legioni cittadine e di due alae alleate fu sostituito da eserciti formati di parecchie legioni romane con auxilia di fanteria leggiera e cavalleria non cittadine; Cesare aveva alla fine del primo anno della guerra gallica (58) 6 legioni e 11 nel 51.

Le legioni degli ultimi decennî della repubblica erano poi in genere composte di proletarî, che si davano alla vita militare per professione e venivano per ragioni politiche e militari tenuti sotto le armi per un tempo indefinito. Le legioni diventano quindi dei corpi permanenti, con una tradizione propria.

Dell'aquila, prima uno dei 5 emblemi religiosi delle legioni (lupo, minotauro, cavallo, cinghiale), Mario fece il numen principale, il simbolo sacro della legione permanente, affiddato al centurione primipilo e ben distinto dai signa dei manipoli, che erano specialmente strumenti per il comando. L'uso d'indicare le legioni con numeri continua, anzi i numeri si ripetono nelle serie legionarie degli eserciti dei contendenti della fine della repubblicȧ; ma accanto ai numeri compaiono anche i nomi legionarî, non ancora ufficiali come sotto l'impero, e derivati da provincie nelle quali le legioni si erano distinte (Gallica, Macedonica) o di altra origine (Urbana, Sabina, Sorana, Mutinensis, Classica, Triumphalis, Veneria, Gemella - formata con la fusione di due legioni -, Paterna, ecc.).

Le legioni romane salirono durante le guerre civili a 45 circa. Augusto le ridusse di quasi la metà, congedando e deducendo in colonie masse di soldati, e con le legioni mantenute costituì l'esercito permanente del principato, che fu distribuito nelle provincie di frontiera a difesa dei confini. Alla morte di Augusto, le legioni romane erano 25 (3 erano state distrutte nella catastrofe di Varo), così distribuite: 8 sul Reno, 2 in Dalmazia, 2 nella Mesia, 3 nella Pannonia, 4 nella Siria, 2 in Egitto, 1 in Africa e 3 nella Spagna. Augusto ribadì il principio che le legioni dovevano essere composte di cittadini romani, cioè in sostanza d'Italiani e di abitanti d' alcune città della Spagna e della Gallia, mentre i provinciali e gli stati federati dovevano contribuire alla difesa dell'impero mediante gli auxilia. Gl'Italiani nelle legioni andarono però gradualmente diminuendo e il principio fu salvato concedendo la cittadinanza ai peregrini all'atto del loro arruolamento nella legione: con Adriano il reclutamento delle legioni avviene quasi interamente nelle regioni in cui esse avevano stanza. Già Cesare soleva mettere, per periodi più o meno lunghi, le singole legioni agli ordini di uno dei suoi legati; Augusto diede un comandante permanente alla legione col titolo di legatus (Augusti) legionis, di solito un senatore di rango pretorio (in Egitto però i praefecti legionum erano cavalieri). E poiché nel nuovo sistema difensivo augusteo le legioni si trovavano spesso isolate (con Domiziano divenne norma che ogni legione avesse il suo campo), esse ripresero in parte il loro carattere di unità composite, ricevendo uno squadrone di cavalleria di 120 uomini (che hanno tutti il rango di sottufficiali) e una certa dotazione di artiglieria; inoltre gli auxilia di fanteria e cavalleria venivano di solito aggregati alle legioni (stavano anzi fino all'età di Vespasiano nello stesso campo) e posti sotto gli ordini del legatus legionis. La costituzione organica della legione rimase nei primi tempi dell'impero sostanzialmente quella dell'età cesariana; solo a un certo momento la prima coorte ebbe effettivo doppio delle altre e solo 5 centurioni.

Sotto i legati legionis stavano i tribuni, ora distinti in tr. laticlavii, di rango senatorio, e in tr. angusticlavii, di rango equestre, il praefectus castrorum, preposto al servizio del campo, i centurioni dei varî ordini, e infine un gran numero di sottufficiali, con particolari mansioni nei ranghi e negli officia, che si raccoglievano nelle due categorie dei principales e degli immunes. Ora anche dei medici vengono stabilmente assegnati alle legioni. I nomi delle legioni divengono sotto l'impero ufficiali, e ad essi possono essere aggiunti anche uno o più epiteti onorifici (pia, fidelis, constans, felix, aeterna, certa, vindex, adiutrix, firma, fortis, ecc.). I nomi derivati da quelli degl'imperatori vennero dati da prima alle legioni da essi costituite o come speciale onore a singole legioni; ma Commodo e altri imperatori dopo di lui concessero a tutte le legioni di aggiungere al loro nome particolare il nome imperiale aggettivato (Commodiana, Antoniniana [Caracalla], Seversana, ecc.). Accanto all'aquila comune a tutte, le varie legioni veneravano uno o più numina particolari sotto forma di animali, che sono spesso segni dello zodiaco collegati con i mesi sacri alla divinità protettrice del loro fondatore (p. es., il toro, segno sacro a Venere, protettrice dei Giulî) o con i mesi nei quali era avvenuto il natalis aquilae, la fondazione della legione. Questi animali erano riptodotti anche sui signa dei manipoli e sui vessilli dei distaccamenti, sulle monete delle legioni e su altri oggetti. Anche le immagini degl'imperatori, ai quali l'esercito prestava uno speciale culto, erano poste sulle insegne.

Dopo Augusto crearono nuove legioni gl'imperatori Claudio, Nerone, Galba, Vespasiano, Domiziano, Traiano, Marco Aurelio, Settimio Severo, ma nello stesso tempo alcune delle legioni augustee o perirono per vicende di guerra o furono sciolte, cosicché le legioni erano 30 alla fine del regno di Traiano e poi ancora sotto Marco Aurelio e fino a Settimio Seveio. L'iscrizione Corp. Inscr. Lat., VI, 3492 a b dà la lista delle legioni in ordine geografico al tempo di Antonino Pio, con l'aggiunta, fuori dell'ordine geografico, di 2 legioni create da Marco e 3 da Settimio Severo. Esse sono: II Augusta, VI Victrix, XX Victrix (Britannia), VIII Augusta, XXII Primigenia (Germania Superior), I Minervia, XXX Ulpia (Germania Inferior), I Adiutrix, X Gemina, XIV Gemina (Pannonia Superior), II Adiutrix (Pannonia Inferior), IV Flavia, VII Claudia (Moesia Superior), I Italica, V Macedonica, XI Claudia (Moesia Inferior), XIII Gemina (Dacia), XII Fulminata, XV Apollinaris (Cappadocia), III Gallica, IV Scythica, XVI Flavia (Syria), VI Ferrata, X Fretensis (Syria Palaestina), III Cyrenaica (Arabia), II Traiana (Aegyptus), III Augusta (Africa), VII Gemina (Hispania), II Italica, III Italica (create da Marco una per il Noricum, una per la Raetica), I Parthica, II Parthica, III Parthica (create da Settimio Severo, I e III per la Mesopotamia, la II acquartierata presso Roma).

Da questa lista si rileva lo spostamento, che s'inizia con Domiziano, del grosso delle legioni dal Reno al Danubio, in seguito all'intensificarsi della pressione dei barbari contro il confine romano su questo fiume. Il sistema difensivo a cordone stabilito da Augusto, senza una proporzionata riserva centrale (si avevano all'interno, in Roma, solo le coorti pretoriane), rese sin da principio difficile e pericoloso spostare le legioni da una provincia a un'altra, ove il bisogno richiedesse una concentrazione di forze. Inoltre nel secolo II il reclutamento territoriale, i campi permanenti con le borgate che sorgevano loro d'intorno e i territoria riservati per lo sfruttamento alle legioni, resero queste sempre meno mobili. Per formare gli eserciti di campagna, le legioni inviavano fin dai primi tempi dell'impero distaccamenti (vexillationes), agli ordini di centurioni o legati, a seconda dell'importanza, e, dopo Settimio Severo, di praepositi o duces. Quest'uso si estese sempre più e la legione divenne un corpo locale e nello stesso tempo un deposito, che aveva le sue vexillationes mobili (alle volte parecchie contemporaneamente) in altre provincie; e questi distaccamenti finivano spesso col portare essi stessi il nome di legione. Settimio Severo e Caracalla, per ragioni politiche, stabilirono che nessuna provincia dovesse avere più di due legioni, e rimaneggiarono dove ce n'era bisogno le circoscrizioni delle provincie. L'aggravarsi della crisi dell'impero dopo i Severi, richiese la costituzione di nuove legioni. Il maggiore aumento si ebbe sotto Diocleziano, al quale risalgono le numerose legioni Ioviae, Herculiae, Flaviae Constantiae, ecc. I distaccamenti mobilitati, che formano gli eserciti di campagna, si staccano sempre più dalle loro legioni di deposito. Diocleziano e Costantino divisero le forze armate in esercito di campagna e in esercito confinario; a quello appartenevano le truppe palatinae, della guardia imperiale, e le comitatenses, del comitatus dell'imperatore; a questo le truppe riparienses o ripenses (più tardi limitaneae). La fanteria comitatense è tutta formata in legioni, mentre nella guardia si hanno legioni palatine accanto agli auxilia di fanteria barbarica; le legioni pseudocomitatenses pare fossero legioni presidiarie sottoposte con rango inferiore ai comandanti dell'esercito di campagna. Le legioni mobili, formate dai distaccamenti delle antiche legioni, sono piccole, di circa 1000 uomini ciascuna; e solo sulla carta, o almeno per un certo tempo sui confini, si hanno legioni più forti; quella di Vegezio, che è dell'età dioclezianea, ha ancora 6100 fanti e 726 cavalli. La cavalleria legionaria era stata soppressa da Gallieno e assegnata ai corpi di cavalleria d'esercito; essa fu ridata alle legioni da Diocleziano, ma di nuovo a esse tolta da Costantino. Le coorti sono divise in centurie, che comprendono 10 manipoli, nome dato agli antichi contubernia, mentre sono spariti gli antichi manipoli. Il nome centenarius sostituisce poi quello di centurio. Il comando delle singole legioni fu tolto del tutto ai legati legionum senatorî da Gallieno e affidato come in Egitto a praefecti dell'ordine equestre: in fine, nel sec. IV, i tribuni comandano le piccole legioni mobili. Ma nel complesso dell'esercito, le legioni, delle quali abbiamo l'ultimo elenco nella Notitia Dignitatum del principio del sec. V (che ne ricorda circa 175), sono diminuite d'importanza; esse sono in genere composte ancora di cittadini romani, ma appunto questo le pone in seconda linea di fronte ai numeri barbarici, formati di elementi più bellicosi. Perciò i corpi barbarici dell'esercito di campagna passano poi quasi tutti nella guardia, e hanno rango superiore alle stesse legioni comitatensi. Durante il sec. V l'antico esercito romano si dissolve e con esso finisce anche la legione.

Bibl.: R. Cagnat, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiq. gr. et rom., III, ii, p. 1047 segg.; W. Kubitschek e E. Ritterling, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 1186 segg.; M. D. Parker, The Roman Legions, Oxford 1928.

In tempi recenti si sono denominate legioni talune formazioni organiche di forze armate, senza dirette analogie col classico organismo dell'antica Roma. Così in Italia, quando più vivace si manifestò, durante il Risorgimento, il fenomeno del volontarismo armato, molti aggruppamenti di militi improvvisati, anche di forza minuscola, si denominarono legione e se ne noverano oltre quaranta. Nel 1861, ampliandosi l'organico dei Carabinieri reali (v. carabiniere) per adeguarlo alle esigenze del nuovo regno d'Italia, fu istituita la legione come organismo d'ordine superiore alle divisioni dell'arma. Analogamente nel 1906 furono costituite legioni nel corpo della Guardia di finanza (v. finanza, regia guardia di). Infine la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (v.), forza armata della Rivoluzione fascista, in omaggio ai gloriosi ricordi di Roma fu ordinata fin dal suo sorgere in manipoli, centurie, coorti e legioni.

Presso alcuni stati si chiamano legioni alcune unità organiche specialmente istituite per il servizio armato nelle colonie e i cui gregarî sono tratti da elementi volontarî stranieri.